Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Otaku ni koi wa muzukashii
8.0/10
"Otaku ni Koi wa Muzukashii" ("Love is Hard for an Otaku") è un anime di undici episodi andato in onda dall'aprile al giugno del 2018.
Narumi Momose e Hirotaka Nifuji sono amici d’infanzia che si erano persi di vista e che si ritrovano a lavorare nello stesso ufficio dopo l’università. Narumi, che ha fatto di tutto per nascondere al mondo la sua passione per giochi online e manga/anime BL, è in un primo momento preoccupata che il ragazzo possa rivelare a tutti questo suo lato otaku, in quanto Hirotaka, straordinario con i videogiochi, era solito giocare con Narumi quando erano compagni di scuola. Dopo essersi riavvicinati, decidono di iniziare a frequentarsi, dando così inizio ad una commedia romantica fatta di momenti un po’ impacciati e tanta dolcezza.
Da amante del manga, ammetto di essere stata molto felice quando è stata annunciata la trasposizione anime di quest’opera, e sono stata ancora più contenta che non abbia deluso le mie aspettative.
I due protagonisti a prima vista non potrebbero sembrare più diversi: Narumi è una ragazza allegra e un po’ sbadata, con tanti amici e diverse relazioni andate male, Hirotaka è efficiente e preciso, ha una lingua tagliente, ma preferisce stare per conto proprio e giocare con i suoi amati videogame. La verità, che viene fuori già dal primo episodio, è che Narumi è un otaku tanto quanto Hirotaka, anche se ha fatto di tutto per non rivelare la sua passione a nessuno. È stato davvero bellissimo vedere l’evoluzione della loro relazione, di come Narumi si senta libera di vivere pienamente la loro storia senza dover nascondere questo importante lato di sé stessa e di come Hirotaka cominci ad aprirsi di più e a sforzarsi di vivere maggiormente nel mondo reale. Non mancano inoltre flashback che ci mostrano come è nata la loro amicizia a scuola e di come Nifuji sia, in fondo, sempre stato innamorato della ragazza.
Narumi e Hirotaka non saranno soli, però. Li affiancheranno Kabakura e Hana-chan, anche loro impiegati nella stessa azienda, anche loro otaku, la cui relazione dura da anni e i cui battibecchi sono leggendari. Che dire, loro probabilmente sono i miei preferiti, passionali e decisi, efficienti a lavoro ma devoti al loro lato otaku, litigano più spesso che non, ma si capisce al primo sguardo che sono pazzi l’uno dell’altro.
Altri personaggi sono Nao, il fratellino di Hirotaka, solare, dolce, gentile, e assolutamente negato per qualsiasi cosa abbia a che fare con videogiochi o manga, e Kō, la versione femminile di Hirotaka, solo più timida e dolce, che purtroppo viene introdotta solo negli ultimi episodi.
Altro aspetto che ho molto apprezzato è come l’essere otaku dei protagonisti sia una caratteristica predominante nella storia senza monopolizzarla. La passione per videogiochi e manga è la colla che lega questi personaggi e che porta avanti le vicende, ma, allo stesso tempo, ciò su cui si focalizza veramente quest’opera è il rapporto di amicizia e amore fra le due coppie, le loro relazioni umane. Stando a contatto fra di loro, i personaggi si evolvono e crescono, condividono momenti romantici e manifestazioni di affetto e attenzione l’uno verso l’altro, il tutto sempre in chiave comica.
Il comparto tecnico è sicuramente di buon livello. Sebbene gli sfondi non siano particolarmente elaborati, il chara design mi è piaciuto molto, così come la scelta dei doppiatori. Molto belle sono, inoltre, sia l’opening che l’ending.
Riassumendolo in una frase o meno: "La vita quotidiana di quattro otaku fra lavoro, videogiochi, amore e manga".
