Recensione
Tokyo Godfathers
8.0/10
Recensione di Evangelion0189
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Talvolta, la fama di alcuni mangaka e cineasti è tale che un'irrefrenabile curiosità ci spinge a conoscerli meglio: per quanto mi riguarda, uno di questi è senz'altro il compianto Satoshi Kon, scomparso prematuramente nel 2010 a causa di un grave male. Tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, Kon si è fatto un nome dapprima come autore di manga brevi (La stirpe della sirena, fra gli altri), sceneggiatore di pellicole prodotte da terzi (lo splendido episodio intitolato "Magnetic Rose" dell'omnibus in tre parti Memories) e, soprattutto, come regista di alcuni tra i film d'animazione più controversi di sempre. Di questi il più celebre in Occidente è il chiassosissimo Paprika, mentre tra i miei film preferiti del regista si annovera Tokyo Godfathers: distribuito al cinema nel 2003, "I padrini di Tokyo" è una vera e propria fiaba natalizia, con tanto di lievi risvolti fantasiosi, che si presenta agli occhi del cinefilo come un inedito mix di pellicole quali La vita è meravigliosa di Frank Capra, Tre uomini e una culla di Coline Serreau e, ovviamente, Three Godfathers di John Ford.
A dispetto di tali illustri precedenti, in fin dei conti Tokyo Godfathers è un film che si regge perfettamente anche da solo grazie a una serie di interessanti novità introdotte dal regista. Oltre all'ambientazione giapponese, i protagonisti del film, i "padrini" del titolo, non sono né scapoli né tantomeno cowboy, bensì tre senzatetto malandati: Hana, un travestito fautore di alcune delle gag più esilaranti del film; il sedicente ex-ciclista Gin; Miyuki, un'adolescente scappata di casa per via di problemi con i suoi genitori. Nella Tokyo ricoperta di neve di fine Dicembre, il ritrovamento, in un mucchio di rifiuti, di una neonata abbandonata dà una svolta netta all'esistenza già problematica dei tre. Lo sgangherato terzetto, infatti, su insistenza di Hana, "adotta" la piccola Chiyoko partendo quindi alla ricerca della sua vera mamma in un turbine di disavventure che approfondirà i loro background e getterà una luce sulla famiglia della bambina...
Quella di Tokyo Godfathers è, in poche parole, una trama semplice che fonda le sue radici nei pochi personaggi vibranti e a tutto tondo che prendono vita in ogni singola sequenza del film; a condire il tutto sono una certa dose di "comic relief", sviluppi drammatici e un finale ricco di colpi di scena. Dal canto suo, il poliedrico Satoshin Kon ha curato, oltre al soggetto stesso del film, anche il character design marcatamente foto-realistico che, con tutte le sue smorfie verosimili, lascia un segno indelebile nella mente dello spettatore. Per quanto concerne il comparto tecnico, le animazioni si attestano su livelli altissimi grazie a un'elevata fluidità dei movimenti e delle variegate espressioni dei protagonisti, mentre i colori, mediamente saturati, danno origine a un'atmosfera più "reale" del solito; per contro, la colonna sonora non mi ha entusiasmato più di tanto, ma riconosco che accompagni in modo appropriato le vicissitudini dei nostri personaggi. Il doppiaggio italiano vanta uno dei nostri migliori doppiatori, purtroppo scomparso qualche anno fa, nel ruolo folle e divertente di Hana: sto parlando di Sergio Di Stefano, conosciuto come doppiatore ufficiale di John Malkovich in numerosi film, del dottor House nelle prime sei stagioni sulle otto complessive e, nel mondo degli anime, anche come voce carismatica di Folken Fanel in The Vision of Escaflowne. Per il resto, è da segnalare la presenza di errori di traduzione grossolani, dei quali il più grave di tutti è, a mio avviso, il seguente. Mentre rovista in un mucchio di vestiti usati, Miyuki prende tra le mani un paio di mutandine definendole però "pantaloni": ciò è da ascrivere a un'errata traduzione di pantsu, con cui nel Giappone odierno si indicano proprio le "mutandine". D'altro canto, suddetto termine deriva dall'inglese panties, che però non andrebbe mai confuso con pants ("pantaloni" per l'appunto). A parte questo, la localizzazione nella nostra lingua resta godibilissima e ottimamente interpretata. Al di là dell'importanza di Satoshi Kon nel panorama dell'animazione giapponese e internazionale degli ultimi vent'anni, qualora vogliate divertirvi ed emozionarvi con un film d'intrattenimento allo stato puro, allora Tokyo Godfathers fa proprio al caso vostro.
