The Deer King - Il re dei cervi
Memore del buon risultato di questo film al botteghino giapponese e attirato dal nome del regista, Masashi Ando, cresciuto all’ombra di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli ho deciso di guardare questo film del 2022.
Come dicevo Ando è un collaboratore di Miyazaki ma ha avuto anche la forza di attrarre a se una staff con i fiocchi: ma il fatto di avere nomi famosi alle spalle non costituisce per me una virtù perché è il risultato quello che conta. Per carità tecnicamente non trovo niente da dire, il film è ben fatto. Il ritmo dell’azione non è incalzante ma ho dato dei bei voti ad altre opere con lo stesso problema. La storia è narrata bene e per quanto la trama non sia innovativa la storia va...
E allora?
Allora tutto è discreto, qualcosa anche buono, niente di ottimo.
Solo un folle darebbe l’insufficienza a quest’opera, ma solo una persona che non ha mai avuto a che fare con il mondo dell’animazione o dell’animazione giapponese darebbe un dieci o anche anche solo un nove.
Mi ha fatto passare due ore (quasi) piacevolmente, ma poi il mio giudizio è da sette e mezzo.
Come dicevo Ando è un collaboratore di Miyazaki ma ha avuto anche la forza di attrarre a se una staff con i fiocchi: ma il fatto di avere nomi famosi alle spalle non costituisce per me una virtù perché è il risultato quello che conta. Per carità tecnicamente non trovo niente da dire, il film è ben fatto. Il ritmo dell’azione non è incalzante ma ho dato dei bei voti ad altre opere con lo stesso problema. La storia è narrata bene e per quanto la trama non sia innovativa la storia va...
E allora?
Allora tutto è discreto, qualcosa anche buono, niente di ottimo.
Solo un folle darebbe l’insufficienza a quest’opera, ma solo una persona che non ha mai avuto a che fare con il mondo dell’animazione o dell’animazione giapponese darebbe un dieci o anche anche solo un nove.
Mi ha fatto passare due ore (quasi) piacevolmente, ma poi il mio giudizio è da sette e mezzo.
Masashi Ando è sicuramente uno dei maggiori professionisti dell'industria dell'animazione giapponese degli ultimi venticinque anni. Formatosi nello Studio Ghibli dopo la prima ondata di assunzioni a inizio anni '90, a soli venticinque anni viene scelto personalmente da Hayao Miyazaki come direttore delle animazioni de “La principessa Mononoke”, per poi essere confermato anche per “La città incantata”. Successivamente, a causa di contrasti con Miyazaki, Ando diventa free-lance e collabora con i più grandi registi in circolazione, da Satoshi Kon a Mamoru Oshii, da Isao Takahata a Hiroyuki Okiura; ma il suo più grande risultato è forse in “Your Name.”, dove riunisce un dream team di animatori che trasforma Makoto Shinkai nel regista di maggior successo della sua generazione, grazie a una cura nelle animazioni e nel character acting che non si era mai vista prima nei film di Shinkai. Non è esagerato dire che il successo del film sia merito di Ando almeno quanto lo sia di Shinkai.
Dopo aver lavorato a molti dei maggiori successi degli ultimi anni e imparato dai più grandi creativi dell'industria, Ando decide di mettersi in gioco e provare una strada nuova, debuttando come regista per “The Deer King - Il re dei cervi”.
A supportare Ando in questo suo debutto, vediamo nomi di tutto rispetto, alcuni scelti dai suoi vecchi collaboratori. Dal suo co-regista Masayuki Miyaji con cui aveva lavorato ai tempi de “La città incantata” al suo grande compagno e amico Hiroyuki Okiura (“Jin-Roh”, “Una lettera per Momo”), assistente alla direzione delle animazioni insieme a veterani come Kazuchika Kise o Toshiyuki Inoue (accreditato anche come animatore principale). Un ex-Ghibli formatosi sotto Miyazaki non poteva assolutamente trascurare la cura nell'ambientazione, nei fondali e nella colorazione, affidati alla direzione artistica di Hiroshi Ono, alla fotografia di Koji Tanaka (entrambi suoi compagni nella realizzazione di “Una lettera di Momo”) e al color design di Satoshi Hashimoto (conosciuto ai tempi di Satoshi Kon). A occuparsi delle sceneggiatura, c'è una delle figure più apprezzate degli ultimi anni, Taku Kishimoto (“Usagi Drop”, “Silver Spoon”, “Erased”, “Joker Game”, “Fruits Basket”, “Haikyuu!!”, “Ranking of Kings”), che si trova ad adattare un romanzo di un'autrice già nota agli appassionati di animazione giapponese: Nahoko Uehashi, in passato già trasposta da Production I.G negli ottimi “Seirei no Moribito” e “Kemono no Souja Erin”.
