Recensione
5 Samurai - OAV 3
9.0/10
Recensione di animehunter
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Attenzione: la recensione contiene spoiler
Concordo con le analisi venute prima della mia, quando queste asseriscono che raramente si è visto un prodotto così intenso e impegnativo, da meritarsi un voto alto come quello che gli ho affidato, sebbene fatto con animazioni da riciclo da episodi della serie TV e dagli OAV stessi per metà della durata di ogni singolo capitolo. Però, spinto dalla curiosità delle recensioni precedenti alla mia, ne ho preso visione, giusto l'altra sera, complice anche il Memorial Box della Yamato Video in tiratura limitata di cui sono entrato in possesso di recente. Reputavo "I cavalieri dello zodiaco" superiore come serie animata per longevità della serie, trama, battaglie e scontri, mitologia, epica, numero e diversificazione delle armature, lirismo del linguaggio e doppiaggio fatto con registro aulico/solenne, fino a prima che vedessi questi OAV. Personalmente ritengo che, per essere apprezzati appieno, vadano visti come ho fatto io, a distanza di venticinque/trent'anni dall'opera televisiva originale che tutti ricordiamo con nostalgia, questo per capirne il profondo significato. Questi cinque episodi del terzo OAV segnano un netto distacco dalla serie televisiva sotto ogni punto di vista: non c'è più azione ma riflessione, non c'è eroismo ma tristezza, c'è maturità e rassegnazione invece di spensieratezza, c'è abbandono invece della forza. Li trovo una perla inaspettata nel panorama dei "Samurai Troopers": degna conclusione una spanna sopra a tutta la serie televisiva. Son contento di averli visti, d'ora in poi mi porterò dietro un ricordo molto più profondo di questa serie rispetto a quando ero un ragazzino.
Non entro nel merito delle scelte fatte dagli autori e sceneggiatori in merito alle animazioni riciclate, che nel mio caso specifico trovo utili e funzionali a chi magari non ha tempo di vedersi tutti e trentanove gli episodi della serie TV canonica. Discutibile o no, la seconda parte di ogni OAV prende decisamente una piega triste e malinconica. Mi ero ripromesso di guardarne solo uno e poi abbandonare la visione, spinto da un'osservazione un po' superficiale: mi aspettavo scontri, lotte, nemici, nuove armature, ma quello che alla fine dei cinque capitoli ho capito di avere visto, per fortuna, era molto di più delle aspettative. Sebbene non ci sia nemmeno un combattimento, non l'ho trovato una pecca, anzi, meno combattimenti e più dialoghi e riflessioni per sottolineare il distacco sotto tutti i punti di vista, specialmente temporale, dagli OAV precedenti, e segnare la maturità dei protagonisti anche e soprattutto attraverso il tratto del disegno. Quello che ho trovato guardando tutti questi cinque episodi è, come da titolo dell'opera, un messaggio, un monito, non da poco. Questo cattivo femminile ambiguo che appare all'improvviso nel luogo dove anni prima si consumò la sua tragedia familiare forgia sul posto cinque armature, inondandole di odio, rancore e risentimento, e ribalta in poco tempo tutta la visione ottimistica sui personaggi idolatrati nella serie televisiva (uno su tutti, Kaosu/Ariel), porta via certezze una ad una, riesce ad attirare a sé e portare i cinque ragazzi esattamente allo stremo delle forze fisiche e psicologiche, strappandoli ben presto dalla vita di tutti i giorni, esattamente come accadde a lei secoli prima. Non si riesce a provare odio nei confronti di questo cattivo, a differenza dei vari Arago e compagnia bella che non erano altro se non l'incarnazione del male; stavolta il villain è molto ben caratterizzato psicologicamente, al pari se non di più dei cinque ragazzi protagonisti.
