Mirai
Cosa significa essere bambini? Cos'è prima di tutto un bambino? Chi è un bambino? Com'è un bambino? Come si diventa un bambino? Quando si diventa si bambini? Perché una persona è un bambino? Quanto è un bambino? Dove si diventa bambini? Cos'è un genitore? Cosa vuol dire "essere e diventare" genitori? Come, dove, quando, perché si diventa genitori? Sono tante le domande che vengono alla mente quando, dove, come, perché, a quale scopo/quale fine si compiono determinati passi nella vita che corrispondono al passaggio da una fase all'altra del suo percorso o Do in Giapponese o Dao in Cinese. Non è facile dare una risposta e proprio per questo non esistono risposte facili, proprio per questo, bisogna fermarsi a riflettere e quando si decide di mettere su famiglia bisogna fermarsi quasi sempre a rifarsi le domande, anche perché tornano potenti, più di prima e prentendono risposte più profonde, elaborate, complesse, vaste collegate a loro ad altre risposte per altre domande ancora più complesse. E non ci sono scorciatoie, poiché queste conducono a "vicoli ciechi" e bisogna tornare indietro e/o andari avanti?! Sono tanti i dilemmi, le incertezze, insicurezze, dubbi, paure, ansie, angoscie, paranoie, psicosi, manie, ossessioni, disturbi, sindromi, complessi! Qui si cerca di addentrarsi a poco a poco nella mente dei singoli personaggi guardando il loro passato, il loro presente e il loro futuro andando a costituire la Triade del Tempo, dove però gli eventi si mescolano tra di loro e pertanto anche i personaggi si ritrovano nel vortice/spirale dell'esistenza che non è lineare, ma funziona in base al principio di casualità, quindi bisogna essere ben consapevoli, coscienti di se stessi, dei propri pensieri, parole, azioni, gesti, scelte e decisioni, poiché questi determinano/stabiliscono chi siamo e chi diventiamo.
Attenzione: la parte seguente contiene spoiler
Kun è un bambino sincero, spontaneo, curioso ed ottimista il quale ha tutto l'amore dei suoi genitori così come quello dei suoi nonni. Tutto sembra andare benissimo, ma come abbiamo detto sopra, non sempre gli eventi hanno un corso lineare. Ecco che all'improvviso arriva una sorellina, la quale sconvolge la vita del bambino, Mirai. A causa di ciò, Kun si sente ignorato, trascurato e messo da parte, sente che non gode più dell'affetto, dell'amore e delle attenzioni dei suoi genitori e questo lo porta ad una sorta di regressione infantile che lo porta ad avere atteggiamenti e di conseguenza comportamenti non sempre accettabili/tollerabili/perdonabili. Specialmente sua madre comincia a rimproverarlo, insistendo sul fatto che debba diventare più gentile e prendersi cura della nuova sorellina arrivata, Mirai. Purtroppo Kun non risponde positivamente al primo contatto. A peggiorare la situazione ci si mette il fatto che la mamma deve tornare comunque al lavoro e così suo padre deve anche lavorare, nonostante egli cerchi di fare del suo meglio per fare girare al meglio la casa così come il suo lavoro. Ed ecco che quindi Kun si sente a disagio e non riesce a rielaborare la situazione. Sembra una situazione disperata, ma ecco che ad intervenire ci si mettono due "estranei" che tanto "estranei" non sono, visto che si tratta di niente poco di meno che del suo cane, Yikku e di sua sorella cresciuta, Mirai (Futuro in Giapponese). Questi provano a far ragionare Kun e lo mettono nella condizione di immedesimarsi nel fatto che anche loro subiscono le conseguenze dei pensieri, parole, azioni, gesti, scelte e decisioni, come quelli dei membri della famiglia*.Ecco quindi che comincia una sorta di viaggio a ritroso nello spazio-tempo, dove Kun incontra tutti i membri della sua famiglia uno ad uno, i quali gli raccontano le storie del loro passato e qui Kun capisce che anche loro hanno sbagliato. Prima fra tutti sua madre, la quale aveva lo stesso identico carattere che ha lui, quando voleva qualcosa si imputava, non importava che fosse sbagliata e/o giusta, con il rischio di prendersi anche delle strigliate abbastanza dure da parte della madre, cioè la nonna di Kun e Mirai, la quale minacciava di buttare via i giocattoli, cosa che anche la madre di Kun intende applicare se non comincia a comportarsi meglio. Ciò ci viene confermato dalla conversazione tra le due nel presente, dove Kun chiede alla madre di comprargli una bicicletta, dove la madre rifiuta finché non imparera ad essere più gentile con la sorellina. A questo punto Kun prova a migliorare il suo comportamento ed ottiene la bicicletta, ma ha paura di provare ad andare solo con le due ruote. Nonostante si punta e cade.Qui è il turno della storia di suo bis-nonno il quale era un meccanico che ha lavorato anche per l'aviazione militare giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale e che ha perso una gamba, ma che non con questo ha abbandonato i suoi sogni e li ha portati avanti fino alla fine. Nel presente assistiamo quindi a Kun che cerca di lasciare andare le sue paure e quindi riesce a poco a poco, aiutato anche da altri bambini a pedalare sulle due ruote. A questo punto tutto sembra andare per il meglio, ma poi un giorno quando devono andare in gita al mare, Kun insiste per indossare i pantaloncini gialli, ma la madre gli dice che deve indossare quelli blu, anche se non gli piacciono. Arrabbiato per l'ennesimo rifiuto della madre, Kun minaccia di scappare da casa ed è qui che subentra la parte più critica, perché lo troviamo intento a prendere il treno per Tokyo, il quale lo porta alla stazione, dove però si sente smarrito e rischia di diventarlo per davvero, non avendo ascoltato soprattutto il sé stesso proveniente dal futuro. In seguito al colloquio con il dipendente dell'Ufficio Persone Smarrite dove non riesce a rispondere alle domande che gli vengono poste, ha un'altra delle sue visioni che gli fanno capire che se continua a comportarsi male con sua sorella ed anche con i suoi genitori avrà un futuro orribile, infatti i treni con cui gioca si animano nella sua fantasia/immaginazione e lo trascinano nel "Paese dei Bambini Solitari", un'equivalente dell'Inferno per bambini cattivi. A questo punto resosi conto che la sua gelosia, invidia e testardaggine, oltre che l'eccessiva richiesta di attenzioni, ormai centralizzate sulla sorellina, non solo non gli danno ciò che chiede, ma che rischiano di portarlo a conseguenze pericolose, Kun capisce il suo sbaglio e viene salvato da sua sorella Mirai proveniente dal futuro, la quale conclude spiegandogli che i nostri pensieri, parole, azioni, gesti, scelte, decisioni hanno delle conseguenze sulle nostre vite e su quelli degli altri, a partire dai nostri familiari, mostrandogli le storie dei membri della loro famiglia. A questo punto, tornando a casa, Kun si riconcilia soprattutto con sua madre e con la sua sorellina e cerca di fare in modo di diventare un bambino più obbediente e più comprensivo. Detesto essere ripetitivo e prevedibile, ma è un film che tocca dentro, ti entra dentro a poco a poco e ti fa capire molte cose in profondità, che prima non si capiscono e/o che tendi a dare per scontate, ma che scontate non lo sono. 1. Le persone che tengono a noi e alle quali teniamo non smettono di amarci e proprio in virtù in questo dobbiamo sforzarci di essere persone migliori...per ricompensarle al meglio. 2.Proprio in funzione di questo, i genitori si rispecchiano molto, se non del tutto nei propri i figli e capiscono quando, dove, come, perché, quanto a quale scopo/fine questi si comportano bene e/o male, e di conseguenza hanno reazioni ben precise a seconda del caso, contesto, situazione e adottano determinati atteggiamenti, comportamenti e provvedimenti che hanno a loro volta delle ripercussioni sulle vite dei figli. 