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L'aeroplano vola, Marcondiro'ndera
L'aeroplano vola, Marcondiro'ndà.

Se getterà la bomba, Marcondiro'ndero
Se getterà la bomba chi ci salverà?


(Girotondo - F. De André)


Una sera di settembre alla stazione di Kōbe. L'Estate ha esalato il suo ultimo respiro, e insieme a lei un ragazzo, che tiene stretto a sé una scatola di latta. A pochi passi da lui il suo fantasma lo osserva morire.
La guerra è finita e lentamente la normalità sta riprendendo il suo corso. La gente cammina e ignora altra gente. Quella è una sera quasi normale, ma la ferita è ancora aperta e se si presta orecchio si può sentire riecheggiare nell'aria il rumore degli aerei.
Il ragazzo della stazione era uno dei tanti. La guerra trasforma le persone in numeri, che vanno a riempire le statistiche dei libri di storia.

Questo numero si chiamava Seita. Il film racconta con un approccio profondamente realistico un Giappone dilaniato dai bombardamenti e dalla miseria. Nella pellicola non sono impresse lunghe sequenze di battaglie tra fazioni opposte, o tra "buoni" e "cattivi", laddove questa distinzione possa significare qualcosa sul fronte. L'attenzione si focalizza invece su chi la guerra la vede arrivare dentro le proprie case e tenta, malgrado tutto, di portare avanti delle vite. Come Seita, che si ritrova improvvisamente a essere fratello, madre e padre di Setsuko, la sua sorellina, ancora troppo piccola e incapace di comprendere appieno il mondo esterno.

La guerra è vista con gli occhi dei bambini come un brutto sogno da cui non ci si riesce a svegliare. I cacciabombardieri sembrano degli strani uccelli che sputano fuoco dai loro becchi metallici e rilasciano uova che generano grandi lampi di luce. E quello che c'era prima un attimo dopo scompare. La gente scappa, qualcuno si ferma per raccogliere qualcun altro e prosegue a scappare. Altri dormono in mezzo alla strada senza svegliarsi più.
Poi tutto finisce, ancora una volta. Nelle strade si riversano alcuni amici, qualche parente e tanti sconosciuti che vagano spaesati e increduli. Si prova a ricostruire, a delineare, a dare un ordine al caos.

E davvero non è poi così difficile riconoscere in quelle ambientazioni anche un po' del nostro paese. L'anima rurale di quel Giappone, che sembra ormai quasi un ricordo, non è molto diversa dalla realtà contadina dell'Italia agli inizi del secolo scorso. Dopo il conflitto si cerca di tirare su ciò che è stato buttato giù. Si va avanti, ma si butta un occhio indietro, verso ciò è mutato e continua a mutare.

Questo è per me "Una tomba per le lucciole". Non un film di guerra, bensì un film sulla guerra. La guerra e la morte, quella nera e secca, come diceva Guccini. Di certo non è una visione facile e lo spettatore più sensibile potrebbe risultare turbato dalla crudezza di quest'opera. Quando il film venne presentato in contemporanea con "Il mio vicino Totoro" il contrasto fu notevole. Il realismo spietato di Takahata si presentava come qualcosa di diametralmente opposto all'immaginario fiabesco del collega Miyazaki. Il risultato fu un'opera di rara bellezza con un cuore caldo che ancora oggi batte forte e non fa pesare affatto i suoi anni, nonostante l'avvento della Computer Grafica. E io a mia volta non posso che consigliarlo caldamente a voi.

E mentre scrivo questa recensione l'estate sta tornando.