Recensione
La Principessa Splendente
10.0/10
Avete presente quando leggete qualcosa di così tremendamente bello che temete quasi di parlarne? Da un lato perché non sapete nemmeno se esistano parole capaci di trasmetterne la bellezza e dall’altro perché siete quasi gelose dei sentimenti che vi ha suscitato? Ecco, è questo che provo in questo momento.
Per me la Principessa Splendente è come il Montecristo dei manga, perché ha tutto: amore, amicizia, odio, vendetta, avventura, azione, mystery, con l’aggiunta, rispetto alla sua controparte Dumasiana, di contenuti fantascientifici, leggendari e horror. Detto così, a chiunque non l’avesse letto verrebbe da pensare che sia impossibile amalgamare tutti questi elementi in una storia coerente. Ebbene, quest’opera è la prova vivente che non solo è possibile, ma che si può farlo con una grazia, un’eleganza e lucidità che rasentano la perfezione. La Shimizu infatti riesce a intessere una storia in continua evoluzione, dove nel momento in cui si crede di aver capito il fulcro del tutto, ecco un colpo di scena, una nuova informazione o un nuovo personaggio che ribalta completamente la prospettiva, che aggiunge un piccolo mistero e nuovi quesiti, e continua a tenerci così sul filo della curiosità e della sorpresa. Il tutto con una logica eccezionale, che riesce a rendere realistico anche lo scenario più incredibile. È indubbio che l’autrice avesse le idee assolutamente chiare fin dall'inizio, altrimenti non sarebbe mai riuscita ad imbastire una storia dove tutto, anche il più piccolo frammento dimenticato, torna. Ma insieme alla trama avvincente riesce anche a comporre una grandissima introspezione e caratterizzazione dei personaggi, se non dell’umanità stessa, sollevando questioni etiche ed esistenziali sia inquietanti che affascinanti. In più punti della lettura mi sono ritrovata a socchiudere il volumetto e a fare una piccola pausa di elogio constatando: “Questa donna è un genio.”
È un’opera che, se in Giappone ha avuto un buon successo, in Italia è stata decisamente sottovalutata e apprezzata solo da una piccola nicchia di lettori, seppur molto affezionata. In realtà questo non mi dispiace del tutto: il fatto che siamo stati in pochi ad amarla profondamente me la rende ancora più preziosa, mi fa sentire parte di qualcosa di segreto e speciale. Al tempo stesso mi sento anche orgogliosa che uno shojo del genere sia arrivato da noi, visto che si discosta nettamente dagli stereotipi di cui soffre il genere, per cui quando si dice “shojo” si pensa subito alla storiellina d’amore. Io sono una che, per quanto possa apprezzare la componente sentimentale, tende a preferirla quando è inserita in un contesto più vasto, dove la protagonista e i personaggi non vivono solo in funzione degli inciuci amorosi (ugh). Anzi, mi piace la tematica dell’amore quando viene trattata nelle sue diverse forme, quindi non solo romantiche, ma anche di amicizia, solidarietà, affetto, e nelle sue diverse connotazioni, sia positive che negative. Senza contare la mia predilezione per storie dove vengono scalzati bellamente i cosiddetti “ruoli di genere”, sia quelli maschili che femminili, che ormai non si possono proprio più vedere, tanto meno leggere. E la Principessa, già solo per queste due cose, mi ha soddisfatto in pieno.
Un po’ però mi sorprende che per quanto ci si lamenti della stagnosità degli shojo portati in Italia, un titolo valido come questo, che dimostra pienamente come il panorama del fumetto per ragazze sia molto variegato e tocchi vertici di altissima qualità, sia stato così allegramente snobbato. Mi piacerebbe quindi provare ad ipotizzare alcune delle motivazioni che possono aver causato questa indifferenza, con le quali, al contempo, potete farvi anche un’idea di cosa abbiamo tra le mani.
Al di là delle solite motivazioni di gusti e mica gusti, e quelle più pratiche (come la vendita solo in fumetteria e una pubblicazione che da un certo punto in poi ha assunto tempi talmente dilatati che avrebbe fatto passare la voglia pure a Matusalemme di proseguirla) credo che il motivo principale che ha portato molti a non prendere questa serie neanche in considerazione sia questo: non si riesce ad inquadrarla.