3. Ci vuole calma, pazienza, tranquillità, comprensione, temperamento, dedizione, sacrificio e diligenza, insieme a buon senso, giudizio, consapevolezza, coscienza, costanza, integrità, autorevolezza, attenzione, spirito d'iniziativa, perspicacia, perseveranza, persistenza, intuizione, deduzione ed altre virtù, qualità, pregi per allevare i figli e prima di tutto verso sé stessi. Bisogna essere pronti agli imprevisti e agli ostacoli che la vita pone. Mi ci rispecchio molto in questo film e devo ammettere che in funzione di questo provo più o meno le stesse sensazioni, le stesse emozioni, gli stessi sentimenti. Io sono cresciuto un po' in questo modo, anche se non ho avuto una famiglia unita, però lo capisco proprio perché ho provato tutto questo senza accogermi e/o dandolo per scontato perché non volevo apparire debole, fragile, capriccioso, volubile. La grafica è la classica dei Light Novel con chiari e scuri che ben riflettono anche le situazioni, i contesti e i casi dove gli eventi prendono piede. I personaggi come detto sono ben caratterizzati e naturali, svolgono il loro ruolo in maniera posata, fluida, lineare e spontanea senza tanti giri di parole. Interessante è il rimando alla tradizione del Festival delle Bambole che simboleggia il tentativo di augurare un matrimonio felice e prospero alle bambine nuove venute al mondo e che si celebra il 1°Gennaio, il 3 Marzo, il 5 Maggio, il 7 Luglio e il 9 Settembre di ogni anno e il fatto che queste devono essere riposte il giorno dopo, altrimenti più si aspetta, più si rischia che la nuova arrivata si sposi troppo tardi. A mio avviso questo anime può essere considerato anche come un ottimo manuale di pedagogia/pediatria per genitori che non sanno come affrontare le diverse fasi della crescita dei propri figli, ovviamente collegando questo ad altri contenuti e il tutto nello spirito del messaggio dell'anime. Voto: 10
Attenzione: la parte seguente contiene spoiler
Kun è un bambino sincero, spontaneo, curioso ed ottimista il quale ha tutto l'amore dei suoi genitori così come quello dei suoi nonni. Tutto sembra andare benissimo, ma come abbiamo detto sopra, non sempre gli eventi hanno un corso lineare. Ecco che all'improvviso arriva una sorellina, la quale sconvolge la vita del bambino, Mirai. A causa di ciò, Kun si sente ignorato, trascurato e messo da parte, sente che non gode più dell'affetto, dell'amore e delle attenzioni dei suoi genitori e questo lo porta ad una sorta di regressione infantile che lo porta ad avere atteggiamenti e di conseguenza comportamenti non sempre accettabili/tollerabili/perdonabili. Specialmente sua madre comincia a rimproverarlo, insistendo sul fatto che debba diventare più gentile e prendersi cura della nuova sorellina arrivata, Mirai. Purtroppo Kun non risponde positivamente al primo contatto. A peggiorare la situazione ci si mette il fatto che la mamma deve tornare comunque al lavoro e così suo padre deve anche lavorare, nonostante egli cerchi di fare del suo meglio per fare girare al meglio la casa così come il suo lavoro. Ed ecco che quindi Kun si sente a disagio e non riesce a rielaborare la situazione. Sembra una situazione disperata, ma ecco che ad intervenire ci si mettono due "estranei" che tanto "estranei" non sono, visto che si tratta di niente poco di meno che del suo cane, Yikku e di sua sorella cresciuta, Mirai (Futuro in Giapponese). Questi provano a far ragionare Kun e lo mettono nella condizione di immedesimarsi nel fatto che anche loro subiscono le conseguenze dei pensieri, parole, azioni, gesti, scelte e decisioni, come quelli dei membri della famiglia*.Ecco quindi che comincia una sorta di viaggio a ritroso nello spazio-tempo, dove Kun incontra tutti i membri della sua famiglia uno ad uno, i quali gli raccontano le storie del loro passato e qui Kun capisce che anche loro hanno sbagliato. Prima fra tutti sua madre, la quale aveva lo stesso identico carattere che ha lui, quando voleva qualcosa si imputava, non importava che fosse sbagliata e/o giusta, con il rischio di prendersi anche delle strigliate abbastanza dure da parte della madre, cioè la nonna di Kun e Mirai, la quale minacciava di buttare via i giocattoli, cosa che anche la madre di Kun intende applicare se non comincia a comportarsi meglio. Ciò ci viene confermato dalla conversazione tra le due nel presente, dove Kun chiede alla madre di comprargli una bicicletta, dove la madre rifiuta finché non imparera ad essere più gentile con la sorellina. A questo punto Kun prova a migliorare il suo comportamento ed ottiene la bicicletta, ma ha paura di provare ad andare solo con le due ruote. Nonostante si punta e cade.Qui è il turno della storia di suo bis-nonno il quale era un meccanico che ha lavorato anche per l'aviazione militare giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale e che ha perso una gamba, ma che non con questo ha abbandonato i suoi sogni e li ha portati avanti fino alla fine. Nel presente assistiamo quindi a Kun che cerca di lasciare andare le sue paure e quindi riesce a poco a poco, aiutato anche da altri bambini a pedalare sulle due ruote. A questo punto tutto sembra andare per il meglio, ma poi un giorno quando devono andare in gita al mare, Kun insiste per indossare i pantaloncini gialli, ma la madre gli dice che deve indossare quelli blu, anche se non gli piacciono. Arrabbiato per l'ennesimo rifiuto della madre, Kun minaccia di scappare da casa ed è qui che subentra la parte più critica, perché lo troviamo intento a prendere il treno per Tokyo, il quale lo porta alla stazione, dove però si sente smarrito e rischia di diventarlo per davvero, non avendo ascoltato soprattutto il sé stesso proveniente dal futuro. In seguito al colloquio con il dipendente dell'Ufficio Persone Smarrite dove non riesce a rispondere alle domande che gli vengono poste, ha un'altra delle sue visioni che gli fanno capire che se continua a comportarsi male con sua sorella ed anche con i suoi genitori avrà un futuro orribile, infatti i treni con cui gioca si animano nella sua fantasia/immaginazione e lo trascinano nel "Paese dei Bambini Solitari", un'equivalente dell'Inferno per bambini cattivi. A questo punto resosi conto che la sua gelosia, invidia e testardaggine, oltre che l'eccessiva richiesta di attenzioni, ormai centralizzate sulla sorellina, non solo non gli danno ciò che chiede, ma che rischiano di portarlo a conseguenze pericolose, Kun capisce il suo sbaglio e viene salvato da sua sorella Mirai proveniente dal futuro, la quale conclude spiegandogli che i nostri pensieri, parole, azioni, gesti, scelte, decisioni hanno delle conseguenze sulle nostre vite e su quelli degli altri, a partire dai nostri familiari, mostrandogli le storie dei membri della loro famiglia. A questo punto, tornando a casa, Kun si riconcilia soprattutto con sua madre e con la sua sorellina e cerca di fare in modo di diventare un bambino più obbediente e più comprensivo. Detesto essere ripetitivo e prevedibile, ma è un film che tocca dentro, ti entra dentro a poco a poco e ti fa capire molte cose in profondità, che prima non si capiscono e/o che tendi a dare per scontate, ma che scontate non lo sono. 1. Le persone che tengono a noi e alle quali teniamo non smettono di amarci e proprio in virtù in questo dobbiamo sforzarci di essere persone migliori...per ricompensarle al meglio. 2.Proprio in funzione di questo, i genitori si rispecchiano molto, se non del tutto nei propri i figli e capiscono quando, dove, come, perché, quanto a quale scopo/fine questi si comportano bene e/o male, e di conseguenza hanno reazioni ben precise a seconda del caso, contesto, situazione e adottano determinati atteggiamenti, comportamenti e provvedimenti che hanno a loro volta delle ripercussioni sulle vite dei figli. 