Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Uzumaki
1.5/10
Recensione di _*AUBREY*_
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Premessa: la trasposizione animata di “Uzumaki” è un aborto a lungo termine, a causa di anni di ritardo che sarebbero dovuti servire a creare un’opera degna della fama che l’autore porta. È drammatico come si sia voluto tagliare fuori il direttore del primo episodio, che era molto ambizioso e desideroso di lavorare a qualcosa di grande, e cambiare studio per fare affidamento su idee meno pretenziose e a basso costo. Di conseguenza, ovviamente, le animazioni dell’anime ne hanno risentito.
La narrazione viene a mancare (in quattro episodi poco si può fare), gli avvenimenti vengono mescolati in maniera poco intelligente, e non si riesce a catturare l’atmosfera dell’opera di Ito. Ammettendo che si sia voluto creare tutto ciò in buona fede, il fallimento dell'adattamento non risiede solo nel fatto che ci siano stati cambi di direzione o ritardi nella produzione. Piuttosto, il problema principale sembra essere la mancanza di comprensione verso il manga.
L’anime, nel tentativo di condensare la narrazione in un formato breve e frammentato, sacrifica l’alone di mistero che alberga a Kurozu-cho, e l’interesse viene meno verso gli strani avvenimenti che ruotano intorno a Kirie (la protagonista) e a chi le sta intorno. Ogni episodio appare come una sequenza sconnessa di eventi che non hanno il tempo di respirare, di sedimentare nella mente dello spettatore.
La sensazione che ho avuto guardando “Uzumaki” è che ogni episodio, tranne l’ultimo (che segue una trama lineare), sia un lungo trailer a causa della rapida successione di scene che vengono mostrate, passando da una cosa all’altra troppo velocemente. Dovrebbe essere un horror psicologico, ma l’inquietudine che ho percepito io è dovuta solo al fatto che si sia voluto andare di fretta, perché il progetto era troppo dispendioso. La mancanza di ambizione è il segno di una produzione che sembra avere poca autostima di sé.
A tratti mi ha strappato una risata, perché, devo ammettere, risulta molto grottesco, rassomigliando a una parodia dei peggiori B-movie. Del mistero della spirale (Uzumaki, per l’appunto) non se ne tiene molto conto; l’importante è aver prodotto scena dopo scena qualcosa, non importa quanto ridicola o senza il minimo senso sia stata presentata. Il bianco e nero è la scelta stilistica potenzialmente più efficace per omaggiare le tavole originali del manga, ma diventa un trucco vuoto quando non è accompagnato da una direzione che miri a volare alto.
Il mio disappunto è grande: l’anime è un orrore, ma non nel senso sperato. Io, da amante di Ito, non riesco a trovare qualcosa che lo renda valido come trasposizione o come qualcosa a sé stante che funga da horror. È un omaggio superficiale. Ho sempre avuto un profondo apprezzamento per la creatività. Le animazioni degli episodi dopo il primo appaiono come un’imitazione sterile delle immagini del manga, animate con pochi fotogrammi e al massimo ricalcate. Per dirla con le parole di un grande autore: “Accorgersi di essere capaci di inventare qualcosa e farlo ogni giorno, era una gioia più grande di qualunque altra”, gioia che probabilmente è mancata.
A proposito di gioia, ho riscontrato un’analogia tra Shuichi (il ragazzo di Kirie) e chi ha deciso di animare questa mostruosità: entrambi sono depressi, entrambi vogliono scappare da qualcosa, ma non possono, perché Shuichi vorrebbe lasciare la sua città maledetta, ma ama troppo la sua ragazza e rimane, quindi, con lei, mentre la produzione avrebbe voluto lasciare il lavoro incompleto, ma per puro amore finanziario ha deciso di completare tutto così com'è.
Io vorrei veramente spezzare una lancia a favore dell’anime, ma non saprei dove parare. È più opportuno parlare del potenziale sprecato. Gli anime vantano pochissimi horror ben realizzati, e “Uzumaki” sarebbe potuto (e dovuto) essere l’horror perfetto. Il materiale c’era: un autore iconico, uno stile visivo forte e una storia particolare.