La sigla finale poi è veramente di uno struggente unico, a cominciare dalla scelta delle musiche, azzeccatissime: una ballata malinconica cantata da una dolcissima voce femminile; la scelta sapiente e inquietante di colori e la quasi totale assenza di animazione in favore di fotogrammi mi riportavano vagamente alla memoria quella bellissima sigla di "Lady Oscar" (l'originale, non quella apparsa in TV) per le emozioni che mi ha suscitato. Se guardata attentamente, la sigla di chiusura fa capire (se possibile ancora di più della narrazione attraverso l'animazione) il passato di questo "cattivo", dalla nascita in braccio ai genitori in un prato di un tipico giardino giapponese e via via verso la fanciullezza, poi l'adolescenza e la giovinezza fino a pochi istanti prima della catastrofe della guerra. Non l'ho mai saltata, perché non riuscivo, mi sembrava di mancare di rispetto, come saltare le pagine di un libro, ho sempre assistito alla visione integrale alla fine di ogni capitolo di questo terzo OAV.
Ogni samurai cui è dedicato un episodio viene adescato con maniere diverse: Toma/Kimo viene fatto rivestire dell'armatura con la forza dopo una prova di coraggio; Shin/Simo attraverso l'inganno sceglie spontaneamente e disperatamente di rivestire i panni dell'armatura ancora una volta, sperando che sia l'ultima, vittima di una allucinazione (negli OAV precedenti già in più occasioni si era stancato di combattere e si era ribellato al potere dell'armatura, rinunciandovi e abbandonandola per sempre in un lago); Xiu/Shido cerca il suicidio, una volta intuito il potere malvagio delle armature che sta ritornare, ma viene salvato a un metro da terra da questa sacerdotessa/spirito e rivestito dell'armatura, mentre cerca di capirne la provenienza e l'attitudine, attratto verso quello che sarà il loro ultimo teatro di battaglia; Seiji/Sami viene supplicato più volte di indossare l'armatura e alla fine cede, forse intuendo che gli amici han fatto la stessa fine, e forse per poterli rivedere un'ultima volta. Nella seconda parte di ogni OAV, quando la narrazione riassuntiva degli eventi lascia spazio ai nuovi eventi, un senso quasi di inquietudine e terrore pervade lo spettatore, quando appare Suzunagi, contornata dalle musiche di accompagnamento, perché i minuti a disposizione per l'episodio stanno per finire e si capisce che di lì a poco lo sfortunato martire di turno cadrà intrappolato per sempre nelle trame del cattivo, che poi tanto cattivo non è, perché alla fine la si vede piangere di fronte al suo operato quasi compiuto del tutto, quando manca ancora un samurai all'appello nella sua maledetta "collezione". Ryo, dopo aver ascoltato i messaggi dei suoi compagni in segreteria telefonica, dopo una notte quasi insonne accetta spontaneamente di recarsi sul posto dove tutto ebbe inizio, per porre fine a tutto. Ma non combattendo, bensì facendosi rivestire in maniera del tutto passiva e inerme, quasi addirittura accondiscendente, dell'armatura a lui dedicata, dopo aver visto i suoi compagni di dis(avventura) tramutati in spiriti intrappolati per sempre dalle nuove armature. Richiamando così un'ultima volta l'armatura dell'imperatore, il volere di Suzunagi si compie, almeno in apparenza.
Discorso a parte meritano le armature: disegnate benissimo, ancora più intriganti delle originali, ma maledettamente perverse. Se nella serie TV non si vedeva l'ora che i cinque samurai le indossassero, 'per fare il culo' ai cattivi di turno, qua alle armature viene dato poco spazio, solo gli ultimi tristissimi fotogrammi di ogni OAV e giusto un paio di minuti alla fine del quinto. E non si ha più voglia di vedere i samurai rivestiti di cotanta potenza, perché è proprio questa potenza la loro maledizione, la morte è la loro attitudine. Anzi, quando il samurai si riveste della sua armatura è un momento bruttissimo e tristissimo, da pugno nello stomaco, come se si andasse al patibolo ingiustamente condannati, sacrificandosi per una giusta causa. Momento al quale viene dedicata la fine di ogni OAV: lì si raggiunge il culmine del climax. Viene quasi voglia di dire: "No, non farlo, non indossarla, scappa finché sei in tempo!", ma ormai è troppo tardi. Lacrime scendono dai loro occhi una volta indossate le nuove armature, il loro destino di guerrieri borderline, al confine tra dei e demoni, è segnato da tempo, scritto sulle pagine di un copione teatrale di un'opera andata in scena secoli prima ad opera di un veggente/visionario.