3. Ci vuole calma, pazienza, tranquillità, comprensione, temperamento, dedizione, sacrificio e diligenza, insieme a buon senso, giudizio, consapevolezza, coscienza, costanza, integrità, autorevolezza, attenzione, spirito d'iniziativa, perspicacia, perseveranza, persistenza, intuizione, deduzione ed altre virtù, qualità, pregi per allevare i figli e prima di tutto verso sé stessi. Bisogna essere pronti agli imprevisti e agli ostacoli che la vita pone. Mi ci rispecchio molto in questo film e devo ammettere che in funzione di questo provo più o meno le stesse sensazioni, le stesse emozioni, gli stessi sentimenti. Io sono cresciuto un po' in questo modo, anche se non ho avuto una famiglia unita, però lo capisco proprio perché ho provato tutto questo senza accogermi e/o dandolo per scontato perché non volevo apparire debole, fragile, capriccioso, volubile. La grafica è la classica dei Light Novel con chiari e scuri che ben riflettono anche le situazioni, i contesti e i casi dove gli eventi prendono piede. I personaggi come detto sono ben caratterizzati e naturali, svolgono il loro ruolo in maniera posata, fluida, lineare e spontanea senza tanti giri di parole. Interessante è il rimando alla tradizione del Festival delle Bambole che simboleggia il tentativo di augurare un matrimonio felice e prospero alle bambine nuove venute al mondo e che si celebra il 1°Gennaio, il 3 Marzo, il 5 Maggio, il 7 Luglio e il 9 Settembre di ogni anno e il fatto che queste devono essere riposte il giorno dopo, altrimenti più si aspetta, più si rischia che la nuova arrivata si sposi troppo tardi. A mio avviso questo anime può essere considerato anche come un ottimo manuale di pedagogia/pediatria per genitori che non sanno come affrontare le diverse fasi della crescita dei propri figli, ovviamente collegando questo ad altri contenuti e il tutto nello spirito del messaggio dell'anime. Voto: 10
Mentre nei cinema giapponesi sta ottenendo molto successo con il suo ultimo lungometraggio “Belle”, è uscito in questi giorni gratis sul web in Italia una precedente opera di Mamoru Hosoda: sto parlando di “Mirai”, o “Mirai dal futuro” (“Mirai no Mirai”), dove non è in realtà protagonista la bambina del titolo ma il fratellino maggiore Kun.
Sì, perché in questa favola è il fratellino che tramite avventure fantastiche e soprannaturali impara a essere meno geloso e meno piagnucolone. D’altronde il film inizia con la piccola Mirai che viene portata a casa dai genitori e Kun che inizia ad ingelosirsi, perché le loro attenzioni si concentrano su di lei e non più su di lui.
E qui iniziano le meraviglie grazie alla magia rinchiusa in un albero nel giardino di casa, che è una specie di biblioteca dei ricordi che fa da raccordo tra passato, presente e futuro, e permetterà di incontrare le persone di famiglia ringiovanite o invecchiate all’interno del loro mondo: scopriremo che anche il cane era geloso di Kun, che la mamma era tremenda, che il bisnonno... vedremo tanti personaggi interagire con il bambino per risolvergli i problemi quotidiani con i genitori e con la causa scatenante Mirai.
Ma com’è il film? Bello come c’era da aspettarsi dal regista di “Summer Wars” e “The Boy and the Beast”? Anzi, con quest’ultimo si può fare un parallelo, perché parla di famiglia, ma poi la cosa finisce lì, perché i due film sono molto diversi, pur facendo del paranormale la colonna portante delle storie. La crescita di Kun non è paragonabile a quella di Kyuta, ma non lo è perché non possiamo pretendere di paragonare un bambino di quattro anni a un adolescente. Kon cresce lentamente, ma cresce grazie all’albero che rappresenta le radici ma anche le aspirazioni (i rami dell’albero che vanno verso il cielo), ma le aspirazioni per il momento sono poca cosa, e non guardando con interesse al futuro Kun avrà la sua crescita limitata...
Voto? Otto, perché si vede la mano di un grande regista che si rinnova continuamente.
Sì, perché in questa favola è il fratellino che tramite avventure fantastiche e soprannaturali impara a essere meno geloso e meno piagnucolone. D’altronde il film inizia con la piccola Mirai che viene portata a casa dai genitori e Kun che inizia ad ingelosirsi, perché le loro attenzioni si concentrano su di lei e non più su di lui.
E qui iniziano le meraviglie grazie alla magia rinchiusa in un albero nel giardino di casa, che è una specie di biblioteca dei ricordi che fa da raccordo tra passato, presente e futuro, e permetterà di incontrare le persone di famiglia ringiovanite o invecchiate all’interno del loro mondo: scopriremo che anche il cane era geloso di Kun, che la mamma era tremenda, che il bisnonno... vedremo tanti personaggi interagire con il bambino per risolvergli i problemi quotidiani con i genitori e con la causa scatenante Mirai.
Ma com’è il film? Bello come c’era da aspettarsi dal regista di “Summer Wars” e “The Boy and the Beast”? Anzi, con quest’ultimo si può fare un parallelo, perché parla di famiglia, ma poi la cosa finisce lì, perché i due film sono molto diversi, pur facendo del paranormale la colonna portante delle storie. La crescita di Kun non è paragonabile a quella di Kyuta, ma non lo è perché non possiamo pretendere di paragonare un bambino di quattro anni a un adolescente. Kon cresce lentamente, ma cresce grazie all’albero che rappresenta le radici ma anche le aspirazioni (i rami dell’albero che vanno verso il cielo), ma le aspirazioni per il momento sono poca cosa, e non guardando con interesse al futuro Kun avrà la sua crescita limitata...
Voto? Otto, perché si vede la mano di un grande regista che si rinnova continuamente.
Accudire un bambino non è facile. Il lavoro e le faccende domestiche rubano molto tempo e spesso non permettono ai genitori di occuparsi al meglio dei propri figli. Non solo, anche il passaggio da una condizione in cui ci si sente più padroni di sé stessi che di qualcun altro è un qualcosa che ci destabilizza e ci reca molte volte confusione e disorientamento interiore. “Mirai”, film di Mamoru Hosoda (noto per “La ragazza che saltava nel tempo”) cerca di riflettere su questa condizione di vita, analizzando sia i genitori sia soprattutto il bambino in questione, chiamato Kun.
Questo perché? Ciò che ho detto prima può confluire anche dentro il figlio stesso, siccome anch’esso è sottoposto alle varie pressioni esterne che caratterizzano maggiormente il modo di fare dei genitori. In fondo, sia i genitori che il bambino stesso si approcciano a dei mondi a loro quasi sconosciuti, i quali si legano e si intrecciano indissolubilmente. Dobbiamo anche capire che il punto di vista sarà quello del bambino, perché il film vuole educarci sulla sua figura, più che parlarci delle vicende famigliari in senso generale.
Particolarità di questo film è l’intenzione reale del regista di volerci far immedesimare nella realtà del suo passato. Anche se in chiave fantastica, Mamoru Hosoda ci vuole rendere partecipi di ciò che ha provato vedendo il suo stesso figlio crescere. Infatti, oltre Kun, c’è anche Mirai, la sorellina nata immediatamente dopo l’inizio del film. L’introspezione psicologica del bambino, che si ritrova a controbattere ai suoi genitori per il cambiamento causato dalla venuta di un nuovo elemento famigliare, è letteralmente ispirata alla condizione del figlio di Hosoda stesso. Il regista infatti ha confermato che si è ispirato alla storia stessa del figlio, il quale ha avuto gli stessi sentimenti negativi del protagonista, quali gelosia e rabbia, nei confronti del fratello più piccolo.