Immaginate un adattamento di “Uzumaki” che, invece di ridurre e comprimere, sia curato nei dettagli e che ti faccia immergere nell’orrore con cui la follia si insinua nella vita dei personaggi e ne faccia un obiettivo primario, rispettando un tono inquietante e un ritmo più contemplativo. In un ideale adattamento di “Uzumaki”, ogni episodio sarebbe stato costruito come una finestra sull’abisso di Kurozu-cho, con tutto il tempo necessario per far assorbire allo spettatore la tensione e l’angoscia della spirale che lentamente si impossessa dei personaggi. La forma della spirale in natura è simbolo di continuità, evoluzione e connessione. In “Uzumaki” la spirale cessa di rappresentare perfezione e ordine, e diventa invece simbolo di una distorsione crescente; è una metafora di qualcosa che avvolge e consuma (un’ossessione).
Un adattamento sincero avrebbe saputo cogliere il ritmo particolare di “Uzumaki”, che cresce pagina dopo pagina, facendo percepire il lento deteriorarsi della città e dei suoi abitanti, e intrappolando lo spettatore, proprio come i personaggi, in una spirale da cui non si può scappare. In definitiva, “Uzumaki” si è limitato a essere l’inconcludente ombra di sé stesso.
La narrazione viene a mancare (in quattro episodi poco si può fare), gli avvenimenti vengono mescolati in maniera poco intelligente, e non si riesce a catturare l’atmosfera dell’opera di Ito. Ammettendo che si sia voluto creare tutto ciò in buona fede, il fallimento dell'adattamento non risiede solo nel fatto che ci siano stati cambi di direzione o ritardi nella produzione. Piuttosto, il problema principale sembra essere la mancanza di comprensione verso il manga.
L’anime, nel tentativo di condensare la narrazione in un formato breve e frammentato, sacrifica l’alone di mistero che alberga a Kurozu-cho, e l’interesse viene meno verso gli strani avvenimenti che ruotano intorno a Kirie (la protagonista) e a chi le sta intorno. Ogni episodio appare come una sequenza sconnessa di eventi che non hanno il tempo di respirare, di sedimentare nella mente dello spettatore.
La sensazione che ho avuto guardando “Uzumaki” è che ogni episodio, tranne l’ultimo (che segue una trama lineare), sia un lungo trailer a causa della rapida successione di scene che vengono mostrate, passando da una cosa all’altra troppo velocemente. Dovrebbe essere un horror psicologico, ma l’inquietudine che ho percepito io è dovuta solo al fatto che si sia voluto andare di fretta, perché il progetto era troppo dispendioso. La mancanza di ambizione è il segno di una produzione che sembra avere poca autostima di sé.
A tratti mi ha strappato una risata, perché, devo ammettere, risulta molto grottesco, rassomigliando a una parodia dei peggiori B-movie. Del mistero della spirale (Uzumaki, per l’appunto) non se ne tiene molto conto; l’importante è aver prodotto scena dopo scena qualcosa, non importa quanto ridicola o senza il minimo senso sia stata presentata. Il bianco e nero è la scelta stilistica potenzialmente più efficace per omaggiare le tavole originali del manga, ma diventa un trucco vuoto quando non è accompagnato da una direzione che miri a volare alto.
Il mio disappunto è grande: l’anime è un orrore, ma non nel senso sperato. Io, da amante di Ito, non riesco a trovare qualcosa che lo renda valido come trasposizione o come qualcosa a sé stante che funga da horror. È un omaggio superficiale. Ho sempre avuto un profondo apprezzamento per la creatività. Le animazioni degli episodi dopo il primo appaiono come un’imitazione sterile delle immagini del manga, animate con pochi fotogrammi e al massimo ricalcate. Per dirla con le parole di un grande autore: “Accorgersi di essere capaci di inventare qualcosa e farlo ogni giorno, era una gioia più grande di qualunque altra”, gioia che probabilmente è mancata.
A proposito di gioia, ho riscontrato un’analogia tra Shuichi (il ragazzo di Kirie) e chi ha deciso di animare questa mostruosità: entrambi sono depressi, entrambi vogliono scappare da qualcosa, ma non possono, perché Shuichi vorrebbe lasciare la sua città maledetta, ma ama troppo la sua ragazza e rimane, quindi, con lei, mentre la produzione avrebbe voluto lasciare il lavoro incompleto, ma per puro amore finanziario ha deciso di completare tutto così com'è.
Io vorrei veramente spezzare una lancia a favore dell’anime, ma non saprei dove parare. È più opportuno parlare del potenziale sprecato. Gli anime vantano pochissimi horror ben realizzati, e “Uzumaki” sarebbe potuto (e dovuto) essere l’horror perfetto. Il materiale c’era: un autore iconico, uno stile visivo forte e una storia particolare.
