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Sarò sincera: da questo film non mi aspettavo granché, in quanto il trailer non mi aveva colpito molto, non con quella canzone in inglese che sembrava messa un po' a caso.
Invece "Omoide no Marnie" (letteralmente "Marnie dei ricordi"), tratto dal libro "When Marnie was There" dell'autrice inglese Joan Gale Robinson, si è rivelato una piacevole sorpresa. Coinvolgente e a tratti onirico, con un ritmo ben cadenzato e una trama che si dipana senza fretta, il film ci permette di conoscere pian piano le due protagoniste e il mistero che circonda entrambe, fino al finale a sorpresa che davvero rimane tale sino alla fine - almeno per chi non conosce già la trama.
Altra nota di merito e marchio dello studio Ghibli sono i personaggi secondari: nessuno viene lasciato da parte, in due pennellate - è proprio il caso di dirlo - ci vengono presentati personaggi a tutto tondo, a partire dai due anziani signori che ospitano la protagonista Anna per l'estate fino ad altri che avranno un ruolo fondamentale ai fini della trama.

La storia della Robinson era originariamente ambientata in Inghilterra, in un paesino del Norfolk che si affaccia sul mare del Nord, una zona paludosa e piena di acquitrini dove acqua e terra si confondono e danno vita a un "terzo mondo" nel quale i confini svaniscono ed è possibile fare incontri straordinari.
Paradossalmente, la trasposizione della storia in Giappone non fa altro che arricchire tale metafora, almeno a mio parere: il personaggio di Marnie si inserisce alla perfezione in un contesto come quello giapponese di fine Ottocento e inizio Novecento, quando parecchi stranieri si erano trasferiti in Giappone dopo l'apertura (forzata) all'Occidente. Diversa letteratura nipponica tratta tematiche legate all'incontro fra le "due" culture - perché agli occhi dei Giapponesi d'allora l'Occidente era uno, in questo non siamo diversi - e Marnie risulta essere un prodotto di questa "terza" cultura, perché cresce in Giappone ma in una casa occidentale, ricevendo probabilmente un'educazione che mescola elementi di entrambe.
I confini fra le due culture svaniscono, esattamente come nel mondo esterno dove l'alta e la bassa marea portano flussi e riflussi di passato e ricordi, dando origine a un mondo onirico dove i limiti tra Oriente e Occidente, tra passato e presente semplicemente svaniscono.

Unica dota di demerito è secondo me la colonna sonora: da uno studio che si è spesso contraddistinto per colonne sonore che sono veri e propri capolavori (in genere merito di Joe Hisaishi, ma anche la Cécile Corbel per "Karigurashi no Arrietty" si è rivelata una scelta azzeccata) mi aspettavo molto di più.
Soprattutto la canzone principale del film, della cantante statunitense Priscilla Ahn, risulta scialba e poco adatta. Se la colonna sonora fosse stata ai livelli a cui ci ha abituato lo studio Ghibli, sarebbe stato un 10.