Il film, quindi, è un tentativo di rivisitazione del nucleo famigliare ai giorni nostri (perché il concetto di famiglia si sta un po’ perdendo col tempo), sempre con un pizzico di elemento fantasy, ma senza esagerazioni, com’è tipico dei suoi film precedenti. Ovviamente, il suo pensiero è puramente soggettivo, e non è detto che a tutti può piacere com’è stata giostrata la visione della condizione famigliare (e io stesso sono uno di quelli), ma rimane sempre un film dalle buone morali e animazioni.
Questo perché? Ciò che ho detto prima può confluire anche dentro il figlio stesso, siccome anch’esso è sottoposto alle varie pressioni esterne che caratterizzano maggiormente il modo di fare dei genitori. In fondo, sia i genitori che il bambino stesso si approcciano a dei mondi a loro quasi sconosciuti, i quali si legano e si intrecciano indissolubilmente. Dobbiamo anche capire che il punto di vista sarà quello del bambino, perché il film vuole educarci sulla sua figura, più che parlarci delle vicende famigliari in senso generale.
Particolarità di questo film è l’intenzione reale del regista di volerci far immedesimare nella realtà del suo passato. Anche se in chiave fantastica, Mamoru Hosoda ci vuole rendere partecipi di ciò che ha provato vedendo il suo stesso figlio crescere. Infatti, oltre Kun, c’è anche Mirai, la sorellina nata immediatamente dopo l’inizio del film. L’introspezione psicologica del bambino, che si ritrova a controbattere ai suoi genitori per il cambiamento causato dalla venuta di un nuovo elemento famigliare, è letteralmente ispirata alla condizione del figlio di Hosoda stesso. Il regista infatti ha confermato che si è ispirato alla storia stessa del figlio, il quale ha avuto gli stessi sentimenti negativi del protagonista, quali gelosia e rabbia, nei confronti del fratello più piccolo.
Il film, quindi, è un tentativo di rivisitazione del nucleo famigliare ai giorni nostri (perché il concetto di famiglia si sta un po’ perdendo col tempo), sempre con un pizzico di elemento fantasy, ma senza esagerazioni, com’è tipico dei suoi film precedenti. Ovviamente, il suo pensiero è puramente soggettivo, e non è detto che a tutti può piacere com’è stata giostrata la visione della condizione famigliare (e io stesso sono uno di quelli), ma rimane sempre un film dalle buone morali e animazioni.
Mamoru Hosoda si rivela anche in questo film un autore sensibile, notevole e poetico, capace di costruire una storia intensa, reale, e molto umana, pur restando nella terra dei sogni e della magia.
Ultima opera del regista di 'La ragazza che saltava nel tempo', che ha in comune con 'Mirai' la tematica del viaggio temporale, qui risolto meglio, e il bellissimo 'Wolf Children', questo film parla della storia di un bambino di tre/quattro anni che si vede l'esistenza sconvolta dall'arrivo della sorellina minore Mirai appena nata, a cui i genitori riversano cure e attenzioni, apparentemente trascurando il figlio primogenito, geloso e viziato.
La tematica non è solo il viaggio temporale nel futuro e nel passato, c'è il problema di imparare ad essere dei buoni genitori (la goffaggine tenera del padre) alle prese con il problema quotidiano del conciliare lavoro, famiglia, crescita dei pargoli, tutte cose non sempre semplici, il rapporto conflittuale tra fratelli che va risolto, le gelosie e il sentirsi trascurati, quando un attimo prima si era al centro dell' attenzione (e Kun farà molti capricci spesso fastidiosi per riportare ogni cosa all'origine), lo scontro tra figli e genitori (la madre che il piccolo Kun nei suoi momenti di rabbia a volte esilarante vede come la strega cattiva delle fiabe).
Kun deve imparare a diventare un bravo fratello maggiore e accettare la sorellina come parte della sua famiglia, ma avrà delle lezioni da imparare, e saranno proprio personaggi e situazioni del passato e del futuro a portarlo nella giusta direzione: l'identificazione col cagnolino, l'incontro con la madre/bambina, problematica quanto lui, il bisnonno reduce menomato durante la guerra che non si arrende alle difficoltà (forse una delle parti più belle) sono episodi del passato che insegneranno qualcosa sulle esperienze presenti di Kun, che sia andare in bicicletta per cadere e rialzarsi, o indossare dei calzoncini.
E poi c'è Mirai, la sorella quattordicenne che arriva dal futuro, e getta uno scorcio su quello che sarà il loro rapporto di complicità e sostegno, che lo salva dal perdere sé stesso e i suoi affetti, nell'ultima parte del film, quella più drammatica, che sfiora l'horror.
Il mondo di Kun è la casa famigliare, costruita dal padre architetto, un curioso spazio di interni ed esterni con un giardino dove cresce un semplice alberello, che è la porta per passare tra presente, passato e futuro; la sceneggiatura del film rende questo passaggio assolutamente fluido e per nulla brusco, quasi la macchina da presa si aprisse lentamente su un mondo diverso in cui veniamo introdotti per magia insieme al piccolo Kun, che, meravigliato come può esserlo solo un bambino, spalanca il suo sguardo sul mistero e sulla meraviglia della vita che collega tutto, vite e persone, tra presente, passato e futuro.
Animazione sempre superlativa, immagini suggestive, potenti e poetiche, e fondali meravigliosi.
Bellissimo film da vedere.
Ultima opera del regista di 'La ragazza che saltava nel tempo', che ha in comune con 'Mirai' la tematica del viaggio temporale, qui risolto meglio, e il bellissimo 'Wolf Children', questo film parla della storia di un bambino di tre/quattro anni che si vede l'esistenza sconvolta dall'arrivo della sorellina minore Mirai appena nata, a cui i genitori riversano cure e attenzioni, apparentemente trascurando il figlio primogenito, geloso e viziato.
La tematica non è solo il viaggio temporale nel futuro e nel passato, c'è il problema di imparare ad essere dei buoni genitori (la goffaggine tenera del padre) alle prese con il problema quotidiano del conciliare lavoro, famiglia, crescita dei pargoli, tutte cose non sempre semplici, il rapporto conflittuale tra fratelli che va risolto, le gelosie e il sentirsi trascurati, quando un attimo prima si era al centro dell' attenzione (e Kun farà molti capricci spesso fastidiosi per riportare ogni cosa all'origine), lo scontro tra figli e genitori (la madre che il piccolo Kun nei suoi momenti di rabbia a volte esilarante vede come la strega cattiva delle fiabe).
Kun deve imparare a diventare un bravo fratello maggiore e accettare la sorellina come parte della sua famiglia, ma avrà delle lezioni da imparare, e saranno proprio personaggi e situazioni del passato e del futuro a portarlo nella giusta direzione: l'identificazione col cagnolino, l'incontro con la madre/bambina, problematica quanto lui, il bisnonno reduce menomato durante la guerra che non si arrende alle difficoltà (forse una delle parti più belle) sono episodi del passato che insegneranno qualcosa sulle esperienze presenti di Kun, che sia andare in bicicletta per cadere e rialzarsi, o indossare dei calzoncini.
E poi c'è Mirai, la sorella quattordicenne che arriva dal futuro, e getta uno scorcio su quello che sarà il loro rapporto di complicità e sostegno, che lo salva dal perdere sé stesso e i suoi affetti, nell'ultima parte del film, quella più drammatica, che sfiora l'horror.
Il mondo di Kun è la casa famigliare, costruita dal padre architetto, un curioso spazio di interni ed esterni con un giardino dove cresce un semplice alberello, che è la porta per passare tra presente, passato e futuro; la sceneggiatura del film rende questo passaggio assolutamente fluido e per nulla brusco, quasi la macchina da presa si aprisse lentamente su un mondo diverso in cui veniamo introdotti per magia insieme al piccolo Kun, che, meravigliato come può esserlo solo un bambino, spalanca il suo sguardo sul mistero e sulla meraviglia della vita che collega tutto, vite e persone, tra presente, passato e futuro.
