Recensione
Fate/Zero
9.0/10
Una doverosa premessa, che ha più l'aspetto di un'introduzione: la presente recensione intende analizzare non solo la seconda parte della serie animata, ossia quella andata in onda nel 2012, ma l'adattamento nella sua integralità, in modo da fornire un'analisi più completa e coerente di un prodotto da considerarsi di per sé tale; i rimandi ad altre opere affini alla saga di Fate sono molti e non saranno esclusi dall'analisi, tuttavia preciso fin da subito che anche lo spettatore neofita del brand potrà godere, seppur non appieno - e questo per ovvi motivi -, dei principali punti di forza, peculiari della serie in questione.
Fate/Zero nasce quindi dal desiderio di Type-Moon di dare, a quasi tre anni di distanza, un degno prequel all'ormai celebre visual novel Fate/stay night; Gen Urobuchi viene chiamato a sviluppare l'idea originale di Kinoko Nasu - il fondatore di Type-Moon -, sotto la supervisione del quale dà forma ai quattro romanzi che compongono la serie. L'adattamento animato preso in considerazione vede invece la luce cinque anni dopo, grazie alla proficua collaborazione con lo studio di animazione ufotable, il quale già aveva adattato in precedenza il primo lavoro di Nasu, Kara no Kyoukai.
Sette Master, maghi animati da un desiderio che solo il Santo Graal può avverar; sette Servant, Anime Eroiche del passato - da Alessandro il Macedone a Re Artù - evocate tramite il Graal e legate ciascuna a un Master tramite tre incantesimi di comando, in una sorta di contratto stipulato nell'atto dell'evocazione; Fuyuki City, una remota città giapponese per la quarta volta teatro del complesso rituale d'evocazione del Graal; questi gli elementi principali della cosiddetta Guerra del Santo Graal, un'idea originale tutto sommato quella di Nasu, che attinge a religioni, simbolismo e leggende di ogni origine e provenienza, e mischia il tutto in un prodotto squisitamente giapponese, forse un po' kitsch, ma che riesce sicuramente nell'intento di farsi notare. Fortunatamente, il contenuto vale ben più dell'appariscente involucro e anche allo spettatore che - come il sottoscritto - si sia avvicinato non poco titubante a un prodotto tale, alla fine accade che ne rimanga piacevolmente sorpreso; nondimeno, persino i conoscitori di Fate/stay night si sono trovati davanti a qualcosa di leggermente aberrante, in un certo senso meno infantile e più pragmatico della serie primogenita. Il conflitto tra Master ha i connotati di una vera e propria guerra, fatta di strategie credibili e giochi di potere, imbastita da un insieme di personaggi più reali e palpabili di quelli a cui Type-Moon ci ha abituati e sicuramente più vicini alla sensibilità di Urobuchi, piuttosto che a quella di Nasu. In questo scenario, ingegnarsi per trovare un vero e proprio protagonista all'interno di un'opera visibilmente matura e complessa quale Fate/Zero si presenta risulterebbe fuorviante. Si riconoscono almeno tre figure, tra i Master, o forse quattro, che ricevono una caratterizzazione completa e peculiare, ben approfondita sia nella psicologia, sia nel comportamento, sia nell'etica e nell'ideologia e che possono essere ritenute degne di un protagonista: Waver Velvet, adolescente studente di magia a Londra e Master di Rider; Kirei Kotomine, prete enigmatico e inerte, alla ricerca di un motivo per vivere e del senso stesso della vita, Master di Assassin; Kariya Matou, detrattore della classe dei maghi, costretto a partecipare alla guerra per amore della "nipote" Sakura, Master di Berserker; infine Kiritsugu Emiya, il Master di Saber, forse il protagonista ideologico della serie, assassino freddo e apparentemente distaccato, eppure dal comportamento talvolta infantile, è un mago atipico, più pratico di tecniche di guerriglia che di magia vera e propria. Le storie dei Servant, in questo caso, condiscono soltanto la vicenda, a differenza di quanto si è visto altrove, forse eccezion fatta per la figura di Rider, alla quale Urobuchi dedica particolare attenzione, rendendo il gigante dai capelli rossi uno dei personaggi più apprezzati non solamente dell'anime, ma dell'intera famiglia Type-Moon.
