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9.0/10
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2001, Mamoru Oshii torna sul palcoscenico internazionale con una nuova opera: "Avalon". Questa volta il "maestro" si destreggia nel girare un film in "carne e ossa", anziché animato, e la sua mano è chiaramente visibile anche solo per quanto riguarda le inquadrature, il ritmo lento e lo stile minimale (senza dimenticare l'immortale "Bassethound").
Tuttavia è il lato tematico quello che rispecchia maggiormente l'influsso artistico da parte dell'autore. Oshii sfodera le sue lame più affilate e le fa danzare assieme, nuovamente, per colpire in modo incisivo e tagliente il cuore dello spettatore. Non penso che corrisponda a empietà l'affermare che questo film riunisca la maggior parte dei suoi topoi più caratteristici, dalla critica sociale all'indagine dei sensi attraverso la realtà virtuale. Nondimeno, ciò che è vecchio e ciò che è nuovo qui si mescolano, dando vita a un film estremamente brillante e piacevole da seguire.

Il lungometraggio esordisce presentandoci un mondo dalle tonalità opprimenti, il seppia adempie egregiamente a questo ruolo, così come gli ambienti spogli e scarni e la presenza di comparse fredde e immobili. Si tratta di un mondo morto, afflitto da un costante e attonito silenzio.
In questo contesto si muove la protagonista, Ash, algida bellezza sullo stile del Maggiore Kusanagi, eroina in un "gioco" che prevede l'immersione totale del player nella realtà virtuale: Avalon. L'intera vicenda gira attorno al mito della famigerata Classe "A special", un ulteriore livello di gioco solo per i veterani più incalliti, la terra promessa di ogni giocatore. Questa è la base di partenza per un viaggio che, impensabilmente, approda molto più vicino a "noi" di quanto possiamo inizialmente sospettare.

Per i "veri" giocatori Avalon non è un mezzo, è un fine. Si può dire che molti ne siano dipendenti, tanto che cercano di sopravvivere solo con quello che guadagnano dalle missioni. La classe "A special" è, simbolicamente, la sublimazione massima di questo processo di progressiva alienazione, il cui motore è la necessità di una fuga dal livore della realtà "vera". La finzione prende il posto della realtà e, viceversa, sulla realtà viene calata la "corona dell'oblio". Così si attua l'inversione, ed è il mondo della classe "A special" a risplendere di colori, a traboccare di vita, di risate e di persone. Qui acquisisce di senso la contrapposizione del seppia del mondo iniziale e i colori della classe "A special". L'ultimo stadio del gioco è effettivamente il gioco che diventa la "realtà", mentre il luogo che ci si è lasciati alle spalle appare come una squallida discarica senza vita. Rimarchevole a tale proposito la differenza tra le metropolitane dei due mondi, l'una piena di vita e di colore, ma virtuale, l'altra triste e immota, ma reale. Cosa trattiene tutti quegli uomini nel loro stato vegetativo mentre permangono in Avalon? Alla fine la verità è che la realtà virtuale finisce con l'essere percepita come più vivida di quella vera, il problema dello stabilire se essa sia reale o meno è solo una nostra ossessione. "La realtà non è forse il luogo dove credi di esistere?" L'alienazione è totale, non per nulla Murphy cammina in bilico sull'orlo della follia, incapace di verificare se si trova all'interno del gioco o meno, di distinguere virtuale e reale. Poiché nel gioco ha trovato una realtà "migliore" di quella cupa e senza scopo da cui proviene. Per lui non è più solo virtuale, ma è la vera realtà, poiché la considera tale. Questo è il culmine dell'esistenzialistico viaggio della nostra eroina, il cui destino non ci è dato sapere: il finale infatti è totalmente aperto e lascia allo spettatore la chiave per completare lui stesso la vicenda.

Si fa strada dunque una possibile e ulteriore linea interpretativa del tutto attuale rispetto alla nostra società, gradualmente sempre più dipendente e integrata alla rete e al mondo virtuale. Si pensi, ad esempio, alle comunità virtuali, ai forum, ai fenomeni di social network, che costituiscono a tutti gli effetti delle realtà dove le persone si conoscono, interagiscono, si può dire: vivono. Questi surrogati di realtà sempre più spesso diventano un rifugio dalle preoccupazioni della vita di tutti i giorni per un grande numero di persone, offrono un luogo dove sfogarsi, dove dire tutto quello che si pensa dietro l'anonima faccia senza volto di un avatar. Quante persone vivono una vita completamente diversa nella rete? Senza le inibizioni sociali possono esprimersi senza dover temere il giudizio degli altri, coltivare amicizie virtuali e non solo. Il virtuale diventa ben più di un luogo che simula la realtà, diventa per molti fuga ed evasione, diventa la loro verità, diventa il loro Avalon. Visione che rende quasi preconizzante quest'opera.

Si sbaglia di grosso chi afferma che questo sia il "Matrix" dell'oriente, i due film non potrebbero essere più diversi: "Avalon" è l'anti-Matrix par excellance. Difficilmente potrei immaginare un film più distante dai canoni hollywoodiani, non ci sono combattimenti inutili, effetti spettacolari o teatrali. "Avalon" è un film intellettuale, lento e molto complesso, e tratta le tematiche in modo opposto al film dei fratelli Wachowski.

In conclusione, "Avalon" è un film che mi sento di consigliare solo agli appassionati del cinema di Oshii, si tratta di un'opera che contiene, in più di un senso, l'essenza di questo autore, e per essere apprezzato al meglio si dovrebbe avere già esperienza di qualche altra sua opera e film. Propedeutici alla visione di "Avalo"n potrebbero essere "Ghost in the Shell" e "Jin Roh", l'uno dal quale si attinge la questione della realtà virtuale, l'altro che si affilia alla tematica di feroce critica sociale, in cui si mostra la disumanizzazione dell'uomo attanagliato dalle spietate e meccanicistiche dinamiche sociali.