Bubble
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Quest’opera si può definire una versione moderna della fiaba “La sirenetta” di Hans Christian Andersen, rivista in un mondo distopico, con protagonisti Hibiki, campione di parkour, e Uta un essere di cui si sa poco quando compare e si capisce poco quando scompare: saremo solo noi però ad avere questi dubbi perché tutti i personaggi del film non ne hanno e sembrano capire tutto. Quindi la trama arriva ad essere una versione illogica de “La sirenetta” ma serve al Wit studio e al regista semplicemente per far vedere splendide scene acrobatiche e fantastici sfondi.
Ciò che regna in questo film è il colore, fiori, palazzi, persone, bolle… tutto un mix colorato di grande impatto.
Si è tentato anche di mettere un po’ di profondità parlando di spirale, di eterno ritorno ma per quanto apprezzi questo genere di idee sono sempre stato dell’avviso che sia importante non solo conti cosa racconti, ma anche come lo fai e qui Gen Urobuchi (di cui mi era piaciuto il lavoro in Psycho-Pass) non si dimostra all’altezza… forse aveva bisogno di più minutaggio, ma ci sono cose che capitano senza logica e mi sorprende che nonostante ciò quest’opera sia arrivata ad essere licenziata da uno studio così famoso e da un regista che ha diretto un’opera grandiosa come “L’attacco dei Giganti”, ma forse lì era tutto più facile perché bastava ispirarsi al manga.
Mi sento per le mancanze nella trama, che esiste solo come labile funzione per esibire appunto la bravura nelle scene movimentate in un ambiente strano degli assi del parkour che letteralmente volano in una bolla dove le regole della gravità funzionano in modo diverso e quindi riescono a fare salti mozzafiato, muovendosi rapidamente in un ambiente “strano”, dicevo mi sento di dare a quest’opera un cinque, che da un lato è poco ma d’altro è il voto giusto.
Quest’opera si può definire una versione moderna della fiaba “La sirenetta” di Hans Christian Andersen, rivista in un mondo distopico, con protagonisti Hibiki, campione di parkour, e Uta un essere di cui si sa poco quando compare e si capisce poco quando scompare: saremo solo noi però ad avere questi dubbi perché tutti i personaggi del film non ne hanno e sembrano capire tutto. Quindi la trama arriva ad essere una versione illogica de “La sirenetta” ma serve al Wit studio e al regista semplicemente per far vedere splendide scene acrobatiche e fantastici sfondi.
Ciò che regna in questo film è il colore, fiori, palazzi, persone, bolle… tutto un mix colorato di grande impatto.
Si è tentato anche di mettere un po’ di profondità parlando di spirale, di eterno ritorno ma per quanto apprezzi questo genere di idee sono sempre stato dell’avviso che sia importante non solo conti cosa racconti, ma anche come lo fai e qui Gen Urobuchi (di cui mi era piaciuto il lavoro in Psycho-Pass) non si dimostra all’altezza… forse aveva bisogno di più minutaggio, ma ci sono cose che capitano senza logica e mi sorprende che nonostante ciò quest’opera sia arrivata ad essere licenziata da uno studio così famoso e da un regista che ha diretto un’opera grandiosa come “L’attacco dei Giganti”, ma forse lì era tutto più facile perché bastava ispirarsi al manga.
Mi sento per le mancanze nella trama, che esiste solo come labile funzione per esibire appunto la bravura nelle scene movimentate in un ambiente strano degli assi del parkour che letteralmente volano in una bolla dove le regole della gravità funzionano in modo diverso e quindi riescono a fare salti mozzafiato, muovendosi rapidamente in un ambiente “strano”, dicevo mi sento di dare a quest’opera un cinque, che da un lato è poco ma d’altro è il voto giusto.
"Bubble"
"Bubble" non poteva avere un titolo migliore di questo. Tutti noi da piccoli abbiamo amato le bolle di sapone - alcuni pure da grandicelli grazie a dio - attratti dal connubio caleidoscopico di colori che la composizione della bolla mostrava ai nostri occhi. Così preziosa, la bolla, che non si poteva toccarla, tanto era delicata.
