Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Welcome to the N.H.K.
9.0/10
Grazie alle positive recensioni lette, ho recuperato la visione di quest’anime tratto dal romanzo scritto da Tatsuhiko Takimoto (trasposto successivamente in manga e poi in anime nel 2006), che affronta una tematica conosciuta prevalentemente in Giappone all’epoca della realizzazione dell’opera, ma che con il passare degli anni è diventato un fenomeno diffuso anche in tutto il mondo occidentale.
Stiamo parlando degli “hikikomori”, che significa letteralmente “stare in disparte" o "staccarsi”, e indica la condizione di coloro che fuggono dalla vita sociale, spesso ricorrendo a livelli estremi di isolamento e confinamento.
Tatsuhiro Sato, il protagonista di “Welcome to the N.H.K.”, un giovane NEET di ventidue anni, è senza ombra di dubbio uno di loro.
Sato abbandona presto gli studi universitari e progressivamente inizia il suo viaggio verso l’isolamento e la fuga dalla realtà, che lo conduce in quattro anni a tagliare ogni rapporto sociale, ad eccezione degli sporadici rapporti con la famiglia che lo sostiene economicamente con una paghetta mensile. Tuttavia, suo malgrado e con non poche conseguenze, si ritroverà ad interagire con alcune conoscenze che riemergono dal passato e con una misteriosa ragazza, “Misaki Nakahara”, ossessionata dall’idea di “guarire” Sato dalla sua condizione.
“Welcome to the N.H.K” è un’opera di rara intensità, in grado di risucchiarti emotivamente e catapultarti dentro l’universo parallelo degli invisibili, dei perdenti, di coloro che non riescono a reggere il peso delle aspettative imposte da una società individualista e competitiva, o per debolezza o fragilità caratteriale, o perché portatori di una storia personale dura e traumatica, o perché incapaci di ribellarsi a scelte di vita imposte da altri e di seguire i propri desideri.
L’opera offre un punto di osservazione sulla moderna società giapponese, sulla realtà degli “otaku” e degli “hikikomori” (fenomeni spesso connessi tra loro) da una prospettiva ravvicinata, introspettiva, sorprendentemente realistica nella rappresentazione della condizione psicologica di fuga dalla realtà che diventa sempre più debilitante, passando tra stati depressivi, attacchi di panico, fasi di paranoia e di vero e proprio delirio (durante le quali Sato matura la teoria del complotto ordito dalla fantomatica società NHK, responsabile di ogni fallimento e della sua condizione di “hikikomori”).
“Welcome to the N.H.K” è un vero pugno allo stomaco, destabilizzante per la capacità di trasmettere allo spettatore la sensazione di impotenza e di angoscia nei confronti di una condizione dalla quale non sembra esservi via d’uscita, perché ogni tentativo di reazione fallisce miseramente di fronte alle avversità della vita, alimentando il circolo vizioso del fallimento e dell’autocommiserazione.
Per la sua capacità di raccontare tale condizione umana, l’anime mi ha riportato alla mente un’opera letteraria di grande intensità, “Lo squalificato”, opera sostanzialmente autobiografica di Osamu Dazai (scrittore giapponese decadente, morto suicida in giovane età), citato, non a caso, in “Welcome to the N.H.K.” nella scena delle frasi famose dette prima di morire...
La sceneggiatura e i dialoghi sono sempre all’altezza della situazione e degni delle migliori opere cinematografiche, sia per la graffiante ironia o per la sagace comicità che fa emergere l’aspetto grottesco delle debolezze umane (e quindi sempre intrisi di una certa tragicità) sia per maturità e intensità nei momenti più introspettivi o drammatici (senza però mai cadere nel melodramma).
Dal punto di vista tecnico, la parte grafica è tutt’altro che perfetta e in alcuni episodi appare addirittura "abbozzata", anche se, paradossalmente, in alcune scene ha messo in risalto il “mood” dei personaggi, esaltandone lo stato di angoscia, di smarrimento o di assenza di lucidità. Di grande qualità è invece è la parte musicale.
Per quanto riguarda il finale... Nonostante le dinamiche relazionali tra i personaggi sembrino nascere sempre da un’esigenza egoistica, da un proprio tornaconto personale - perché tutti sono affettivamente immaturi e tutti vivono una condizione di frustrazione, di disillusione e di perenne sfiducia verso l’umanità e il futuro - tali relazioni, tra equivoci, abbandoni, fughe nel mondo virtuale, rinascite e riappacificazioni, finiranno per coinvolgere inconsapevolmente la sfera emotiva e ad assumere la forma dei legami affettivi.