Narumi Momose e Hirotaka Nifuji sono amici d’infanzia che si erano persi di vista e che si ritrovano a lavorare nello stesso ufficio dopo l’università. Narumi, che ha fatto di tutto per nascondere al mondo la sua passione per giochi online e manga/anime BL, è in un primo momento preoccupata che il ragazzo possa rivelare a tutti questo suo lato otaku, in quanto Hirotaka, straordinario con i videogiochi, era solito giocare con Narumi quando erano compagni di scuola. Dopo essersi riavvicinati, decidono di iniziare a frequentarsi, dando così inizio ad una commedia romantica fatta di momenti un po’ impacciati e tanta dolcezza.
Da amante del manga, ammetto di essere stata molto felice quando è stata annunciata la trasposizione anime di quest’opera, e sono stata ancora più contenta che non abbia deluso le mie aspettative.
I due protagonisti a prima vista non potrebbero sembrare più diversi: Narumi è una ragazza allegra e un po’ sbadata, con tanti amici e diverse relazioni andate male, Hirotaka è efficiente e preciso, ha una lingua tagliente, ma preferisce stare per conto proprio e giocare con i suoi amati videogame. La verità, che viene fuori già dal primo episodio, è che Narumi è un otaku tanto quanto Hirotaka, anche se ha fatto di tutto per non rivelare la sua passione a nessuno. È stato davvero bellissimo vedere l’evoluzione della loro relazione, di come Narumi si senta libera di vivere pienamente la loro storia senza dover nascondere questo importante lato di sé stessa e di come Hirotaka cominci ad aprirsi di più e a sforzarsi di vivere maggiormente nel mondo reale. Non mancano inoltre flashback che ci mostrano come è nata la loro amicizia a scuola e di come Nifuji sia, in fondo, sempre stato innamorato della ragazza.
Narumi e Hirotaka non saranno soli, però. Li affiancheranno Kabakura e Hana-chan, anche loro impiegati nella stessa azienda, anche loro otaku, la cui relazione dura da anni e i cui battibecchi sono leggendari. Che dire, loro probabilmente sono i miei preferiti, passionali e decisi, efficienti a lavoro ma devoti al loro lato otaku, litigano più spesso che non, ma si capisce al primo sguardo che sono pazzi l’uno dell’altro.
Altri personaggi sono Nao, il fratellino di Hirotaka, solare, dolce, gentile, e assolutamente negato per qualsiasi cosa abbia a che fare con videogiochi o manga, e Kō, la versione femminile di Hirotaka, solo più timida e dolce, che purtroppo viene introdotta solo negli ultimi episodi.
Altro aspetto che ho molto apprezzato è come l’essere otaku dei protagonisti sia una caratteristica predominante nella storia senza monopolizzarla. La passione per videogiochi e manga è la colla che lega questi personaggi e che porta avanti le vicende, ma, allo stesso tempo, ciò su cui si focalizza veramente quest’opera è il rapporto di amicizia e amore fra le due coppie, le loro relazioni umane. Stando a contatto fra di loro, i personaggi si evolvono e crescono, condividono momenti romantici e manifestazioni di affetto e attenzione l’uno verso l’altro, il tutto sempre in chiave comica.
Il comparto tecnico è sicuramente di buon livello. Sebbene gli sfondi non siano particolarmente elaborati, il chara design mi è piaciuto molto, così come la scelta dei doppiatori. Molto belle sono, inoltre, sia l’opening che l’ending.
Riassumendolo in una frase o meno: "La vita quotidiana di quattro otaku fra lavoro, videogiochi, amore e manga".
Tokyo Godfathers
8.0/10
“Tokyo Godfathers” è un film d’animazione giapponese del 2003 scritto e diretto da Satoshi Kon con la collaborazione di Keiko Nobumoto alla sceneggiatura e Shôgo Furuya alla regia.
La vicenda vede come protagonisti tre senzatetto: Gin, un irascibile e disincantato alcolizzato, Hana, un melodrammatico transessuale, e la giovane Miyuki, scappata di casa. La notte di Natale, mentre rovista tra cumuli di immondizia in cerca di oggetti utili, il trio trova una neonata abbandonata e decide, non prima di accese discussioni, di andare in cerca dei genitori della piccola, ribattezzata Kiyoko.