"Bubble" ci offre uno spettacolo a cui difficilmente si riesce a restare indifferenti. In una Tokyo alternativa, contenuta in un campo magnetico che ne altera le caratteristiche gravitazionali, invasa dall'acqua e da delle misteriose bolle, alcuni ragazzi, tra cui l'introverso Hibiki, si dilettano e si "guadagnano da vivere", sfidandosi a gruppi in gare di parkour, sfruttando l'alterazione gravitazionale per offrire incredibili spettacoli acrobatici al loro pubblico. Lo status quo continua da cinque anni. Alla comparsa di una misteriosa ragazza, tale Uta, le cose iniziano a cambiare.
Diretti e concisi. Proprio come una bolla di sapone, "Bubble" si mostra come qualcosa di leggero e bellissimo, e sempre come una bolla, "Bubble" non contiene nulla al suo interno, se non un po' d'aria.
"Bubble" ha il pregio di mettere in mostra un mastodontico capolavoro di carattere tecnico, fatto di evoluzioni tridimensionali e dettagli artistici che superano la perfezione, generando pura attrazione magnetica nei confronti dei nostri spalancati occhi.
Ancor più difficile, quindi, da mandare giù l'amara pillola. "Bubble" non ha altro da offrire, o quasi.
"Bubble" propone la storia di una moderna e rivisitata "Sirenetta", fatta di richiami al panteismo e alla dura legge della delicatezza, tramandati attraverso l'immagine metafisica della bolla tra amori adolescenziali e rapporti superficiali. Sì, la propone...
Parlo proprio in prima persona e dico "bellissimo", davvero bellissimo. Perché la storia che "Bubble" aveva intenzione di raccontare, la si intuisce, e sì, sarebbe stata bellissima. Tuttavia, la sensazione è che durante la scrittura di questa meravigliosa storia, fosse inaspettatamente giunto il momento di scendere sul palco e alzare il sipario, senza però che la scrittura fosse terminata.
Il risultato è disastroso, perché davvero dà proprio la percezione di un guscio da cui sarebbe dovuta nascere una bellissima farfalla, una gioia per occhi, orecchie, mente, cuore e quant'altro, ma che si è schiuso troppo presto, lasciandoci pieni di rammarico e rimpianto per qualcosa che davvero, come "Children of the Sea" - perché hai copiato da Igarashi, non ti azzardare a negarlo! - poteva essere tanto bello da togliere il fiato.
"Bubble", nome perfetto. Una bolla di colori per una pallina d'aria, una copertina graziosa per delle pagine completamente bianche. Un'occasione persa, un rimpianto e un rammarico. Non è il "Bubble" di cui avevamo bisogno, né il "Bubble" che ci meritavamo.
"Bubble" non poteva avere un titolo migliore di questo. Tutti noi da piccoli abbiamo amato le bolle di sapone - alcuni pure da grandicelli grazie a dio - attratti dal connubio caleidoscopico di colori che la composizione della bolla mostrava ai nostri occhi. Così preziosa, la bolla, che non si poteva toccarla, tanto era delicata.
"Bubble" ci offre uno spettacolo a cui difficilmente si riesce a restare indifferenti. In una Tokyo alternativa, contenuta in un campo magnetico che ne altera le caratteristiche gravitazionali, invasa dall'acqua e da delle misteriose bolle, alcuni ragazzi, tra cui l'introverso Hibiki, si dilettano e si "guadagnano da vivere", sfidandosi a gruppi in gare di parkour, sfruttando l'alterazione gravitazionale per offrire incredibili spettacoli acrobatici al loro pubblico. Lo status quo continua da cinque anni. Alla comparsa di una misteriosa ragazza, tale Uta, le cose iniziano a cambiare.
Diretti e concisi. Proprio come una bolla di sapone, "Bubble" si mostra come qualcosa di leggero e bellissimo, e sempre come una bolla, "Bubble" non contiene nulla al suo interno, se non un po' d'aria.
