Recensione
Di commedie ambientate a scuola, con protagonisti adolescenti, ce ne sono a bizzeffe, nel mondo di anime e manga. Ben più rare, invece, sono le commedie con protagonisti adulti, perciò l’adattamento animato di “Senpai ga Uzai Kohai no Hanashi” (“Storia di una kohai e di un senpai rompiscatole”) l’ho accolto con particolare interesse. L’anime, realizzato dallo studio Doga Kobo e trasmesso da ottobre a dicembre 2021 in dodici episodi, è tratto dall’omonimo manga di Shiro Manta, pubblicato dal 2017 in formato digitale da Ichijinsha e poi pubblicato in volumi, attualmente otto. È una commedia slice of life/sentimentale, ambientata nel mondo del lavoro, realizzata con uno stile molto simile ad altri manga per adulti nati sul web e poi portati in volume, che vanno molto di moda in Giappone (per chi se lo ricorda, è molto simile ad “Ojisan & Marshmallow”, come stile di disegno e narrazione).
La storia ruota intorno a Futaba Igarashi, office lady ventenne, che ha una cotta per il suo senpai, l’enorme Takeda, che la prende sempre in giro ma che sotto sotto le vuole bene, e intorno a loro ruotano anche altri personaggi: l’otaku Kazama, che ha una cotta (ricambiata) per la bellona dell’ufficio, Sakurai; Yuto, il fratellino liceale di Sakurai; Natsuko, amica di Futaba dai tempi della scuola e sua confidente; il nonno di Futaba, un energumeno che la ama in maniera ossessiva; Mona, collega sanguemisto russa amante della vodka.
“Senpai ga Uzai Kohai no Hanashi” è fondamentalmente tutto qui, vita quotidiana dei personaggi sul lavoro mentre si punzecchiano a vicenda, maturando pian piano i loro sentimenti. Nulla di particolarmente innovativo, ma è semplice e piacevole da seguire. Ero molto interessato sia alla presenza di un protagonista maschile adulto, che per una volta non è un bishounen, sia alla rappresentazione dell’ambiente lavorativo giapponese, che ho vissuto personalmente e mi piacerebbe ritrovare nelle serie che seguo. Mi è capitato di parlarne con amici giapponesi dicendo “Mi interessa perché i personaggi sono adulti in carriera”, ma mi è stato detto: “Ma questi non sono adulti in carriera, questi sono bambocci delle medie! Gli adulti giapponesi non si comportano così!”.
E, in effetti, è verissimo. Il mondo lavorativo giapponese non viene esplorato chissà quanto, li si vede soltanto stare in ufficio al computer ogni tanto, ma poi hanno sin troppo tempo libero (probabilmente perché, altrimenti, non ci sarebbe nulla da narrare) e sono estremamente impacciati nelle loro relazioni. Inoltre, e qui sta un po’ il problema maggiore per quanto mi riguarda, la mia immagine mentale di una ventenne in carriera è un po’ quella della sorella maggiore di “Occhi di gatto”, adulta e sexy, ma Futaba è invece rappresentata proprio all’opposto, come una bambina col dentino, che fa i capricci, che si lamenta e viene presa in giro da tutti perché è tappa e si preoccupa perché è poco formosa. Lo so, la serie è tutta incentrata su questo, ma per quanto mi riguarda più che “Il mio senpai è un rompiscatole”, il titolo doveva essere cambiato in “Io sono una kohai rompiscatole”, dato che ho trovato ben più irritanti le scenette dove Futaba mostrava tutto il suo essere infantile più che quelle dove Takeda le faceva le (meritatissime) battutine.