Il fatto che a prima vista sia un manga non definibile ha portato perfino la sottoscritta a snobbarlo per tanti anni e a chiedersi di che accidenti in effetti parlasse. Infatti, se si legge solo l’accenno di trama proposto dall’editore, si pensa che la storia verta su una “misteriosa isola” e una protagonista che ha un rapporto morboso con la propria madre adottiva (basta vedere quanto scritto qui su AC come trama e le poche tavole proposte: se ci si ferma solo a queste, infatti, sembra quasi si tratti di una storia lesbica con la presenza non ben specificata di una tizia in divisa – Maggie!) Il punto è che è praticamente impossibile delineare una trama di quest’opera senza incorrere in spoiler, proprio perché, sebbene si inizi proprio con Akira e la sua “particolare” situazione familiare, quella è solo l’estrema punta di un iceberg ben più complesso che impone la sua presenza già nel corso del primo volume (sebbene io reputi sia il primo che il secondo volume puramente introduttivi, il via vero e proprio avviene dal terzo in poi; lì si viene belli che rapiti dalla storia e ciaone!). Senza contare che poi assumerà una forma quasi corale, dando il giusto spazio a tutti i personaggi coinvolti; alle loro vicissitudini, ai loro pensieri, ai loro sentimenti. Insomma, vista da fuori è un’opera enigmatica, l’unico modo per capire veramente cosa sia Kaguya Hime è semplicemente leggerla; nessuna introduzione può renderle lontanamente giustizia.
Inoltre - e questo potrebbe essere il secondo motivo per cui sia stata calcolata così poco - non è una storia facile-facile da letturina della domenica pomeriggio. Ha una trama intricata, con tanti personaggi ed elementi in gioco, e per seguire bene il filo della storia (figuriamoci poi cogliere tutti i dettagli!) è necessaria una lettura attenta. La quale, ovviamente, viene da sé se ci si appassiona al tutto, ma mi rendo conto che per chi è in cerca di qualcosa di “leggero”, che intrattenga senza far pensare più del dovuto, questo manga di 28 volumi belli intensi e talvolta cervellotici possa non essere l’ideale (e non per sminuire le letture di puro intrattenimento, io stessa ne faccio parecchie per staccare la spina – ma poi quando mi capitano manga così complessi e ben gestiti come la Principessa, lì oltre allo scervellamento mi scatta pure l’ossessione!) Infatti, pur essendoci una trama lineare, l’autrice dissemina nel corso della storia piccoli misteri, introducendo talvolta in anticipo scene, informazioni o dettagli che troveranno la propria spiegazione solo più in là – e questo è il punto forte di questa serie, che è un arazzo i cui fili sono intessuti con minuzia, ma di cui si capisce e apprezza il disegno solo a lavoro inoltrato, se non finito.
Oltre a ciò, potrebbe essere considerata anche una lettura “forte” da alcuni, data la presenza di tematiche a volte morbose e alcune situazioni violente e tragiche. Però sono sempre gestite con una tale eleganza, sia dal punto di vista dei disegni che dei dialoghi, che difficilmente possono risultare disturbanti. Senza contare che c’è anche una buona dose di comicità, la Shimizu riesce ad amalgamare magistralmente il contenuto drammatico e quello più spensierato, donando momenti dove è veramente difficile non scoppiare a ridere.
L’ultima motivazione che attribuisco a questo indecoroso bistrattamento, che in realtà mi è stata suggerita da vari commenti sull’opera trovati in Internet mentre spulciavo tutto lo spulciabile su Kaguya Hime (“vari” per dire, perché le discussioni circa questo manga, anche a livello internazionale, sono assai poche!) può riguardare la presenza di contenuto shounen-ai e shoujo-ai nella storia. Per me è difficile analizzare questo punto perché penso che l’amore sia amore e se una storia mi piace ed è gestita bene poco importa che sia tra ragazzo/ragazzo, ragazza/ragazza o ragazzo/ragazza (e nella Principessa sono presi in considerazione tutti e tre). Anche se devo dire che tendo a preferire le storie d’amore un po’ atipiche, quelle che cadono nei soliti stereotipi soprattutto di genere un po’ mi fanno venire il latte alle ginocchia (quindi forse è anche per questo che manga come questo mi garbano parecchio, perché sovvertono tali cliché.) In questo caso il contenuto shojo-ai e shounen-ai è del tutto integrato alla storia, quindi non è buttato lì a caso solo per far scattare il colpo di scena (come succede in diversi manga, vedi “Desiderio” per citarne uno) o per il solito fanservice/contentino estemporaneo per lettrici di stampo fujoshi. Insomma, senza di esso la Principessa Splendente non sarebbe la Principessa Splendente.