Infatti, anche se l’intera opera sembra essere pervasa da una visione pessimistica e disincantata della vita, “Welcome to the N.H.K” lascia aperto uno spiraglio di speranza e, pur mettendo a nudo gli aspetti meno edificanti della personalità dei protagonisti, concede loro almeno un momento di riscatto morale.
Molto astutamente l’opera sembra condurre lo spettatore verso un finale tragico e ad alto impatto emotivo. Si tratta di un espediente narrativo che alleggerisce il peso di un finale, meno drammatico del previsto ma dal sapore un po' amaro, che contiene, tuttavia, un messaggio positivo: non ci si salva da soli e, anche se non si vince, si può non perdere del tutto... semplicemente cercando di fare del proprio meglio e accettando il fallimento, il compromesso e la sofferenza come parti essenziali della vita.
In conclusione, credo che “Welcome to the N.H.K” possa decisamente rientrare tra i “cult” dell’animazione giapponese che gli appassionati di anime non dovrebbero assolutamente perdere.
Stiamo parlando degli “hikikomori”, che significa letteralmente “stare in disparte" o "staccarsi”, e indica la condizione di coloro che fuggono dalla vita sociale, spesso ricorrendo a livelli estremi di isolamento e confinamento.
Tatsuhiro Sato, il protagonista di “Welcome to the N.H.K.”, un giovane NEET di ventidue anni, è senza ombra di dubbio uno di loro.
Sato abbandona presto gli studi universitari e progressivamente inizia il suo viaggio verso l’isolamento e la fuga dalla realtà, che lo conduce in quattro anni a tagliare ogni rapporto sociale, ad eccezione degli sporadici rapporti con la famiglia che lo sostiene economicamente con una paghetta mensile. Tuttavia, suo malgrado e con non poche conseguenze, si ritroverà ad interagire con alcune conoscenze che riemergono dal passato e con una misteriosa ragazza, “Misaki Nakahara”, ossessionata dall’idea di “guarire” Sato dalla sua condizione.
“Welcome to the N.H.K” è un’opera di rara intensità, in grado di risucchiarti emotivamente e catapultarti dentro l’universo parallelo degli invisibili, dei perdenti, di coloro che non riescono a reggere il peso delle aspettative imposte da una società individualista e competitiva, o per debolezza o fragilità caratteriale, o perché portatori di una storia personale dura e traumatica, o perché incapaci di ribellarsi a scelte di vita imposte da altri e di seguire i propri desideri.
L’opera offre un punto di osservazione sulla moderna società giapponese, sulla realtà degli “otaku” e degli “hikikomori” (fenomeni spesso connessi tra loro) da una prospettiva ravvicinata, introspettiva, sorprendentemente realistica nella rappresentazione della condizione psicologica di fuga dalla realtà che diventa sempre più debilitante, passando tra stati depressivi, attacchi di panico, fasi di paranoia e di vero e proprio delirio (durante le quali Sato matura la teoria del complotto ordito dalla fantomatica società NHK, responsabile di ogni fallimento e della sua condizione di “hikikomori”).
“Welcome to the N.H.K” è un vero pugno allo stomaco, destabilizzante per la capacità di trasmettere allo spettatore la sensazione di impotenza e di angoscia nei confronti di una condizione dalla quale non sembra esservi via d’uscita, perché ogni tentativo di reazione fallisce miseramente di fronte alle avversità della vita, alimentando il circolo vizioso del fallimento e dell’autocommiserazione.
Per la sua capacità di raccontare tale condizione umana, l’anime mi ha riportato alla mente un’opera letteraria di grande intensità, “Lo squalificato”, opera sostanzialmente autobiografica di Osamu Dazai (scrittore giapponese decadente, morto suicida in giovane età), citato, non a caso, in “Welcome to the N.H.K.” nella scena delle frasi famose dette prima di morire...
La sceneggiatura e i dialoghi sono sempre all’altezza della situazione e degni delle migliori opere cinematografiche, sia per la graffiante ironia o per la sagace comicità che fa emergere l’aspetto grottesco delle debolezze umane (e quindi sempre intrisi di una certa tragicità) sia per maturità e intensità nei momenti più introspettivi o drammatici (senza però mai cadere nel melodramma).