"Bubble" ha il pregio di mettere in mostra un mastodontico capolavoro di carattere tecnico, fatto di evoluzioni tridimensionali e dettagli artistici che superano la perfezione, generando pura attrazione magnetica nei confronti dei nostri spalancati occhi.
Ancor più difficile, quindi, da mandare giù l'amara pillola. "Bubble" non ha altro da offrire, o quasi.
"Bubble" propone la storia di una moderna e rivisitata "Sirenetta", fatta di richiami al panteismo e alla dura legge della delicatezza, tramandati attraverso l'immagine metafisica della bolla tra amori adolescenziali e rapporti superficiali. Sì, la propone...
Parlo proprio in prima persona e dico "bellissimo", davvero bellissimo. Perché la storia che "Bubble" aveva intenzione di raccontare, la si intuisce, e sì, sarebbe stata bellissima. Tuttavia, la sensazione è che durante la scrittura di questa meravigliosa storia, fosse inaspettatamente giunto il momento di scendere sul palco e alzare il sipario, senza però che la scrittura fosse terminata.
Il risultato è disastroso, perché davvero dà proprio la percezione di un guscio da cui sarebbe dovuta nascere una bellissima farfalla, una gioia per occhi, orecchie, mente, cuore e quant'altro, ma che si è schiuso troppo presto, lasciandoci pieni di rammarico e rimpianto per qualcosa che davvero, come "Children of the Sea" - perché hai copiato da Igarashi, non ti azzardare a negarlo! - poteva essere tanto bello da togliere il fiato.
"Bubble", nome perfetto. Una bolla di colori per una pallina d'aria, una copertina graziosa per delle pagine completamente bianche. Un'occasione persa, un rimpianto e un rammarico. Non è il "Bubble" di cui avevamo bisogno, né il "Bubble" che ci meritavamo.
Se dovessi riassumere in poche parole il lungometraggio, la definizione che suscita "Bubble" è quella di una "opera estetica".
E con questo non voglio esprimere giocoforza un giudizio negativo, anzi.
A livello tecnico credo che siamo a livelli decisamente ben superiori alla media e non lo giustificherei solo per i nomi roboanti che stanno dietro alla produzione: WIT Studio ("Vinland Saga", "L’Attacco dei Giganti"), Gen Urobuchi per la sceneggiatura ("Puella Magi Madoka Magica", "Psycho-Pass", "Fate/Zero"), regista Tetsuro Araki ("L’Attacco dei Giganti", "Death Note"), Hiroyuki Sawano ("Promare", "L’Attacco dei Giganti", "The Seven Deadly Sins") per la colonna sonora. Tuttavia, non sempre le squadre imbottite di "campioni" (o presunti tali) riescono a sfornare prestazioni all'altezza delle aspettative e alla fine della visione, "Bubble" mi ha lasciato un po' la sensazione da "sotto lo splendido vestito... niente" . Come ho già scritto, sotto l'aspetto tecnico si possono solo spendere parole di elogio: la componente visiva è molto curata, sia dal punto di vista dei colori sia da quello del design. A mero titolo di esempio: la resa del disegno e dell'animazione delle bolle è veramente incredibile.
In secondo luogo anche l'animazione non è da meno soprattutto per le scene mozzafiato del parkour con un mix incalzante di soggettive e a campo aperto molto realistiche dalla resa cromatica molto accattivante.
Dal punto di vista dell'atmosfera, mi è sembrato che gli autori abbiano creato un mondo post-apocalisse (limitatamente ad una porzione della città di Tokyo) con un mix di fantascienza e il mondo dei sogni e delle fiabe (non è assolutamente casuale il richiamo alla "Sirenetta" di Hans Christian Andersen) che porta il film al limite (e oltre) del surreale. Ma le citazioni alla nota fiaba (con le possibili interpretazioni della diversità a causa della natura ibrida non prevalente di Uta/bollicine/sirenetta e della sua impossibilità ad esprimersi liberamente nel parlare e nell'amare Hibiki) e il richiamo al principio della spirale e dell'eterno ritorno tanto caro alla cultura giapponese (ben menzionato nel film nel momento del distacco di Uta da Hibiki), pur se nobilitano l'opera non vengono approfonditi a sufficienza per rendere l'anime memorabile, rimanendo (e di molto) dietro le quinte dello stupore visivo.