Rappresenta l’amore in tutte le sue variegate sfaccettature, da quelle più morbose, sordide, di dipendenza quasi atavica, a quelle più pure, struggenti e delicate, ed è un amore che spesso trascende semplicemente i generi. Come la stessa Shimizu afferma nei suoi free-talk è affascinata lei stessa da certe tematiche (del resto lo si capisce guardando anche altre sue opere), e mi ha fatto davvero un immenso piacere vedere che ha dedicato loro la giusta attenzione. Anzi, certi rapporti, ben visibili fin dai primi volumi, sono stati la scintilla che mi ha portato a innamorarmi di quest’opera, data anche la loro particolarità. Ma tutti i legami in ballo sono riusciti ad emozionarmi, grazie alla loro intensità e al fatto che ognuno di essi sia stato connotato in maniera diversa. È interessante poi che nel corso della storia si siano create diverse “coppie/accoppiate” (spesso del tutto inaspettate), ognuna di loro connessa da un forte sentimento. Che sia di amore, o di grande amicizia, o di immensa stima e devozione o addirittura di dipendenza e attrazione soffocante: ognuno di essi è reso nelle sue diverse declinazioni, e interessa sia ragazzi che ragazze.
Credo proprio che sia l’unico shojo che ho letto finora a inglobare nella storia certe componenti dando loro il giusto spazio. Infatti mi stupisce un po’ non vedere tra le sue categorie qui su AC anche quelle shoujo-ai e shounen-ai, visto che sono appunto intrinseche alla storia stessa e una volta tanto sono trattate come si deve.
Se non si è già capito fino a qui, ve lo dico: ho amato veramente tutto di questo manga (non si era capito, eh?). Dalla storia, che mi ha coinvolto dall’inizio alla fine, sia a livello razionale che emotivo, con la sua capacità di tenermi sul filo della suspense e sorprendermi ogni volta (anche quando credi di aver intuito il colpo di scena in arrivo e di aver preso l’autrice nel sacco, appena si verifica, o è completamente diverso da ciò che avevi pensato o, anche se effettivamente avviene ciò che hai predetto e gongoli per la tua grande perspicacia, ecco che lei riesce a ribaltarlo presentandotelo da una prospettiva del tutto nuova che non avresti mai saputo individuare – insomma, lo dico ancora, questa donna è un genio!), ai personaggi, a cui mi sono affezionata tantissimo, e che hanno avuto un’evoluzione fenomenale nel corso della storia (se qualcuno mi avesse detto a inizio serie che sarei finita ad amare anche un personaggio come Mamoru non ci avrei mai creduto!) ai disegni, che racchiudono uno stile sia “classico” che moderno, facendo trasparire sia una grazia un po’ agé che una precisione ed espressività straordinarie (sono rimasta incantata soprattutto da certi abbracci – in alcuni passaggi dovevo fermarmi a mirare e rimirare la stessa tavola per imprimermela nel cuore, da quanto fosse bella.)
Oltre a tutto ciò, ho trovato una perfetta sintonia proprio con l’autrice stessa: sia con la sua ironia (i momenti comici erano comici davvero per me, scoppiavo proprio a ridere), sia col suo senso del drammatico (certe scene mi hanno davvero commosso profondamente), con la sua eleganza nel trattare anche gli argomenti più scomodi, e con l’attenzione che ha dato a certi personaggi e alle loro relazioni - così come li ho amati io, si vede che li ha amati tantissimo anche lei. (Poi, vabbè, mi cita pure Buffy l’Ammazzavampiri in uno dei free-talk finali con tanto di disegnino di Spike, lì ho proprio pensato che fossimo state separate alla nascita!)
Confesso che è stato straziante chiudere l’ultimo volumetto di questa serie. Nell'arco di 48 ore ho veramente passato in progressione tutte le fasi del “lutto” da serie del cuore finita: rifiuto (“No! Non può essere finito!”), rabbia (“Perché?! Perché doveva succedere questo?!”), depressione (le lacrime mi scendevano da sole quando pensavo e ripensavo quasi fino allo sfinimento a certi personaggi o alla storia), tristezza (mi ritrovavo con lo sguardo perso nel vuoto e una stretta al cuore senza nemmeno accorgermene - va bene, detto così sembro una psicolabile, ma la verità, ahimè, è innegabile e non me ne vergogno!) e poi, infine, l’accettazione. Nel momento in cui ho smesso di pensare quasi ossessivamente alle cose successe nella storia e al senso di distacco che provavo, e mi sono imposta di assumere un’altra prospettiva - come d’altronde la Shimizu ha fatto più volte nel corso della sua opera - è come se dentro di me qualcosa fosse scattato e il cuore mi si è spalancato: ho iniziato a vedere certe cose in un altro modo, a cogliere le tematiche esistenziali e positive che a primo acchito avevo lasciato in secondo piano (come il fatto che tutto sia passeggero, o l’amore romantico che si differenzia dall’amore assoluto verso una persona che si reputa parte di sé) e non so come, davvero, mi sono ritrovata a sorridere. E, ancora una volta, a pensare: “Niente da fare, questa donna è un genio.” È una storia talmente completa e perfetta da far quasi male.