Dal punto di vista tecnico, la parte grafica è tutt’altro che perfetta e in alcuni episodi appare addirittura "abbozzata", anche se, paradossalmente, in alcune scene ha messo in risalto il “mood” dei personaggi, esaltandone lo stato di angoscia, di smarrimento o di assenza di lucidità. Di grande qualità è invece è la parte musicale.
Per quanto riguarda il finale... Nonostante le dinamiche relazionali tra i personaggi sembrino nascere sempre da un’esigenza egoistica, da un proprio tornaconto personale - perché tutti sono affettivamente immaturi e tutti vivono una condizione di frustrazione, di disillusione e di perenne sfiducia verso l’umanità e il futuro - tali relazioni, tra equivoci, abbandoni, fughe nel mondo virtuale, rinascite e riappacificazioni, finiranno per coinvolgere inconsapevolmente la sfera emotiva e ad assumere la forma dei legami affettivi.
Infatti, anche se l’intera opera sembra essere pervasa da una visione pessimistica e disincantata della vita, “Welcome to the N.H.K” lascia aperto uno spiraglio di speranza e, pur mettendo a nudo gli aspetti meno edificanti della personalità dei protagonisti, concede loro almeno un momento di riscatto morale.
Molto astutamente l’opera sembra condurre lo spettatore verso un finale tragico e ad alto impatto emotivo. Si tratta di un espediente narrativo che alleggerisce il peso di un finale, meno drammatico del previsto ma dal sapore un po' amaro, che contiene, tuttavia, un messaggio positivo: non ci si salva da soli e, anche se non si vince, si può non perdere del tutto... semplicemente cercando di fare del proprio meglio e accettando il fallimento, il compromesso e la sofferenza come parti essenziali della vita.
In conclusione, credo che “Welcome to the N.H.K” possa decisamente rientrare tra i “cult” dell’animazione giapponese che gli appassionati di anime non dovrebbero assolutamente perdere.
Look Back
9.0/10
"Perché disegni?"
Questa è probabilmente una domanda che ha tormentato Tatsuki Fujimoto fin dall'inizio della sua carriera, o forse fin dalla prima volta che ha preso in mano una penna, e "Look Back" è la sua sentita e personale risposta. Tutta l'opera è caratterizzata da forti elementi semi-autobiografici e riferimenti alle reali esperienze vissute dall'autore, a partire dai nomi delle protagoniste, Fujino e Kyoumoto, che immediatamente suggeriscono come ciascuna contenga una parte di Fujimoto stesso, che qui si mette a nudo e comunica con sincerità che cosa sia per lui quel miscuglio di entusiasmo e difficoltà, frustrazione e soddisfazione, lavoro e passione che chiamiamo arte.
Trattandosi di un'opera breve, la narrazione è estremamente concentrata: tutta l'attenzione è focalizzata sulle protagoniste e il loro rapporto con il disegno. Si parte conoscendo Fujino, studentessa di quarta elementare che contribuisce assiduamente al giornale della scuola con piccoli inserti manga 4-koma umoristici. Il suo orgoglio inizia però a vacillare quando una certa Kyoumoto, iscritta nella stessa scuola ma che vive come hikikomori, dimostra di possedere un talento artistico superiore al suo, e il destino le porterà a stringere un forte legame e a disegnare manga insieme. Sono piuttosto evidenti, già in questa breve parte introduttiva, gli elementi per i quali Fujimoto ha attinto direttamente dal suo vissuto, e la situazione di Fujino è molto probabilmente qualcosa che ha provato in prima persona. Ancora più sentite, tuttavia, sono le numerose immagini delle protagoniste piegate sulla scrivania o sul pavimento a disegnare, disegnare, disegnare, spesso raffigurate di schiena o profilo, con la stanza attorno a loro che cambia e diventa sempre più disordinata, ma loro che rimangono statiche e concentrate, eccetto poi crollare dalla stanchezza. Il film adatta queste sequenze sotto forma di montaggi, aggiungendo piccoli particolari senza spezzare il ritmo e accompagnandole con splendide tracce musicali, facendo sentire allo spettatore sia la fatica che provano sia, principalmente, la contagiosa vitalità con cui approcciano la loro passione.