In un certo senso, il film ha privilegiato più l'azione e la meraviglia suscitata dalla superlativa realizzazione tecnica piuttosto che costruire una sceneggiatura intrigante e/o approfondire il i personaggi: a malapena Hibiki viene tratteggiato e spiegato per il suo passato, tanto da renderlo per certi versi una versione maschile di Uta proprio per la sua "diversità" e "unicità" rispetto agli altri personaggi "umani" del film che restano sullo sfondo della storia senza lasciare un particolare segno.
Anche il comparto audio/musicale rappresenta una parte essenziale del film: la nenia cantata da Uta più volte nell'anime fa quasi parte della storia e rende in modo quasi ipnotico le emozioni che prova Hibiki e l’ambiente onirico e fiabesco del film.
Sebbene "Bubble" presenti delle evidenti lacune di trama/sceneggiatura, ne consiglio la visione per l'originale mix tra atmosfera fiabesca e azione incalzante.
E con questo non voglio esprimere giocoforza un giudizio negativo, anzi.
A livello tecnico credo che siamo a livelli decisamente ben superiori alla media e non lo giustificherei solo per i nomi roboanti che stanno dietro alla produzione: WIT Studio ("Vinland Saga", "L’Attacco dei Giganti"), Gen Urobuchi per la sceneggiatura ("Puella Magi Madoka Magica", "Psycho-Pass", "Fate/Zero"), regista Tetsuro Araki ("L’Attacco dei Giganti", "Death Note"), Hiroyuki Sawano ("Promare", "L’Attacco dei Giganti", "The Seven Deadly Sins") per la colonna sonora. Tuttavia, non sempre le squadre imbottite di "campioni" (o presunti tali) riescono a sfornare prestazioni all'altezza delle aspettative e alla fine della visione, "Bubble" mi ha lasciato un po' la sensazione da "sotto lo splendido vestito... niente" . Come ho già scritto, sotto l'aspetto tecnico si possono solo spendere parole di elogio: la componente visiva è molto curata, sia dal punto di vista dei colori sia da quello del design. A mero titolo di esempio: la resa del disegno e dell'animazione delle bolle è veramente incredibile.
In secondo luogo anche l'animazione non è da meno soprattutto per le scene mozzafiato del parkour con un mix incalzante di soggettive e a campo aperto molto realistiche dalla resa cromatica molto accattivante.
Dal punto di vista dell'atmosfera, mi è sembrato che gli autori abbiano creato un mondo post-apocalisse (limitatamente ad una porzione della città di Tokyo) con un mix di fantascienza e il mondo dei sogni e delle fiabe (non è assolutamente casuale il richiamo alla "Sirenetta" di Hans Christian Andersen) che porta il film al limite (e oltre) del surreale. Ma le citazioni alla nota fiaba (con le possibili interpretazioni della diversità a causa della natura ibrida non prevalente di Uta/bollicine/sirenetta e della sua impossibilità ad esprimersi liberamente nel parlare e nell'amare Hibiki) e il richiamo al principio della spirale e dell'eterno ritorno tanto caro alla cultura giapponese (ben menzionato nel film nel momento del distacco di Uta da Hibiki), pur se nobilitano l'opera non vengono approfonditi a sufficienza per rendere l'anime memorabile, rimanendo (e di molto) dietro le quinte dello stupore visivo.
In un certo senso, il film ha privilegiato più l'azione e la meraviglia suscitata dalla superlativa realizzazione tecnica piuttosto che costruire una sceneggiatura intrigante e/o approfondire il i personaggi: a malapena Hibiki viene tratteggiato e spiegato per il suo passato, tanto da renderlo per certi versi una versione maschile di Uta proprio per la sua "diversità" e "unicità" rispetto agli altri personaggi "umani" del film che restano sullo sfondo della storia senza lasciare un particolare segno.