Distribuito in Italia da Anime Factory, prima al cinema e ora anche in home video, c'era quindi molta curiosità su questo film: coadiuvato da uno staff di tutto rispetto, Masashi Ando sarebbe riuscito a replicare i grandi risultati ottenuti come animatore e direttore delle animazioni, oppure il suo tocco magico sarebbe scomparso nel suo primo tentativo da regista?
La storia ha luogo in un mondo feudale dove un grande impero negli anni ha soggiogato e annesso vari regni. Chi si è opposto strenuamente al suo dominio è Van, leader dei guerrieri schierati contro l’invasione. Finito in catene, è diventato uno schiavo assegnato alle miniere di sale. Una notte un branco di lupi entra nelle miniere seminando il panico. Tutti coloro che vengono morsi finiscono per essere infettati e morire, tranne Van che riesce a scappare, e durante la fuga salva una bambina, Yuna, anche lei misteriosamente sopravvissuta al “mittsal”, la piaga portata dai lupi. Assistito dal medico e ricercatore Hossal, inizia così a indagare sulla malattia, che nel frattempo ha colpito anche la corte. Ma proprio il sangue dei sopravvissuti potrebbe costituire la base per la tanto sospirata cura, e per questo Van e Yuna saranno oggetto di una frenetica caccia all’uomo.
L'ambientazione è molto interessante e ben delineata, tuttavia il film si concentra principalmente sulle vicende di Van, Yuna e Hossal, lasciando il resto a far loro da sfondo.
Il legame tra Van e Yuna è narrato con tranquillità e serenità, senza mai eccessi: due sconosciuti rimasti soli al mondo che si incontrano, si fanno forza a vicenda e si salvano l'un altro. Dove Van fornisce all'orfana Yuna gli strumenti per sopravvivere e la porta in un villaggio sicuro e accogliente dove potersi sentire a casa, Yuna dona a Van un nuovo motivo per continuare a vivere, dopo che la morte della famiglia e la sconfitta in guerra gli avevano fatto perdere tutto. Si avverte sia l'abilità di Ando nel raccontare in modo credibile le emozioni e i sentimenti dei bambini sia quell'approccio realistico e non sensazionalistico proprio del suo amico e collega Hiroyuki Okiura, con anche qualche vibes alla meisaku in stile Takahata. Quest'impostazione allontana questo film da opere come “La principessa Mononoke” di Miyazaki, di cui resta tuttavia chiara l'ispirazione di Ando nella gestione dell'ambientazione naturale.
Ad affiancare questo legame genitoriale a tratti dal sapore quasi meisaku, vi sono le vicende di Hossal, medico inviato dall'imperatore per scoprire la cura a una pericolosa malattia che decenni prima aveva fermato l'avanzata imperiale e a cui sembra che i nativi siano immuni. Hossal è un personaggio davvero interessante, che col suo approccio scientifico appare quasi fuori posto e fin troppo moderno, mentre cerca di farsi strada tra le ottuse superstizioni dei monaci; la sua storyline arricchisce l'opera e fornisce un bel contraltare al misticismo che permea le vicende di Van e Yuna.
Ad affiancare questo trio di personaggi principali, c'è un sottobosco di personaggi secondari interessanti e variegati che, seppur nel poco tempo a disposizione, ricevono il giusto spazio e il sufficiente approfondimento, sono raccontati in maniera funzionale alla storia e riescono a spingere i protagonisti lungo il loro personale percorso di maturazione e crescita. Si avverte la sensazione di avere a che fare con un mondo incredibilmente interessante che sarebbe stato bello esplorare, e quasi spiace di non aver avuto più tempo a disposizione per approfondire l'ambientazione, i villaggi e le culture delle due nazioni, così come anche i personaggi secondari. Magnifico è stato il lavoro del reparto artistico guidato da Ono nel rappresentare gli ambienti naturali, protagonisti quasi quanto i personaggi, coi suoi meravigliosi e delicati fondali. La colonna sonora di Harumi Fuki svolge un buon lavoro d'accompagnamento, alternando musiche folkloristiche in grado di immergere lo spettatore nelle ambientazioni mostrate a improvvisi stacchi più dinamici nelle scene d'azione, in grado persino di prendere alla sprovvista l'ascoltatore.