Mi sono anche scervellata per cercare di “demolire” certe parti della storia, ma anche quelle che alla fine mi avevano fatto dubitare, nel riprendere in mano certi volumetti, ecco che trovavo la risposta. Niente da fare, la Shimizu non si gabba proprio. Credo sia per questo che l’impatto emotivo nei miei confronti sia stato così forte: la storia e gli avvenimenti sono pressoché inconfutabili. Mi spiego meglio: in tantissimi manga quando avvengono degli stravolgimenti “sconvolgenti” spesso li si intuisce in anticipo (quindi è ovvio che l’impatto emotivo generato venga poi attutito) oppure sono talmente assurdi e campati per aria che è la loro stessa inverosimiglianza a renderli di basso impatto. Ma nel caso della Principessa, non solo tutti questi “colpi” sono inaspettati, ma sono anche talmente giustificati e dotati di logica che li rendono di un realismo pazzesco.
L’unico “problema” di manga di questo tipo è che arrivano davvero quasi ad ossessionarti e alienarti, per quanto ti prendono. Diventano una vera e propria fissazione nel corso della lettura, per non parlare poi di quando lo si conclude; è come se il respiro venisse a mancare e il cuore venisse strappato via dal petto, il tutto nell’incredulità di realizzare che è finito. E via col lutto da separazione. Sono poche le opere che sortiscono questo effetto, credo che nella carriera di ogni mangofilo si possano contare sulle dita di una mano (magari di due, se si è fortunati) ma è proprio per questo che risultano così speciali, sebbene arrivino a straziarti il cuore e a farti quasi stare male per quanto ti abbiano coinvolto.
Se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, probabilmente mi sarebbe piaciuto tantissimo avere le stesse parti approfondite dedicate al passato di certi personaggi anche per altri. In realtà la caratterizzazione di tutti è pressoché perfetta, aiutata anche per quelli più “minori” da piccoli flashback e da piccole cose che si deducono dai dialoghi. Quindi questo è più un mio capriccio, proprio perché mi ci sono affezionata da morire e avrei scavato nelle esistenze di tutti a più non posso.
Mi conforta il fatto che la Goen abbia deciso di pubblicare Himitsu, altra opera di successo (in patria, ovvio!) della Shimizu. Per ora ho già ordinato il primo volume e non vedo l’ora di rituffarmi in qualcosa di questa autrice, non sto letteralmente più nella pelle (poi vabbè, che il protagonista somigli a quello che era forse il mio preferito nella Principessa è del tutto causale… eh, sì… lo so, ho amato TUTTI, però LUI… LUI è lui. O non è lui? Sì che è lui.)
Sulle note delle mie ultime baggianate chiudo questo immenso papiro, che più che una recensione ha inglobato il marasma di pensieri ed emozioni che mi ha suscitato quest’opera (e manco tutti… per fortuna, direte voi!). Se volete avvicinarvi a questa serie ma non sapete bene se faccia per voi, come dicevo all’inizio (qualcosa come 10.000 eoni di parole fa) è un manga che per capire se piace o meno si deve per forza leggerlo - non è affidabile basarsi sulle sensazioni a priori, quindi vi suggerisco di recuperare almeno i primi 3 volumetti. Se vedete che vi piace, vi consiglio però di prendere direttamente tutta la serie completa anziché sfusa, perché trovare gli ultimi volumi può diventare una vera e propria epopea (lo dico per esperienza, visto che se i primi 20 volumi li trovai anni fa senza difficoltà, per recuperare gli ultimi 8, soprattutto il 27 e il 28, ho dovuto penare non poco!) Apprezzo davvero che nonostante le vendite basse la Planet l’abbia portata a termine, perché si è guadagnata davvero un posto tra le poche serie elette mie preferite. Spero caldamente che arrivino da noi altri shojo simili, perché ci permettono davvero di prendere fiato dall'orda di manga pieni di cliché che circolano.
Ad ogni modo, se la Principessa vi piacerà, sarete i benvenuti nella piccolissima nicchia di estimatori della Shimizu che si trova sul cucuzzolo lunare; in caso contrario, vi vorremo bene lo stesso. Per quanto riguarda me, custodirò quest’opera gelosamente nel mio cuore, oltre che sull’anelatissimo e stipatissimo scaffale della mia libreria, su cui trovano ormai posto solo le opere da tenere per la vita, in attesa di far passare diverse notti di luna, per potermi immergere di nuovo in questa storia meravigliosa e tornare ad abbracciare tutti loro.
