Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).
I titoli al momento disponibili sono:
[MANGA] Master Mosquiton (Scadenza: 21/6/2015)
[ANIME] Cobra the Animation (Scadenza: 24/6/2015)
[LIVE] Himizu (Scadenza: 28/6/2015)
[SERIAL] Smallville (Scadenza: 1/7/2015)
Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi aumentiamo il numero di titoli dedicandoci a recensioni brevi, con i manga Touch e Solanin e gli anime Omohide Poroporo, Mahouka koko no rettousei e Ping Pong the Animation.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Pioggia di ricordi
9.0/10
Recensione di AkiraSakura
-
Taeko è una donna di 27 anni stanca del suo lavoro e della sua vita, alla quale non riesce a dare un senso. Nella sua crisi personale, ella rammenta quando era ancora una bambina piena di gioia e speranza per un ipotetico futuro brillante, denso di sogni ed emozioni. La donna, rivivendo tutti i momenti più significativi della sua infanzia ed adolescenza, parte per la prefettura rurale di Yamagata, un bellissimo posto in aperta campagna, per andare a trovare la sorella ed il cognato. Qui aiuterà l'azienda familiare, la cui attività consiste nel trattare, senza l'ausilio di prodotti chimici e macchinari, i fiori di zafferano in modo da ricavarne un pigmento utilizzato per la fabbricazione del rossetto. Durante il piacevole, ma allo stesso tempo impegnativo soggiorno, Taeko farà la conoscenza del cugino del cognato, un giovane contadino dal modo di fare molto semplice e sanguigno...
"Omohide poro poro" è la trasposizione filmica della poetica dell'auto-realizzazione del sé, l'estetizzazione del recupero di quell'idealità tipica dell'infanzia perduta in seguito ad antichi traumi, che hanno dirottato i sogni del bambino verso il grigiore dell'indifferenza. Non c'è bisogno di fare retorica: l'analisi del problema più importante per l'uomo moderno, ovvero quello della comunicazione - sopratutto verso se stessi - e del conseguente adattamento nel mondo, vengono affrontati con estrema semplicità: bisogna ascoltare il bambino che è in noi, tuttavia con il cuore di adulto; bisogna viaggiare allo stesso modo di Taeko, la quale, più che andare in campagna con il treno, viaggia dentro se stessa, dentro ai suoi ricordi, alla ricerca delle piccole cose che l'hanno fatta diventare una donna infelice.
Penso che questo film sia l'apice dell'autorialità di Isao Takahata, il quale fa rivivere con grande maestria le sensazioni di Taeko attraverso immagini dai colori evanescenti, che, unite alle splendide musiche, contribuiscono ad evocare quel "senso del perduto", quel "viaggio nel ricordo" che fa da contrappunto a scene di vita reale dalla semplicità sconcertante, ma allo stesso tempo ricche di dettagli, mai banali, ognuna delle quali rappresenta un ingrediente indispensabile nella costruzione di una perfetta poesia animata. Il punto di arrivo del percorso interiore della protagonista è la splendida scena finale del film, a mio avviso una delle migliori mai viste in un film d'animazione.
In conclusione, siamo di fronte ad uno slice of life molto riflessivo e dai ritmi lenti, che a tutto diritto si può considerare un classico dell'animazione giapponese, una di quelle visioni indispensabili per accrescere il proprio bagaglio culturale, e, perché no, magari rimanere meravigliati di fronte alla dolcezza della regia di Takahata, da quel tocco magico che egli riesce a dare alle semplici cose di tutti i giorni, fondendo significati e immagini come solo i poeti sanno fare.
