Dareka no Manazashi
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Introduzione e trama
Un breve spaccato di vita sulle tappe che la compongono e che ognuno di noi si ritrova a dover affrontare per andare avanti. La prima tappa è l'infanzia con la sua gioia, la sua spensieratezza. La seconda tappa è l'adolescenza con i suoi conflitti interni ed esterni, dove a poco a poco il sogno cede il passo alla realtà. Poi subentra la prima età adulta dove emergono le prime responsabilità pesanti e dove gradualmente si ha sempre meno tempo per sé stessi e forse anche per gli altri e si comincia a credere che la felicità non esista. Ma è veramente tutto qui? La nostra Aya ci dimostra che la vita è fatta sia di alti che bassi, ma che non con questo bisogna lasciarsi andare. Anzi ogni momento diventa un'istante prezioso da custodire per sempre e non dimenticarselo mai. La nostra protagonista va comunque avanti, nonostante l'assenza della madre e la perdita della gattina Mii e ci fa capire che la vita può presentare degli screzi, difficoltà, problemi; tuttavia che anche questi passano e che non sono la fine di tutto. Anzi sono il ponte di un nuovo inizio e di una riconciliazione che si ha sempre atteso.
Grafica
La grafica è ben curata, con la massiccia presenza di ombre che la rendono cupa, come a sottolineare l'atmosfera tragicomica della vicenda che viene rappresentata. Ma insieme all'ombra ci sta anche la luce come a ricordarci che ogni giorno è un nuovo inizio. In particolare questo unito ai primi piani su Aya e il padre e il gatto fanno tornare in mente un film della nostra infanzia che non potremo mai dimenticare, ovvero "La gabbianella e il gatto", tratto dalle storie di Luis Sepúlveda. Tuttavia le due opere sono distanti dal punto di vista grafico, visto che la prima è realizzata in CGI, mentre la seconda è stata realizzata quasi totalmente a mano.
Personaggi e dialoghi
I personaggi sono semplici e ordinari; ciononostante essi esprimono pensieri, punti di vista e opinioni dalla grande carica psicologica e morale che definiscono la loro visione e percezione del mondo e di conseguenza il loro approccio al mondo stesso. Essi vivono ogni attimo fino alla fine e da esso traggono il giusto insegnamento, insegnamento che poi trasmettono allo spettatore. Belli e importanti i flashback sul passato degli stessi; ci mostrano il loro vissuto e quindi capiamo il loro punto di vista. Ciò che desta l'attenzione è la voce narrante che sembra essere focalizzata sul gatto il quale guarda/osserva il comportamento degli esseri umani e poi muore. La pecca sta nel fatto che la voce narrante occupa la quasi totalità del tempo e dello spazio narrativo. Questo penalizza la vicenda: se la storia fosse stata più lunga forse sarebbe stata anche appropriata, poiché la voce narrante ha la funzione principale di spiegare gli eventi ribaltando la prospettiva. Invece qui essa assume un ruolo predominante e toglie quasi (simbolicamente) importanza ai protagonisti non dando loro voce e non permettendo loro di esprimere i loro sentimenti ed emozioni. Il gatto viene quasi del tutto accantonato.
Messaggi ed insegnamenti e giudizio finale
Sulla base di quanto detto in precedenza, affermo che la scelta di presentare questa vicenda sotto forma di cortometraggio vuole essere un invito a vivere la nostra vita al massimo in modo da non avere rimpianti in seguito e/o verso la fine di essa. Inoltre ci insegna che non è mai troppo tardi per ricominciare da capo e vivere una nuova vita in quella che si sta già vivendo. Ma soprattutto ci chiede di aver fiducia, perché le cose si aggiustano nel corso del tempo e così anche le persone.
Una storia breve, semplice, leggera, ma comunque godibile e dotata della giusta carica emotiva, sentimentale, psicologica. Questa storia sa sfiorare il cuore, l'anima, lo spirito e la mente delle persone infondendo speranza e fiducia nell'avvenire. Ma soprattutto ci invita a fermarci e a capire chi siamo.
Voto: 7,5
Introduzione e trama
Un breve spaccato di vita sulle tappe che la compongono e che ognuno di noi si ritrova a dover affrontare per andare avanti. La prima tappa è l'infanzia con la sua gioia, la sua spensieratezza. La seconda tappa è l'adolescenza con i suoi conflitti interni ed esterni, dove a poco a poco il sogno cede il passo alla realtà. Poi subentra la prima età adulta dove emergono le prime responsabilità pesanti e dove gradualmente si ha sempre meno tempo per sé stessi e forse anche per gli altri e si comincia a credere che la felicità non esista. Ma è veramente tutto qui? La nostra Aya ci dimostra che la vita è fatta sia di alti che bassi, ma che non con questo bisogna lasciarsi andare. Anzi ogni momento diventa un'istante prezioso da custodire per sempre e non dimenticarselo mai. La nostra protagonista va comunque avanti, nonostante l'assenza della madre e la perdita della gattina Mii e ci fa capire che la vita può presentare degli screzi, difficoltà, problemi; tuttavia che anche questi passano e che non sono la fine di tutto. Anzi sono il ponte di un nuovo inizio e di una riconciliazione che si ha sempre atteso.