Immaginate un adattamento di “Uzumaki” che, invece di ridurre e comprimere, sia curato nei dettagli e che ti faccia immergere nell’orrore con cui la follia si insinua nella vita dei personaggi e ne faccia un obiettivo primario, rispettando un tono inquietante e un ritmo più contemplativo. In un ideale adattamento di “Uzumaki”, ogni episodio sarebbe stato costruito come una finestra sull’abisso di Kurozu-cho, con tutto il tempo necessario per far assorbire allo spettatore la tensione e l’angoscia della spirale che lentamente si impossessa dei personaggi. La forma della spirale in natura è simbolo di continuità, evoluzione e connessione. In “Uzumaki” la spirale cessa di rappresentare perfezione e ordine, e diventa invece simbolo di una distorsione crescente; è una metafora di qualcosa che avvolge e consuma (un’ossessione).
Un adattamento sincero avrebbe saputo cogliere il ritmo particolare di “Uzumaki”, che cresce pagina dopo pagina, facendo percepire il lento deteriorarsi della città e dei suoi abitanti, e intrappolando lo spettatore, proprio come i personaggi, in una spirale da cui non si può scappare. In definitiva, “Uzumaki” si è limitato a essere l’inconcludente ombra di sé stesso.
The Witch and the Beast
7.5/10
Dopo aver guardato questa serie per curiosità, la prima cosa che mi ha colpito è il suo avere una narrazione piuttosto dispersiva, riassumibile nel vedere la coppia di protagonisti Guideau e Ashaf (e in un paio di episodi al posto loro abbiamo pure un'altra coppia protagonista) che affrontano diversi casi inerenti la caccia alle streghe. Naturalmente ci sono dei fili comuni che legano tutti questi episodi, usati per fornire dettagli sul particolare rapporto che esiste tra i due protagonisti e anche sul mondo in cui vivono, ma nonostante questo è comunque forte la tentazione di chiedersi dove la serie voglia andare a parare, almeno fino all'ultimo episodio.
Se prendiamo le singole avventure, esse seguono tutte lo stesso canovaccio: c'è un mistero che sembra legato a una strega, il duo interviene per investigare e distrugge la minaccia, spesso ricorrendo alla vera forza di Guideau (e la prima volta è un colpo di scena abbastanza inaspettato).
Il primo caso si lascia guardare, però non ha nulla di particolare, probabilmente perché ha un andamento troppo prevedibile. Tuttavia, a partire dal successivo caso, la narrazione dimostra in crescendo di essere molto abile nel gestire la tensione e l'azione, è capace di creare aspettative anche usando le sole parole, introduce un discreto lato da detective story e sa offrire pure alcuni momenti di grande spettacolarità. A mio avviso, si raggiunge l'apice con il penultimo caso, che unisce un bel ritmo a dei cattivi talmente odiosi, che non si vede l'ora di vederli finire tra le mani di Guideau. Purtroppo, l'aspetto spettacolare ad un certo punto viene frenato da un calo nella qualità delle animazioni, in particolare quelle dei personaggi, che, pur non diventando inguardabili, proprio nei momenti d'azione danno l'impressione che più di quello proprio non si poteva fare.
Riguardo ai personaggi, devo dire che in questa serie è possibile trovare più affascinanti alcuni comprimari che i protagonisti: Guideau e Ashaf possono suscitare una certa curiosità, visto che sono una strana coppia alquanto particolare, non certo legata da amore o amicizia. Però lei (o lui) non va oltre il tipo della selvaggia furiosa e irascibile, Ashaf ha troppo quell'atteggiamento alla 'anche se non sembra, ho tutto sotto controllo' e solo nel finale, una volta capito il tipo di rapporto tra loro, ci si può chiedere perché ha preso quella decisione.
Viceversa, risulta molto più carismatica, misteriosa e avvincente un'altra coppia, di comprimari, ossia Phanora e il suo assistente Johan, protagonisti assoluti degli episodi 4 e 5. Si distingue poi la streghetta Helga, un bel mix di dramma, simpatia e tenerezza.
Sui cattivi c'è giusto da dire che le streghe, pur accompagnate dalla nomea di esseri solo crudeli, costituiscono invece un panorama variegato che va da quella malvagia a quella buona ma spietata, fino alla strega che vorrebbe solo vivere in pace. Molto più adatti al ruolo di cattivi sono invece i Giustizieri, talmente forti e arroganti nella loro spietatezza che si gode nell’assistere al loro massacro.