E sì, lo so, razionalmente mi rendo conto che Futaba ha meno di quarant’anni ed è single, quindi non si è ancora spezzato l’incantesimo che rende le giapponesi eterne bambine kawaii finché non superano i quarant’anni, non figliano e non diventano le padrone della casa, ma il fascino di queste bambinette kawaii non fa presa su di me, che immagino una donna in carriera come una segretaria sexy, quindi Futaba mi è parsa un personaggio irritante, a volte, e il fatto che buona parte della serie sia incentrata su di lei non ha aiutato. Tuttavia, pian piano sono riuscito ad abituarmi a lei e mi ci sono affezionato, trovandomi ad appassionarmi alla sua tenera relazione con Takeda, personaggio ben più simpatico di lei ai miei occhi. È, infatti, un personaggio a suo modo più realistico, i salaryman adulti che dopo il lavoro vanno in palestra, e quindi sono grandi e grossi, in Giappone non sono poi così rari... anche se di solito sono gay e non interessati sentimentalmente alle colleghe! Takeda è rozzo ma di buon cuore; essendo la storia filtrata dagli occhi di Futaba, di lui si sa poco e a volte appare un po’ imperscrutabile, ma c’è sempre quando la sua kohai ha bisogno di lui, anche se glielo dimostra in maniera tanto maldestra quanto adorabile.
Le gag sono carine e pian piano ai personaggi ci si affeziona, anche se non dicono nulla che non sia già stato detto in altre serie simili, e si segue tutto l’iter del Natale, Capodanno, San Valentino, episodio delle terme ecc., cose che in una serie a target adolescenziale sono immancabili, ma che magari in una serie con personaggi che teoricamente sono adulti suonano banali e fuori contesto. La relazione tra Futaba e Takeda non va chissà quanto poi avanti (ovviamente il finale è aperto), dato che si basa quasi unicamente su frecciatine e film mentali di lei, mentre lui se la ride, le vuole bene, ma sotto sotto non sa come prenderla nel modo giusto. Più decisi sul lato amoroso, invece, Kazama e Sakurai, dato che entrambi sono interessati l’uno all’altra e fanno diversi passi in avanti in tal senso, quindi il tempo a loro dedicato è sicuramente ben speso e dà soddisfazione allo spettatore. I personaggi di contorno aiutano molto a smuovere la narrazione, in particolare è fantastico il nonno di Futaba, mattatore incontrastato dell’episodio in cui compare, grazie anche alla sempre fantastica voce di Akio Ohtsuka, che riuscirebbe a rendere un ‘figo’ chiunque, anche se doppiasse me, un gatto o un tavolo.
I disegni sono molto semplici, a volte eccessivamente caricaturali e strambi (l’amica di Futaba con gli occhi gialli da gatta e la pelle totalmente abbronzata è un personaggio che fa a pugni con tutto il resto del cast), ma l’anime prende diversi punti per via dell’ambientazione. I personaggi sono strambi, caricaturali e assolutamente non realistici, ma si muovono in una Tokyo assolutamente identica a quella reale, e vedere posti come il ristorante di ramen dove i protagonisti vanno a fare la pausa pranzo o un notturno urbano dove vengono inquadrati in bella vista il Tokyo Dome, l’ottovolante del Tokyo Dome City o il Meets Port scalda il cuore e allo stesso tempo fa malissimo, per chi come me è stato in Giappone per parecchio tempo.
“Senpai ga Uzai Kohai no Hanashi”, probabilmente, ce lo dimenticheremo già domani, così come il 90% di queste seriette inconcludenti di pochi episodi che fanno negli ultimi anni, aiutati anche dal fatto che non è davvero nulla di speciale e che è una storia che si nutre più di sensazioni estemporanee e piccole gag più che di sviluppi significativi, ma nel corso del suo trimestre di programmazione non è stato mai noioso, nella sua leggerezza mi ha sempre donato un sorriso, scaldato il cuore, regalato una mezz’ora spensierata in un periodo grigio. È uno slice of life tenero e indolore, che vive di piccoli momenti, mostra un po' di quotidianità in un Giappone realistico abitato da personaggi un po' strambi. Probabilmente, una storia più adulta e seria ambientata nel mondo del lavoro l’avrei gradita di più, ma “Senpai ga Uzai Kohai no Hanashi” non vuole essere “Aggretsuko”, quanto solo far sorridere un po’. Gli amanti delle commedie possono tranquillamente darle un’occhiata, si faranno due risate e passeranno sei ore spensierate, tra personaggi comunque a modo loro simpatici e piccoli problemi di cuore. A volte, del resto, c’è bisogno anche di serie così, che non sono né il capolavoro della vita né particolari schifezze, ma ti aiutano a passare un po’ il tempo in allegria, senza che tu debba per forza lasciarci il cuore.