Il lungometraggio segue così le tribolazioni di questo eterogeneo gruppo, tra litigi, indizi e vicoli ciechi, in un viaggio sia fisico che spirituale che si rivela ben presto essere anche un’opportunità per esplorare i protagonisti, con le loro storie e i loro sogni, e la dura vita da vagabondo.
Sebbene “Tokyo Godfathers” mantenga con costanza toni da commedia, sono presenti svariate scene in cui emerge il tragico rapporto tra società civile e reietti: per ogni sguardo compassionevole e mano tesa in aiuto ce ne sono dieci o più colmi di disprezzo e disgusto, mentre i pugni si serrano per aggredire, anziché per difendere. Gli attimi in cui si è quasi sopraffatti dalla rabbia impotente sono però presto dimenticati grazie alla profonda umanità di cui sono dotati Gin, Hana e Miyuki, un’umanità che non si traduce in stucchevole bontà, ma abbraccia l’imperfezione della condizione umana, con i suoi egoismi, gli errori commessi in passato che tornano a tormentare e la vigliaccheria, ma anche la solidarietà, l’ironia e la determinazione. Anche le deviazioni dalla trama principale, per quanto sembrino rallentare il ritmo della narrazione, forniscono spunti di riflessione e permettono allo spettatore di immergersi nella psiche dei tre protagonisti, ciascuno con le proprie drammatiche circostanze e le speranze per il futuro, a volte frenate da rassegnazione e aspri conflitti interiori.
Satoshi Kon dà così vita alla sua opera più concreta e accessibile, senza però rinunciare alle sue iconiche sequenze oniriche, leggere e ben dosate, e ad un tocco di magia, immancabile in un film natalizio, che di frequente si manifesta in un gusto per le fortuite coincidenze che farebbe invidia ai romanzieri storici dell’Ottocento.
Come è oramai tipico aspettarsi dal Maestro Kon, il comparto tecnico è di alto livello: le animazioni sono estremamente fluide e plastiche, forse anche troppo, e sono spesso al servizio di una mimica facciale e di un linguaggio del corpo unici e iperattivi. I fondali sono molto curati e, anche tramite un impiego meticoloso della computer grafica, regalano una Tokyo fredda e imbiancata dalla neve ma dinamica e ricca di vita e colori, in cui i mucchi di sordido lerciume e le luci sfavillanti esprimono la stessa dicotomia valida per i personaggi che vi abitano. Il character design è ben particolareggiato e, fisionomie buffe (senza essere grottesche, con le dovute eccezioni) a parte, è piuttosto proporzionato. Impressionante anche la cura per i dettagli dei capi di vestiario.
La colonna sonora è sempre adeguata e orecchiabile e, nonostante alcuni momenti più tesi e cupi, conserva uno spirito vivace di fondo che la rende irresistibile e trascinante. Ottimo anche il doppiaggio italiano, così come l’adattamento in linea di massima, in cui è possibile riconoscere solo un trascurabile errore di traduzione.
In conclusione, “Tokyo Godfathers” è un film incantevole, magari non adatto proprio a tutta la famiglia a causa di alcune scene forti e violente e ad un linguaggio piuttosto scurrile, ma intenso, dotato non di una maestosa potenza visiva, ma di un tepore affettuoso e accogliente, una favola contemporanea realistica e ammaliante allo stesso tempo.
La vicenda vede come protagonisti tre senzatetto: Gin, un irascibile e disincantato alcolizzato, Hana, un melodrammatico transessuale, e la giovane Miyuki, scappata di casa. La notte di Natale, mentre rovista tra cumuli di immondizia in cerca di oggetti utili, il trio trova una neonata abbandonata e decide, non prima di accese discussioni, di andare in cerca dei genitori della piccola, ribattezzata Kiyoko.
Il lungometraggio segue così le tribolazioni di questo eterogeneo gruppo, tra litigi, indizi e vicoli ciechi, in un viaggio sia fisico che spirituale che si rivela ben presto essere anche un’opportunità per esplorare i protagonisti, con le loro storie e i loro sogni, e la dura vita da vagabondo.