Con giusto un accenno alle musiche, gradevoli ma nulla di particolare, concludo che questa è una serie non perfetta, ma capace comunque di intrattenere molto bene, e presenta alcuni personaggi davvero suggestivi.
Voto: tra il 7 e il 7,5
Se prendiamo le singole avventure, esse seguono tutte lo stesso canovaccio: c'è un mistero che sembra legato a una strega, il duo interviene per investigare e distrugge la minaccia, spesso ricorrendo alla vera forza di Guideau (e la prima volta è un colpo di scena abbastanza inaspettato).
Il primo caso si lascia guardare, però non ha nulla di particolare, probabilmente perché ha un andamento troppo prevedibile. Tuttavia, a partire dal successivo caso, la narrazione dimostra in crescendo di essere molto abile nel gestire la tensione e l'azione, è capace di creare aspettative anche usando le sole parole, introduce un discreto lato da detective story e sa offrire pure alcuni momenti di grande spettacolarità. A mio avviso, si raggiunge l'apice con il penultimo caso, che unisce un bel ritmo a dei cattivi talmente odiosi, che non si vede l'ora di vederli finire tra le mani di Guideau. Purtroppo, l'aspetto spettacolare ad un certo punto viene frenato da un calo nella qualità delle animazioni, in particolare quelle dei personaggi, che, pur non diventando inguardabili, proprio nei momenti d'azione danno l'impressione che più di quello proprio non si poteva fare.
Riguardo ai personaggi, devo dire che in questa serie è possibile trovare più affascinanti alcuni comprimari che i protagonisti: Guideau e Ashaf possono suscitare una certa curiosità, visto che sono una strana coppia alquanto particolare, non certo legata da amore o amicizia. Però lei (o lui) non va oltre il tipo della selvaggia furiosa e irascibile, Ashaf ha troppo quell'atteggiamento alla 'anche se non sembra, ho tutto sotto controllo' e solo nel finale, una volta capito il tipo di rapporto tra loro, ci si può chiedere perché ha preso quella decisione.
Viceversa, risulta molto più carismatica, misteriosa e avvincente un'altra coppia, di comprimari, ossia Phanora e il suo assistente Johan, protagonisti assoluti degli episodi 4 e 5. Si distingue poi la streghetta Helga, un bel mix di dramma, simpatia e tenerezza.
Sui cattivi c'è giusto da dire che le streghe, pur accompagnate dalla nomea di esseri solo crudeli, costituiscono invece un panorama variegato che va da quella malvagia a quella buona ma spietata, fino alla strega che vorrebbe solo vivere in pace. Molto più adatti al ruolo di cattivi sono invece i Giustizieri, talmente forti e arroganti nella loro spietatezza che si gode nell’assistere al loro massacro.
Con giusto un accenno alle musiche, gradevoli ma nulla di particolare, concludo che questa è una serie non perfetta, ma capace comunque di intrattenere molto bene, e presenta alcuni personaggi davvero suggestivi.
Voto: tra il 7 e il 7,5
Come reagireste se l’umanità rischiasse il collasso? Se un evento straordinario fermasse l’intera ruota sociale? Quale sarebbe il vostro primo pensiero? E perché proprio al lavoro?!
“Zom 100” è l’adattamento dell’omonimo manga iniziato nel 2018. Sarebbe stato sin da subito ottimo materiale per una serie tragicomica, basata sull’ennesima apocalisse zombie. Destino vuole che il 2020 sia accaduto nella nostra linea temporale, e abbia colpito forte. Le domande a inizio testo le abbiamo saggiate un po’ sulla nostra pelle, talvolta ci siamo chiesti se stessimo vivendo in un sogno, o un incubo.
Ognuno ha le proprie priorità, ma per i non più sbarbatelli il lavoro è volente o nolente il primo pensiero, il primo cerchio sociale dopo/insieme/prima per alcuni della famiglia, fonte di stress, preoccupazioni, soddisfazioni, lamentele eccetera.
Ora prendiamo la società giapponese. Negli anni e con crescente frequenza si sono moltiplicate fonti e brutali resoconti sulla durezza del modello sociale, altamente gerarchico, soverchiante, nemico dell’individualismo, che pressa il cittadino dalla scuola alla tomba. Karoshi, black company sono divenute parole tristemente conosciute.
