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«L’organo genocida», lungometraggio del 2017, è uno dei film che compongono la trilogia di Project Itoh. La regia e la sceneggiatura sono ad opera di Shukō Murase (sua la regia di «Ergo Proxy» e «Gangsta»).

Il romanzo di Project Itoh fa partire la narrazione, ambientata in un presente alternativo fra il 2015 e il 2022, dalla città di Sarajevo, che è devastata dall’esplosione di un ordigno atomico artigianale. Questo attentato è motore di cambiamenti geopolitici su scala mondiale: da un lato i Paesi ricchi e democratici aumentano sempre più la sorveglianza e il controllo sui cittadini per arrivare a una ideale "sicurezza totale", dall’altro Stati poveri che diventano sempre più instabili e scivolano, l’uno dopo l’altro, in sanguinosissime guerre civili.

L’idea, veramente suggestiva, alla base della storia (e a cui fa riferimento il titolo) è che nel cervello umano risieda una sorta di “organo” o “grammatica” dei genocidi, meccanismo che può essere innescato da una sorta di “molla” linguistica: è chiaro che il punto di partenza siano le ipotesi di Noam Chomsky della “grammatica innata”. Il pretesto è inaspettato ed estremamente efficace come espediente narrativo (e il fatto che, ad anni dalla prima formulazione, l’idea di Chomsky sembri essere considerata unanimemente errata dagli esperti del settore, non intacca la bellezza dello spunto).

I personaggi fondamentali sono tre, due uomini e una donna. Una sorta di triangolo. Il protagonista è Clavis Shepard, agente dell'intelligence americana, mentre l’antagonista è un misterioso uomo, John Paul, che sembra essere implicato nell’aumento delle guerre civili su scala mondiale. Il protagonista fa il suo compito, ma è l’antagonista che ho apprezzato di più: John Paul è poco efficace nelle sue analisi geopolitiche, nel prevedere le conseguenze delle sue azioni, stolido nella sua “lotta”. È un cattivo “perché sì”, ma è così efficace nel disgustare che mi è piaciuto!
E poi c’è Lucia Škroupova, personaggio che non ho ben compreso: sembra un po’ fuori luogo e si interroga sulle cose sbagliate.

Il chara design di Red Juice è meno efficace che in «Harmony», e meno accattivante.
Qui la bellezza è soprattutto negli oggetti tecnologici che prendono spunto dai viventi, ad esempio ci sono dei mezzi militari, quasi delle “bare volanti” che, se cadono in acqua, nuotano come cetacei!

«L’organo genocida» è quello che ho più apprezzato nella trilogia: se non è il più bello esteticamente, è decisamente il più interessante a livello di contenuti, il voto finale è un 8,5.