Grafica
La grafica è ben curata, con la massiccia presenza di ombre che la rendono cupa, come a sottolineare l'atmosfera tragicomica della vicenda che viene rappresentata. Ma insieme all'ombra ci sta anche la luce come a ricordarci che ogni giorno è un nuovo inizio. In particolare questo unito ai primi piani su Aya e il padre e il gatto fanno tornare in mente un film della nostra infanzia che non potremo mai dimenticare, ovvero "La gabbianella e il gatto", tratto dalle storie di Luis Sepúlveda. Tuttavia le due opere sono distanti dal punto di vista grafico, visto che la prima è realizzata in CGI, mentre la seconda è stata realizzata quasi totalmente a mano.
Personaggi e dialoghi
I personaggi sono semplici e ordinari; ciononostante essi esprimono pensieri, punti di vista e opinioni dalla grande carica psicologica e morale che definiscono la loro visione e percezione del mondo e di conseguenza il loro approccio al mondo stesso. Essi vivono ogni attimo fino alla fine e da esso traggono il giusto insegnamento, insegnamento che poi trasmettono allo spettatore. Belli e importanti i flashback sul passato degli stessi; ci mostrano il loro vissuto e quindi capiamo il loro punto di vista. Ciò che desta l'attenzione è la voce narrante che sembra essere focalizzata sul gatto il quale guarda/osserva il comportamento degli esseri umani e poi muore. La pecca sta nel fatto che la voce narrante occupa la quasi totalità del tempo e dello spazio narrativo. Questo penalizza la vicenda: se la storia fosse stata più lunga forse sarebbe stata anche appropriata, poiché la voce narrante ha la funzione principale di spiegare gli eventi ribaltando la prospettiva. Invece qui essa assume un ruolo predominante e toglie quasi (simbolicamente) importanza ai protagonisti non dando loro voce e non permettendo loro di esprimere i loro sentimenti ed emozioni. Il gatto viene quasi del tutto accantonato.
Messaggi ed insegnamenti e giudizio finale
Sulla base di quanto detto in precedenza, affermo che la scelta di presentare questa vicenda sotto forma di cortometraggio vuole essere un invito a vivere la nostra vita al massimo in modo da non avere rimpianti in seguito e/o verso la fine di essa. Inoltre ci insegna che non è mai troppo tardi per ricominciare da capo e vivere una nuova vita in quella che si sta già vivendo. Ma soprattutto ci chiede di aver fiducia, perché le cose si aggiustano nel corso del tempo e così anche le persone.
Una storia breve, semplice, leggera, ma comunque godibile e dotata della giusta carica emotiva, sentimentale, psicologica. Questa storia sa sfiorare il cuore, l'anima, lo spirito e la mente delle persone infondendo speranza e fiducia nell'avvenire. Ma soprattutto ci invita a fermarci e a capire chi siamo.
Voto: 7,5
Il viaggio è un mondo in cui l’avventuroso è quotidiano e la quotidianità è avventurosa.
- F. Caramagna
Rendere il quotidiano, la semplicità e i banali momenti di vita corrente qualcosa di unico e indimenticabile: questo, da sempre, è il più grande talento di Shinkai sensei, più precisamente lo Shinkai degli inizi, il giovane uomo dai sogni malinconici e silenziosi, quello della neve che cade per sempre, ma non gela i cuori, quello dei treni infiniti che tagliano tramonti freddi e di stanti, del futuro prossimo e impossibile, delle monolitiche e aliene città a specchio che vanno a perdersi nel profondo dell’animo di adolescenti affamati di vita, sogni e speranze.
Makoto Shinkai, l’uomo capace di raccontarci albe e crepuscoli filtrandoli attraverso lo spettro dell’infinito.
"Dareka no Manazashi" è un corto di nemmeno sette minuti.
Banale, semplice, quasi del tutto privo di trama, dal ritmo identico e compassato, dolcemente monotono, capace di cullarci in una sequenza di spaccati quotidiani tanto leggeri quanto profondi.