Come da incipit, Akira, il protagonista, è un ragazzo che lavora in una di queste black company. Inizialmente entusiasta, pronto a fare il proprio per sé e per la società, viene risucchiato nell’abisso del superlavoro, delle costrizioni sociali. Una prigione senza gabbie, dalla quale non ha la forza di tirarsi fuori da solo. Eppure era un ragazzo vitale, curioso, socievole e sportivo, fiorito durante il periodo universitario. A differenza di molti protagonisti totalmente irrealistici, Akira è davvero uno di noi, almeno potenzialmente. Non inteso come “uguale” a noi, ma “un eguale a noi”, uno che potrebbe essere del nostro gruppo sociale.
E proprio quando Akira sta per rompersi in mille pezzi, ecco che irrompe la grande rottura, sotto forma di apocalisse zombie.
Ma niente disanima della trama.
Invece, urge subito dichiarare che gli zombie sono un mezzo. E il mezzo è il messaggio (cit.). Non sono “solo” una scusa per far vivere ad Akira e compagni una fantastica avventura spensierata a volte interrotta da svolte più drammatiche.
Potevano benissimo non trasformarsi in cadaveri viventi. Erano zombie già prima dell’apocalisse! Gli zombie siamo “noi” (e il discorso non riguarda solo il pubblico giapponese a cui è originalmente indirizzato). Siamo noi che saliamo su quella maledetta ruota da criceto. Bastano pochi fotogrammi della opening per togliere qualsiasi dubbio. Sono gli zombie che freneticamente smanettano sui propri smartphone, mentre ordinatamente prendono in massa i mezzi di trasporto, colletti bianchi e divise d’ordinanza, mentre le protagoniste riescono ancora a guardare fuori dal finestrino un qualcosa che non sia riprodotto su pixel.
“Zom 100” è un viaggio in cui protagonista e compagni si muoveranno su due piani. Il primo, più palese, è il romanzato Giappone al collasso invaso dai morti viventi. Il secondo, più duro e cinico, è il mondo delle succitate costrizioni sociali, dove l’individualismo dei nostri si scontrerà con la dura scorza della società, ancora così radicata e quasi impenetrabile, seppur in una situazione di caos totale.
Il risultato sarà una satirica, continua, feroce critica all’intero sistema sociale. Non ci saranno sconti.
Dal punto di vista tecnico la serie è molto ben fatta. Nonostante il colpevole ritardo nella trasmissione degli episodi (gli ultimi tre sono usciti con mesi e mesi di ritardo), la sceneggiatura, le scelte registiche, la composizione degli episodi e il flusso generale dell’intera serie sono impeccabili. Un punto che mi ha colpito più di tutti è stata la scelta cromatica, colori vividi, che aumentano il contrasto con il caotico e irreale contesto, ma danno ancor maggiore forza alla tensione tra momenti leggeri e comici e quelli intensi e drammatici. Bellissima l’opening, molto orecchiabile la canzone.
I protagonisti sono tirati al massimo nelle loro peculiarità, e seppur in dodici episodi ne abbiamo esplorato poco vicende e personalità (Akira a parte), quest’ultime riescono ad emergere abbastanza solide e “coerenti”. Forse, tra i quattro, la biondona è quella più caricaturale e ancora da inquadrare. Ottimo il cast.
Tra gli “antagonisti”, seppur possa sembrare inizialmente banale come idea, ho trovato l’ultimo in ordine temporale un ottimo espediente narrativo, in quanto antitesi del nostro Akira.
Spero in un continuo, possibilmente una seconda serie e non un film (la forza di questa opera l’ho trovata nella sua serialità, ed essendo il viaggio uno dei temi principali, penso che il blocco di episodi funzioni meglio rispetto a un film che si concentri su un singolo arco). E che continui a picchiar così, feroce e anarchico.
“Zom 100” è l’adattamento dell’omonimo manga iniziato nel 2018. Sarebbe stato sin da subito ottimo materiale per una serie tragicomica, basata sull’ennesima apocalisse zombie. Destino vuole che il 2020 sia accaduto nella nostra linea temporale, e abbia colpito forte. Le domande a inizio testo le abbiamo saggiate un po’ sulla nostra pelle, talvolta ci siamo chiesti se stessimo vivendo in un sogno, o un incubo.