Masashi Ando confeziona un buon film di debutto in cui unisce l'esperienza ottenuta allo Studio Ghibli in film come “La principessa Mononoke” all'approccio realistico del suo amico e collega Hiroyuki Okiura. Il risultato è un film inaspettatamente tranquillo, per certi versi privo del pathos e delle venature epiche che ci si sarebbe potuti aspettare, ma che preferisce concentrarsi sulla crescita del rapporto genitoriale tra Van e Yuna e sulla ricerca di una cura da parte di Hossal. A condire il tutto, una direzione artistica meravigliosa nel ricreare i paesaggi naturali in cui i protagonisti si muovono e un sottobosco di personaggi secondari, culture e un'ambientazione di cui si sarebbe voluto sapere di più.
Dopo aver lavorato a molti dei maggiori successi degli ultimi anni e imparato dai più grandi creativi dell'industria, Ando decide di mettersi in gioco e provare una strada nuova, debuttando come regista per “The Deer King - Il re dei cervi”.
A supportare Ando in questo suo debutto, vediamo nomi di tutto rispetto, alcuni scelti dai suoi vecchi collaboratori. Dal suo co-regista Masayuki Miyaji con cui aveva lavorato ai tempi de “La città incantata” al suo grande compagno e amico Hiroyuki Okiura (“Jin-Roh”, “Una lettera per Momo”), assistente alla direzione delle animazioni insieme a veterani come Kazuchika Kise o Toshiyuki Inoue (accreditato anche come animatore principale). Un ex-Ghibli formatosi sotto Miyazaki non poteva assolutamente trascurare la cura nell'ambientazione, nei fondali e nella colorazione, affidati alla direzione artistica di Hiroshi Ono, alla fotografia di Koji Tanaka (entrambi suoi compagni nella realizzazione di “Una lettera di Momo”) e al color design di Satoshi Hashimoto (conosciuto ai tempi di Satoshi Kon). A occuparsi delle sceneggiatura, c'è una delle figure più apprezzate degli ultimi anni, Taku Kishimoto (“Usagi Drop”, “Silver Spoon”, “Erased”, “Joker Game”, “Fruits Basket”, “Haikyuu!!”, “Ranking of Kings”), che si trova ad adattare un romanzo di un'autrice già nota agli appassionati di animazione giapponese: Nahoko Uehashi, in passato già trasposta da Production I.G negli ottimi “Seirei no Moribito” e “Kemono no Souja Erin”.
Distribuito in Italia da Anime Factory, prima al cinema e ora anche in home video, c'era quindi molta curiosità su questo film: coadiuvato da uno staff di tutto rispetto, Masashi Ando sarebbe riuscito a replicare i grandi risultati ottenuti come animatore e direttore delle animazioni, oppure il suo tocco magico sarebbe scomparso nel suo primo tentativo da regista?
La storia ha luogo in un mondo feudale dove un grande impero negli anni ha soggiogato e annesso vari regni. Chi si è opposto strenuamente al suo dominio è Van, leader dei guerrieri schierati contro l’invasione. Finito in catene, è diventato uno schiavo assegnato alle miniere di sale. Una notte un branco di lupi entra nelle miniere seminando il panico. Tutti coloro che vengono morsi finiscono per essere infettati e morire, tranne Van che riesce a scappare, e durante la fuga salva una bambina, Yuna, anche lei misteriosamente sopravvissuta al “mittsal”, la piaga portata dai lupi. Assistito dal medico e ricercatore Hossal, inizia così a indagare sulla malattia, che nel frattempo ha colpito anche la corte. Ma proprio il sangue dei sopravvissuti potrebbe costituire la base per la tanto sospirata cura, e per questo Van e Yuna saranno oggetto di una frenetica caccia all’uomo.
L'ambientazione è molto interessante e ben delineata, tuttavia il film si concentra principalmente sulle vicende di Van, Yuna e Hossal, lasciando il resto a far loro da sfondo.