"Omohide poro poro" è la trasposizione filmica della poetica dell'auto-realizzazione del sé, l'estetizzazione del recupero di quell'idealità tipica dell'infanzia perduta in seguito ad antichi traumi, che hanno dirottato i sogni del bambino verso il grigiore dell'indifferenza. Non c'è bisogno di fare retorica: l'analisi del problema più importante per l'uomo moderno, ovvero quello della comunicazione - sopratutto verso se stessi - e del conseguente adattamento nel mondo, vengono affrontati con estrema semplicità: bisogna ascoltare il bambino che è in noi, tuttavia con il cuore di adulto; bisogna viaggiare allo stesso modo di Taeko, la quale, più che andare in campagna con il treno, viaggia dentro se stessa, dentro ai suoi ricordi, alla ricerca delle piccole cose che l'hanno fatta diventare una donna infelice.
Penso che questo film sia l'apice dell'autorialità di Isao Takahata, il quale fa rivivere con grande maestria le sensazioni di Taeko attraverso immagini dai colori evanescenti, che, unite alle splendide musiche, contribuiscono ad evocare quel "senso del perduto", quel "viaggio nel ricordo" che fa da contrappunto a scene di vita reale dalla semplicità sconcertante, ma allo stesso tempo ricche di dettagli, mai banali, ognuna delle quali rappresenta un ingrediente indispensabile nella costruzione di una perfetta poesia animata. Il punto di arrivo del percorso interiore della protagonista è la splendida scena finale del film, a mio avviso una delle migliori mai viste in un film d'animazione.
In conclusione, siamo di fronte ad uno slice of life molto riflessivo e dai ritmi lenti, che a tutto diritto si può considerare un classico dell'animazione giapponese, una di quelle visioni indispensabili per accrescere il proprio bagaglio culturale, e, perché no, magari rimanere meravigliati di fronte alla dolcezza della regia di Takahata, da quel tocco magico che egli riesce a dare alle semplici cose di tutti i giorni, fondendo significati e immagini come solo i poeti sanno fare.
Touch
10.0/10
Se cercate un capolavoro fra gli shonen, leggete Touch, anche se non siete appassionati di manga sportivi. Il maestro Adachi racconta, con affascinante delicatezza, la storia di una profonda amicizia fra due gemelli e una loro vicina di casa; un'amicizia che, con l'adolescenza, giunge inevitabilmente a confondersi con l'amore.
Ad accompagnare il livello romantico, ne troviamo uno sportivo, che coinvolge in vari modi tutti e tre i protagonisti.
Che dire della trama, se non che è bellissima? I sentimenti non sono mai sopra le righe, non affondano mai nel patetico, e sono contraddistinti da una sorta di leggera purezza che li rende sublimi, ma non distanti dal cuore del lettore. Nel momento della tragedia non si riesce a rimanere indifferenti, personalmente piango ogni volta che rileggo quel volume. Anche l'aspetto sportivo non è da meno: tutto quello che so di baseball l'ho imparato leggendo questo manga, ma anche sapendone davvero poco ho profondamente fatto il tifo durante i momenti di difficoltà. Attraverso la lettura si possono di conseguenza conoscere non solo uno sport molto interessante, ma anche la vita dei liceali giapponesi e le loro aspettative sportive, e il Koshien, ovvero il realizzarsi di un sogno (che viene trasmesso anche in TV, l'ho visto!).
Se proprio c'è da trovare un difetto, possiamo dire che, al contrario dei due gemelli, la protagonista Minami è fin troppo perfetta. Tutti la adorano, non sbaglia praticamente mai, è simpatica, gentile, educata, brava a cucinare, di buon cuore, mai invidiosa, e chi più ne ha più ne metta. Ci si rende conto di questi suoi aspetti solo dopo aver letto il manga per due o tre volte, perché prima si è rapiti dalla perfezione della storia, quindi la possiamo definire una pecca trascurabile (e comunque Minami non è male come personaggio). Un ultimo appunto: io facevo il tifo per l'altro, ma ormai sono abituata a sostenere la coppia sbagliata. Voto: 10.
Ad accompagnare il livello romantico, ne troviamo uno sportivo, che coinvolge in vari modi tutti e tre i protagonisti.