La storia ruota intorno a Futaba Igarashi, office lady ventenne, che ha una cotta per il suo senpai, l’enorme Takeda, che la prende sempre in giro ma che sotto sotto le vuole bene, e intorno a loro ruotano anche altri personaggi: l’otaku Kazama, che ha una cotta (ricambiata) per la bellona dell’ufficio, Sakurai; Yuto, il fratellino liceale di Sakurai; Natsuko, amica di Futaba dai tempi della scuola e sua confidente; il nonno di Futaba, un energumeno che la ama in maniera ossessiva; Mona, collega sanguemisto russa amante della vodka.
“Senpai ga Uzai Kohai no Hanashi” è fondamentalmente tutto qui, vita quotidiana dei personaggi sul lavoro mentre si punzecchiano a vicenda, maturando pian piano i loro sentimenti. Nulla di particolarmente innovativo, ma è semplice e piacevole da seguire. Ero molto interessato sia alla presenza di un protagonista maschile adulto, che per una volta non è un bishounen, sia alla rappresentazione dell’ambiente lavorativo giapponese, che ho vissuto personalmente e mi piacerebbe ritrovare nelle serie che seguo. Mi è capitato di parlarne con amici giapponesi dicendo “Mi interessa perché i personaggi sono adulti in carriera”, ma mi è stato detto: “Ma questi non sono adulti in carriera, questi sono bambocci delle medie! Gli adulti giapponesi non si comportano così!”.
E, in effetti, è verissimo. Il mondo lavorativo giapponese non viene esplorato chissà quanto, li si vede soltanto stare in ufficio al computer ogni tanto, ma poi hanno sin troppo tempo libero (probabilmente perché, altrimenti, non ci sarebbe nulla da narrare) e sono estremamente impacciati nelle loro relazioni. Inoltre, e qui sta un po’ il problema maggiore per quanto mi riguarda, la mia immagine mentale di una ventenne in carriera è un po’ quella della sorella maggiore di “Occhi di gatto”, adulta e sexy, ma Futaba è invece rappresentata proprio all’opposto, come una bambina col dentino, che fa i capricci, che si lamenta e viene presa in giro da tutti perché è tappa e si preoccupa perché è poco formosa. Lo so, la serie è tutta incentrata su questo, ma per quanto mi riguarda più che “Il mio senpai è un rompiscatole”, il titolo doveva essere cambiato in “Io sono una kohai rompiscatole”, dato che ho trovato ben più irritanti le scenette dove Futaba mostrava tutto il suo essere infantile più che quelle dove Takeda le faceva le (meritatissime) battutine.
E sì, lo so, razionalmente mi rendo conto che Futaba ha meno di quarant’anni ed è single, quindi non si è ancora spezzato l’incantesimo che rende le giapponesi eterne bambine kawaii finché non superano i quarant’anni, non figliano e non diventano le padrone della casa, ma il fascino di queste bambinette kawaii non fa presa su di me, che immagino una donna in carriera come una segretaria sexy, quindi Futaba mi è parsa un personaggio irritante, a volte, e il fatto che buona parte della serie sia incentrata su di lei non ha aiutato. Tuttavia, pian piano sono riuscito ad abituarmi a lei e mi ci sono affezionato, trovandomi ad appassionarmi alla sua tenera relazione con Takeda, personaggio ben più simpatico di lei ai miei occhi. È, infatti, un personaggio a suo modo più realistico, i salaryman adulti che dopo il lavoro vanno in palestra, e quindi sono grandi e grossi, in Giappone non sono poi così rari... anche se di solito sono gay e non interessati sentimentalmente alle colleghe! Takeda è rozzo ma di buon cuore; essendo la storia filtrata dagli occhi di Futaba, di lui si sa poco e a volte appare un po’ imperscrutabile, ma c’è sempre quando la sua kohai ha bisogno di lui, anche se glielo dimostra in maniera tanto maldestra quanto adorabile.