Animazione sempre superlativa, immagini suggestive, potenti e poetiche, e fondali meravigliosi.
Bellissimo film da vedere.
Forse non esiste una condizione più alienante di quella di essere un bambino.
Tutto è più dilatato in quello status. La realtà, lo spazio e il tempo hanno contorni mastodontici.
Vedere il mondo con gli occhi di un bambino significa prendere il tè con Einstein e Schrödinger, seduti sulle ginocchia di Freud.
Nel film "Mirai no Mirai" di Mamoru Hosoda si riesce a cogliere quanto possa essere debilitante la lotta per assumere un'identità, nel più vasto quadro di un "esser-ci".
Kun è un bambino di quattro anni che sperimenta la mortificazione e la gelosia di non essere più figlio unico. La nascita di sua sorella minore ridimensiona il suo ruolo in famiglia, scombinando le gerarchie. L'attenzione dei genitori si catalizza sulla nuova arrivata, Mirai, che sembra fagocitare tutti gli schemi della casa. La reazione più genuina e ovvia per lui è un perenne stato di insoddisfazione. Condizione che si sana solo con la ricerca di distrazioni, dalla quale scaturiscono una serie di avventure per la riconquista di un'armonia perduta, dilatata fra spazio e tempo. Kun deve ridisegnare la sua realtà, e lo fa spinto dalla più pura espressione del mondo dell'infanzia, la fantasia. Seguendo le tracce lasciate dal passato della sua famiglia, Kun troverà un modo per ridefinire le proprie ansie, nell'ombra di un futuro che non promette soluzioni, ma mette radici nel presente.
L'intento del regista è quello di esporre un quadro degli inevitabili problemi insiti nei rapporti familiari, concentrandosi sulla proverbiale difficoltà di coesistenza e relazione tra fratelli.
La via percorsa da Hosoda però amplia le tematiche a un livello più vasto, offrendo una prospettiva sulla crescita e la formazione del protagonista nella scoperta di una architettura interiore autonoma.
Le pulsioni, i sentimenti, le incongruenze di un individuo vengono esposti con un chiaro intento espressivo, volto a rendere visibili sul piano scenico "i lavori in corso" di una mente non ancora separata dalla sua origine, dall'utero materno.
La lotta del protagonista per evitare quella che percepisce come una deriva verso l'oblio si traduce in un iter che, da ricerca di evasione, diviene una genesi che si compone di tutti i personaggi con cui si costruisce l'Io. Reali o percepiti, passati e futuri, gli attori del dramma di Kun non sono altro se non le maschere del teatro che tutti abbiamo nella scatola cranica.
Quello che sembra partire come un problema di relazioni interpersonali evolve come un contorto dialogo con la propria individualità. Come viene espressamente dichiarato nel film, l'origine del viaggio consiste nella "perdita di sé stessi".
La soluzione, secondo un topos della cultura nipponica, consiste nel trovare il proprio ruolo, il proprio posto nel mondo esterno, dopo aver brevemente assaggiato il frutto dell'individualismo, nell'intimo di una fugace registrazione a margine nell'album dei ricordi.
L'epilogo del film infatti non lascia intendere vuote pretese ottimistiche su ipotetici radiosi futuri. Quello che si scopre nel percorso è che non c'è altro che non sia la realizzazione di un futuro preordinato, la conquista di una normalità, senza eccessi di particolarismo. Il finale è quindi velatamente agrodolce, tra ricordi nostalgici, occasioni mancate e promesse non sempre gradite.
I salti temporali (una firma del regista), usati come gli incastri di un giocattolo, rendono perfettamente il peso e la serietà che l'elemento ludico ha nel mondo dell'infanzia. Giocando con il tempo e lo spazio, viaggiamo tra archetipi e fantasie, seguendo la strada tracciata dai processi di crescita. Il flusso altalenante fra passato e futuro aspira a riprodurre le complicate connessioni psichiche che la nostra mente riesce a elaborare.
Emblematici gli incontri speculari di Kun con i membri della sua famiglia, dove si gioca con complessi edipici, surrogati di figure paterne e confronti diretti con il Peter Pan che abita in noi, perennemente insoddisfatto e congelato nei suoi contorni più infantili che l'adolescenza acuisce ed esorcizza, rifiutando ciò che "non è simpatico".
Grazie a questa catarsi progressiva l'ego trova la sua consistenza nello scoprire che è parte di un processo, di un moto costante che a sua volta si regge su altre orbite, i percorsi di altri. In un continuo incrociarsi di vite, ricordi e aspirazioni.
La sintesi fra la circolarità del tempo e l'Io nello spazio fa fede all'enunciato del titolo, che può quindi leggersi come un'equazione. Se "Mirai" significa "futuro", allora la scelta del film è quella di un "futuro del futuro", un eterno ritorno.
La forza narrativa di Hosoda segue il solco di illustri predecessori che, dai fantasmi natalizi di Dickens ai mulini a vento di Cervantes, senza bisogno di presentazioni, sono i tornelli di un ingresso accessibile a chiunque. I richiami autoriali, voluti o meno, forniscono una struttura solida al senso generale del film, che vive così anche di un sottofondo di già vissuto.
Le avventure del protagonista sono eredi di quelle stesse esperienze oniriche che portavano "Little Nemo" a scoprire i labirinti del fantastico in una realtà che collassa sotto il peso delle sue ipocrisie.
Così, la scena in cui Kun esplora la stazione ferroviaria e viene interrogato sulla sua identità dai treni (sua passione) segue lo stesso carattere ammonitore e censorio di "Play Safe", un cortometraggio del 1936 opera dei fratelli Fleischer. Anche qui il protagonista vive la sua formazione attraversando le terre di Morfeo e trovando il suo equilibrio relazionale.
Sullo stesso piano il confronto con Billy Batson, l'alter ego di Capitan Marvel, anche lui bimbo sperduto salito su un treno che lo porta, a metà fra sogno e magia, al suo incontro con un padre che modella l'adulto dalla forma dell'infante.
Le tematiche del film fanno di "Mirai no Mirai" un'opera che offre diverse chiavi di lettura e si presta a parallelismi che, uniti a citazioni del regista a sé stesso, come risultato ottengono un buon racconto, fruibile a chiunque, legandosi alla miglior tradizione delle favole.
Lo Studio Chizu ha espresso egregiamente le sue potenzialità, salvo l'uso poco curato in alcune scene della computer grafica che mal si integra con movimenti e inquadrature ardite.
L'uso di toni da acquerello per gli sfondi del passato e di colori vividi e cangianti per momenti dal maggiore impatto emotivo è giocato in maniera magistrale.
Hosoda sfrutta tutte le sue abilità per confezionare un prodotto che sa emozionare e strappa anche qualche piccola risata.
Una menzione particolare merita anche il doppiaggio italiano, che raggiunge le vette del virtuosismo con Tatiana Dessi che presta la voce al protagonista.
La vis espressiva è totale, e si impone con una efficacia esemplare anche per gli altri personaggi.
Le emozioni del piccolo Kun, i capricci, le urla, le moine divengono palpabili quanto le fantasie che popolano la sua realtà.
Il percorso della propria identità segue processi non lineari. Per andare avanti si può ripercorrere una strada a ritroso o trovare un condotto che, sottotraccia, porta a snodi e incroci che si diramano nei meandri di quel soggetto in divenire chiamato Uomo.
Un soggetto che è esso stesso la meta, e che combatte per diventare il viaggio.
Tutto è più dilatato in quello status. La realtà, lo spazio e il tempo hanno contorni mastodontici.
Vedere il mondo con gli occhi di un bambino significa prendere il tè con Einstein e Schrödinger, seduti sulle ginocchia di Freud.