Sebbene “Tokyo Godfathers” mantenga con costanza toni da commedia, sono presenti svariate scene in cui emerge il tragico rapporto tra società civile e reietti: per ogni sguardo compassionevole e mano tesa in aiuto ce ne sono dieci o più colmi di disprezzo e disgusto, mentre i pugni si serrano per aggredire, anziché per difendere. Gli attimi in cui si è quasi sopraffatti dalla rabbia impotente sono però presto dimenticati grazie alla profonda umanità di cui sono dotati Gin, Hana e Miyuki, un’umanità che non si traduce in stucchevole bontà, ma abbraccia l’imperfezione della condizione umana, con i suoi egoismi, gli errori commessi in passato che tornano a tormentare e la vigliaccheria, ma anche la solidarietà, l’ironia e la determinazione. Anche le deviazioni dalla trama principale, per quanto sembrino rallentare il ritmo della narrazione, forniscono spunti di riflessione e permettono allo spettatore di immergersi nella psiche dei tre protagonisti, ciascuno con le proprie drammatiche circostanze e le speranze per il futuro, a volte frenate da rassegnazione e aspri conflitti interiori.
Satoshi Kon dà così vita alla sua opera più concreta e accessibile, senza però rinunciare alle sue iconiche sequenze oniriche, leggere e ben dosate, e ad un tocco di magia, immancabile in un film natalizio, che di frequente si manifesta in un gusto per le fortuite coincidenze che farebbe invidia ai romanzieri storici dell’Ottocento.
Come è oramai tipico aspettarsi dal Maestro Kon, il comparto tecnico è di alto livello: le animazioni sono estremamente fluide e plastiche, forse anche troppo, e sono spesso al servizio di una mimica facciale e di un linguaggio del corpo unici e iperattivi. I fondali sono molto curati e, anche tramite un impiego meticoloso della computer grafica, regalano una Tokyo fredda e imbiancata dalla neve ma dinamica e ricca di vita e colori, in cui i mucchi di sordido lerciume e le luci sfavillanti esprimono la stessa dicotomia valida per i personaggi che vi abitano. Il character design è ben particolareggiato e, fisionomie buffe (senza essere grottesche, con le dovute eccezioni) a parte, è piuttosto proporzionato. Impressionante anche la cura per i dettagli dei capi di vestiario.
La colonna sonora è sempre adeguata e orecchiabile e, nonostante alcuni momenti più tesi e cupi, conserva uno spirito vivace di fondo che la rende irresistibile e trascinante. Ottimo anche il doppiaggio italiano, così come l’adattamento in linea di massima, in cui è possibile riconoscere solo un trascurabile errore di traduzione.
In conclusione, “Tokyo Godfathers” è un film incantevole, magari non adatto proprio a tutta la famiglia a causa di alcune scene forti e violente e ad un linguaggio piuttosto scurrile, ma intenso, dotato non di una maestosa potenza visiva, ma di un tepore affettuoso e accogliente, una favola contemporanea realistica e ammaliante allo stesso tempo.
Homunculus
9.0/10
Homunculus è una serie manga di 15 volumi, scritta e disegnata da Hideo Yamamoto tra il 2003 e il 2011. La storia ruota attorno al personaggio di Susumu, apparente senzatetto che vive a metà strada tra uno dei più lussuosi hotel di Tokyo, che lui stesso era solito bazzicare, e un parco frequentato da clochard. Non ha amici o legami, se non con la sua macchina, sua unica fortezza e sicurezza, senza la quale si sente totalmente smarrito. A breve avviene il suo incontro con l’enigmatica e alquanto eccentrica figura di Manabu Ito, uno studente di medicina che gli offre un’ingente somma di denaro in cambio di un esperimento a cui Susumu dovrebbe sottoporsi: la trapanazione del suo cranio allo scopo di risvegliare il suo “sesto senso”.