(Smielataggine portami via… ma la amo, la amo davvero tantissimo!)
Per me la Principessa Splendente è come il Montecristo dei manga, perché ha tutto: amore, amicizia, odio, vendetta, avventura, azione, mystery, con l’aggiunta, rispetto alla sua controparte Dumasiana, di contenuti fantascientifici, leggendari e horror. Detto così, a chiunque non l’avesse letto verrebbe da pensare che sia impossibile amalgamare tutti questi elementi in una storia coerente. Ebbene, quest’opera è la prova vivente che non solo è possibile, ma che si può farlo con una grazia, un’eleganza e lucidità che rasentano la perfezione. La Shimizu infatti riesce a intessere una storia in continua evoluzione, dove nel momento in cui si crede di aver capito il fulcro del tutto, ecco un colpo di scena, una nuova informazione o un nuovo personaggio che ribalta completamente la prospettiva, che aggiunge un piccolo mistero e nuovi quesiti, e continua a tenerci così sul filo della curiosità e della sorpresa. Il tutto con una logica eccezionale, che riesce a rendere realistico anche lo scenario più incredibile. È indubbio che l’autrice avesse le idee assolutamente chiare fin dall'inizio, altrimenti non sarebbe mai riuscita ad imbastire una storia dove tutto, anche il più piccolo frammento dimenticato, torna. Ma insieme alla trama avvincente riesce anche a comporre una grandissima introspezione e caratterizzazione dei personaggi, se non dell’umanità stessa, sollevando questioni etiche ed esistenziali sia inquietanti che affascinanti. In più punti della lettura mi sono ritrovata a socchiudere il volumetto e a fare una piccola pausa di elogio constatando: “Questa donna è un genio.”
È un’opera che, se in Giappone ha avuto un buon successo, in Italia è stata decisamente sottovalutata e apprezzata solo da una piccola nicchia di lettori, seppur molto affezionata. In realtà questo non mi dispiace del tutto: il fatto che siamo stati in pochi ad amarla profondamente me la rende ancora più preziosa, mi fa sentire parte di qualcosa di segreto e speciale. Al tempo stesso mi sento anche orgogliosa che uno shojo del genere sia arrivato da noi, visto che si discosta nettamente dagli stereotipi di cui soffre il genere, per cui quando si dice “shojo” si pensa subito alla storiellina d’amore. Io sono una che, per quanto possa apprezzare la componente sentimentale, tende a preferirla quando è inserita in un contesto più vasto, dove la protagonista e i personaggi non vivono solo in funzione degli inciuci amorosi (ugh). Anzi, mi piace la tematica dell’amore quando viene trattata nelle sue diverse forme, quindi non solo romantiche, ma anche di amicizia, solidarietà, affetto, e nelle sue diverse connotazioni, sia positive che negative. Senza contare la mia predilezione per storie dove vengono scalzati bellamente i cosiddetti “ruoli di genere”, sia quelli maschili che femminili, che ormai non si possono proprio più vedere, tanto meno leggere. E la Principessa, già solo per queste due cose, mi ha soddisfatto in pieno.
Un po’ però mi sorprende che per quanto ci si lamenti della stagnosità degli shojo portati in Italia, un titolo valido come questo, che dimostra pienamente come il panorama del fumetto per ragazze sia molto variegato e tocchi vertici di altissima qualità, sia stato così allegramente snobbato. Mi piacerebbe quindi provare ad ipotizzare alcune delle motivazioni che possono aver causato questa indifferenza, con le quali, al contempo, potete farvi anche un’idea di cosa abbiamo tra le mani.
Al di là delle solite motivazioni di gusti e mica gusti, e quelle più pratiche (come la vendita solo in fumetteria e una pubblicazione che da un certo punto in poi ha assunto tempi talmente dilatati che avrebbe fatto passare la voglia pure a Matusalemme di proseguirla) credo che il motivo principale che ha portato molti a non prendere questa serie neanche in considerazione sia questo: non si riesce ad inquadrarla.