Il legame tra Van e Yuna è narrato con tranquillità e serenità, senza mai eccessi: due sconosciuti rimasti soli al mondo che si incontrano, si fanno forza a vicenda e si salvano l'un altro. Dove Van fornisce all'orfana Yuna gli strumenti per sopravvivere e la porta in un villaggio sicuro e accogliente dove potersi sentire a casa, Yuna dona a Van un nuovo motivo per continuare a vivere, dopo che la morte della famiglia e la sconfitta in guerra gli avevano fatto perdere tutto. Si avverte sia l'abilità di Ando nel raccontare in modo credibile le emozioni e i sentimenti dei bambini sia quell'approccio realistico e non sensazionalistico proprio del suo amico e collega Hiroyuki Okiura, con anche qualche vibes alla meisaku in stile Takahata. Quest'impostazione allontana questo film da opere come “La principessa Mononoke” di Miyazaki, di cui resta tuttavia chiara l'ispirazione di Ando nella gestione dell'ambientazione naturale.
Ad affiancare questo legame genitoriale a tratti dal sapore quasi meisaku, vi sono le vicende di Hossal, medico inviato dall'imperatore per scoprire la cura a una pericolosa malattia che decenni prima aveva fermato l'avanzata imperiale e a cui sembra che i nativi siano immuni. Hossal è un personaggio davvero interessante, che col suo approccio scientifico appare quasi fuori posto e fin troppo moderno, mentre cerca di farsi strada tra le ottuse superstizioni dei monaci; la sua storyline arricchisce l'opera e fornisce un bel contraltare al misticismo che permea le vicende di Van e Yuna.
Ad affiancare questo trio di personaggi principali, c'è un sottobosco di personaggi secondari interessanti e variegati che, seppur nel poco tempo a disposizione, ricevono il giusto spazio e il sufficiente approfondimento, sono raccontati in maniera funzionale alla storia e riescono a spingere i protagonisti lungo il loro personale percorso di maturazione e crescita. Si avverte la sensazione di avere a che fare con un mondo incredibilmente interessante che sarebbe stato bello esplorare, e quasi spiace di non aver avuto più tempo a disposizione per approfondire l'ambientazione, i villaggi e le culture delle due nazioni, così come anche i personaggi secondari. Magnifico è stato il lavoro del reparto artistico guidato da Ono nel rappresentare gli ambienti naturali, protagonisti quasi quanto i personaggi, coi suoi meravigliosi e delicati fondali. La colonna sonora di Harumi Fuki svolge un buon lavoro d'accompagnamento, alternando musiche folkloristiche in grado di immergere lo spettatore nelle ambientazioni mostrate a improvvisi stacchi più dinamici nelle scene d'azione, in grado persino di prendere alla sprovvista l'ascoltatore.
Masashi Ando confeziona un buon film di debutto in cui unisce l'esperienza ottenuta allo Studio Ghibli in film come “La principessa Mononoke” all'approccio realistico del suo amico e collega Hiroyuki Okiura. Il risultato è un film inaspettatamente tranquillo, per certi versi privo del pathos e delle venature epiche che ci si sarebbe potuti aspettare, ma che preferisce concentrarsi sulla crescita del rapporto genitoriale tra Van e Yuna e sulla ricerca di una cura da parte di Hossal. A condire il tutto, una direzione artistica meravigliosa nel ricreare i paesaggi naturali in cui i protagonisti si muovono e un sottobosco di personaggi secondari, culture e un'ambientazione di cui si sarebbe voluto sapere di più.
“The Deer King” è un film che mi ha convinto a metà. Sotto molti aspetti, è indubbiamente stato fatto un buon lavoro, ma nel complesso, quando sono arrivato alla fine, mi ha dato una certa sensazione di incompiutezza, di un lavoro che avrebbe potuto esprimersi meglio in un progetto di più ampio respiro.
Le premesse narrative sono comunque interessanti e più in generale tutta la prima parte del film è quella che si rivela più coinvolgente. Ci viene descritto un contesto politico e sociale ben definito, e nel mentre comprendiamo la storia dei vari personaggi. Qui a mio avviso si può già avvertire una buona divergenza tra la qualità di un’ambientazione ricca di sfaccettature e un cast di personaggi davvero anonimi. Il film si concentra perlopiù su alcuni temi specifici, quindi il fatto che i personaggi siano totalmente dimenticabili passa in secondo piano, anche se si poteva fare un lavoro decisamente migliore sotto questo profilo.
