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Al nome di Kinoko Nasu, la maggior parte degli appassionati di anime, manga e Giappone assocerà immediatamente in nome di “Fate”. Nulla di sorprendente, la saga vanta diverse visual novel e romanzi di successo, adattamenti animati e spin-off che hanno fatto parlare di sé, nel bene e nel male, e di recente anche un gioco per smartphone da più di dieci milioni di utenti. Per quanto negli anni il franchise si sia evoluto e adattato alle tendenze del momento e ai gusti del pubblico, lo sfondo delle vicende ideate da Nasu è rimasto bene o male invariato. Le basi per il successo di “Fate” risiedono proprio nella complessità di questo sfondo, nel reticolo in cui la trama è incastonata, una struttura costruita negli anni e che rimane sorprendentemente coerente nonostante il frequente intrecciarsi di vicende appartenenti a saghe diverse. Sarà questione di gusti, ma ho sempre trovato che i lavori del primo Nasu avessero più inventiva, più pathos e meno fronzoli – elemento che mi ha fatto mal digerire in più di un passaggio di “Stay Night”. Per tornare alle origini, occorre riavvolgere il nastro fino a un giorno d’Ottobre del 1998, esattamente vent’anni fa, quando sul blog “Takebouki” usciva il primo capitolo del romanzo d’esordio dei futuri fondatori di Type-Moon. Vent’anni fa vedeva la luce “Kara no Kyoukai”.

Per quanto il successo di Type-Moon non sia certo imputabile principalmente a “Kara no Kyoukai”, nel corso degli anni i fan hanno riscoperto e iniziato ad apprezzare anche il Nasu meno mainstream, tanto che la serie originale di romanzi è stata adattata in sette film – più un epilogo – e ha sancito l’inizio della proficua collaborazione tra Type-Moon e lo studio d’animazione Ufotable.
La ragione di un successo a scoppio ritardato è presto detta: l’errore di Nasu è stato quello di esordire con una serie troppo complessa. I capitoli di “Kara no Kyoukai” non rispecchiano l’ordine cronologico degli eventi, la narrazione è ora in prima persona, ora in terza, gli eventi talvolta si susseguono senza un apparente filo logico e le informazioni fornite al lettore spesso non sono immediatamente chiare, soprattutto a una prima lettura, soprattutto a un neofita. Allo stesso tempo, la ricchezza di dettagli, l’accuratezza della narrazione, i riferimenti e le citazioni ad altri capitoli della saga e ad altre figure e luoghi del “Nasuverse”, mandano facilmente in brodo di giuggiole i fan più navigati. Dalla lettura del quinto e sesto capitolo, per esempio, risulta evidente come alcuni concetti sviluppati in “Fate/Stay Night” o parte delle vicende di “Mahou Tsukai no Yoru” fossero già ben delineati nella mente di Nasu a fine anni Novanta. Una sorta di citazionismo al contrario, comprensibile solo col senno di poi e non certo dai primi lettori di “Takebouki”.