La storia segue le loro vite fino a diversi anni dopo la fine delle superiori, dando luogo a numerosi cambiamenti e sorprese lungo il loro percorso di aspiranti mangaka, tra successi, difficoltà e scelte importanti sicuramente molto familiari all'autore. I dialoghi rimangono per tutta la durata assai contenuti, affidando il più possibile alle immagini il compito di veicolare messaggi ed emozioni: sguardi, inquadrature e scenari sono spesso protagonisti, con una buona ricercatezza da parte di Fujimoto e trasposti nel film dall'ottima regia di Kiyotaka Oshiyama, che dimostra di avere grande comprensione e rispetto dello stile dell'autore. La scena nella parte iniziale in cui Fujino corre sotto la pioggia è uno dei tanti esempi: senza una sola parola comunica tutta la sorpresa che velocemente si trasforma in una rinnovata ragione di vita, intoccabile dalla pioggia che la protagonista non sembra quasi notare, al punto di mettersi subito a disegnare senza asciugarsi.
Questo approccio raggiunge il suo apice nella seconda parte del film, in cui i toni diventano decisamente più cupi e il regista decide saggiamente di affiancarli a lunghi silenzi. È in questa parte conclusiva che Fujimoto pone davvero alla protagonista la domanda centrale, che assume la sua massima importanza nel momento in cui le proprie convinzioni iniziano a vacillare. E la sua risposta è difficile, impossibile da spiegare a parole. Per questo l'autore dà vita a una sequenza che sembra sfidare ragione e realtà, lasciando il suo significato all'interpretazione di chi legge o, in questo caso, guarda, in modo da permetterci, arrivati a questo punto ed essendo entrati nella storia, di sentire la risposta dentro di noi, quella che Fujimoto probabilmente porta con sé ogni volta che si siede alla scrivania e disegna diavoli e motoseghe.
Non sono tanti i manga, in particolare one-shot, che possono vantare un adattamento di livello così alto. Oltre alla già citata regia di Oshiyama che ha il pieno controllo di ogni inquadratura, lo stile non sempre pulito non solo è fedele al tratto di Fujimoto, ma è anche molto azzeccato tematicamente, le animazioni sono spesso creative ed espressive, e la meravigliosa colonna sonora di Haruka Nakamura eleva ogni momento ed è in grado di portare alle lacrime; in particolare, la canzone finale, "Light Song", è una delle più belle ending di un film anime che abbia avuto il piacere di ascoltare.
"Look Back" è un inno all'arte e alla creazione, figlio dell'immensa passione di un autore e della sua profonda riflessione su ciò che lo spinge a continuare a disegnare.
Questa è probabilmente una domanda che ha tormentato Tatsuki Fujimoto fin dall'inizio della sua carriera, o forse fin dalla prima volta che ha preso in mano una penna, e "Look Back" è la sua sentita e personale risposta. Tutta l'opera è caratterizzata da forti elementi semi-autobiografici e riferimenti alle reali esperienze vissute dall'autore, a partire dai nomi delle protagoniste, Fujino e Kyoumoto, che immediatamente suggeriscono come ciascuna contenga una parte di Fujimoto stesso, che qui si mette a nudo e comunica con sincerità che cosa sia per lui quel miscuglio di entusiasmo e difficoltà, frustrazione e soddisfazione, lavoro e passione che chiamiamo arte.
Trattandosi di un'opera breve, la narrazione è estremamente concentrata: tutta l'attenzione è focalizzata sulle protagoniste e il loro rapporto con il disegno. Si parte conoscendo Fujino, studentessa di quarta elementare che contribuisce assiduamente al giornale della scuola con piccoli inserti manga 4-koma umoristici. Il suo orgoglio inizia però a vacillare quando una certa Kyoumoto, iscritta nella stessa scuola ma che vive come hikikomori, dimostra di possedere un talento artistico superiore al suo, e il destino le porterà a stringere un forte legame e a disegnare manga insieme. Sono piuttosto evidenti, già in questa breve parte introduttiva, gli elementi per i quali Fujimoto ha attinto direttamente dal suo vissuto, e la situazione di Fujino è molto probabilmente qualcosa che ha provato in prima persona. Ancora più sentite, tuttavia, sono le numerose immagini delle protagoniste piegate sulla scrivania o sul pavimento a disegnare, disegnare, disegnare, spesso raffigurate di schiena o profilo, con la stanza attorno a loro che cambia e diventa sempre più disordinata, ma loro che rimangono statiche e concentrate, eccetto poi crollare dalla stanchezza. Il film adatta queste sequenze sotto forma di montaggi, aggiungendo piccoli particolari senza spezzare il ritmo e accompagnandole con splendide tracce musicali, facendo sentire allo spettatore sia la fatica che provano sia, principalmente, la contagiosa vitalità con cui approcciano la loro passione.