Grazie a questo esperimento, Susumu diviene in grado di vedere gli “homunculus”, ovvero la manifestazione fisica dell’altrui inconscio, dei sensi di colpa, delle inadeguatezze e delle ossessioni delle persone. Questa insolita capacità, che dapprima spaventerà il giovane uomo, lo condurrà verso un percorso unico: aiutando sconosciuti ad affrontare i loro problemi interiori, egli mano a mano capirà che ciò che vede non è altro che la manifestazione del proprio io, tanto da portarlo a mettere in dubbio la sua propria identità, cercando di ricordare il passato da cui è scappato.
Susumu è un personaggio originale, bizzarro, è difficile entrare in empatia con lui all’inizio. Appare freddo e distaccato verso tutto e tutti, prova sentimenti solo verso la propria macchina. Ha cancellato ogni traccia della sua vita precedente, in cui è ovviamente comparsa tutta la sua umanità. Il suo status di barbone, che lui stesso definisce “un tentativo di scoprire sé stesso”, non costituisce per lui motivo d’imbarazzo, quanto più una forma di nuova libertà. Libertà dalla sua vita precedente che, pur offrendogli tutto (donne, lavoro, soldi), gli stava stretta, e gli dava un senso di inadeguatezza.
Veramente interessante, a questo proposito, il modo in cui Yamamoto ce lo rappresenta, nelle sue notti passate a dormire in macchina: Susumu dorme in posizione fetale, talvolta mettendosi un dito in bocca, come un bambino, come a simboleggiare la sua intenzione di iniziare una nuova vita. D’altronde non è l’unico simbolismo che possiamo riscontrare nel manga: la perdita della propria macchina, che è il suo unico rifugio, l’unica cosa che gli dà un minimo di umanità, e non lo riduce a un totale senzatetto privato di ogni cosa, è il passaggio che lo obbliga a prendere coscienza di chi sia davvero.
La trapanazione che gli farà Manabu sarà il mezzo con cui Susumu entrerà finalmente in contatto col mondo esterno e col proprio io.
I personaggi sono pochi, principalmente ci si focalizza sui due protagonisti, a cui si aggiungono, capitolo dopo capitolo, le varie comparse che la giovane cavia deciderà di aiutare. La caratterizzazione dei due è interessante, in particolare quella di Susumu che ci viene introdotto con un atteggiamento negazionista. Un uomo che fa della sua vita una grande menzogna. E’ il classico anti eroe: non aiuta gli altri per fare qualcosa di buono, lo fa unicamente per un tornaconto personale: prima per liberarsi delle orrende visioni, poi per conoscere sé stesso mediante l’osservazione degli altri.
Manabu ha decisamente meno spazio, è un po’ il canale che permette all’amico la sua progressiva e lenta ricerca dell’io interiore. Tuttavia, come quasi ogni personaggio presente, anche lui ha un homunculus, dei segreti e dei rancori passati che sono rimasti ancorati nel subconscio e premono per uscire.
La storia di Yamamoto è una storia intensa. Non ci sono intermezzi divertenti, scene di fanservice messe a caso (nonostante le scene di nudo, che sono perfettamente contestualizzate), o scene d’azione che permettono di allentare la tensione. Tutto il manga è fortemente disturbante: a partire dai disegni ansiogeni, fino a situazioni di violenza estrema (e anche qui non si parla di violenza fisica, nonostante sia presente anche uno stupro, quanto più di violenza verso il proprio subconscio).
Nonostante la trama che punta molto a dialoghi e riflessioni, più che all’azione, non sembra il tipo di storia che possa scoraggiare il lettore medio, e anzi si propone come una lettura molto scorrevole, adatta un po’ a tutti, o perlomeno a chi è alla ricerca di qualcosa di stimolante dal punto di vista intellettuale.
Grazie a questo esperimento, Susumu diviene in grado di vedere gli “homunculus”, ovvero la manifestazione fisica dell’altrui inconscio, dei sensi di colpa, delle inadeguatezze e delle ossessioni delle persone. Questa insolita capacità, che dapprima spaventerà il giovane uomo, lo condurrà verso un percorso unico: aiutando sconosciuti ad affrontare i loro problemi interiori, egli mano a mano capirà che ciò che vede non è altro che la manifestazione del proprio io, tanto da portarlo a mettere in dubbio la sua propria identità, cercando di ricordare il passato da cui è scappato.