Le gag sono carine e pian piano ai personaggi ci si affeziona, anche se non dicono nulla che non sia già stato detto in altre serie simili, e si segue tutto l’iter del Natale, Capodanno, San Valentino, episodio delle terme ecc., cose che in una serie a target adolescenziale sono immancabili, ma che magari in una serie con personaggi che teoricamente sono adulti suonano banali e fuori contesto. La relazione tra Futaba e Takeda non va chissà quanto poi avanti (ovviamente il finale è aperto), dato che si basa quasi unicamente su frecciatine e film mentali di lei, mentre lui se la ride, le vuole bene, ma sotto sotto non sa come prenderla nel modo giusto. Più decisi sul lato amoroso, invece, Kazama e Sakurai, dato che entrambi sono interessati l’uno all’altra e fanno diversi passi in avanti in tal senso, quindi il tempo a loro dedicato è sicuramente ben speso e dà soddisfazione allo spettatore. I personaggi di contorno aiutano molto a smuovere la narrazione, in particolare è fantastico il nonno di Futaba, mattatore incontrastato dell’episodio in cui compare, grazie anche alla sempre fantastica voce di Akio Ohtsuka, che riuscirebbe a rendere un ‘figo’ chiunque, anche se doppiasse me, un gatto o un tavolo.
I disegni sono molto semplici, a volte eccessivamente caricaturali e strambi (l’amica di Futaba con gli occhi gialli da gatta e la pelle totalmente abbronzata è un personaggio che fa a pugni con tutto il resto del cast), ma l’anime prende diversi punti per via dell’ambientazione. I personaggi sono strambi, caricaturali e assolutamente non realistici, ma si muovono in una Tokyo assolutamente identica a quella reale, e vedere posti come il ristorante di ramen dove i protagonisti vanno a fare la pausa pranzo o un notturno urbano dove vengono inquadrati in bella vista il Tokyo Dome, l’ottovolante del Tokyo Dome City o il Meets Port scalda il cuore e allo stesso tempo fa malissimo, per chi come me è stato in Giappone per parecchio tempo.
“Senpai ga Uzai Kohai no Hanashi”, probabilmente, ce lo dimenticheremo già domani, così come il 90% di queste seriette inconcludenti di pochi episodi che fanno negli ultimi anni, aiutati anche dal fatto che non è davvero nulla di speciale e che è una storia che si nutre più di sensazioni estemporanee e piccole gag più che di sviluppi significativi, ma nel corso del suo trimestre di programmazione non è stato mai noioso, nella sua leggerezza mi ha sempre donato un sorriso, scaldato il cuore, regalato una mezz’ora spensierata in un periodo grigio. È uno slice of life tenero e indolore, che vive di piccoli momenti, mostra un po' di quotidianità in un Giappone realistico abitato da personaggi un po' strambi. Probabilmente, una storia più adulta e seria ambientata nel mondo del lavoro l’avrei gradita di più, ma “Senpai ga Uzai Kohai no Hanashi” non vuole essere “Aggretsuko”, quanto solo far sorridere un po’. Gli amanti delle commedie possono tranquillamente darle un’occhiata, si faranno due risate e passeranno sei ore spensierate, tra personaggi comunque a modo loro simpatici e piccoli problemi di cuore. A volte, del resto, c’è bisogno anche di serie così, che non sono né il capolavoro della vita né particolari schifezze, ma ti aiutano a passare un po’ il tempo in allegria, senza che tu debba per forza lasciarci il cuore.