Il fatto che a prima vista sia un manga non definibile ha portato perfino la sottoscritta a snobbarlo per tanti anni e a chiedersi di che accidenti in effetti parlasse. Infatti, se si legge solo l’accenno di trama proposto dall’editore, si pensa che la storia verta su una “misteriosa isola” e una protagonista che ha un rapporto morboso con la propria madre adottiva (basta vedere quanto scritto qui su AC come trama e le poche tavole proposte: se ci si ferma solo a queste, infatti, sembra quasi si tratti di una storia lesbica con la presenza non ben specificata di una tizia in divisa – Maggie!) Il punto è che è praticamente impossibile delineare una trama di quest’opera senza incorrere in spoiler, proprio perché, sebbene si inizi proprio con Akira e la sua “particolare” situazione familiare, quella è solo l’estrema punta di un iceberg ben più complesso che impone la sua presenza già nel corso del primo volume (sebbene io reputi sia il primo che il secondo volume puramente introduttivi, il via vero e proprio avviene dal terzo in poi; lì si viene belli che rapiti dalla storia e ciaone!). Senza contare che poi assumerà una forma quasi corale, dando il giusto spazio a tutti i personaggi coinvolti; alle loro vicissitudini, ai loro pensieri, ai loro sentimenti. Insomma, vista da fuori è un’opera enigmatica, l’unico modo per capire veramente cosa sia Kaguya Hime è semplicemente leggerla; nessuna introduzione può renderle lontanamente giustizia.
Inoltre - e questo potrebbe essere il secondo motivo per cui sia stata calcolata così poco - non è una storia facile-facile da letturina della domenica pomeriggio. Ha una trama intricata, con tanti personaggi ed elementi in gioco, e per seguire bene il filo della storia (figuriamoci poi cogliere tutti i dettagli!) è necessaria una lettura attenta. La quale, ovviamente, viene da sé se ci si appassiona al tutto, ma mi rendo conto che per chi è in cerca di qualcosa di “leggero”, che intrattenga senza far pensare più del dovuto, questo manga di 28 volumi belli intensi e talvolta cervellotici possa non essere l’ideale (e non per sminuire le letture di puro intrattenimento, io stessa ne faccio parecchie per staccare la spina – ma poi quando mi capitano manga così complessi e ben gestiti come la Principessa, lì oltre allo scervellamento mi scatta pure l’ossessione!) Infatti, pur essendoci una trama lineare, l’autrice dissemina nel corso della storia piccoli misteri, introducendo talvolta in anticipo scene, informazioni o dettagli che troveranno la propria spiegazione solo più in là – e questo è il punto forte di questa serie, che è un arazzo i cui fili sono intessuti con minuzia, ma di cui si capisce e apprezza il disegno solo a lavoro inoltrato, se non finito.
Oltre a ciò, potrebbe essere considerata anche una lettura “forte” da alcuni, data la presenza di tematiche a volte morbose e alcune situazioni violente e tragiche. Però sono sempre gestite con una tale eleganza, sia dal punto di vista dei disegni che dei dialoghi, che difficilmente possono risultare disturbanti. Senza contare che c’è anche una buona dose di comicità, la Shimizu riesce ad amalgamare magistralmente il contenuto drammatico e quello più spensierato, donando momenti dove è veramente difficile non scoppiare a ridere.
L’ultima motivazione che attribuisco a questo indecoroso bistrattamento, che in realtà mi è stata suggerita da vari commenti sull’opera trovati in Internet mentre spulciavo tutto lo spulciabile su Kaguya Hime (“vari” per dire, perché le discussioni circa questo manga, anche a livello internazionale, sono assai poche!) può riguardare la presenza di contenuto shounen-ai e shoujo-ai nella storia. Per me è difficile analizzare questo punto perché penso che l’amore sia amore e se una storia mi piace ed è gestita bene poco importa che sia tra ragazzo/ragazzo, ragazza/ragazza o ragazzo/ragazza (e nella Principessa sono presi in considerazione tutti e tre). Anche se devo dire che tendo a preferire le storie d’amore un po’ atipiche, quelle che cadono nei soliti stereotipi soprattutto di genere un po’ mi fanno venire il latte alle ginocchia (quindi forse è anche per questo che manga come questo mi garbano parecchio, perché sovvertono tali cliché.) In questo caso il contenuto shojo-ai e shounen-ai è del tutto integrato alla storia, quindi non è buttato lì a caso solo per far scattare il colpo di scena (come succede in diversi manga, vedi “Desiderio” per citarne uno) o per il solito fanservice/contentino estemporaneo per lettrici di stampo fujoshi. Insomma, senza di esso la Principessa Splendente non sarebbe la Principessa Splendente.
