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Nonostante “Bungo Stray Dogs” rientri a mani basse nella mia personalissima lista di opere che ritengo degne di essere viste almeno una volta nella vita – pensiero maturato al termine della visione delle cinque stagioni che compongono l’anime al momento della stesura di questa recensione, ovvero autunno 2024 –, ero molto indeciso sullo scrivere o meno queste righe, colpa della mia negligenza cronica. L’ispirazione, se così la si può definire, mi è venuta scorrendo le recensioni presenti qui sul sito che, stranamente, sono tutte precedenti alle ultime due stagioni uscite nel 2023. Assistendo a ciò, il mio istinto da autentico paladino della giustizia, alla Suppaman di “Dr. Slump e Arale”, ha avuto la meglio. Il pensiero dell’assenza di una recensione approfondita e attuale di “Bungo Stray Dogs”, ne sono certo, non mi avrebbe fatto dormire la notte e, quindi, animato dalla voglia di far conoscere agli utenti di questo sito un prodotto valido ed entusiasmante, mi sono messo a scrivere.

“Bungo Stray Dogs”, letteralmente "Cani randagi maestri di letteratura" – titolo a dir poco esplicativo, siccome i nomi dei personaggi principali si richiamano alle grandi autorità della letteratura nipponica –, è una serie televisiva animata, tratta dall’omonimo manga scritto da Kafka Asagiri e disegnato da Sango Harukawa, prodotta dallo studio Bones e mandata in onda in Giappone a partire dal dicembre del 2016. Come accennato sopra, l’anime si sviluppa nell’arco di cinque stagioni, quasi tutte composte da dodici episodi, per un totale di sessanta puntate più un OVA che, alla luce di quanto accaduto nell’ultimo cour, non esiterei a definire canonico.

Atsushi Nakajima è stato sbattuto fuori dall'orfanotrofio in cui viveva e ora non ha né cibo né un posto dove dormire. Mentre si trova sul ciglio di un fiume, salva un uomo che ha appena tentato di suicidarsi, il cui nome è Osamu Dazai. Insieme al suo partner Kunikida Doppo, i due fanno parte di un'agenzia di detective davvero particolare, che impareremo a conoscere come Agenzia di Detective Armati. Entrambi sono dotati di poteri soprannaturali e si occupano di casi troppo rischiosi per la polizia o le forze militari. Al momento stanno dando la caccia a una tigre apparsa nell'area recentemente, la quale sembra avere una sorta di connessione con Atsushi. Una volta concluso il caso è chiaro come il destino di Atsushi sia strettamente collegato a quello dei due strambi e antitetici detective.

La storia in sé è alquanto lineare e si concentra sulle gesta dei membri dell’Agenzia di Detective Armati, tutti o quasi esseri umani dotati di poteri speciali. Impegnati in lotte contro altre organizzazioni, come la Port Mafia e la Guild, e coinvolti in prima persona in un attacco terroristico di portata mondiale, i detective sono chiamati di volta in volta a compiere delle grandi imprese, che richiedono impegno e dedizione alla causa. Con il passare degli episodi, si assiste ad un crescendo clamoroso, in cui ogni stagione risulta incredibilmente migliore della precedente, per ciò che viene sceneggiato e come viene raccontato. Sin dalle prime battute, l’anime punta forte sull’espediente narrativo dell’analessi; infatti, non è un caso che le stagioni dalla due alla quattro si aprano tutte con un flashback, ognuno dei quali è dedicato ad uno o più personaggi della storia principale. L’uso di questo procedimento narrativo rappresenta sicuramente uno dei grandi punti di forza dell’opera. Tramite i flashback si impara a conoscere meglio i personaggi, ad empatizzare con loro fino quasi ad entrarci in confidenza, perché in questo modo si arriva a comprendere quali siano le ragioni dietro le loro azioni che, altrimenti, ci sembrerebbero immotivate. Stupendo è stato il flashback su Rampo e il suo primo incontro con il presidente Fukuzawa; molto simpatico quello dedicato al “doppio nero”, Dazai e Chuuya; profondo ed emozionante quello sull’amicizia che lega il trio Ango, Odasaku, Dazai. In questo, risalta tutta la bravura dell’autore del manga di usufruire al meglio di un procedimento narrativo troppo spesso usato e abusato come quello della retrospezione. Altro espediente letterario che trova largamente spazio in “Bungo Stray Dogs”, soprattutto nelle ultime stagioni, è il colpo di scena. La serie si diverte parecchio a spiazzare lo spettatore con delle rivelazioni che hanno dell’assurdo e che, il più delle volte, mi hanno lasciato con la bocca aperta e gli occhi sbarrati. Certo, dopo un po’ che conosci l’opera ci fai la mano e, addirittura, diventa possibile prevedere alcune scelte narrative dell’autore, che comunque non perdono mai la loro potenza e il proprio impatto. Sicuramente, quindi, tra i grandi meriti di “Bungo Stray Dogs” c’è quello di saper raccontare bene le storie nella storia e di saper stupire, entrambe cose tutt’altro che scontate al giorno d’oggi.