Che dire della trama, se non che è bellissima? I sentimenti non sono mai sopra le righe, non affondano mai nel patetico, e sono contraddistinti da una sorta di leggera purezza che li rende sublimi, ma non distanti dal cuore del lettore. Nel momento della tragedia non si riesce a rimanere indifferenti, personalmente piango ogni volta che rileggo quel volume. Anche l'aspetto sportivo non è da meno: tutto quello che so di baseball l'ho imparato leggendo questo manga, ma anche sapendone davvero poco ho profondamente fatto il tifo durante i momenti di difficoltà. Attraverso la lettura si possono di conseguenza conoscere non solo uno sport molto interessante, ma anche la vita dei liceali giapponesi e le loro aspettative sportive, e il Koshien, ovvero il realizzarsi di un sogno (che viene trasmesso anche in TV, l'ho visto!).
Se proprio c'è da trovare un difetto, possiamo dire che, al contrario dei due gemelli, la protagonista Minami è fin troppo perfetta. Tutti la adorano, non sbaglia praticamente mai, è simpatica, gentile, educata, brava a cucinare, di buon cuore, mai invidiosa, e chi più ne ha più ne metta. Ci si rende conto di questi suoi aspetti solo dopo aver letto il manga per due o tre volte, perché prima si è rapiti dalla perfezione della storia, quindi la possiamo definire una pecca trascurabile (e comunque Minami non è male come personaggio). Un ultimo appunto: io facevo il tifo per l'altro, ma ormai sono abituata a sostenere la coppia sbagliata. Voto: 10.
Mahōka Kōkō no Rettōsei
6.0/10
"Mahouka Koukou no Rettousei" è una grande... occasione sprecata! Lo scrivo con un pizzico di rammarico.
Il soggetto, l'idea di base che fa da concept dell'opera, non è infatti banale. L'archetipo futuristico che inquadra in una metafora l'attuale fotografia geopolitica dell'area sino-giapponese è un tocco di classe. L'analisi contemporanea di un Paese che, circondato dai nemici, può solo affidarsi sui suoi talenti, è la conferma di un dibattito al di fuori della mera contingenza. Inoltre, almeno all'inizio, i disegni e gli effetti legati all'animazione lasciavano ben sperare, per non parlare delle musiche, comprese l'opening e l'ending iniziali tra le migliori della stagione a mio parere.
E invece quel 'tutto' che tanto prometteva è stato reso nel peggiore dei modi. Inutili e complicate spiegazioni: a che pro tutte quelle specifiche cervellotiche sui funzionamenti di apparati, strutture e finanche giochi, se non rallentare ulteriormente un ritmo già di per sé abbastanza monotono? Personaggi algidi e privi di qualsiasi forma di spessore: il rimembrare in ogni puntata, fino all'esasperazione, quanto è figo e ce l'ha duro il protagonista maschile; quanto invece potrebbe essere figa la protagonista femminile che, alla fin fine, non si capisce che ruolo abbia; quanto sono strafighi - o strafighetti - i giovani maghi ipertecnologici che frequentano il liceo e sono capaci di distruggere un'intera armata dei più forti soldati globali.
Una trama zavorrata da continui riferimenti a gare e contest ripetitivi e dall'esito scontato, senza tralasciare i tentativi di inserire pillole di pseudo-romanticismo o ancor più penosi elementi fanservice, vedendo i quali si ha la sensazione di boutade concepite senza ne capo né coda.
Insomma quel 'tutto' diventa troppo banale per non risultare odioso. Ovviamente è questione di punti di vista e gusti (devo ammettere che elementi come la magia e l'ipertecnologia non mi fanno impazzire), ed è indubbio che la mia delusione è figlia più di un'aspettativa legata a discreti ingredienti di base, con i quali è stato cucinato un brodino sciapito e inconsistente.