Rappresenta l’amore in tutte le sue variegate sfaccettature, da quelle più morbose, sordide, di dipendenza quasi atavica, a quelle più pure, struggenti e delicate, ed è un amore che spesso trascende semplicemente i generi. Come la stessa Shimizu afferma nei suoi free-talk è affascinata lei stessa da certe tematiche (del resto lo si capisce guardando anche altre sue opere), e mi ha fatto davvero un immenso piacere vedere che ha dedicato loro la giusta attenzione. Anzi, certi rapporti, ben visibili fin dai primi volumi, sono stati la scintilla che mi ha portato a innamorarmi di quest’opera, data anche la loro particolarità. Ma tutti i legami in ballo sono riusciti ad emozionarmi, grazie alla loro intensità e al fatto che ognuno di essi sia stato connotato in maniera diversa. È interessante poi che nel corso della storia si siano create diverse “coppie/accoppiate” (spesso del tutto inaspettate), ognuna di loro connessa da un forte sentimento. Che sia di amore, o di grande amicizia, o di immensa stima e devozione o addirittura di dipendenza e attrazione soffocante: ognuno di essi è reso nelle sue diverse declinazioni, e interessa sia ragazzi che ragazze.
Credo proprio che sia l’unico shojo che ho letto finora a inglobare nella storia certe componenti dando loro il giusto spazio. Infatti mi stupisce un po’ non vedere tra le sue categorie qui su AC anche quelle shoujo-ai e shounen-ai, visto che sono appunto intrinseche alla storia stessa e una volta tanto sono trattate come si deve.
Se non si è già capito fino a qui, ve lo dico: ho amato veramente tutto di questo manga (non si era capito, eh?). Dalla storia, che mi ha coinvolto dall’inizio alla fine, sia a livello razionale che emotivo, con la sua capacità di tenermi sul filo della suspense e sorprendermi ogni volta (anche quando credi di aver intuito il colpo di scena in arrivo e di aver preso l’autrice nel sacco, appena si verifica, o è completamente diverso da ciò che avevi pensato o, anche se effettivamente avviene ciò che hai predetto e gongoli per la tua grande perspicacia, ecco che lei riesce a ribaltarlo presentandotelo da una prospettiva del tutto nuova che non avresti mai saputo individuare – insomma, lo dico ancora, questa donna è un genio!), ai personaggi, a cui mi sono affezionata tantissimo, e che hanno avuto un’evoluzione fenomenale nel corso della storia (se qualcuno mi avesse detto a inizio serie che sarei finita ad amare anche un personaggio come Mamoru non ci avrei mai creduto!) ai disegni, che racchiudono uno stile sia “classico” che moderno, facendo trasparire sia una grazia un po’ agé che una precisione ed espressività straordinarie (sono rimasta incantata soprattutto da certi abbracci – in alcuni passaggi dovevo fermarmi a mirare e rimirare la stessa tavola per imprimermela nel cuore, da quanto fosse bella.)
Oltre a tutto ciò, ho trovato una perfetta sintonia proprio con l’autrice stessa: sia con la sua ironia (i momenti comici erano comici davvero per me, scoppiavo proprio a ridere), sia col suo senso del drammatico (certe scene mi hanno davvero commosso profondamente), con la sua eleganza nel trattare anche gli argomenti più scomodi, e con l’attenzione che ha dato a certi personaggi e alle loro relazioni - così come li ho amati io, si vede che li ha amati tantissimo anche lei. (Poi, vabbè, mi cita pure Buffy l’Ammazzavampiri in uno dei free-talk finali con tanto di disegnino di Spike, lì ho proprio pensato che fossimo state separate alla nascita!)
Confesso che è stato straziante chiudere l’ultimo volumetto di questa serie. Nell'arco di 48 ore ho veramente passato in progressione tutte le fasi del “lutto” da serie del cuore finita: rifiuto (“No! Non può essere finito!”), rabbia (“Perché?! Perché doveva succedere questo?!”), depressione (le lacrime mi scendevano da sole quando pensavo e ripensavo quasi fino allo sfinimento a certi personaggi o alla storia), tristezza (mi ritrovavo con lo sguardo perso nel vuoto e una stretta al cuore senza nemmeno accorgermene - va bene, detto così sembro una psicolabile, ma la verità, ahimè, è innegabile e non me ne vergogno!) e poi, infine, l’accettazione. Nel momento in cui ho smesso di pensare quasi ossessivamente alle cose successe nella storia e al senso di distacco che provavo, e mi sono imposta di assumere un’altra prospettiva - come d’altronde la Shimizu ha fatto più volte nel corso della sua opera - è come se dentro di me qualcosa fosse scattato e il cuore mi si è spalancato: ho iniziato a vedere certe cose in un altro modo, a cogliere le tematiche esistenziali e positive che a primo acchito avevo lasciato in secondo piano (come il fatto che tutto sia passeggero, o l’amore romantico che si differenzia dall’amore assoluto verso una persona che si reputa parte di sé) e non so come, davvero, mi sono ritrovata a sorridere. E, ancora una volta, a pensare: “Niente da fare, questa donna è un genio.” È una storia talmente completa e perfetta da far quasi male.