Ma dove risiedono le cause di uno stacco così netto in termini di popolarità e apprezzamento tra Fate/Zero e i precedenti adattamenti di stay night e - perché no - Tsukihime? Personalmente individuo tre punti fondamentali: qualità tecnica, tematiche e qualità dell'adattamento. Partendo con ordine, ciò che salta immediatamente all'occhio è la rifinitura dell'apparato grafico; non parlo solo di animazioni o character design, ma di tutto, dai fondali alla regia, è la rivoluzione che ufotable aveva già introdotto in Kara no Kyoukai e che qui ripropone con lo stesso sfarzo, garantendo prima di tutto un'esperienza visiva entusiasmante. La colonna sonora brilla in maniera altrettanto intesa, grazie alla consueta collaborazione tra lo studio di animazione e la compositrice Yuki Kajiura, affiancata da Kalafina, LiSA e Eir Aoi nelle varie sigle di apertura e chiusura, tutte ispirate sia nella musica, sia nella grafica - e se dovessi indicare la più paradigmatica, direi senza dubbio la prima ending. Il risultato di questo fortunato connubio è un prodotto capace prima di tutto di intrattenere, indipendentemente dal tipo di spettatore; la narrazione è fluida, c'è azione, fioccano colpi di scena e ribaltamenti di fronte, si affrontano personaggi accattivanti e carismatici, e già questo pone le basi per un buon prodotto. Il valore aggiunto è quello dato dalla complessità delle tematiche che la serie si prepone di affrontare, o forse sarebbe meglio dire dall'abbandono di tematiche più frivole, che per forza di cose dovevano figurare nei precedenti eroge di Type-Moon e che invece non sono pervenute nell'altra opera più adulta e matura di Nasu, il già citato Kara no Kyoukai; la tematica amorosa, che è il motore di tutte e tre le route di stay night, qui ad esempio manca, mentre viene dedicato più spazio al dibattito tra personaggi con etiche differenti: l'esempio più lampante è quello di Kirei e Kiritsugu, ma anche il banchetto dei tre re offre più di uno spunto interessante, così come il dialogo di Saber e Berserker negli ultimi episodi, giusto per citarne un paio. Qualcuno potrebbe affermare che la sceneggiatura, proprio cercando di perseguire questa via, talvolta si macchi di pretenziosità - e in taluni casi non posso che concordare - ma in linea generale devo ammettere che il distacco netto, in tal senso, tra questo Fate e i precedenti ne esalta e sottolinea l'evoluzione da prodotto per ragazzi a un target più maturo. Ultima, e non certo per importanza, è la qualità dell'adattamento: i fan di Type-Moon generalmente storcono il naso quando si parla di Shingetsutan Tsukihime e del primo adattamento della route Fate di stay night, a causa della scarsezza dell'adattamento e di un conseguente prodotto strozzato, ove non monco; in questo caso invece, così come in quello di Kara no Kyoukai e del successivo Unlimited Blade Works, si coglie l'intento di fornire una trasposizione quanto più precisa e fedele all'originale, con un conseguente guadagno in termini di coerenza e scorrevolezza della narrazione. Confrontando anche in questo caso con le scelte nell'adattamento di Tsukihime, viene da sorridere, e non si fatica a cogliere, nuovamente, il perché di un divario così consistente tra i due prodotti.
Alla luce dei fatti, è quindi opportuno riprendere il discorso iniziale e non è difficile capire ora per quale motivo la serie sia adatta alla più ampia delle porzioni di pubblico e in particolare rappresenti forse la via migliore per il primo approccio alle opere di Nasu. Urobuchi è riuscito a creare un prodotto che si presta a diversi livelli di fruizione e interpretazione: il primo livello, più basso e basilare, è quello di una battle royale tra maghi con potenti famigli dalle armature sfavillanti e le tecniche di combattimento più variegate; il secondo è quello della personale battaglia di Kiritsugu nel raggiungimento del proprio ideale, dell'evoluzione del personaggio e della sua etica fino al raggiungimento della risposta al grande quesito che si porta dentro; l'ultimo, ad esclusiva fruizione di coloro che hanno giocato Fate/stay night e, in particolar modo, Heaven's Feel, è quello che offre un primo piano degli avvenimenti che vengono velocemente solo accennati nella visual novel e che permettono di scoprire il Kiritsugu originale, quello che non compare nei ricordi di Shirou Emiya, nonché le cause della manifestazione del Graal a soli dieci anni di distanza dall'ultima apparizione. In definitiva, a chi consigliare la visione di Fate/Zero? Forse sarebbe una domanda più semplice a chi non lo consiglierei, e in tal caso risponderei ai cultori della mitologia e della letteratura occidentale, forse essi potrebbero non digerire le razzie di Nasu in fatto di materia prima, ma ciò non toglie che questa serie resti un prodotto di qualità, che non presenta grossi difetti e anzi riesce a giocare così bene le proprie carte da farli passare tranquillamente in secondo piano. Alla prima visione ne sono rimasto sorpreso; alla seconda visione, da fan di Type-Moon un po' più navigato, mi ha letteralmente conquistato.