La storia segue le loro vite fino a diversi anni dopo la fine delle superiori, dando luogo a numerosi cambiamenti e sorprese lungo il loro percorso di aspiranti mangaka, tra successi, difficoltà e scelte importanti sicuramente molto familiari all'autore. I dialoghi rimangono per tutta la durata assai contenuti, affidando il più possibile alle immagini il compito di veicolare messaggi ed emozioni: sguardi, inquadrature e scenari sono spesso protagonisti, con una buona ricercatezza da parte di Fujimoto e trasposti nel film dall'ottima regia di Kiyotaka Oshiyama, che dimostra di avere grande comprensione e rispetto dello stile dell'autore. La scena nella parte iniziale in cui Fujino corre sotto la pioggia è uno dei tanti esempi: senza una sola parola comunica tutta la sorpresa che velocemente si trasforma in una rinnovata ragione di vita, intoccabile dalla pioggia che la protagonista non sembra quasi notare, al punto di mettersi subito a disegnare senza asciugarsi.
Questo approccio raggiunge il suo apice nella seconda parte del film, in cui i toni diventano decisamente più cupi e il regista decide saggiamente di affiancarli a lunghi silenzi. È in questa parte conclusiva che Fujimoto pone davvero alla protagonista la domanda centrale, che assume la sua massima importanza nel momento in cui le proprie convinzioni iniziano a vacillare. E la sua risposta è difficile, impossibile da spiegare a parole. Per questo l'autore dà vita a una sequenza che sembra sfidare ragione e realtà, lasciando il suo significato all'interpretazione di chi legge o, in questo caso, guarda, in modo da permetterci, arrivati a questo punto ed essendo entrati nella storia, di sentire la risposta dentro di noi, quella che Fujimoto probabilmente porta con sé ogni volta che si siede alla scrivania e disegna diavoli e motoseghe.
Non sono tanti i manga, in particolare one-shot, che possono vantare un adattamento di livello così alto. Oltre alla già citata regia di Oshiyama che ha il pieno controllo di ogni inquadratura, lo stile non sempre pulito non solo è fedele al tratto di Fujimoto, ma è anche molto azzeccato tematicamente, le animazioni sono spesso creative ed espressive, e la meravigliosa colonna sonora di Haruka Nakamura eleva ogni momento ed è in grado di portare alle lacrime; in particolare, la canzone finale, "Light Song", è una delle più belle ending di un film anime che abbia avuto il piacere di ascoltare.
"Look Back" è un inno all'arte e alla creazione, figlio dell'immensa passione di un autore e della sua profonda riflessione su ciò che lo spinge a continuare a disegnare.
Più insisti/E più diventi impotente/Quale sarà la via giusta/Questa è la tua ultima opportunità/Non arrenderti/Puoi ancora cambiare/Nessuno si dimostrerà compassionevole con te/Questo è il momento della verità/Per quelli come te, dati perdenti in partenza.
L’altro giorno, mentre ero in compagnia del mio gruppo di amici, senza che nessuno me lo avesse chiesto, affermai di aver cominciato un nuovo anime sul gioco d’azzardo; incuriosito, uno di loro mi ha domandato quale fosse la trama e io gli ho risposto così: “Un ragazzo sale su una nave per ripagare i propri debiti”. Più sintetico e perentorio di così non potevo essere; di fronte a quella che è la reale storia di “Gyakkyou burai Kaiji - Ultimate Survivor”, la mia smunta descrizione impallidisce, eppure, questa è bastata per affascinare il mio amico, al punto che mi ha anche chiesto quale fosse il nome dell’anime in questione. Onestamente, non so se si prenderà mai la briga di vederlo, ma posso affermare con certezza che, se non lo farà, avrà perso una grandiosa opportunità: prendere visione di un prodotto originale e dalla trama incredibilmente avvincente, cosa assai rara al giorno d’oggi.