Susumu è un personaggio originale, bizzarro, è difficile entrare in empatia con lui all’inizio. Appare freddo e distaccato verso tutto e tutti, prova sentimenti solo verso la propria macchina. Ha cancellato ogni traccia della sua vita precedente, in cui è ovviamente comparsa tutta la sua umanità. Il suo status di barbone, che lui stesso definisce “un tentativo di scoprire sé stesso”, non costituisce per lui motivo d’imbarazzo, quanto più una forma di nuova libertà. Libertà dalla sua vita precedente che, pur offrendogli tutto (donne, lavoro, soldi), gli stava stretta, e gli dava un senso di inadeguatezza.
Veramente interessante, a questo proposito, il modo in cui Yamamoto ce lo rappresenta, nelle sue notti passate a dormire in macchina: Susumu dorme in posizione fetale, talvolta mettendosi un dito in bocca, come un bambino, come a simboleggiare la sua intenzione di iniziare una nuova vita. D’altronde non è l’unico simbolismo che possiamo riscontrare nel manga: la perdita della propria macchina, che è il suo unico rifugio, l’unica cosa che gli dà un minimo di umanità, e non lo riduce a un totale senzatetto privato di ogni cosa, è il passaggio che lo obbliga a prendere coscienza di chi sia davvero.
La trapanazione che gli farà Manabu sarà il mezzo con cui Susumu entrerà finalmente in contatto col mondo esterno e col proprio io.
I personaggi sono pochi, principalmente ci si focalizza sui due protagonisti, a cui si aggiungono, capitolo dopo capitolo, le varie comparse che la giovane cavia deciderà di aiutare. La caratterizzazione dei due è interessante, in particolare quella di Susumu che ci viene introdotto con un atteggiamento negazionista. Un uomo che fa della sua vita una grande menzogna. E’ il classico anti eroe: non aiuta gli altri per fare qualcosa di buono, lo fa unicamente per un tornaconto personale: prima per liberarsi delle orrende visioni, poi per conoscere sé stesso mediante l’osservazione degli altri.
Manabu ha decisamente meno spazio, è un po’ il canale che permette all’amico la sua progressiva e lenta ricerca dell’io interiore. Tuttavia, come quasi ogni personaggio presente, anche lui ha un homunculus, dei segreti e dei rancori passati che sono rimasti ancorati nel subconscio e premono per uscire.
La storia di Yamamoto è una storia intensa. Non ci sono intermezzi divertenti, scene di fanservice messe a caso (nonostante le scene di nudo, che sono perfettamente contestualizzate), o scene d’azione che permettono di allentare la tensione. Tutto il manga è fortemente disturbante: a partire dai disegni ansiogeni, fino a situazioni di violenza estrema (e anche qui non si parla di violenza fisica, nonostante sia presente anche uno stupro, quanto più di violenza verso il proprio subconscio).
Nonostante la trama che punta molto a dialoghi e riflessioni, più che all’azione, non sembra il tipo di storia che possa scoraggiare il lettore medio, e anzi si propone come una lettura molto scorrevole, adatta un po’ a tutti, o perlomeno a chi è alla ricerca di qualcosa di stimolante dal punto di vista intellettuale.
l'ho adorato. consigliatissimo per chi cerca un titolo maturo introspettivo e che faccia riflettere sull'animo umano, con toni magari duri e realistici, per non dire pessimistici, ma è la visione dell'autore. Davvero, vale la pena di leggerlo
Homunculus ce l'ho in attesa di lettura, dovrei rimediare.
Complimenti agli autori!
Confermo, e al contrario di Eoin penso che - con quello che viene propinato in televisione di questi tempi - il film sia adattissimo anche per le famiglie magari con figli non troppo piccoli; i bambini coglieranno di più le parti comiche, gli adulti quelle riflessive. Il finale poi
Ma magari, il manga merita tantissimo.
Anch'io devo recuperare Homunculus...
fa sempre piacere vedere condivisa la passione per i titoli d'autore
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