Il soggetto, l'idea di base che fa da concept dell'opera, non è infatti banale. L'archetipo futuristico che inquadra in una metafora l'attuale fotografia geopolitica dell'area sino-giapponese è un tocco di classe. L'analisi contemporanea di un Paese che, circondato dai nemici, può solo affidarsi sui suoi talenti, è la conferma di un dibattito al di fuori della mera contingenza. Inoltre, almeno all'inizio, i disegni e gli effetti legati all'animazione lasciavano ben sperare, per non parlare delle musiche, comprese l'opening e l'ending iniziali tra le migliori della stagione a mio parere.
E invece quel 'tutto' che tanto prometteva è stato reso nel peggiore dei modi. Inutili e complicate spiegazioni: a che pro tutte quelle specifiche cervellotiche sui funzionamenti di apparati, strutture e finanche giochi, se non rallentare ulteriormente un ritmo già di per sé abbastanza monotono? Personaggi algidi e privi di qualsiasi forma di spessore: il rimembrare in ogni puntata, fino all'esasperazione, quanto è figo e ce l'ha duro il protagonista maschile; quanto invece potrebbe essere figa la protagonista femminile che, alla fin fine, non si capisce che ruolo abbia; quanto sono strafighi - o strafighetti - i giovani maghi ipertecnologici che frequentano il liceo e sono capaci di distruggere un'intera armata dei più forti soldati globali.
Una trama zavorrata da continui riferimenti a gare e contest ripetitivi e dall'esito scontato, senza tralasciare i tentativi di inserire pillole di pseudo-romanticismo o ancor più penosi elementi fanservice, vedendo i quali si ha la sensazione di boutade concepite senza ne capo né coda.
Insomma quel 'tutto' diventa troppo banale per non risultare odioso. Ovviamente è questione di punti di vista e gusti (devo ammettere che elementi come la magia e l'ipertecnologia non mi fanno impazzire), ed è indubbio che la mia delusione è figlia più di un'aspettativa legata a discreti ingredienti di base, con i quali è stato cucinato un brodino sciapito e inconsistente.
Solanin
7.0/10
Dopo l'atipico Il campo dell'arcobaleno, Asano torna sui binari più tradizionali di What a Wonderful World con il volume La città della luce, che ne semplifica la struttura tramite la diminuzione del numero di storie a fronte di un aumento della lunghezza. Continuando su questa strada, Asano scrive quello che si rivelerà il suo (almeno per ora) più grande successo: Solanin. Trasposto anche in un apprezzato film live action, Solanin è l'opera più "mainstream" di Asano, che pare tentare di realizzare qualcosa di più tradizionale rispetto ai lavori passati, più comprensibile ed in grado di catturare un pubblico più ampio, che apprezza storie più facili da seguire e abbastanza lunghe da far affezionare ai personaggi. Ecco quindi abbandonate le serie di storie brevi tra loro concatenate, così come il retrogusto onirico che aveva caratterizzato chi più (Il campo dell'arcobaleno), chi meno (WaWW, La città della luce) le passate opere: Solanin è la semplice storia di cinque giovani adulti che si dipana nell'arco dei due volumi totali. L'impianto narrativo è lineare e semplice da seguire, con solo qualche sporadico flashback o cambio di punto di vista tra i ragazzi; i personaggi sono i classici freeter asaniani che abbiamo imparato a conoscere, neolaureati con lavori precari, non più ragazzi ma non ancora del tutto adulti, in quell'età cui i sogni d'infanzia iniziano a stare stretti ma non si ancora la forza di chiudere per sempre quella porta per omologarsi alla società lavorativa.
Per certi versi, Solanin è al contempo un'evoluzione ed un'involuzione all'interno della narrativa di Asano; se da un lato si perde la forza delle singole storie brevi, dall'altro è possibile realizzare una storia più articolata nonché analizzare i personaggi per un arco di tempo maggiore ed assistere quindi alla loro evoluzione. Asano non pare però in grado di gestire al meglio una (singola) storia così lunga, finendo per ripetersi e facendo ben presto perdere efficacia al dipanarsi del racconto. Anche il messaggio finale dell'opera, che è poi sempre il medesimo delle sue storie brevi, va parzialmente a perdersi tra i vari avvenimenti. Da segnalare anche un pessimo uso della voce narrante, eccessivamente invasiva sia come numero di vignette occupate sia nel costante desiderio dell'autore di spiegare nei minimi dettagli ogni singolo pensiero, emozione e stato d'animo dei personaggi, quasi timoroso di non riuscire a farsi comprendere dal suo pubblico.