Nel film "Mirai no Mirai" di Mamoru Hosoda si riesce a cogliere quanto possa essere debilitante la lotta per assumere un'identità, nel più vasto quadro di un "esser-ci".
Kun è un bambino di quattro anni che sperimenta la mortificazione e la gelosia di non essere più figlio unico. La nascita di sua sorella minore ridimensiona il suo ruolo in famiglia, scombinando le gerarchie. L'attenzione dei genitori si catalizza sulla nuova arrivata, Mirai, che sembra fagocitare tutti gli schemi della casa. La reazione più genuina e ovvia per lui è un perenne stato di insoddisfazione. Condizione che si sana solo con la ricerca di distrazioni, dalla quale scaturiscono una serie di avventure per la riconquista di un'armonia perduta, dilatata fra spazio e tempo. Kun deve ridisegnare la sua realtà, e lo fa spinto dalla più pura espressione del mondo dell'infanzia, la fantasia. Seguendo le tracce lasciate dal passato della sua famiglia, Kun troverà un modo per ridefinire le proprie ansie, nell'ombra di un futuro che non promette soluzioni, ma mette radici nel presente.
L'intento del regista è quello di esporre un quadro degli inevitabili problemi insiti nei rapporti familiari, concentrandosi sulla proverbiale difficoltà di coesistenza e relazione tra fratelli.
La via percorsa da Hosoda però amplia le tematiche a un livello più vasto, offrendo una prospettiva sulla crescita e la formazione del protagonista nella scoperta di una architettura interiore autonoma.
Le pulsioni, i sentimenti, le incongruenze di un individuo vengono esposti con un chiaro intento espressivo, volto a rendere visibili sul piano scenico "i lavori in corso" di una mente non ancora separata dalla sua origine, dall'utero materno.
La lotta del protagonista per evitare quella che percepisce come una deriva verso l'oblio si traduce in un iter che, da ricerca di evasione, diviene una genesi che si compone di tutti i personaggi con cui si costruisce l'Io. Reali o percepiti, passati e futuri, gli attori del dramma di Kun non sono altro se non le maschere del teatro che tutti abbiamo nella scatola cranica.
Quello che sembra partire come un problema di relazioni interpersonali evolve come un contorto dialogo con la propria individualità. Come viene espressamente dichiarato nel film, l'origine del viaggio consiste nella "perdita di sé stessi".
La soluzione, secondo un topos della cultura nipponica, consiste nel trovare il proprio ruolo, il proprio posto nel mondo esterno, dopo aver brevemente assaggiato il frutto dell'individualismo, nell'intimo di una fugace registrazione a margine nell'album dei ricordi.
L'epilogo del film infatti non lascia intendere vuote pretese ottimistiche su ipotetici radiosi futuri. Quello che si scopre nel percorso è che non c'è altro che non sia la realizzazione di un futuro preordinato, la conquista di una normalità, senza eccessi di particolarismo. Il finale è quindi velatamente agrodolce, tra ricordi nostalgici, occasioni mancate e promesse non sempre gradite.
I salti temporali (una firma del regista), usati come gli incastri di un giocattolo, rendono perfettamente il peso e la serietà che l'elemento ludico ha nel mondo dell'infanzia. Giocando con il tempo e lo spazio, viaggiamo tra archetipi e fantasie, seguendo la strada tracciata dai processi di crescita. Il flusso altalenante fra passato e futuro aspira a riprodurre le complicate connessioni psichiche che la nostra mente riesce a elaborare.
Emblematici gli incontri speculari di Kun con i membri della sua famiglia, dove si gioca con complessi edipici, surrogati di figure paterne e confronti diretti con il Peter Pan che abita in noi, perennemente insoddisfatto e congelato nei suoi contorni più infantili che l'adolescenza acuisce ed esorcizza, rifiutando ciò che "non è simpatico".
Grazie a questa catarsi progressiva l'ego trova la sua consistenza nello scoprire che è parte di un processo, di un moto costante che a sua volta si regge su altre orbite, i percorsi di altri. In un continuo incrociarsi di vite, ricordi e aspirazioni.
La sintesi fra la circolarità del tempo e l'Io nello spazio fa fede all'enunciato del titolo, che può quindi leggersi come un'equazione. Se "Mirai" significa "futuro", allora la scelta del film è quella di un "futuro del futuro", un eterno ritorno.
La forza narrativa di Hosoda segue il solco di illustri predecessori che, dai fantasmi natalizi di Dickens ai mulini a vento di Cervantes, senza bisogno di presentazioni, sono i tornelli di un ingresso accessibile a chiunque. I richiami autoriali, voluti o meno, forniscono una struttura solida al senso generale del film, che vive così anche di un sottofondo di già vissuto.
Le avventure del protagonista sono eredi di quelle stesse esperienze oniriche che portavano "Little Nemo" a scoprire i labirinti del fantastico in una realtà che collassa sotto il peso delle sue ipocrisie.
Così, la scena in cui Kun esplora la stazione ferroviaria e viene interrogato sulla sua identità dai treni (sua passione) segue lo stesso carattere ammonitore e censorio di "Play Safe", un cortometraggio del 1936 opera dei fratelli Fleischer. Anche qui il protagonista vive la sua formazione attraversando le terre di Morfeo e trovando il suo equilibrio relazionale.
Sullo stesso piano il confronto con Billy Batson, l'alter ego di Capitan Marvel, anche lui bimbo sperduto salito su un treno che lo porta, a metà fra sogno e magia, al suo incontro con un padre che modella l'adulto dalla forma dell'infante.
Le tematiche del film fanno di "Mirai no Mirai" un'opera che offre diverse chiavi di lettura e si presta a parallelismi che, uniti a citazioni del regista a sé stesso, come risultato ottengono un buon racconto, fruibile a chiunque, legandosi alla miglior tradizione delle favole.
Lo Studio Chizu ha espresso egregiamente le sue potenzialità, salvo l'uso poco curato in alcune scene della computer grafica che mal si integra con movimenti e inquadrature ardite.
L'uso di toni da acquerello per gli sfondi del passato e di colori vividi e cangianti per momenti dal maggiore impatto emotivo è giocato in maniera magistrale.
Hosoda sfrutta tutte le sue abilità per confezionare un prodotto che sa emozionare e strappa anche qualche piccola risata.
Una menzione particolare merita anche il doppiaggio italiano, che raggiunge le vette del virtuosismo con Tatiana Dessi che presta la voce al protagonista.
La vis espressiva è totale, e si impone con una efficacia esemplare anche per gli altri personaggi.
Le emozioni del piccolo Kun, i capricci, le urla, le moine divengono palpabili quanto le fantasie che popolano la sua realtà.
Il percorso della propria identità segue processi non lineari. Per andare avanti si può ripercorrere una strada a ritroso o trovare un condotto che, sottotraccia, porta a snodi e incroci che si diramano nei meandri di quel soggetto in divenire chiamato Uomo.
Un soggetto che è esso stesso la meta, e che combatte per diventare il viaggio.
Questa volta Hosoda ci accompagna nel mondo dei bambini, con una storia in gran parte ispirata alle sue stesse vicende familiari. Tutto il film comincia e finisce nella casa, che per il piccolo Kun è il suo mondo, finché non sarà più grande. Gli occhi della sua immaginazione vedono cose che gli altri non vedono: influenzato dalle vicende e dalle persone di cui sente parlare, plasmerà dei personaggi che lo accompagneranno (in vago stile dickensiano) nel superamento delle sue paure. La perfetta riproduzione del modo di pensare e di agire di Kun, l'inevitabile immedesimazione (per i più adulti) con i suoi genitori alle prese con le tante difficoltà di tutti i giorni, i brillanti spaccati di vita dei familiari (in particolare il bisnonno e la madre) divertono ed emozionano moltissimo, lasciando nello spettatore qualcosa di speciale.