A dispetto di tali illustri precedenti, in fin dei conti Tokyo Godfathers è un film che si regge perfettamente anche da solo grazie a una serie di interessanti novità introdotte dal regista. Oltre all'ambientazione giapponese, i protagonisti del film, i "padrini" del titolo, non sono né scapoli né tantomeno cowboy, bensì tre senzatetto malandati: Hana, un travestito fautore di alcune delle gag più esilaranti del film; il sedicente ex-ciclista Gin; Miyuki, un'adolescente scappata di casa per via di problemi con i suoi genitori. Nella Tokyo ricoperta di neve di fine Dicembre, il ritrovamento, in un mucchio di rifiuti, di una neonata abbandonata dà una svolta netta all'esistenza già problematica dei tre. Lo sgangherato terzetto, infatti, su insistenza di Hana, "adotta" la piccola Chiyoko partendo quindi alla ricerca della sua vera mamma in un turbine di disavventure che approfondirà i loro background e getterà una luce sulla famiglia della bambina...
Quella di Tokyo Godfathers è, in poche parole, una trama semplice che fonda le sue radici nei pochi personaggi vibranti e a tutto tondo che prendono vita in ogni singola sequenza del film; a condire il tutto sono una certa dose di "comic relief", sviluppi drammatici e un finale ricco di colpi di scena. Dal canto suo, il poliedrico Satoshin Kon ha curato, oltre al soggetto stesso del film, anche il character design marcatamente foto-realistico che, con tutte le sue smorfie verosimili, lascia un segno indelebile nella mente dello spettatore. Per quanto concerne il comparto tecnico, le animazioni si attestano su livelli altissimi grazie a un'elevata fluidità dei movimenti e delle variegate espressioni dei protagonisti, mentre i colori, mediamente saturati, danno origine a un'atmosfera più "reale" del solito; per contro, la colonna sonora non mi ha entusiasmato più di tanto, ma riconosco che accompagni in modo appropriato le vicissitudini dei nostri personaggi. Il doppiaggio italiano vanta uno dei nostri migliori doppiatori, purtroppo scomparso qualche anno fa, nel ruolo folle e divertente di Hana: sto parlando di Sergio Di Stefano, conosciuto come doppiatore ufficiale di John Malkovich in numerosi film, del dottor House nelle prime sei stagioni sulle otto complessive e, nel mondo degli anime, anche come voce carismatica di Folken Fanel in The Vision of Escaflowne. Per il resto, è da segnalare la presenza di errori di traduzione grossolani, dei quali il più grave di tutti è, a mio avviso, il seguente. Mentre rovista in un mucchio di vestiti usati, Miyuki prende tra le mani un paio di mutandine definendole però "pantaloni": ciò è da ascrivere a un'errata traduzione di pantsu, con cui nel Giappone odierno si indicano proprio le "mutandine". D'altro canto, suddetto termine deriva dall'inglese panties, che però non andrebbe mai confuso con pants ("pantaloni" per l'appunto). A parte questo, la localizzazione nella nostra lingua resta godibilissima e ottimamente interpretata. Al di là dell'importanza di Satoshi Kon nel panorama dell'animazione giapponese e internazionale degli ultimi vent'anni, qualora vogliate divertirvi ed emozionarvi con un film d'intrattenimento allo stato puro, allora Tokyo Godfathers fa proprio al caso vostro.