Per quanto concerne il contesto, si è rivelato abbastanza ispirato e interessante, ma un po’ troppo fine a sé stesso. Le vicissitudini passate delle varie realtà politiche presenti, le differenze religiose, le gerarchie sociali, sono tutte cose molto intriganti, ma in fin dei conti troppo abbozzate per essere valorizzate appieno. Ed è su questo punto che a mio avviso si avverte di più la sensazione che forse la storia meglio si sarebbe adattata ad una serie.
Tecnicamente, il lungometraggio si difende abbastanza bene, soprattutto nella parte finale, quando le vicende si fanno più dinamiche e la regia di Masashi Ando riesce a regalare quel tocco di personalità del quale durante la visione si sente un po’ l’assenza. Molto buona la colonna sonora, mentre il ritmo mi è sembrato abbastanza altalenante. La prima parte del film, come già detto, è quella che funziona meglio, mentre quella centrale a mio avviso è un po’ troppo lenta. Tutta la parte finale è discretamente coinvolgente, se non altro perché quella più movimentata, anche se la sensazione dominante che ho provato alla fine del film era quella di essere di fronte a una storia con delle fondamenta ispirate, ma raccontata in modo poco brillante e attraverso dei personaggi totalmente privi di carisma.
Nel complesso, il film riesce a offrire un’ambientazione ispirata e un lato tecnico e musicale apprezzabile, ma dei personaggi anonimi e un ritmo a tratti debole consegnano allo spettatore una storia in parte inconcludente, da cui era lecito aspettarsi di più, viste le buone premesse. Sullo sfondo, rimangono alcuni temi interessanti: le divisioni sociali, il conflitto religione-scienza ecc., ma sono tutti argomenti di contorno che raramente vengono messi al centro del film, forse troppo ambiziosi per una storia che in troppi momenti sembra mancare di una direzione precisa.
Le premesse narrative sono comunque interessanti e più in generale tutta la prima parte del film è quella che si rivela più coinvolgente. Ci viene descritto un contesto politico e sociale ben definito, e nel mentre comprendiamo la storia dei vari personaggi. Qui a mio avviso si può già avvertire una buona divergenza tra la qualità di un’ambientazione ricca di sfaccettature e un cast di personaggi davvero anonimi. Il film si concentra perlopiù su alcuni temi specifici, quindi il fatto che i personaggi siano totalmente dimenticabili passa in secondo piano, anche se si poteva fare un lavoro decisamente migliore sotto questo profilo.
Per quanto concerne il contesto, si è rivelato abbastanza ispirato e interessante, ma un po’ troppo fine a sé stesso. Le vicissitudini passate delle varie realtà politiche presenti, le differenze religiose, le gerarchie sociali, sono tutte cose molto intriganti, ma in fin dei conti troppo abbozzate per essere valorizzate appieno. Ed è su questo punto che a mio avviso si avverte di più la sensazione che forse la storia meglio si sarebbe adattata ad una serie.
Tecnicamente, il lungometraggio si difende abbastanza bene, soprattutto nella parte finale, quando le vicende si fanno più dinamiche e la regia di Masashi Ando riesce a regalare quel tocco di personalità del quale durante la visione si sente un po’ l’assenza. Molto buona la colonna sonora, mentre il ritmo mi è sembrato abbastanza altalenante. La prima parte del film, come già detto, è quella che funziona meglio, mentre quella centrale a mio avviso è un po’ troppo lenta. Tutta la parte finale è discretamente coinvolgente, se non altro perché quella più movimentata, anche se la sensazione dominante che ho provato alla fine del film era quella di essere di fronte a una storia con delle fondamenta ispirate, ma raccontata in modo poco brillante e attraverso dei personaggi totalmente privi di carisma.
Nel complesso, il film riesce a offrire un’ambientazione ispirata e un lato tecnico e musicale apprezzabile, ma dei personaggi anonimi e un ritmo a tratti debole consegnano allo spettatore una storia in parte inconcludente, da cui era lecito aspettarsi di più, viste le buone premesse. Sullo sfondo, rimangono alcuni temi interessanti: le divisioni sociali, il conflitto religione-scienza ecc., ma sono tutti argomenti di contorno che raramente vengono messi al centro del film, forse troppo ambiziosi per una storia che in troppi momenti sembra mancare di una direzione precisa.