Sin dal primo episodio, però, ciò che mi ha colpito di più sono stati i personaggi, il grande, vero punto di forza della serie animata. In particolar modo, sono le interazioni tra gli stessi quelle che restano maggiormente impresse nello spettatore – almeno così è stato per il sottoscritto –, merito questo anche dell’eccellente lavoro svolto dai doppiatori giapponesi, su tutti Mamoru Miyano e Takehito Koyasu, le voci rispettivamente di Osamu Dazai, la vera scheggia impazzita della serie, e Nikolai Gogol, il giullare matto da legare. È nel momento in cui interagiscono tra di loro che i personaggi rivelano la loro vera natura e, soprattutto, permettono allo spettatore di capire quale sia il legame che li unisce. Nonostante non possano stare per troppo tempo nella stessa stanza, Atsushi e Akutagawa sono legati da una forte amicizia-rivalità; a dispetto degli insulti che si scambiano ripetutamente, Dazai e Chuuya formano un grandissimo duo e, sotto sotto, provano anche un forte sentimento d’affetto reciproco; anche se lo rimprovera sempre per le sue tendenze suicide e la sua pigrizia fuori dal comune – ben peggiore della mia – Kunikida sa di poter contare su Dazai e viceversa. E questi sono soltanto alcuni degli esempi, i più immediati, che mi vengono in mente. Nell’arco delle cinque stagioni, la serie arriva a proporre un ventaglio di personaggi vastissimo, tutti unici, ognuno diverso dall’altro, e questo rende speciale ogni singolo momento di “comunione”. Sono i personaggi, molto più delle situazioni che li hanno per protagonisti, a rendere speciale “Bungo Stray Dogs”.

Se dovessi scegliere il migliore tra tutti, la mia scelta probabilmente ricadrebbe su quel demone di Dazai, che possiede un intelletto fuori dal comune e nasconde chissà quali segreti, o forse su Rampo, il detective più geniale dell’universo, che esercita sul sottoscritto un’attrazione particolare, dovuta al fatto che in alcuni suoi ragionamenti mi ricorda Sherlock Holmes. Eppure, se dovessi dire qual è il mio personaggio preferito, quello in cui mi rispecchio maggiormente, allora non avrei dubbi, perché pronuncerei immediatamente il nome di Kunikida Doppo dell’Agenzia di Detective Armati. Kunikida è il partner di Dazai, di cui è il completo opposto su tutti i fronti, e ha sempre in mano un'agenda sulla cui copertina è impresso il kanji “Ideale”, la quale contiene programmi, obiettivi e appunti di fondamentale importanza. La sua abilità si chiama Poeta Doppo e gli permette di materializzare ogni cosa che scrive sulla sua agenda, a patto che non sia più grande della pagina. Combatte spesso con una pistola, ma si rifiuta di commettere omicidi e trova spesso strategie astute ed efficaci per risolvere i problemi e uscire dalle situazioni complicate. È animato da un forte senso del dovere e un grande rispetto per la vita. Afferma spesso che non bisogna mai perdere la calma – insegnamento del suo mentore –, ma in realtà è spesso impulsivo, irascibile e molte volte alza la voce, in particolar modo con Dazai. Inoltre, malgrado la sua mania di organizzazione, è spesso sbadato e tende a perdere le cose. Praticamente la mia descrizione e questa affinità basta per rendere Kunikida il mio personaggio preferito di “Bungo Stray Dogs”; per quanto, c’è da ammetterlo, è abbastanza difficile trovarne di brutti, fatta eccezione soltanto per uno, l’anello debole della serie, Atsushi. Incredibile a dirsi, ma proprio il protagonista è il personaggio che apprezzo meno di tutti e con cui sono riuscito ad empatizzare di meno. Troppo spesso Atsushi si piange addosso invece di prendere in mano la situazione e, quando c’è da agire con prontezza e determinazione, lui arriva sempre in ritardo. È da qualche stagione che aspetto il suo momento, il suo “time to shine”, ma per adesso credo che mi toccherà attendere ancora.

Ben poco da dire sul comparto tecnico e musicale. Le animazioni sono di un certo livello, così come i disegni, che ho imparato ad apprezzare particolarmente con il trascorrere degli episodi. Sempre giuste le scelte delle opening e delle ending, per quanto forse manchino delle musiche di grande impatto da accompagnare ai combattimenti decisivi della storia, ma forse sarebbe stato chiedere troppo.

Così come, forse, sarebbe troppo chiedere a chi è arrivato fin qui di fidarsi del sottoscritto e fiondarsi in questa impresa della durata di sessantuno episodi che porta il nome di “Bungo Stray Dogs”.