Anche il comparto audio/musicale rappresenta una parte essenziale del film: la nenia cantata da Uta più volte nell'anime fa quasi parte della storia e rende in modo quasi ipnotico le emozioni che prova Hibiki e l’ambiente onirico e fiabesco del film.
Sebbene "Bubble" presenti delle evidenti lacune di trama/sceneggiatura, ne consiglio la visione per l'originale mix tra atmosfera fiabesca e azione incalzante.
In una Tokyo distopica sommersa dall'acqua, avviene un magico incontro ovvero quello fra Hibiki, un ragazzo introverso e che tende a isolarsi dal mondo e Uta, una dolce ragazza che misteriosamente gli salva la vita.
La storia può essere letta come la versione moderna e giapponese della Sirenetta.
A me è piaciuta molto, sia per la grafica onirica e colorata (che ricorda quella di Makoto Shinkai) sia per la trama, la sceneggiatura e i personaggi.
Nonostante non si parli molto del background dei protagonisti e di quelli secondari, si capisce e si percepisce chiaramente la loro storia.
Dal punto di vista uditivo possiede dei momenti molto suggestivi.
Do' il massimo dei voti sia dal punto di vista tecnico, sia per l'impatto emotivo che mi ha regalato. Consiglio questo anime a chiunque abbia bisogno di un po' di speranza, di romanticismo e di emozioni.
La storia può essere letta come la versione moderna e giapponese della Sirenetta.
A me è piaciuta molto, sia per la grafica onirica e colorata (che ricorda quella di Makoto Shinkai) sia per la trama, la sceneggiatura e i personaggi.
Nonostante non si parli molto del background dei protagonisti e di quelli secondari, si capisce e si percepisce chiaramente la loro storia.
Dal punto di vista uditivo possiede dei momenti molto suggestivi.
Do' il massimo dei voti sia dal punto di vista tecnico, sia per l'impatto emotivo che mi ha regalato. Consiglio questo anime a chiunque abbia bisogno di un po' di speranza, di romanticismo e di emozioni.
Parere oggettivo:
il film presenta delle animazioni spettacolari, dai disegni puliti e accurati che a volte sembrano quasi realistici.
La storia, per quanto sia palesemente una versione moderna della favola della Sirenetta di Hans Christian Andersen, risulta con la sua ambientazione distopica. Una Tokyo del futuro distrutta dove dei ragazzi si sfidano in gare di parkour, tra questi spicca Hibiki un ragazzo dall’udito fragile che un giorno viene salvato da Uta. Dunque la storia si presenta molto originale sia per la sua ambientazione che per il contesto, le bubbles che cadono dal cielo e che distruggono una città in continuo progresso rendendola una giungla di metallo e cemento che pian piano si sfalda, essendo immersa nell’acqua e con un vortice al centro che risucchia pian piano tutto.
La storia è ben strutturata e non risulta per nulla banale anzi, grazie al suo tocco moderno ha vinto di spessore.
Parere soggettivo:
il film mi è piaciuto molto, sono amante delle favole e forse proprio questo ri-spolveramento di uno dei grandi classici era quello che ci voleva. Uta che rappresenta la sirenetta e che in origine è una delle bubbles fa la stessa cosa della figura di Andersen: vede Hibiki e nel momento del bisogno lo soccorre prendendo una forma che Hibiki può vedere e che non lo possa spaventare. Ho adorato fin da subito i colori sgargianti, le musiche che danno all’ambientazione un non so che di magico per poi trovare il culmine con la canzone che canta Uta.
Personaggi
Hibiki: È un ragazzo molto introverso, porta quasi sempre le cuffie che gli permettono di non percepire i rumori esterni. Il suo primo incontro con Uta è mentre cade in mare e sta per annegare, è un abile atleta del parkour che porta la sua squadra alla vittoria. Anche lui sente la melodia che poi Uta gli canta, cosa che lo renderà più aperto verso gli altri.