La storia di “Kara no Kyoukai” si sviluppa su due livelli: il presente di Shiki, la protagonista del racconto, alla ricerca dei propri ricordi perduti, e il suo passato, attraverso il quale il lettore rivive la stessa storia frammentata che la ragazza tenta di ricostruire. Due sono anche gli elementi che rendono appetibile ciascun capitolo: da una parte c’è l’intreccio, un mistero da risolvere e un nuovo tassello del passato e della personalità di Shiki; dall’altra ci sono la magia, la filosofia e le riflessioni dei personaggi su concetti di centrale importanza nell’universo di Nasu, tutti elementi che vanno a costituire il già citato scheletro che regge ogni opera firmata Type-Moon.
Ciascun capitolo presenta un narratore esterno principale e due narratori interni, Shiki e un comprimario. I racconti seguono parallelamente le vicende dei due personaggi e si intrecciano nella parte conclusiva, man mano che la soluzione del mistero si avvicina. La scelta di affiancare diversi narratori in ciascuna vicenda giova senz’altro alla caratterizzazione dei personaggi principali. Shiki, che è la figura più complessa e ambigua che appare in “Kara no Kyoukai”, riceve per forza di cose un trattamento speciale e vede un’evoluzione graduale sia sul piano caratteriale sia su quello emotivo. Inizialmente fredda ed estremamente distaccata, poi diffidente e scontrosa, infine più onesta con se stessa e con le persone a lei care. Ciascuna vicenda fornisce a Shiki un elemento in più per ricostruire il proprio passato e al tempo stesso colma il vuoto che essa sente dentro di sé. Mikiya, al contrario, è un punto di riferimento sia per Shiki, sia per il lettore, con la sua perpetua fiducia nell’amica e l’ostinazione nel cercare di proteggerla. I suoi sentimenti per Shiki, evidenti fin dal primo capitolo, non sono invadenti e non rovinano il mood noir della serie, con cui il romanticismo avrebbe avuto veramente poco a che fare.
Tra i secondari, il personaggio più criptico e interessante è senza dubbio Touko, maga formidabile, artista di bambole, esperta di rune e accanita fumatrice. Poco si sa del suo presente, di cosa le passi per la testa, e dei suoi contatti, grazie ai quali è sempre al corrente di tutto ciò che succede nella città di Mifune. Ancora meno viene detto del suo passato: si sa che scappa di casa ancora adolescente e che si trasferisce a Londra per studiare presso l’associazione dei maghi, il che la dice lunga sulla precarietà della sua situazione familiare. Un dettaglio non casuale, quello che Nasu lascia nel quinto capitolo, dal momento che proprio attorno alla famiglia di Touko si concentra il ben più recente “Mahou Tsukai no Yoru”. In generale, Touko dimostra di possedere abilità e conoscenze – magiche e non – fuori dal comune; guida il lettore attraverso riflessioni sull’origine e sul significato della magia, sul suo anacronismo nell’era dell’onnipotenza della tecnologia, ma anche sulle pulsioni e i paradossi dell’animo umano. Nonostante i suoi monologhi siano spesso lunghi e i concetti sfuggenti, essi costituiscono, per il fan navigato, alcuni tra i punti più interessanti del romanzo.

Quanto alla struttura, risulta subito evidente come il “Nasuverse” sia un organismo estremamente complesso e che sia la magia stessa l’elemento su cui tutto si fonda. La magia di Nasu sa più di scienza che di mitologia ed epica; esistono regole che i maghi devono – o dovrebbero – rispettare e limiti che non possono – e in ogni caso non riescono – a oltrepassare. Emblematico ed esplicativo è l’esempio del quinto libro, in cui Touko discute con Araya sul limite effettivo delle possibilità di un mago che tenta di raggiungere l’Origine – ciò da cui tutto viene a cui tutto torna. Per quanto un mago possa sforzarsi di infrangere queste regole e questi limiti, alla fine è l’Origine stessa a neutralizzarli tramite appositi meccanismi di autodifesa.
Un sistema, quello di Nasu, che in “Kara no Kyoukai” sembra perfetto: tutti giocano ad armi pari, nessuno ha “power-up” improbabili e vengono risparmiati i classici e scontati colpi di scena all’ultimo secondo. Il fatto che in “Fate/Stay Night” e seguiti si perdano in parte queste linee guida per venire incontro al grande pubblico è uno dei motivi per cui a “Fate” ho sempre preferito i lavori del periodo precedente.

Arriviamo infine al punto cardine del discorso. Fuori dal Giappone, è probabilmente più probabile essere colpiti in testa da un meteorite che imbattersi nel romanzo di “Kara no Kyoukai” prima che nell’ottima trasposizione animata. Ne consegue che è estremamente più probabile che i potenziali lettori conoscano già la serie e cerchino nel romanzo un qualcosa di più rispetto ai lungometraggi. Dopo aver guardato svariate volte tutti i film e avendo finalmente completato la lettura dei romanzi, posso confermare che l’adattamento animato è davvero di ottima qualità. Gli unici capitoli che rendono un po’ di più in forma cartacea sono il terzo, per la migliore resa della follia di Fujino, e il sesto, meno frammentato e più incalzante. Ciò che la trasposizione non sempre riporta, sono i già citati, lunghi e complicati monologhi di Touko, presumibilmente per non far addormentare lo spettatore e perché non strettamente necessari. Nel romanzo infatti gli spunti sono molteplici, le riflessioni e i ragionamenti più esaustivi, e i riferimenti al resto del Nasuverse più frequenti.
Per questo motivo la lettura è consigliata essenzialmente ai fan di lunga data. Per i neofiti, i film sono di per sé ottimi e, a differenza del romanzo, sono reperibili in traduzione italiana, per quanto amatoriale. Quanto a me, pur consapevole che non sia un’opera perfetta, ho amato anche questa versione di “Kara no Kyoukai”. Ho amato il suo essere maturo senza essere esagerato e i suoi personaggi caratteristici, e per quanto non capisca il giapponese, la versione originale cartacea è uno dei pezzi della mia collezione di cui vado più fiero.