Fate/Zero nasce quindi dal desiderio di Type-Moon di dare, a quasi tre anni di distanza, un degno prequel all'ormai celebre visual novel Fate/stay night; Gen Urobuchi viene chiamato a sviluppare l'idea originale di Kinoko Nasu - il fondatore di Type-Moon -, sotto la supervisione del quale dà forma ai quattro romanzi che compongono la serie. L'adattamento animato preso in considerazione vede invece la luce cinque anni dopo, grazie alla proficua collaborazione con lo studio di animazione ufotable, il quale già aveva adattato in precedenza il primo lavoro di Nasu, Kara no Kyoukai.
Sette Master, maghi animati da un desiderio che solo il Santo Graal può avverar; sette Servant, Anime Eroiche del passato - da Alessandro il Macedone a Re Artù - evocate tramite il Graal e legate ciascuna a un Master tramite tre incantesimi di comando, in una sorta di contratto stipulato nell'atto dell'evocazione; Fuyuki City, una remota città giapponese per la quarta volta teatro del complesso rituale d'evocazione del Graal; questi gli elementi principali della cosiddetta Guerra del Santo Graal, un'idea originale tutto sommato quella di Nasu, che attinge a religioni, simbolismo e leggende di ogni origine e provenienza, e mischia il tutto in un prodotto squisitamente giapponese, forse un po' kitsch, ma che riesce sicuramente nell'intento di farsi notare. Fortunatamente, il contenuto vale ben più dell'appariscente involucro e anche allo spettatore che - come il sottoscritto - si sia avvicinato non poco titubante a un prodotto tale, alla fine accade che ne rimanga piacevolmente sorpreso; nondimeno, persino i conoscitori di Fate/stay night si sono trovati davanti a qualcosa di leggermente aberrante, in un certo senso meno infantile e più pragmatico della serie primogenita. Il conflitto tra Master ha i connotati di una vera e propria guerra, fatta di strategie credibili e giochi di potere, imbastita da un insieme di personaggi più reali e palpabili di quelli a cui Type-Moon ci ha abituati e sicuramente più vicini alla sensibilità di Urobuchi, piuttosto che a quella di Nasu. In questo scenario, ingegnarsi per trovare un vero e proprio protagonista all'interno di un'opera visibilmente matura e complessa quale Fate/Zero si presenta risulterebbe fuorviante. Si riconoscono almeno tre figure, tra i Master, o forse quattro, che ricevono una caratterizzazione completa e peculiare, ben approfondita sia nella psicologia, sia nel comportamento, sia nell'etica e nell'ideologia e che possono essere ritenute degne di un protagonista: Waver Velvet, adolescente studente di magia a Londra e Master di Rider; Kirei Kotomine, prete enigmatico e inerte, alla ricerca di un motivo per vivere e del senso stesso della vita, Master di Assassin; Kariya Matou, detrattore della classe dei maghi, costretto a partecipare alla guerra per amore della "nipote" Sakura, Master di Berserker; infine Kiritsugu Emiya, il Master di Saber, forse il protagonista ideologico della serie, assassino freddo e apparentemente distaccato, eppure dal comportamento talvolta infantile, è un mago atipico, più pratico di tecniche di guerriglia che di magia vera e propria. Le storie dei Servant, in questo caso, condiscono soltanto la vicenda, a differenza di quanto si è visto altrove, forse eccezion fatta per la figura di Rider, alla quale Urobuchi dedica particolare attenzione, rendendo il gigante dai capelli rossi uno dei personaggi più apprezzati non solamente dell'anime, ma dell'intera famiglia Type-Moon.