Uta : È la protagonista femminile della storia, una ragazza misteriosa apparsa per soccorrere Hibiki e che inizia a vivere con gli umani comprendendo che lei è come la sirenetta della fiaba. Anche lei sente la melodia e la canta, cosa che influenza molto Hibiki che è un animo più chiuso.
il film presenta delle animazioni spettacolari, dai disegni puliti e accurati che a volte sembrano quasi realistici.
La storia, per quanto sia palesemente una versione moderna della favola della Sirenetta di Hans Christian Andersen, risulta con la sua ambientazione distopica. Una Tokyo del futuro distrutta dove dei ragazzi si sfidano in gare di parkour, tra questi spicca Hibiki un ragazzo dall’udito fragile che un giorno viene salvato da Uta. Dunque la storia si presenta molto originale sia per la sua ambientazione che per il contesto, le bubbles che cadono dal cielo e che distruggono una città in continuo progresso rendendola una giungla di metallo e cemento che pian piano si sfalda, essendo immersa nell’acqua e con un vortice al centro che risucchia pian piano tutto.
La storia è ben strutturata e non risulta per nulla banale anzi, grazie al suo tocco moderno ha vinto di spessore.
Parere soggettivo:
il film mi è piaciuto molto, sono amante delle favole e forse proprio questo ri-spolveramento di uno dei grandi classici era quello che ci voleva. Uta che rappresenta la sirenetta e che in origine è una delle bubbles fa la stessa cosa della figura di Andersen: vede Hibiki e nel momento del bisogno lo soccorre prendendo una forma che Hibiki può vedere e che non lo possa spaventare. Ho adorato fin da subito i colori sgargianti, le musiche che danno all’ambientazione un non so che di magico per poi trovare il culmine con la canzone che canta Uta.
Personaggi
Hibiki: È un ragazzo molto introverso, porta quasi sempre le cuffie che gli permettono di non percepire i rumori esterni. Il suo primo incontro con Uta è mentre cade in mare e sta per annegare, è un abile atleta del parkour che porta la sua squadra alla vittoria. Anche lui sente la melodia che poi Uta gli canta, cosa che lo renderà più aperto verso gli altri.
Uta : È la protagonista femminile della storia, una ragazza misteriosa apparsa per soccorrere Hibiki e che inizia a vivere con gli umani comprendendo che lei è come la sirenetta della fiaba. Anche lei sente la melodia e la canta, cosa che influenza molto Hibiki che è un animo più chiuso.
Riguardo il comparto tecnico non c’è niente da dire, se non che rasenti la perfezione, però proprio il fatto che non ci sia da dire sotto questo aspetto, ti fa venire voglia di scrivere un po’ di cose.
Tempo fa mi sono imbattuto in un articolo di giornale, dove si evidenziava l’evoluzione del marketing relativo ai film. Riassumendo brevemente il discorso: fino qualche decennio fa, ad attirare gli spettatori al cinema erano solamente gli attori che, con il loro nome, conferivano all’opera che era arrivata nelle sale, una sorta di marchio di qualità. Tutto ciò che faceva parte del comparto tecnico, era in qualche modo un’informazione che interessava solo gli addetti ai lavori, ed era considerata irrilevante per quanto concerneva la promozione (questo è quello che era scritto nell'articolo, qualche eccezione a me viene in mente, però lasciamo stare). Negli ultimi anni invece aveva incominciato a diventare sempre più spendibile il lato “extra recitativo”, per cui durante i trailer c’era una proliferare di annunci tipo: “dal regista, dai produttori , dall'autore di …” senza contare poi l’enfatizzazione dei premi (anche tecnici) conseguiti dai vari film, nei più famosi festival mondiali. Questo fenomeno, che nel tempo ha preso sempre più piede, può essere considerato anche positivo, visto che per ogni attore che ci mette la faccia, ci sono decine e decine di lavoratori invisibili, che a volte non sono nemmeno tanto ben pagati (ci sono stati degli scioperi da parte degli sceneggiatori, anche ad Hollywood).