Ed è proprio questo che secondo me è message: un'opera teatrale inscenata magistralmente e da visionare almeno una volta, perché merita, sebbene presentata e proposta sotto forma di animazione. Un'opera quindi da non sottovalutare, che va a riscrivere una pagina già di per sé triste di storia dei samurai nipponici, ed entra di diritto nella top ten delle migliori opere di animazione giapponesi per profondità di valori e messaggio trasmesso. Tutto questo secondo la mia modesta opinione, ci tengo a precisarlo.
Avendo già 'spoilerato' tanto sulla trama, non voglio andare oltre e parlare del finale, soprattutto nei riguardi di chi non l'ha ancora visto, ma mi sento di consigliarne e apprezzarne la visione a distanza di trent'anni dall'opera canonica, perché la ritengo una degna conclusione quasi "monumentale" di una saga storica. Per chi ha voglia di emozioni forti, è un po' come vedere il film "A 30 secondi dalla fine" dell' '85, interpretato magistralmente da Jon Voight ed Eric Roberts, dove l'azione frenetica seppur presente (rappresentata da un treno in corsa fuori controllo che semina ovunque disastri a ripetizione) riesce a cedere il passo all'introspezione psicologica dei personaggi, e alla fine si comprende che anche il più cattivo dei cattivi, paragonato da tutta la società a una bestia senza pietà, in fondo non lo è, anzi. A volte son più cattivi i buoni.
Da guardare se si è a caccia di emozioni forti che possono scombussolare, in periodi della vita in cui va tutto bene. Se lo guardate in momenti tristi, magari non è il massimo della vita, consiglio la visione se è un periodo in cui vi va tutto bene, in modo da prenderlo come una iniezione temporanea, uno scossone. Contento e felice di possedere questo piccolo gioiello nella mia modesta collezione di anime.
Concordo con le analisi venute prima della mia, quando queste asseriscono che raramente si è visto un prodotto così intenso e impegnativo, da meritarsi un voto alto come quello che gli ho affidato, sebbene fatto con animazioni da riciclo da episodi della serie TV e dagli OAV stessi per metà della durata di ogni singolo capitolo. Però, spinto dalla curiosità delle recensioni precedenti alla mia, ne ho preso visione, giusto l'altra sera, complice anche il Memorial Box della Yamato Video in tiratura limitata di cui sono entrato in possesso di recente. Reputavo "I cavalieri dello zodiaco" superiore come serie animata per longevità della serie, trama, battaglie e scontri, mitologia, epica, numero e diversificazione delle armature, lirismo del linguaggio e doppiaggio fatto con registro aulico/solenne, fino a prima che vedessi questi OAV. Personalmente ritengo che, per essere apprezzati appieno, vadano visti come ho fatto io, a distanza di venticinque/trent'anni dall'opera televisiva originale che tutti ricordiamo con nostalgia, questo per capirne il profondo significato. Questi cinque episodi del terzo OAV segnano un netto distacco dalla serie televisiva sotto ogni punto di vista: non c'è più azione ma riflessione, non c'è eroismo ma tristezza, c'è maturità e rassegnazione invece di spensieratezza, c'è abbandono invece della forza. Li trovo una perla inaspettata nel panorama dei "Samurai Troopers": degna conclusione una spanna sopra a tutta la serie televisiva. Son contento di averli visti, d'ora in poi mi porterò dietro un ricordo molto più profondo di questa serie rispetto a quando ero un ragazzino.