Ma dove risiedono le cause di uno stacco così netto in termini di popolarità e apprezzamento tra Fate/Zero e i precedenti adattamenti di stay night e - perché no - Tsukihime? Personalmente individuo tre punti fondamentali: qualità tecnica, tematiche e qualità dell'adattamento. Partendo con ordine, ciò che salta immediatamente all'occhio è la rifinitura dell'apparato grafico; non parlo solo di animazioni o character design, ma di tutto, dai fondali alla regia, è la rivoluzione che ufotable aveva già introdotto in Kara no Kyoukai e che qui ripropone con lo stesso sfarzo, garantendo prima di tutto un'esperienza visiva entusiasmante. La colonna sonora brilla in maniera altrettanto intesa, grazie alla consueta collaborazione tra lo studio di animazione e la compositrice Yuki Kajiura, affiancata da Kalafina, LiSA e Eir Aoi nelle varie sigle di apertura e chiusura, tutte ispirate sia nella musica, sia nella grafica - e se dovessi indicare la più paradigmatica, direi senza dubbio la prima ending. Il risultato di questo fortunato connubio è un prodotto capace prima di tutto di intrattenere, indipendentemente dal tipo di spettatore; la narrazione è fluida, c'è azione, fioccano colpi di scena e ribaltamenti di fronte, si affrontano personaggi accattivanti e carismatici, e già questo pone le basi per un buon prodotto. Il valore aggiunto è quello dato dalla complessità delle tematiche che la serie si prepone di affrontare, o forse sarebbe meglio dire dall'abbandono di tematiche più frivole, che per forza di cose dovevano figurare nei precedenti eroge di Type-Moon e che invece non sono pervenute nell'altra opera più adulta e matura di Nasu, il già citato Kara no Kyoukai; la tematica amorosa, che è il motore di tutte e tre le route di stay night, qui ad esempio manca, mentre viene dedicato più spazio al dibattito tra personaggi con etiche differenti: l'esempio più lampante è quello di Kirei e Kiritsugu, ma anche il banchetto dei tre re offre più di uno spunto interessante, così come il dialogo di Saber e Berserker negli ultimi episodi, giusto per citarne un paio. Qualcuno potrebbe affermare che la sceneggiatura, proprio cercando di perseguire questa via, talvolta si macchi di pretenziosità - e in taluni casi non posso che concordare - ma in linea generale devo ammettere che il distacco netto, in tal senso, tra questo Fate e i precedenti ne esalta e sottolinea l'evoluzione da prodotto per ragazzi a un target più maturo. Ultima, e non certo per importanza, è la qualità dell'adattamento: i fan di Type-Moon generalmente storcono il naso quando si parla di Shingetsutan Tsukihime e del primo adattamento della route Fate di stay night, a causa della scarsezza dell'adattamento e di un conseguente prodotto strozzato, ove non monco; in questo caso invece, così come in quello di Kara no Kyoukai e del successivo Unlimited Blade Works, si coglie l'intento di fornire una trasposizione quanto più precisa e fedele all'originale, con un conseguente guadagno in termini di coerenza e scorrevolezza della narrazione. Confrontando anche in questo caso con le scelte nell'adattamento di Tsukihime, viene da sorridere, e non si fatica a cogliere, nuovamente, il perché di un divario così consistente tra i due prodotti.
Alla luce dei fatti, è quindi opportuno riprendere il discorso iniziale e non è difficile capire ora per quale motivo la serie sia adatta alla più ampia delle porzioni di pubblico e in particolare rappresenti forse la via migliore per il primo approccio alle opere di Nasu. Urobuchi è riuscito a creare un prodotto che si presta a diversi livelli di fruizione e interpretazione: il primo livello, più basso e basilare, è quello di una battle royale tra maghi con potenti famigli dalle armature sfavillanti e le tecniche di combattimento più variegate; il secondo è quello della personale battaglia di Kiritsugu nel raggiungimento del proprio ideale, dell'evoluzione del personaggio e della sua etica fino al raggiungimento della risposta al grande quesito che si porta dentro; l'ultimo, ad esclusiva fruizione di coloro che hanno giocato Fate/stay night e, in particolar modo, Heaven's Feel, è quello che offre un primo piano degli avvenimenti che vengono velocemente solo accennati nella visual novel e che permettono di scoprire il Kiritsugu originale, quello che non compare nei ricordi di Shirou Emiya, nonché le cause della manifestazione del Graal a soli dieci anni di distanza dall'ultima apparizione. In definitiva, a chi consigliare la visione di Fate/Zero? Forse sarebbe una domanda più semplice a chi non lo consiglierei, e in tal caso risponderei ai cultori della mitologia e della letteratura occidentale, forse essi potrebbero non digerire le razzie di Nasu in fatto di materia prima, ma ciò non toglie che questa serie resti un prodotto di qualità, che non presenta grossi difetti e anzi riesce a giocare così bene le proprie carte da farli passare tranquillamente in secondo piano. Alla prima visione ne sono rimasto sorpreso; alla seconda visione, da fan di Type-Moon un po' più navigato, mi ha letteralmente conquistato.