Esattamente dopo tre anni, come gli accade spesso, esce il nuovo film di Mamoru Hosoda al cinema, sempre grazie alla collaborazione con Nexo Digital.
Per prepararmi a questo film, appositamente mi ero recuperato gli ultimi due film, che tutto sommato mi sono piaciuti. Arrivato al fatidico giorno, non so perché, ma ero piuttosto titubante se andare o meno a vederlo; alla fine non ho resistito e l'ho visto.
Con rammarico devo ammettere che è il film peggiore che gli ho visto fare. Chi ha visto la sua filmografia sa che l'autore tiene particolarmente a temi quali la famiglia e la crescita interiore, e, dopo aver visto “Wolf Children” e “The Boy and The Beast”, onestamente mi ha stufato parecchio. Ritrovare gli stessi temi, anche se leggermente diversi, concettualmente parlando, significa che non si è discostato poi molto dalle sue opere precedenti. Se da un lato abbiamo visto la fatica di una madre nel crescere dei figli metà lupi e le relative conseguenze, e dall'altra il tramandare le esperienze alle nuove generazioni, unite dal collante di far trovare un posto nel mondo ai protagonisti, con “Mirai no Mirai” cerca di fare un mix, ritrovandosi però senza capo né coda.
Fondamentalmente, “Mirai no Mirai” è piuttosto semplice, sia a livello di storia che a livello di racconto, ed è questa sua leggerezza a renderlo pressoché noioso. Non ha nulla di magico o soprannaturale come le scorse opere, se non quella sorta di viaggio nel tempo che serve solo al protagonista Kun per recepire lezioni di vita da parte dei propri parenti, capendo così il suo ruolo all'interno della famiglia e maturare di conseguenza; tuttavia è il legame tra i personaggi ad essere fin troppo superficiale. Non c'è empatia o una sorta di emozione che ti faccia venire almeno la pelle d'oca. Considerando che non dura tanto, per tutta la durata del film preferisce mantenere un ritmo piatto e poco incalzante.
In sostanza, “Mirai no Mirai” non regala grandi emozioni, risulterà simpatico e tranquillo, ma sostanzialmente non lascia niente.
Per prepararmi a questo film, appositamente mi ero recuperato gli ultimi due film, che tutto sommato mi sono piaciuti. Arrivato al fatidico giorno, non so perché, ma ero piuttosto titubante se andare o meno a vederlo; alla fine non ho resistito e l'ho visto.
Con rammarico devo ammettere che è il film peggiore che gli ho visto fare. Chi ha visto la sua filmografia sa che l'autore tiene particolarmente a temi quali la famiglia e la crescita interiore, e, dopo aver visto “Wolf Children” e “The Boy and The Beast”, onestamente mi ha stufato parecchio. Ritrovare gli stessi temi, anche se leggermente diversi, concettualmente parlando, significa che non si è discostato poi molto dalle sue opere precedenti. Se da un lato abbiamo visto la fatica di una madre nel crescere dei figli metà lupi e le relative conseguenze, e dall'altra il tramandare le esperienze alle nuove generazioni, unite dal collante di far trovare un posto nel mondo ai protagonisti, con “Mirai no Mirai” cerca di fare un mix, ritrovandosi però senza capo né coda.
Fondamentalmente, “Mirai no Mirai” è piuttosto semplice, sia a livello di storia che a livello di racconto, ed è questa sua leggerezza a renderlo pressoché noioso. Non ha nulla di magico o soprannaturale come le scorse opere, se non quella sorta di viaggio nel tempo che serve solo al protagonista Kun per recepire lezioni di vita da parte dei propri parenti, capendo così il suo ruolo all'interno della famiglia e maturare di conseguenza; tuttavia è il legame tra i personaggi ad essere fin troppo superficiale. Non c'è empatia o una sorta di emozione che ti faccia venire almeno la pelle d'oca. Considerando che non dura tanto, per tutta la durata del film preferisce mantenere un ritmo piatto e poco incalzante.
In sostanza, “Mirai no Mirai” non regala grandi emozioni, risulterà simpatico e tranquillo, ma sostanzialmente non lascia niente.
Mostrando ancora una volta una forte coerenza stilistica, Hosoda ritorna con "Mirai no Mirai" a raccontare una storia che ha a che fare con la famiglia e con la crescita, senza rinunciare a piccoli momenti di magia e a un altro tema a lui caro, quello dei viaggi nel tempo.
Dopo aver approfondito il rapporto madre-figlio in "Wolf Children" e quello padre-figlio in "The Boy and The Beast", questa volta tocca al piccolo Kun, protagonista del film, fungere da eroe della storia per sviscerare la complicata relazione di amore e odio tra fratello e sorella, dopo l'arrivo in famiglia della neonata Mirai. Tra capricci, momenti di gelosia e apparenti mancanze di attenzione, Kun si ritrova improvvisamente solo, irritato e confuso. Per poter accettare il cambiamento e finalmente riuscire a crescere, gli verrà in aiuto un pizzico di magia, in grado di sovrapporre presente e futuro e fargli incontrare i propri famigliari in epoche diverse.
Seppur mantenendo atmosfere sempre coerenti e citazioni stilistiche a film precedenti, e rimanendo a tratti godibile, è la struttura stessa della narrazione ad essere percettibilmente sottotono rispetto al solito. Scene particolarmente lente e dialoghi stanchi, oltre che una colonna sonora non del tutto incisiva (ricordo con nostalgia "Summer Wars" di Akihiko Matsumoto) non sono a parer mio l'unico punto debole di "Mirai no Mirai". L'impressione che ho avuto durante tutta la durata della proiezione è quella di una storia che cerca costantemente di mettersi in moto senza riuscirci, regalando una gigantesca introduzione che non introduce ad altro che al finale del film, come un'automobile di una buona marca ma con la batteria scarica. Ciò che mi ha disturbato maggiormente è stata la mancanza di un vero e proprio "viaggio dell'eroe", di un percorso che avrebbe dovuto portare il protagonista verso la propria catarsi e quindi alla crescita interiore, dopo il superamento di un intreccio di sfide e ostacoli. O meglio, una crescita personale avviene (nel senso stretto del termine), ma attraverso episodi slegati tra loro, caratterizzati dall'incontro tra il protagonista e alcuni membri della sua famiglia, passati o futuri, scelti in modo totalmente arbitrario, a discapito di altri a parer mio di fondamentale importanza (in primo luogo la mancata opportunità di generare un dialogo con il sé stesso di un'altra epoca, al quale vengono offerti pochissimo spazio e qualche frase di circostanza). Anche su colei che dà il nome al film, che dovrebbe possedere il ruolo di coprotagonista, ci viene detto poco e niente, relegando la storia prevalentemente al tempo presente e a scene di banale quotidianità. A parer mio, questa tendenza a fermarsi al lato superficiale del carattere dei personaggi conferisce a tutta la trama una piattezza complessiva non di poco conto: mi è risultato impossibile affezionarmi a chiunque, fatta eccezione per Kun, perché in fin dei conti non ci viene raccontato nulla di nessuno, se non piccoli episodi e frammenti. Il paragone con altri film dello stesso regista è inoltre inevitabile e, purtroppo, "Mirai no Mirai" ne esce a mio parere sconfitto su tutti i fronti. Esempi lampanti sono "Summer Wars" e "La ragazza che saltava nel tempo", nei quali la personalità dei personaggi è approfondita a un livello talmente superiore, da emozionare in continuazione, a tratti commuovere. Per non parlare della mancanza di scene semplicissime quanto efficaci tipiche della scuola di Hosoda (prima tra tutte la lunga carrellata orizzontale nella veranda della casa di "Summer Wars", per chi se la ricorda).