La storia è ambientata nel Giappone del 1995, quando, dopo il diploma, Ito Kaiji si trasferisce a Tokyo per cercare lavoro, ma trova la città immersa nella più grande crisi economica della sua storia. Depresso, nel suo appartamento minuscolo, si dedica all'alcol, al fumo e al gambling, immerso in una povertà che spesso lo spinge fino alle lacrime. Kaiji ha seri problemi finanziari e crede di aver trovato nel gioco d'azzardo una facile strada per risollevare le sue finanze. Si ritrova quindi su una nave in compagnia di altre persone convinte come lui a partecipare ad uno speciale gioco: Carta, Sasso e Forbici Limitato, che permette ai vincitori di accaparrarsi una notevole somma di denaro e cancellare così i propri debiti. Come sempre, però, non è tutto oro quel che luccica e, via via che il tempo passa, Kaiji sarà costretto a partecipare a giochi sempre più crudeli.
“Gyakkyou burai Kaiji - Ultimate Survivor” è un anime che parla di un ragazzo e delle sue difficoltà nel vivere ai margini di una società logica e rigidamente inquadrata come quella giapponese. Kaiji è un giovane che, dopo il diploma, si è trasferito nella grande capitale nipponica ricolmo di speranze e di sogni per il futuro, un futuro che immaginava roseo e brillante, ma che nella realtà dei fatti non sembra riservargli nulla di buono. Nella crisi economica in cui sta affogando il Giappone, gli unici in grado di dirsi realmente padroni della propria vita sono coloro che hanno accumulato ricchezze, in qualsivoglia modo, mentre ai giovani come Kaiji, per cui non c’è aspettativa alcuna di fare carriera lavorativa, è dato soltanto di sopravvivere. In una situazione del genere, in cui si ha la sensazione di essere costantemente con l’acqua alla gola, a quale miglior espediente ricorrere, dunque, se non quello del gioco d’azzardo? In questo modo, e questo è noto a tutti, si possono guadagnare tanti soldi in poco tempo, ma anche accumulare debiti – ciò che accade a Kaiji – oppure entrambe le cose, perché in fondo si sa che il gioco d’azzardo è un circolo vizioso senza fine. Nel momento in cui Kaiji mette piede sulla nave da crociera Espoir, decreta la sua condanna a vagare in un terribile limbo da cui uscire è quasi impossibile e in cui egli è alla costante mercè di chi ha più soldi, e per riflesso più potere, di lui. Eppure, è proprio grazie alla sua entrata e permanenza in questo girone dell’Inferno che Kaiji cambia, cresce e impara a sfruttare i propri mezzi, perché di lui si può dire tutto, tranne che sia uno stupido. Coinvolto in giochi in cui è in palio la propria stessa vita, Kaiji è chiamato a fare leva sulla sua più grande qualità: l’intelligenza, che col tempo verrà ad assimilarsi ad una notevole leadership. Le esperienze che egli vive sull’Espoir prima e in altri luoghi poi gli consentono di aprire gli occhi sulla realtà, sul mondo in cui vive, un mondo in cui i potenti possono permettersi di giocare sulle e con le vite delle persone che non hanno nulla e, quindi, nella loro visione malata, non meritano nulla. La spietatezza dei ricchi nei confronti dei poveri e dei nullatenenti come Kaiji viene mostrata in maniera cristallina, tanto da far provare un forte senso di disgusto, perché in fondo, e questa è la cosa più terribile, l’anime non racconta nulla di falso e tendenzioso: i soldi sono sinonimo di potere e quest’ultimo viene spesso utilizzato per il proprio tornaconto o divertimento personale.
Personalmente, ritengo che la prima “saga” dell’anime, ovvero quella sull’Espoir all’insegna del Carta, Sasso e Forbici Limitato, sia di gran lunga la migliore. Nel corso delle prime puntate, non si risparmiano i giochi mentali, per quanto ben misurati, e molto tempo viene dedicato all’elaborazione delle giuste strategie per vincere, elementi che riescono a portare allo stremo la tensione e a tenere lo spettatore incollato allo schermo. Tutte le saghe successive, fatta eccezione per una, si mantengono più o meno sulla stessa falsa riga della prima, cambiando ovviamente il gioco d’azzardo di turno, ma eccedendo troppo, a mio parere, nei discorsi mentali, che talvolta rendono gli episodi lenti da seguire. Ciononostante, e al netto di un finale che ritengo giusto, ma non perfetto, “Gyakkyou burai Kaiji - Ultimate Survivor” resta un ottimo anime con un pregio enorme: saper tenere alta la tensione. Non importa quale sia la circostanza o il gioco in questione, prevedere quale sarà il risultato ultimo è tutt’altro che semplice e questo è un grandissimo merito che gli va attribuito.