L’arte accattivante e nel contempo acerba del primo Shinkai si fonde ad un freddo realismo, e proprio il voler rappresentare ciò che accade senza eccedere, semplicemente narrando, illustrando e seguendo l’evolversi degli eventi, rende questo corto un vero e proprio ossimoro, tanto banale quanto poetico, un micro-cameo di dolce/amaro realismo, excursus quotidiano d’una famiglia in un dato lasso di tempo durante lo scorrere delle loro vite.
La protagonista sembrerebbe la giovane Aya, andata via di casa per prendersi la propria vita e il proprio futuro a piene mani, alle prese con lavoro, solitudine e genitori sparsi per il globo, mentre una tranquilla e rassicurante voce narrante ci introduce ad uno skyline notturno, una miriade di luci come focolari artificiali, ognuno di essi una stanza, un salone, un luogo illuminato capace di raccontare chissà quante storie diverse, storie che non conosceremo mai. È il tramonto, sulla metro una mano stringe forte una delle maniglie per mantenersi in equilibrio, ed il sole sparisce lentamente dietro le guglie di cemento e i monti all’orizzonte. La voce narrante non si ferma, ma ancora non abbiamo ben chiaro di chi si tratti, e non ce l’avremo fin quando il cerchio narrativo non si chiuderà con un ulteriore tocco di grazia e malinconica dolcezza.
Tecnicamente splendido – non è certo una novità, - anche se “primitivo”; animazioni fluide, cromatica scelta con cura, pastellata e luminosa, ricca di contrasti che hanno reso celebre l’autore, marchi di fabbrica che lo hanno contraddistinto nella sua ascesa in questi ultimi quindici anni. Si tratta di un’opera compatta, artisticamente leggera, visivamente piena e semplice, capace di comunicare un senso di sterminata immensità che fa da contraltare alle nostre piccole vite, un concatenarsi di fatalità, gioie e tristezza, tant'è che la morale fatalista non si palesa ma, implicitamente, ineluttabile si percepisce: la vita è sia ciò che scegliamo, sia ciò che ci accade, e nelle difficoltà impariamo a combattere, a stringere i denti e andare avanti, perché dopo una salita, presto o tardi ci sarà una discesa e le cose andranno meglio. Già, guardare avanti, tema carissimo nel panorama nipponico, il tutto accompagnato da una colonna sonora semplice ma preziosa, principalmente note di pianoforte che scandiscono ritmi agrodolci dettanti i tempi dell’opera, sostenendo piuttosto bene scene e dialoghi.
Il corto vola via, rapido e scorrevole, a riprova che per trasmettere qualcosa di toccante e al tempo stesso poco approfondito è necessario saper utilizzare le parole, le note e i colori pertinenti, ingredienti di una ricetta che Makoto Shinkai ha imparato a preparare in modo minuzioso e inconfondibile, soprattutto (incredibile ma vero) a inizio carriera.
Sette minuti spesi bene che potrete apprezzare nella loro spensierata e semplice schiettezza. Slice of life al suo massimo ed al suo minimo: una piccola gioia per gli occhi, una dolce carezza per il cuore.
Ci sono cose al mondo che passano sottotono, spesso incomprese o date per scontate, emozioni che scivolano sottopelle, vibrano un attimo, e sarebbe un vero peccato perdersele; per questo vanno colte quando possibile.
"Dareka no Manazashi" va colto senza nessuna aspettativa, lesto, bevuto tutto d’un fiato.
- F. Caramagna
Rendere il quotidiano, la semplicità e i banali momenti di vita corrente qualcosa di unico e indimenticabile: questo, da sempre, è il più grande talento di Shinkai sensei, più precisamente lo Shinkai degli inizi, il giovane uomo dai sogni malinconici e silenziosi, quello della neve che cade per sempre, ma non gela i cuori, quello dei treni infiniti che tagliano tramonti freddi e di stanti, del futuro prossimo e impossibile, delle monolitiche e aliene città a specchio che vanno a perdersi nel profondo dell’animo di adolescenti affamati di vita, sogni e speranze.
Makoto Shinkai, l’uomo capace di raccontarci albe e crepuscoli filtrandoli attraverso lo spettro dell’infinito.
"Dareka no Manazashi" è un corto di nemmeno sette minuti.
Banale, semplice, quasi del tutto privo di trama, dal ritmo identico e compassato, dolcemente monotono, capace di cullarci in una sequenza di spaccati quotidiani tanto leggeri quanto profondi.
L’arte accattivante e nel contempo acerba del primo Shinkai si fonde ad un freddo realismo, e proprio il voler rappresentare ciò che accade senza eccedere, semplicemente narrando, illustrando e seguendo l’evolversi degli eventi, rende questo corto un vero e proprio ossimoro, tanto banale quanto poetico, un micro-cameo di dolce/amaro realismo, excursus quotidiano d’una famiglia in un dato lasso di tempo durante lo scorrere delle loro vite.