Non entro nel merito delle scelte fatte dagli autori e sceneggiatori in merito alle animazioni riciclate, che nel mio caso specifico trovo utili e funzionali a chi magari non ha tempo di vedersi tutti e trentanove gli episodi della serie TV canonica. Discutibile o no, la seconda parte di ogni OAV prende decisamente una piega triste e malinconica. Mi ero ripromesso di guardarne solo uno e poi abbandonare la visione, spinto da un'osservazione un po' superficiale: mi aspettavo scontri, lotte, nemici, nuove armature, ma quello che alla fine dei cinque capitoli ho capito di avere visto, per fortuna, era molto di più delle aspettative. Sebbene non ci sia nemmeno un combattimento, non l'ho trovato una pecca, anzi, meno combattimenti e più dialoghi e riflessioni per sottolineare il distacco sotto tutti i punti di vista, specialmente temporale, dagli OAV precedenti, e segnare la maturità dei protagonisti anche e soprattutto attraverso il tratto del disegno. Quello che ho trovato guardando tutti questi cinque episodi è, come da titolo dell'opera, un messaggio, un monito, non da poco. Questo cattivo femminile ambiguo che appare all'improvviso nel luogo dove anni prima si consumò la sua tragedia familiare forgia sul posto cinque armature, inondandole di odio, rancore e risentimento, e ribalta in poco tempo tutta la visione ottimistica sui personaggi idolatrati nella serie televisiva (uno su tutti, Kaosu/Ariel), porta via certezze una ad una, riesce ad attirare a sé e portare i cinque ragazzi esattamente allo stremo delle forze fisiche e psicologiche, strappandoli ben presto dalla vita di tutti i giorni, esattamente come accadde a lei secoli prima. Non si riesce a provare odio nei confronti di questo cattivo, a differenza dei vari Arago e compagnia bella che non erano altro se non l'incarnazione del male; stavolta il villain è molto ben caratterizzato psicologicamente, al pari se non di più dei cinque ragazzi protagonisti.
La sigla finale poi è veramente di uno struggente unico, a cominciare dalla scelta delle musiche, azzeccatissime: una ballata malinconica cantata da una dolcissima voce femminile; la scelta sapiente e inquietante di colori e la quasi totale assenza di animazione in favore di fotogrammi mi riportavano vagamente alla memoria quella bellissima sigla di "Lady Oscar" (l'originale, non quella apparsa in TV) per le emozioni che mi ha suscitato. Se guardata attentamente, la sigla di chiusura fa capire (se possibile ancora di più della narrazione attraverso l'animazione) il passato di questo "cattivo", dalla nascita in braccio ai genitori in un prato di un tipico giardino giapponese e via via verso la fanciullezza, poi l'adolescenza e la giovinezza fino a pochi istanti prima della catastrofe della guerra. Non l'ho mai saltata, perché non riuscivo, mi sembrava di mancare di rispetto, come saltare le pagine di un libro, ho sempre assistito alla visione integrale alla fine di ogni capitolo di questo terzo OAV.
Ogni samurai cui è dedicato un episodio viene adescato con maniere diverse: Toma/Kimo viene fatto rivestire dell'armatura con la forza dopo una prova di coraggio; Shin/Simo attraverso l'inganno sceglie spontaneamente e disperatamente di rivestire i panni dell'armatura ancora una volta, sperando che sia l'ultima, vittima di una allucinazione (negli OAV precedenti già in più occasioni si era stancato di combattere e si era ribellato al potere dell'armatura, rinunciandovi e abbandonandola per sempre in un lago); Xiu/Shido cerca il suicidio, una volta intuito il potere malvagio delle armature che sta ritornare, ma viene salvato a un metro da terra da questa sacerdotessa/spirito e rivestito dell'armatura, mentre cerca di capirne la provenienza e l'attitudine, attratto verso quello che sarà il loro ultimo teatro di battaglia; Seiji/Sami viene supplicato più volte di indossare l'armatura e alla fine cede, forse intuendo che gli amici han fatto la stessa fine, e forse per poterli rivedere un'ultima volta. Nella seconda parte di ogni OAV, quando la narrazione riassuntiva degli eventi lascia spazio ai nuovi eventi, un senso quasi di inquietudine e terrore pervade lo spettatore, quando appare Suzunagi, contornata dalle musiche di accompagnamento, perché i minuti a disposizione per l'episodio stanno per finire e si capisce che di lì a poco lo sfortunato martire di turno cadrà intrappolato per sempre nelle trame del cattivo, che poi tanto cattivo non è, perché alla fine la si vede piangere di fronte al suo operato quasi compiuto del tutto, quando manca ancora un samurai all'appello nella sua maledetta "collezione". Ryo, dopo aver ascoltato i messaggi dei suoi compagni in segreteria telefonica, dopo una notte quasi insonne accetta spontaneamente di recarsi sul posto dove tutto ebbe inizio, per porre fine a tutto. Ma non combattendo, bensì facendosi rivestire in maniera del tutto passiva e inerme, quasi addirittura accondiscendente, dell'armatura a lui dedicata, dopo aver visto i suoi compagni di dis(avventura) tramutati in spiriti intrappolati per sempre dalle nuove armature. Richiamando così un'ultima volta l'armatura dell'imperatore, il volere di Suzunagi si compie, almeno in apparenza.