“Bubble”, per certi versi, rappresenta il salto successivo di questa tendenza, che però nasconde anche una connotazione negativa: la scelta di “reclutare” lo “Studio Wit” e il regista Tetsuro Araki, resi celebri per i loro lavori ne “L’attacco dei giganti ”, da una parte crea un potentissimo richiamo verso tutte quelle persone che si sono appassionate a questa lunga saga (e dal punto di vista del marketing ci sta), ma dall’altro lato genera un forte sbilanciamento del lungometraggio verso il lato meramente tecnico (cosa tra l’altro già vista nei film americani, con l’avvento del digitale), a tutto discapito della sceneggiatura che ne risulta pesantemente penalizzata.
In sostanza si è fatto esattamente il contrario di quello che per me dovrebbe essere la norma, e cioè invece di partire da una buona scrittura, e cercare poi le migliori maestranze disponibili sul mercato per svilupparla, si è invece partiti da quello che lo studio di produzione e il regista sapevano fare al meglio (perché alla fine stiamo parlando del movimento tridimensionale elevato al cubo) e da qui, si è poi imbastita una storia un po’ raffazzonata e piena di lacune narrative. In altre parole non è stata la tecnica a mettersi al servizio della scrittura, ma è la storia che è stata costruita in base alle capacità tecniche (eccelse, per carità) disponibili.
La debolezza di “Bubble” risiede proprio nella trama, che apparentemente è anche piuttosto ambiziosa (e ciò peggiora le cose), visto che vengono buttati dentro: il mito delle sirene, le anomalie spazio/tempo gravitazionali e la geometria delle spirali, senza però poi creare un vero collegamento esplicativo del tutto. “Uta”, la coprotagonista, mi ha ricordato la versione femminile di “Tarzan”, ed è un po’ assurdo come nessuno dei compagni si ponga qualche domanda su chi (cosa) sia la ragazza, viste anche le sue strane anomalie, tanto fisiche quanto comportamentali. I vari personaggi, seppur nell’insieme simpatici, non vengono ben sviluppati (anche perché non avevano tempo per farsi conoscere, erano troppo impegnati a saltare). Non viene mai mostrato come si viva fuori dalla “bolla” di Tokyo, e il fatto che dall’esterno li osservino in TV, scommettendo su di loro, porta alla mente un certo “Hunger Games” .
Devo dire che mi è piaciuta quella strana danza sulle bolle che i due protagonisti, Hibiki e Uta, mettono in scena, poiché mi ha ricordato i rituali di corteggiamento di alcuni uccelli, che si vedono nei documentari, e insieme ad una discreta OST, creano un’atmosfera poetica e avvolgente, che di certo non è paragonabile ad un prosaico lui che invita la sua lei, a mangiare un onigiri, nel tipico “Slice of life” nipponico.
L’integrazione “fondali – personaggi” è quasi perfetta e supera di gran lunga quella dei “Giganti” anche se alcune scene, mi hanno lasciato la sensazione di star a vedere un video game dove a giocare, invece che un amico, era il regista.
Alla fine mi sento di consigliare “Bubble” ai soli amanti del comparto tecnico e visivo in particolare, perché da questo punto di vista stiamo a livelli altissimi, tutti gli altri possono tranquillamente saltarlo.