Mi sono anche scervellata per cercare di “demolire” certe parti della storia, ma anche quelle che alla fine mi avevano fatto dubitare, nel riprendere in mano certi volumetti, ecco che trovavo la risposta. Niente da fare, la Shimizu non si gabba proprio. Credo sia per questo che l’impatto emotivo nei miei confronti sia stato così forte: la storia e gli avvenimenti sono pressoché inconfutabili. Mi spiego meglio: in tantissimi manga quando avvengono degli stravolgimenti “sconvolgenti” spesso li si intuisce in anticipo (quindi è ovvio che l’impatto emotivo generato venga poi attutito) oppure sono talmente assurdi e campati per aria che è la loro stessa inverosimiglianza a renderli di basso impatto. Ma nel caso della Principessa, non solo tutti questi “colpi” sono inaspettati, ma sono anche talmente giustificati e dotati di logica che li rendono di un realismo pazzesco.
L’unico “problema” di manga di questo tipo è che arrivano davvero quasi ad ossessionarti e alienarti, per quanto ti prendono. Diventano una vera e propria fissazione nel corso della lettura, per non parlare poi di quando lo si conclude; è come se il respiro venisse a mancare e il cuore venisse strappato via dal petto, il tutto nell’incredulità di realizzare che è finito. E via col lutto da separazione. Sono poche le opere che sortiscono questo effetto, credo che nella carriera di ogni mangofilo si possano contare sulle dita di una mano (magari di due, se si è fortunati) ma è proprio per questo che risultano così speciali, sebbene arrivino a straziarti il cuore e a farti quasi stare male per quanto ti abbiano coinvolto.
Se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, probabilmente mi sarebbe piaciuto tantissimo avere le stesse parti approfondite dedicate al passato di certi personaggi anche per altri. In realtà la caratterizzazione di tutti è pressoché perfetta, aiutata anche per quelli più “minori” da piccoli flashback e da piccole cose che si deducono dai dialoghi. Quindi questo è più un mio capriccio, proprio perché mi ci sono affezionata da morire e avrei scavato nelle esistenze di tutti a più non posso.
Mi conforta il fatto che la Goen abbia deciso di pubblicare Himitsu, altra opera di successo (in patria, ovvio!) della Shimizu. Per ora ho già ordinato il primo volume e non vedo l’ora di rituffarmi in qualcosa di questa autrice, non sto letteralmente più nella pelle (poi vabbè, che il protagonista somigli a quello che era forse il mio preferito nella Principessa è del tutto causale… eh, sì… lo so, ho amato TUTTI, però LUI… LUI è lui. O non è lui? Sì che è lui.)
Sulle note delle mie ultime baggianate chiudo questo immenso papiro, che più che una recensione ha inglobato il marasma di pensieri ed emozioni che mi ha suscitato quest’opera (e manco tutti… per fortuna, direte voi!). Se volete avvicinarvi a questa serie ma non sapete bene se faccia per voi, come dicevo all’inizio (qualcosa come 10.000 eoni di parole fa) è un manga che per capire se piace o meno si deve per forza leggerlo - non è affidabile basarsi sulle sensazioni a priori, quindi vi suggerisco di recuperare almeno i primi 3 volumetti. Se vedete che vi piace, vi consiglio però di prendere direttamente tutta la serie completa anziché sfusa, perché trovare gli ultimi volumi può diventare una vera e propria epopea (lo dico per esperienza, visto che se i primi 20 volumi li trovai anni fa senza difficoltà, per recuperare gli ultimi 8, soprattutto il 27 e il 28, ho dovuto penare non poco!) Apprezzo davvero che nonostante le vendite basse la Planet l’abbia portata a termine, perché si è guadagnata davvero un posto tra le poche serie elette mie preferite. Spero caldamente che arrivino da noi altri shojo simili, perché ci permettono davvero di prendere fiato dall'orda di manga pieni di cliché che circolano.
Ad ogni modo, se la Principessa vi piacerà, sarete i benvenuti nella piccolissima nicchia di estimatori della Shimizu che si trova sul cucuzzolo lunare; in caso contrario, vi vorremo bene lo stesso. Per quanto riguarda me, custodirò quest’opera gelosamente nel mio cuore, oltre che sull’anelatissimo e stipatissimo scaffale della mia libreria, su cui trovano ormai posto solo le opere da tenere per la vita, in attesa di far passare diverse notti di luna, per potermi immergere di nuovo in questa storia meravigliosa e tornare ad abbracciare tutti loro.
(Smielataggine portami via… ma la amo, la amo davvero tantissimo!)