Discorso a parte meritano le armature: disegnate benissimo, ancora più intriganti delle originali, ma maledettamente perverse. Se nella serie TV non si vedeva l'ora che i cinque samurai le indossassero, 'per fare il culo' ai cattivi di turno, qua alle armature viene dato poco spazio, solo gli ultimi tristissimi fotogrammi di ogni OAV e giusto un paio di minuti alla fine del quinto. E non si ha più voglia di vedere i samurai rivestiti di cotanta potenza, perché è proprio questa potenza la loro maledizione, la morte è la loro attitudine. Anzi, quando il samurai si riveste della sua armatura è un momento bruttissimo e tristissimo, da pugno nello stomaco, come se si andasse al patibolo ingiustamente condannati, sacrificandosi per una giusta causa. Momento al quale viene dedicata la fine di ogni OAV: lì si raggiunge il culmine del climax. Viene quasi voglia di dire: "No, non farlo, non indossarla, scappa finché sei in tempo!", ma ormai è troppo tardi. Lacrime scendono dai loro occhi una volta indossate le nuove armature, il loro destino di guerrieri borderline, al confine tra dei e demoni, è segnato da tempo, scritto sulle pagine di un copione teatrale di un'opera andata in scena secoli prima ad opera di un veggente/visionario.
Ed è proprio questo che secondo me è message: un'opera teatrale inscenata magistralmente e da visionare almeno una volta, perché merita, sebbene presentata e proposta sotto forma di animazione. Un'opera quindi da non sottovalutare, che va a riscrivere una pagina già di per sé triste di storia dei samurai nipponici, ed entra di diritto nella top ten delle migliori opere di animazione giapponesi per profondità di valori e messaggio trasmesso. Tutto questo secondo la mia modesta opinione, ci tengo a precisarlo.
Avendo già 'spoilerato' tanto sulla trama, non voglio andare oltre e parlare del finale, soprattutto nei riguardi di chi non l'ha ancora visto, ma mi sento di consigliarne e apprezzarne la visione a distanza di trent'anni dall'opera canonica, perché la ritengo una degna conclusione quasi "monumentale" di una saga storica. Per chi ha voglia di emozioni forti, è un po' come vedere il film "A 30 secondi dalla fine" dell' '85, interpretato magistralmente da Jon Voight ed Eric Roberts, dove l'azione frenetica seppur presente (rappresentata da un treno in corsa fuori controllo che semina ovunque disastri a ripetizione) riesce a cedere il passo all'introspezione psicologica dei personaggi, e alla fine si comprende che anche il più cattivo dei cattivi, paragonato da tutta la società a una bestia senza pietà, in fondo non lo è, anzi. A volte son più cattivi i buoni.
Da guardare se si è a caccia di emozioni forti che possono scombussolare, in periodi della vita in cui va tutto bene. Se lo guardate in momenti tristi, magari non è il massimo della vita, consiglio la visione se è un periodo in cui vi va tutto bene, in modo da prenderlo come una iniezione temporanea, uno scossone. Contento e felice di possedere questo piccolo gioiello nella mia modesta collezione di anime.