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“Noi non vediamo la realtà, ma la nostra interpretazione della realtà.” ("La paura è una sega mentale" - G.C. Giacobbe - 2010)

"Homunculus" è un film che per me ha rappresentato una sorpresa. Qualcuno potrà obiettare: positiva o negativa? Per me positiva con dei "però".

In primis, non ho letto il manga da cui è tratto il film e, pertanto, al termine della visione non sono riuscito ad afferrare in mondo completo il senso di quanto visto o, perlomeno, non mi è sembrato chiaro cosa volesse trasmettere chi ha diretto e sceneggiato, tratto dal cartaceo scritto di Hideo Yamamoto tra il 2003 e il 2011 in 15 volumi e 166 capitoli.

Il rischio è quello di attribuire all'opera dei significati molto personali. Di per sé è uno dei possibili scopi dell'autore dell'opera, ma essendo il film derivativo dal manga, sorge l'ulteriore dubbio, in merito alla capacità dello sceneggiatore e del regista, di essere riusciti a trasporre nel film gli aspetti, i temi, le atmosfere del manga.

Come ho già anticipato, non potendo valutare la coerenza del film al manga, posso solo immaginare che condensare la mole dell'opera cartacea in due ore di film è veramente difficile, col rischio di omettere dei passaggi salienti e/o travisare, per esigenze di copione, i contenuti dell'opera originale. E pensando al film, qualche dubbio lo nutro, sia per le premesse, sia per lo svolgimento, sia per il finale.

Che cos'è l'"homunculus"? Dal film si arguisce che non si tratta dell'omuncolo secondo le definizioni classiche reperibili normalmente: una sorta "di leggendaria forma di vita creata attraverso l'alchimia. Esso indica, per l'appunto, un essere umano vivente, in miniatura, ma totalmente sviluppato. L'immagine dell'homunculus, già nota dal XIV secolo, è divenuta popolare nell'immaginario collettivo grazie alla letteratura ottocentesca, in particolare grazie al romanzo “Frankenstein”, di Mary Shelley, e al “Faust” di Goethe." (Definizione reperita in rete da nota piattaforma del sapere gratuito).

E quindi ci si potrà chiedere: allora che cos'è l'"homunculus"?

L'impressione che ne ho tratto dal film potrebbe essere che è ciò che il protagonista riesce a vedere, ovvero la rappresentazione dell'oggetto della vista o del soggetto, di colui con il quale riesce a stabilire una sorta di connessione telepatica o empatica. Si potrebbe riassumere nel "riuscire a vedere la realtà con gli occhi (e la conseguente interpretazione) degli altri", vivendone i drammi, i traumi e le questioni irrisolte.

In sé il concetto espresso non significa riuscire a vedere la verità assoluta. Piuttosto, "mutatis mutandis", potrebbe sembrare una sorta di "mindfulness", una modalità per sviluppare una consapevolezza di sé prestando maggior attenzione a ciò che ci circonda, all'influenza delle emozioni e dei sentimenti altrui sui loro comportamenti attraverso una condotta non giudicante in cui si privilegia la capacità di sentire ed esprimere le emozioni.

Per come è sviluppata la trama, tuttavia, lo scopo dell'homunculus non è propriamente positivo come l'ho appena descritto. Il protagonista è Susumu Nakoshi, un fallito che vive ai margini della società nella sua vecchia autovettura come un clochard, con una storia "di dolore" alle spalle che nel film si comprenderà solo verso la fine.

Non entro nel merito nel giudicare il modo in cui sarà possibile per lui raggiungere la visione dell'homunculus: potrebbe risultare un po' disturbante per coloro che sono sensibili alla vista del sangue, ma mi concentro sulla Weltanschauung che permea tutto il film.

Alludo alla critica, neppure tanto velata critica, alla società in cui viviamo, ai "valori" come il consumismo e l'esaltazione dell'immagine vincente, alla prevaricazione e all'estromissione di tutto coloro che non sono coerenti con i valori del sistema. Da "Homunculus" emerge chiaramente che l'ambiente giudica in base alle apparenze e non alla sostanza, a quanto si è (o si vuole essere) realmente rispetto a quello che viene "imposto".

Tuttavia, il focus si sposta anche, e soprattutto, sull'aspetto personale del protagonista e la sua evoluzione: e si scoprirà che lui stesso è stato un epigono del "comune sentire", almeno fino a quando ha avuto successo secondo i valori "vincenti".

"Homunculus" è un film che sembra voglia colpire più sul modo di rappresentare i contenuti che i contenuti stessi. È permeato da un nichilismo e un pessimismo di fondo, ma riconosco che per come la sceneggiatura è sviluppata e narrata, fa emergere in positivo la capacità interpretativa dei due attori che impersonano i due protagonisti.

Il percorso di Susumu Nakoshi, alla scoperta di se stesso e del suo doloroso passato, è reso in modo molto coinvolgente dall'attore Go Nayano. Altrettanto bene è la follia lucida dell'altro protagonista, Manabu Ito, interpretato da Ryo Narita.

Il film, del resto, non ha dei veri e propri momenti morti, man mano che la trama avanza con colpi di scena e flashback, consente di mantenere sempre l'attenzione e la concentrazione molto alta nello spettatore, che si ritrova ad assistere a scene "pulp" e ad affrontare temi psicologici ed etico-filosofici in un modo che mi è sembrato anche curato sotto l'aspetto visivo.

La regia e la sceneggiatura è riuscita nell'impresa di rendere al meglio il vero significato del dramma del protagonista Nakoshi: riuscire a percepire gli "homunculi" delle persone osservate e viverli, e farli propri, come se fossero le proprie questioni irrisolte cui cercherà di porre rimedio, risolvendo e recuperando la memoria dei propri drammi personali che, di volta in volta, vengono portati a risoluzione dal protagonista una volta entrato in contatto con le persone di cui vede gli "homunculi".

"Homunculus", di Takashi Shimizu (già regista di "The Grudge"), mi è sembrato una sorta di viaggio di esplorazione, in salsa fantascientifica, nelle sfumature più noir e oscure dell'anima umana in cui il messaggio ultimo potrebbe essere riassunto in: “Un punto di vista può essere un lusso pericoloso se si sostituisce all'intuizione e alla comprensione.” (H. M. McLuhan)