Insomma, Solanin non è nient'altro che una delle varie storie brevi di WaWW ampliata ed articolata in modo da occupare il decuplo delle pagine originali, e come tale finisce per perdere in parte la propria forza narrativa in più di un punto, riuscendo tuttavia a raggiungere l'obiettivo prefissato: espandere il proprio bacino di lettori.
Per certi versi, Solanin è al contempo un'evoluzione ed un'involuzione all'interno della narrativa di Asano; se da un lato si perde la forza delle singole storie brevi, dall'altro è possibile realizzare una storia più articolata nonché analizzare i personaggi per un arco di tempo maggiore ed assistere quindi alla loro evoluzione. Asano non pare però in grado di gestire al meglio una (singola) storia così lunga, finendo per ripetersi e facendo ben presto perdere efficacia al dipanarsi del racconto. Anche il messaggio finale dell'opera, che è poi sempre il medesimo delle sue storie brevi, va parzialmente a perdersi tra i vari avvenimenti. Da segnalare anche un pessimo uso della voce narrante, eccessivamente invasiva sia come numero di vignette occupate sia nel costante desiderio dell'autore di spiegare nei minimi dettagli ogni singolo pensiero, emozione e stato d'animo dei personaggi, quasi timoroso di non riuscire a farsi comprendere dal suo pubblico.
Insomma, Solanin non è nient'altro che una delle varie storie brevi di WaWW ampliata ed articolata in modo da occupare il decuplo delle pagine originali, e come tale finisce per perdere in parte la propria forza narrativa in più di un punto, riuscendo tuttavia a raggiungere l'obiettivo prefissato: espandere il proprio bacino di lettori.
Ping Pong The Animation
8.0/10
Recensione di Robocop XIII
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"Ping Pong The Animation" è un prodotto atipico, snobbato da chi non ne apprezza i disegni e idolatrato da chi ama la sua regia. È difatti quest'ultima, insieme alla dimensione personale che si crea, la caratteristica principale di questo anime. La regia fa da padrona: l'uso intelligente dello split screen, la scelta delle inquadrature, delle angolazioni e dei tempi rendono la visione avvincente e gli incontri facili da seguire. Se poi contiamo che il tutto è unito ad un'animazione fluida raggiungiamo tecnicamente vette molto alte. Una particolarità di questo anime è di essere andato a recuperare addirittura un manga del 1996, purtroppo inedito, da cui riprende certi spunti registici e il character design, a giudicare da una veloce ricerca sul web. Ma questo non toglie meriti a Masaaki Yuasa, che il pubblico già conosce bene per le sue opere precedenti. L'utilizzo della computer grafica è intelligente e non fastidioso. Il character design è da molti ritenuto brutto per via del disegno, e anche i protagonisti non sono il massimo dell'appeal, con quattrocchi, capelli a scodella e personaggi un po' sfigatelli (ma dimenticatevi Peter Parker), tuttavia questo stile è personale e vi ci abituerete subito, e per dirla tutta, tutto questo dire sul disegno è un fermarsi alle apparenze, in quanto questo prodotto ha relativamente molto di più da offrire.