Ben poco da dire sul comparto tecnico, graficamente è diverso a tutto ciò che si vede in giro al giorno d’oggi e il disegno privilegia le linee spigolose, come quelle dei volti dei personaggi. Il budget a disposizione non deve essere stato elevato, ma ritengo che, sotto questo punto di vista, Madhouse abbia fatto il meglio che poteva. Più che positivo il lavoro svolto dal comparto musicale, merito di una opening e di un’ending molto orecchiabili e ben scritte, oltre che delle musiche coinvolgenti di Hideki Taniuchi.
Morale della favola: vi conviene guardare “Gyakkyou burai Kaiji - Ultimate Survivor”!
L’altro giorno, mentre ero in compagnia del mio gruppo di amici, senza che nessuno me lo avesse chiesto, affermai di aver cominciato un nuovo anime sul gioco d’azzardo; incuriosito, uno di loro mi ha domandato quale fosse la trama e io gli ho risposto così: “Un ragazzo sale su una nave per ripagare i propri debiti”. Più sintetico e perentorio di così non potevo essere; di fronte a quella che è la reale storia di “Gyakkyou burai Kaiji - Ultimate Survivor”, la mia smunta descrizione impallidisce, eppure, questa è bastata per affascinare il mio amico, al punto che mi ha anche chiesto quale fosse il nome dell’anime in questione. Onestamente, non so se si prenderà mai la briga di vederlo, ma posso affermare con certezza che, se non lo farà, avrà perso una grandiosa opportunità: prendere visione di un prodotto originale e dalla trama incredibilmente avvincente, cosa assai rara al giorno d’oggi.
La storia è ambientata nel Giappone del 1995, quando, dopo il diploma, Ito Kaiji si trasferisce a Tokyo per cercare lavoro, ma trova la città immersa nella più grande crisi economica della sua storia. Depresso, nel suo appartamento minuscolo, si dedica all'alcol, al fumo e al gambling, immerso in una povertà che spesso lo spinge fino alle lacrime. Kaiji ha seri problemi finanziari e crede di aver trovato nel gioco d'azzardo una facile strada per risollevare le sue finanze. Si ritrova quindi su una nave in compagnia di altre persone convinte come lui a partecipare ad uno speciale gioco: Carta, Sasso e Forbici Limitato, che permette ai vincitori di accaparrarsi una notevole somma di denaro e cancellare così i propri debiti. Come sempre, però, non è tutto oro quel che luccica e, via via che il tempo passa, Kaiji sarà costretto a partecipare a giochi sempre più crudeli.
“Gyakkyou burai Kaiji - Ultimate Survivor” è un anime che parla di un ragazzo e delle sue difficoltà nel vivere ai margini di una società logica e rigidamente inquadrata come quella giapponese. Kaiji è un giovane che, dopo il diploma, si è trasferito nella grande capitale nipponica ricolmo di speranze e di sogni per il futuro, un futuro che immaginava roseo e brillante, ma che nella realtà dei fatti non sembra riservargli nulla di buono. Nella crisi economica in cui sta affogando il Giappone, gli unici in grado di dirsi realmente padroni della propria vita sono coloro che hanno accumulato ricchezze, in qualsivoglia modo, mentre ai giovani come Kaiji, per cui non c’è aspettativa alcuna di fare carriera lavorativa, è dato soltanto di sopravvivere. In una situazione del genere, in cui si ha la sensazione di essere costantemente con l’acqua alla gola, a quale miglior espediente ricorrere, dunque, se non quello del gioco d’azzardo? In questo modo, e questo è noto a tutti, si possono guadagnare tanti soldi in poco tempo, ma anche accumulare debiti – ciò che accade a Kaiji – oppure entrambe le cose, perché in fondo si sa che il gioco d’azzardo è un circolo vizioso senza fine. Nel momento in cui Kaiji mette piede sulla nave da crociera Espoir, decreta la sua condanna a vagare in un terribile limbo da cui uscire è quasi impossibile e in cui egli è alla costante mercè di chi ha più soldi, e per riflesso più potere, di lui. Eppure, è proprio grazie alla sua entrata e permanenza in questo girone dell’Inferno che Kaiji cambia, cresce e impara a sfruttare i propri mezzi, perché di lui si può dire tutto, tranne che sia uno stupido. Coinvolto in giochi in cui è in palio la propria stessa vita, Kaiji è chiamato a fare leva sulla sua più grande qualità: l’intelligenza, che col tempo verrà ad assimilarsi ad una notevole leadership. Le esperienze che egli vive sull’Espoir prima e in altri luoghi poi gli consentono di aprire gli occhi sulla realtà, sul mondo in cui vive, un mondo in cui i potenti possono permettersi di giocare sulle e con le vite delle persone che non hanno nulla e, quindi, nella loro visione malata, non meritano nulla. La spietatezza dei ricchi nei confronti dei poveri e dei nullatenenti come Kaiji viene mostrata in maniera cristallina, tanto da far provare un forte senso di disgusto, perché in fondo, e questa è la cosa più terribile, l’anime non racconta nulla di falso e tendenzioso: i soldi sono sinonimo di potere e quest’ultimo viene spesso utilizzato per il proprio tornaconto o divertimento personale.