Per concludere, quello che mi rimane di "Mirai no Mirai" è il ricordo di un film comunque godibile, adatto alle famiglie e simpatico, ma che nello stesso tempo porta con sé una grande sensazione di incompiutezza e di apatia per quanto riguarda i personaggi, che mi appaiono tuttora, con qualche eccezione, quasi sconosciuti.
Dopo aver approfondito il rapporto madre-figlio in "Wolf Children" e quello padre-figlio in "The Boy and The Beast", questa volta tocca al piccolo Kun, protagonista del film, fungere da eroe della storia per sviscerare la complicata relazione di amore e odio tra fratello e sorella, dopo l'arrivo in famiglia della neonata Mirai. Tra capricci, momenti di gelosia e apparenti mancanze di attenzione, Kun si ritrova improvvisamente solo, irritato e confuso. Per poter accettare il cambiamento e finalmente riuscire a crescere, gli verrà in aiuto un pizzico di magia, in grado di sovrapporre presente e futuro e fargli incontrare i propri famigliari in epoche diverse.
Seppur mantenendo atmosfere sempre coerenti e citazioni stilistiche a film precedenti, e rimanendo a tratti godibile, è la struttura stessa della narrazione ad essere percettibilmente sottotono rispetto al solito. Scene particolarmente lente e dialoghi stanchi, oltre che una colonna sonora non del tutto incisiva (ricordo con nostalgia "Summer Wars" di Akihiko Matsumoto) non sono a parer mio l'unico punto debole di "Mirai no Mirai". L'impressione che ho avuto durante tutta la durata della proiezione è quella di una storia che cerca costantemente di mettersi in moto senza riuscirci, regalando una gigantesca introduzione che non introduce ad altro che al finale del film, come un'automobile di una buona marca ma con la batteria scarica. Ciò che mi ha disturbato maggiormente è stata la mancanza di un vero e proprio "viaggio dell'eroe", di un percorso che avrebbe dovuto portare il protagonista verso la propria catarsi e quindi alla crescita interiore, dopo il superamento di un intreccio di sfide e ostacoli. O meglio, una crescita personale avviene (nel senso stretto del termine), ma attraverso episodi slegati tra loro, caratterizzati dall'incontro tra il protagonista e alcuni membri della sua famiglia, passati o futuri, scelti in modo totalmente arbitrario, a discapito di altri a parer mio di fondamentale importanza (in primo luogo la mancata opportunità di generare un dialogo con il sé stesso di un'altra epoca, al quale vengono offerti pochissimo spazio e qualche frase di circostanza). Anche su colei che dà il nome al film, che dovrebbe possedere il ruolo di coprotagonista, ci viene detto poco e niente, relegando la storia prevalentemente al tempo presente e a scene di banale quotidianità. A parer mio, questa tendenza a fermarsi al lato superficiale del carattere dei personaggi conferisce a tutta la trama una piattezza complessiva non di poco conto: mi è risultato impossibile affezionarmi a chiunque, fatta eccezione per Kun, perché in fin dei conti non ci viene raccontato nulla di nessuno, se non piccoli episodi e frammenti. Il paragone con altri film dello stesso regista è inoltre inevitabile e, purtroppo, "Mirai no Mirai" ne esce a mio parere sconfitto su tutti i fronti. Esempi lampanti sono "Summer Wars" e "La ragazza che saltava nel tempo", nei quali la personalità dei personaggi è approfondita a un livello talmente superiore, da emozionare in continuazione, a tratti commuovere. Per non parlare della mancanza di scene semplicissime quanto efficaci tipiche della scuola di Hosoda (prima tra tutte la lunga carrellata orizzontale nella veranda della casa di "Summer Wars", per chi se la ricorda).
Per concludere, quello che mi rimane di "Mirai no Mirai" è il ricordo di un film comunque godibile, adatto alle famiglie e simpatico, ma che nello stesso tempo porta con sé una grande sensazione di incompiutezza e di apatia per quanto riguarda i personaggi, che mi appaiono tuttora, con qualche eccezione, quasi sconosciuti.
Dopo "Wolf Children", Mamoru Hosoda racconta ancora una volta la famiglia, questa volta dalla prospettiva di un bambino, Kun, il quale fatica ad accettare la nascita della sorellina Mirai, che, a suo modo di vedere le cose, gli ruba le attenzioni dei genitori. Nonostante sia un bimbo capriccioso, ad aiutare Kun a percorrere il sentiero della maturità e a comprendere i valori della vita interviene una componente sovrannaturale che gli permetterà di incontrare persone capaci di impartirgli importanti lezioni.
Il film si presenta come uno slice of life con la variante dei salti temporali; come molti film di questo genere il ritmo della trama è volutamente compassato, e va seguita a mente rilassata per poter essere apprezzata al meglio.
Il racconto si divide tra momenti comici e momenti drammatici, e le tematiche toccate riguardano la crescita, la maturazione, la ciclicità della vita e l'importanza della famiglia.
Il doppiaggio italiano è di alto livello, con ottime interpretazioni da parte dei doppiatori nostrani.
A livello tecnico i disegni sono molto puliti e le animazioni sono più che discrete.
Complessivamente, "Mirai no Mirai" è un'opera di alta caratura, indubbiamente consigliata agli amanti del genere.
Il film si presenta come uno slice of life con la variante dei salti temporali; come molti film di questo genere il ritmo della trama è volutamente compassato, e va seguita a mente rilassata per poter essere apprezzata al meglio.
Il racconto si divide tra momenti comici e momenti drammatici, e le tematiche toccate riguardano la crescita, la maturazione, la ciclicità della vita e l'importanza della famiglia.
Il doppiaggio italiano è di alto livello, con ottime interpretazioni da parte dei doppiatori nostrani.
A livello tecnico i disegni sono molto puliti e le animazioni sono più che discrete.
Complessivamente, "Mirai no Mirai" è un'opera di alta caratura, indubbiamente consigliata agli amanti del genere.
L'ho visto oggi al cinema, e posso iniziare dicendo che ho leggermente sottovalutato il film, perché credevo che fosse più noioso. Come capita spesso in questi film, ci sono i ringraziamenti iniziali dell'autore che fa all'Italia e a chi andrà a vedere il suo film, e devo dire che sono cose singolari da vedere, quindi positive.
Il film è simpatico e divertente, e lascia una morale e pensieri sul proprio passato. Secondo me, hanno sbagliato a creare Kun con le guance a tratti rosse, perché andava benissimo anche senza, inoltre il film sembra un libro, cioè diviso in capitoli, infatti, finita una determinata scena, c'è lo schermo che diventa nero, come se finisse il film. E questa cosa si ripete ogni volta per qualche secondo.
In questo film, si affronta un tema ricorrente, e sarebbe quello della gelosia, in questo caso dell'arrivo in famiglia di un nuovo membro. Poi, quando qualcosa va storto, ci si rifugia nella fantasia, che è un qualcosa di potente in un bambino. Alcune scene come quella della stazione e molte altre sono fatte in modo impeccabile, tralasciando i personaggi bizzarri in 3D.
Quindi, tutto sommato, è un film carino, da vedere insieme alla famiglia.
Il film è simpatico e divertente, e lascia una morale e pensieri sul proprio passato. Secondo me, hanno sbagliato a creare Kun con le guance a tratti rosse, perché andava benissimo anche senza, inoltre il film sembra un libro, cioè diviso in capitoli, infatti, finita una determinata scena, c'è lo schermo che diventa nero, come se finisse il film. E questa cosa si ripete ogni volta per qualche secondo.
In questo film, si affronta un tema ricorrente, e sarebbe quello della gelosia, in questo caso dell'arrivo in famiglia di un nuovo membro. Poi, quando qualcosa va storto, ci si rifugia nella fantasia, che è un qualcosa di potente in un bambino. Alcune scene come quella della stazione e molte altre sono fatte in modo impeccabile, tralasciando i personaggi bizzarri in 3D.
Quindi, tutto sommato, è un film carino, da vedere insieme alla famiglia.