La seconda caratteristica è l'essersi creato una sua dimensione. "Ping Pong" da una parvenza di spokon per poi tralasciare non solo gli allenamenti ma anche gli incontri stessi. Si crea un roster di personaggi che non vengono caratterizzati come ci si aspetterebbe. La storia viene strozzata laddove un altro manga comincerebbe a entrare nel vivo e a dimostrare il suo potenziale. La trama presenta sì molti spunti ma risulta fin troppo lineare e priva di colpi di scena. "Ping Pong" sembra mancare in tutto ma è questo suo modo di fare che lo rende unico e lo identifica, diventando un'opera non certo memorabile ma divertente e godibile nella sua brevità. "Ping Pong" è un prodotto onesto (a partire dal titolo), riesce a svolgere il suo compito (cioè intrattenere), e come fosse una ciliegina sulla torta è sovrastato da una patina neanche troppo velata di crudo realismo, che contribuisce a dare più colore all'atmosfera generale dell'opera.
La seconda caratteristica è l'essersi creato una sua dimensione. "Ping Pong" da una parvenza di spokon per poi tralasciare non solo gli allenamenti ma anche gli incontri stessi. Si crea un roster di personaggi che non vengono caratterizzati come ci si aspetterebbe. La storia viene strozzata laddove un altro manga comincerebbe a entrare nel vivo e a dimostrare il suo potenziale. La trama presenta sì molti spunti ma risulta fin troppo lineare e priva di colpi di scena. "Ping Pong" sembra mancare in tutto ma è questo suo modo di fare che lo rende unico e lo identifica, diventando un'opera non certo memorabile ma divertente e godibile nella sua brevità. "Ping Pong" è un prodotto onesto (a partire dal titolo), riesce a svolgere il suo compito (cioè intrattenere), e come fosse una ciliegina sulla torta è sovrastato da una patina neanche troppo velata di crudo realismo, che contribuisce a dare più colore all'atmosfera generale dell'opera.
Omoide Poroporo è un film stupendo, ha detto tutto Akira. Complimenti ai recensori.
Per prima cosa un prodotto di intrattenimento, ovvero una serie animata per la TV, deve puntare come prima cosa ad intrattenere. Per intrattenere può seguire la strada che preferisce, da quella artistica, a quella comica, passando per quella action, introspettiva, sentimentale, ecc... Ma di certo se guadandola per qualsiasi motivo non mi intrattiene, probabilmente non mi disturbo a proseguire oltre nella visione.
A me, per diversi e molteplici motivi, Ping Pong ha intrattenuto molto
Se volete sulla mia scheda c'è la mia recensione.
Ciao!
Tacchan
Per quanto riguarda Touch, è una delle opere di cui aspetto con ansia una riedizione, per poterla finalmente leggere.
Solanin l'ho trovato abbastanza carino, come dice Slanzard è indubbiamente l'opera più "normale" di Asano, ma al contempo ne conserva gran parte delle tematiche tipiche e lo stile. Lo ritengo un buon modo per avvicinarsi all'autore.
Riguardo a Ping Pong io l'ho amato alla follia; in un certo senso sono d'accordo con Kiavik, cioè PP non è un semplice spokon di intrattenimento, ma bisogna attribuirgli anche tutta la parte formativa senza contare la regia e lo stile postmodernista... ma ormai se ne è già discusso più che ampiamente.
Dire che Ping Pong "fa il suo cioè intrattenere" pare proprio una bestemmia.
A me è piaciuta molto anche la ricostruzione storica del Giappone degli anni '60, con il padre di famiglia che non poteva essere assolutamente contestato nelle sue decisioni, mentre dal punto di vista grafico le varie scene ambientate in campagna fanno sognare da quanto sono realistiche.
Un film interessante e profondo, che ho voglia di rivedermi per gustarmelo meglio ora che conosco qualcosa in più sulla società nipponica.
Mai scritto che è il suo SOLO scopo. Ma uno dei suoi scopi principali, e lo raggiunge.
P.S.
Ping Pong mi sembra uno dei classici capolavori a cui si ama trovare dei difetti. L'ho trovato uno dei prodotti "d'intrattenimento" migliori degli ultimi anni, sì pieno di difetti, ma anche di originalità, rompendo un po' la monotonia (sia a livello grafico che di tematiche)
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