Personalmente, ritengo che la prima “saga” dell’anime, ovvero quella sull’Espoir all’insegna del Carta, Sasso e Forbici Limitato, sia di gran lunga la migliore. Nel corso delle prime puntate, non si risparmiano i giochi mentali, per quanto ben misurati, e molto tempo viene dedicato all’elaborazione delle giuste strategie per vincere, elementi che riescono a portare allo stremo la tensione e a tenere lo spettatore incollato allo schermo. Tutte le saghe successive, fatta eccezione per una, si mantengono più o meno sulla stessa falsa riga della prima, cambiando ovviamente il gioco d’azzardo di turno, ma eccedendo troppo, a mio parere, nei discorsi mentali, che talvolta rendono gli episodi lenti da seguire. Ciononostante, e al netto di un finale che ritengo giusto, ma non perfetto, “Gyakkyou burai Kaiji - Ultimate Survivor” resta un ottimo anime con un pregio enorme: saper tenere alta la tensione. Non importa quale sia la circostanza o il gioco in questione, prevedere quale sarà il risultato ultimo è tutt’altro che semplice e questo è un grandissimo merito che gli va attribuito.
Ben poco da dire sul comparto tecnico, graficamente è diverso a tutto ciò che si vede in giro al giorno d’oggi e il disegno privilegia le linee spigolose, come quelle dei volti dei personaggi. Il budget a disposizione non deve essere stato elevato, ma ritengo che, sotto questo punto di vista, Madhouse abbia fatto il meglio che poteva. Più che positivo il lavoro svolto dal comparto musicale, merito di una opening e di un’ending molto orecchiabili e ben scritte, oltre che delle musiche coinvolgenti di Hideki Taniuchi.
Morale della favola: vi conviene guardare “Gyakkyou burai Kaiji - Ultimate Survivor”!
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Grazie mille! <3
E grazie per avermi incluso di nuovo nella rubrica.
In entrambi i casi io incrocio sempre le dita "zawa zawa!!!"
Forza Kaijiiiiii-saaaaaaaan! XD
Ecco, su questa frase, con cui non concordo, si basa il motivo per cui trovo questo uno degli anime che più mi hanno deluso vista la fama.
Io direi che su Kaiji si possono dire tante cose e una di queste è sicuramente che è uno stupido.
Tutti i suoi piani sono talmente stupidi che credo serva un enorme fantasia per idearli.
Questo è un anime sul gioco d'azzardo dove l'autre non capisce nulla di gioco d'azzardo e crede che per vincere sia necessario avere un piano che devasti gli avversari.
Ho sentito spesso criticare Kekegurui dicendo che in esso il gioco d'azzardo è trattato male e in modo infantile, non come in Gyakkyou burai Kaiji dove invece c'è la versione adulta e realistica.
Non potrei concordare meno, visto che in Kakegurui tutte le tattiche, per quanto estreme, si basano su un vero semplice concetto "per barare basta avere un piccolo vantaggio".
Qui invece il protagonista si trova spesso in condizione di incredibile vantaggio e lo spreca cercando la situazione di vittoria al 100%
Ricordate che i bari nel poker non vincono mai con le scale reali, è già tanto se vincono con la doppia coppia.
Mi sa che non hai capito un bel nulla della serie, NHK non ha la pretesa di essere una guida su come guarire un hikikomori, è vero che ci sono episodi più leggeri e comici, ma c'è ne sono anche altri dove c'è serietà e vengono trattati temi come il suicidio, dove ovviamente non si può scherzarci sopra.
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