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8.0/10
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Quando penso a Solanin penso a parte della mia vita. Come molti ragazzi della mia età, ho conosciuto da poco l'angoscioso periodo che segna l'ingresso di un neolaureato nel mondo del lavoro. No, tranquilli: Solanin non vi annoia con i soliti discorsi della disoccupazione, della crisi mondiale e tutte le chiacchiere di cui ci nutriamo ogni giorno.
E Solanin non parla della felicità, parla della fuga dall'angoscia della vita. Perché Taneda non è felice col suo lavoro part-time ("Ti bastava fare qualcosa che richiedesse appena un po' di creatività, vero?") né Meiko è contenta della sua occupazione.
Tutti hanno passato un periodo del genere. Almeno, io l'ho passato e lo sto passando: fuori dalla tiepida stabilità dell'università, quando devi diventare adulto e farti una vita. Quando non sai cosa vuoi fare, perché, da un lato vuoi lavorare, dall'altro non hai alcuna intenzione a rinunciare alle tue passioni e cerchi disperatamente di fare entrambe le cose.
I protagonisti di Solanin ce la fanno. Rinunciando a qualcosa, certo, ma questo è normale. Però alla fine Meiko è felice di quello che ha condiviso con Taneda e lui, sicuramente, la pensa allo stesso modo.
Commentare lo stile di Asano mi sembra inutile: ha un suo modo di disegnare - o lo si ama oppure no. Ma l'importante, con Asano, non è tanto quello che la matita ha disegnato, ma quello che la penna avrebbe potuto scrivere. Cioè, la storia, i personaggi, i sentimenti.