Tempo fa mi sono imbattuto in un articolo di giornale, dove si evidenziava l’evoluzione del marketing relativo ai film. Riassumendo brevemente il discorso: fino qualche decennio fa, ad attirare gli spettatori al cinema erano solamente gli attori che, con il loro nome, conferivano all’opera che era arrivata nelle sale, una sorta di marchio di qualità. Tutto ciò che faceva parte del comparto tecnico, era in qualche modo un’informazione che interessava solo gli addetti ai lavori, ed era considerata irrilevante per quanto concerneva la promozione (questo è quello che era scritto nell'articolo, qualche eccezione a me viene in mente, però lasciamo stare). Negli ultimi anni invece aveva incominciato a diventare sempre più spendibile il lato “extra recitativo”, per cui durante i trailer c’era una proliferare di annunci tipo: “dal regista, dai produttori , dall'autore di …” senza contare poi l’enfatizzazione dei premi (anche tecnici) conseguiti dai vari film, nei più famosi festival mondiali. Questo fenomeno, che nel tempo ha preso sempre più piede, può essere considerato anche positivo, visto che per ogni attore che ci mette la faccia, ci sono decine e decine di lavoratori invisibili, che a volte non sono nemmeno tanto ben pagati (ci sono stati degli scioperi da parte degli sceneggiatori, anche ad Hollywood).
“Bubble”, per certi versi, rappresenta il salto successivo di questa tendenza, che però nasconde anche una connotazione negativa: la scelta di “reclutare” lo “Studio Wit” e il regista Tetsuro Araki, resi celebri per i loro lavori ne “L’attacco dei giganti ”, da una parte crea un potentissimo richiamo verso tutte quelle persone che si sono appassionate a questa lunga saga (e dal punto di vista del marketing ci sta), ma dall’altro lato genera un forte sbilanciamento del lungometraggio verso il lato meramente tecnico (cosa tra l’altro già vista nei film americani, con l’avvento del digitale), a tutto discapito della sceneggiatura che ne risulta pesantemente penalizzata.
In sostanza si è fatto esattamente il contrario di quello che per me dovrebbe essere la norma, e cioè invece di partire da una buona scrittura, e cercare poi le migliori maestranze disponibili sul mercato per svilupparla, si è invece partiti da quello che lo studio di produzione e il regista sapevano fare al meglio (perché alla fine stiamo parlando del movimento tridimensionale elevato al cubo) e da qui, si è poi imbastita una storia un po’ raffazzonata e piena di lacune narrative. In altre parole non è stata la tecnica a mettersi al servizio della scrittura, ma è la storia che è stata costruita in base alle capacità tecniche (eccelse, per carità) disponibili.
La debolezza di “Bubble” risiede proprio nella trama, che apparentemente è anche piuttosto ambiziosa (e ciò peggiora le cose), visto che vengono buttati dentro: il mito delle sirene, le anomalie spazio/tempo gravitazionali e la geometria delle spirali, senza però poi creare un vero collegamento esplicativo del tutto. “Uta”, la coprotagonista, mi ha ricordato la versione femminile di “Tarzan”, ed è un po’ assurdo come nessuno dei compagni si ponga qualche domanda su chi (cosa) sia la ragazza, viste anche le sue strane anomalie, tanto fisiche quanto comportamentali. I vari personaggi, seppur nell’insieme simpatici, non vengono ben sviluppati (anche perché non avevano tempo per farsi conoscere, erano troppo impegnati a saltare). Non viene mai mostrato come si viva fuori dalla “bolla” di Tokyo, e il fatto che dall’esterno li osservino in TV, scommettendo su di loro, porta alla mente un certo “Hunger Games” .
Devo dire che mi è piaciuta quella strana danza sulle bolle che i due protagonisti, Hibiki e Uta, mettono in scena, poiché mi ha ricordato i rituali di corteggiamento di alcuni uccelli, che si vedono nei documentari, e insieme ad una discreta OST, creano un’atmosfera poetica e avvolgente, che di certo non è paragonabile ad un prosaico lui che invita la sua lei, a mangiare un onigiri, nel tipico “Slice of life” nipponico.
L’integrazione “fondali – personaggi” è quasi perfetta e supera di gran lunga quella dei “Giganti” anche se alcune scene, mi hanno lasciato la sensazione di star a vedere un video game dove a giocare, invece che un amico, era il regista.
Alla fine mi sento di consigliare “Bubble” ai soli amanti del comparto tecnico e visivo in particolare, perché da questo punto di vista stiamo a livelli altissimi, tutti gli altri possono tranquillamente saltarlo.