Ognuno ha le proprie priorità, ma per i non più sbarbatelli il lavoro è volente o nolente il primo pensiero, il primo cerchio sociale dopo/insieme/prima per alcuni della famiglia, fonte di stress, preoccupazioni, soddisfazioni, lamentele eccetera.
Ora prendiamo la società giapponese. Negli anni e con crescente frequenza si sono moltiplicate fonti e brutali resoconti sulla durezza del modello sociale, altamente gerarchico, soverchiante, nemico dell’individualismo, che pressa il cittadino dalla scuola alla tomba. Karoshi, black company sono divenute parole tristemente conosciute.
Come da incipit, Akira, il protagonista, è un ragazzo che lavora in una di queste black company. Inizialmente entusiasta, pronto a fare il proprio per sé e per la società, viene risucchiato nell’abisso del superlavoro, delle costrizioni sociali. Una prigione senza gabbie, dalla quale non ha la forza di tirarsi fuori da solo. Eppure era un ragazzo vitale, curioso, socievole e sportivo, fiorito durante il periodo universitario. A differenza di molti protagonisti totalmente irrealistici, Akira è davvero uno di noi, almeno potenzialmente. Non inteso come “uguale” a noi, ma “un eguale a noi”, uno che potrebbe essere del nostro gruppo sociale.
E proprio quando Akira sta per rompersi in mille pezzi, ecco che irrompe la grande rottura, sotto forma di apocalisse zombie.
Ma niente disanima della trama.
Invece, urge subito dichiarare che gli zombie sono un mezzo. E il mezzo è il messaggio (cit.). Non sono “solo” una scusa per far vivere ad Akira e compagni una fantastica avventura spensierata a volte interrotta da svolte più drammatiche.
Potevano benissimo non trasformarsi in cadaveri viventi. Erano zombie già prima dell’apocalisse! Gli zombie siamo “noi” (e il discorso non riguarda solo il pubblico giapponese a cui è originalmente indirizzato). Siamo noi che saliamo su quella maledetta ruota da criceto. Bastano pochi fotogrammi della opening per togliere qualsiasi dubbio. Sono gli zombie che freneticamente smanettano sui propri smartphone, mentre ordinatamente prendono in massa i mezzi di trasporto, colletti bianchi e divise d’ordinanza, mentre le protagoniste riescono ancora a guardare fuori dal finestrino un qualcosa che non sia riprodotto su pixel.
“Zom 100” è un viaggio in cui protagonista e compagni si muoveranno su due piani. Il primo, più palese, è il romanzato Giappone al collasso invaso dai morti viventi. Il secondo, più duro e cinico, è il mondo delle succitate costrizioni sociali, dove l’individualismo dei nostri si scontrerà con la dura scorza della società, ancora così radicata e quasi impenetrabile, seppur in una situazione di caos totale.
Il risultato sarà una satirica, continua, feroce critica all’intero sistema sociale. Non ci saranno sconti.
Dal punto di vista tecnico la serie è molto ben fatta. Nonostante il colpevole ritardo nella trasmissione degli episodi (gli ultimi tre sono usciti con mesi e mesi di ritardo), la sceneggiatura, le scelte registiche, la composizione degli episodi e il flusso generale dell’intera serie sono impeccabili. Un punto che mi ha colpito più di tutti è stata la scelta cromatica, colori vividi, che aumentano il contrasto con il caotico e irreale contesto, ma danno ancor maggiore forza alla tensione tra momenti leggeri e comici e quelli intensi e drammatici. Bellissima l’opening, molto orecchiabile la canzone.
I protagonisti sono tirati al massimo nelle loro peculiarità, e seppur in dodici episodi ne abbiamo esplorato poco vicende e personalità (Akira a parte), quest’ultime riescono ad emergere abbastanza solide e “coerenti”. Forse, tra i quattro, la biondona è quella più caricaturale e ancora da inquadrare. Ottimo il cast.
Tra gli “antagonisti”, seppur possa sembrare inizialmente banale come idea, ho trovato l’ultimo in ordine temporale un ottimo espediente narrativo, in quanto antitesi del nostro Akira.
Spero in un continuo, possibilmente una seconda serie e non un film (la forza di questa opera l’ho trovata nella sua serialità, ed essendo il viaggio uno dei temi principali, penso che il blocco di episodi funzioni meglio rispetto a un film che si concentri su un singolo arco). E che continui a picchiar così, feroce e anarchico.
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Comunque sia bello The Witch and the Beast.
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