La protagonista sembrerebbe la giovane Aya, andata via di casa per prendersi la propria vita e il proprio futuro a piene mani, alle prese con lavoro, solitudine e genitori sparsi per il globo, mentre una tranquilla e rassicurante voce narrante ci introduce ad uno skyline notturno, una miriade di luci come focolari artificiali, ognuno di essi una stanza, un salone, un luogo illuminato capace di raccontare chissà quante storie diverse, storie che non conosceremo mai. È il tramonto, sulla metro una mano stringe forte una delle maniglie per mantenersi in equilibrio, ed il sole sparisce lentamente dietro le guglie di cemento e i monti all’orizzonte. La voce narrante non si ferma, ma ancora non abbiamo ben chiaro di chi si tratti, e non ce l’avremo fin quando il cerchio narrativo non si chiuderà con un ulteriore tocco di grazia e malinconica dolcezza.
Tecnicamente splendido – non è certo una novità, - anche se “primitivo”; animazioni fluide, cromatica scelta con cura, pastellata e luminosa, ricca di contrasti che hanno reso celebre l’autore, marchi di fabbrica che lo hanno contraddistinto nella sua ascesa in questi ultimi quindici anni. Si tratta di un’opera compatta, artisticamente leggera, visivamente piena e semplice, capace di comunicare un senso di sterminata immensità che fa da contraltare alle nostre piccole vite, un concatenarsi di fatalità, gioie e tristezza, tant'è che la morale fatalista non si palesa ma, implicitamente, ineluttabile si percepisce: la vita è sia ciò che scegliamo, sia ciò che ci accade, e nelle difficoltà impariamo a combattere, a stringere i denti e andare avanti, perché dopo una salita, presto o tardi ci sarà una discesa e le cose andranno meglio. Già, guardare avanti, tema carissimo nel panorama nipponico, il tutto accompagnato da una colonna sonora semplice ma preziosa, principalmente note di pianoforte che scandiscono ritmi agrodolci dettanti i tempi dell’opera, sostenendo piuttosto bene scene e dialoghi.
Il corto vola via, rapido e scorrevole, a riprova che per trasmettere qualcosa di toccante e al tempo stesso poco approfondito è necessario saper utilizzare le parole, le note e i colori pertinenti, ingredienti di una ricetta che Makoto Shinkai ha imparato a preparare in modo minuzioso e inconfondibile, soprattutto (incredibile ma vero) a inizio carriera.
Sette minuti spesi bene che potrete apprezzare nella loro spensierata e semplice schiettezza. Slice of life al suo massimo ed al suo minimo: una piccola gioia per gli occhi, una dolce carezza per il cuore.
Ci sono cose al mondo che passano sottotono, spesso incomprese o date per scontate, emozioni che scivolano sottopelle, vibrano un attimo, e sarebbe un vero peccato perdersele; per questo vanno colte quando possibile.
"Dareka no Manazashi" va colto senza nessuna aspettativa, lesto, bevuto tutto d’un fiato.
Con la visione di questo cortometraggio si rafforza la mia convinzione personale che Shinkai renda al meglio in opere corte.
Con estrema disinvoltura narrativa, in sette minuti il nostro autore è stato capace di toccare più temi importanti e di trasmetterci vari emozioni, prima fra tutte la malinconia.
Non voglio soffermarmi sui particolari della trama, quella la scoprirete, se ne avrete voglia, quando vi cimenterete nella visione. Tuttavia vorrei illustrare il percorso delle innumerevoli argomentazioni affrontate.
Tramite Aya, protagonista di questo corto, ripercorriamo i vari momenti della vita, affrontando tematiche molto care al pubblico e al nostro Shinkai: l'infanzia e la felicità spontanea che si prova a crescere in una famiglia amorevole; l'amore incondizionato che ci donano gli animali, anche quando noi esseri umani li trascuriamo un po'; il rapporto tra genitori e figli, nel bene e nel male; l'adolescenza, con i suoi conflitti e ribellioni; l'età matura, in cui si desidera rendersi autonomi, lasciare la propria famiglia per rendere tangibili i nostri sogni; la solitudine e la consapevolezza che i nostri obiettivi raggiunti possono non corrispondere esattamente alle nostre aspettative di partenza; la scarsa gratificazione lavorativa e personale; la difficoltà ad esprimere i propri sentimenti, a dire la verità e ad ammettere le nostre difficoltà a chi ci sta vicino.
Tutto questo gestito con accortezza, e grande sensibilità, in un breve lasso di tempo, e tecnicamente confezionato come solo Shinkai sa fare: cura e finezza nei dettagli, giochi di luci ormai facilmente riconoscibili, fondali caldi e luminosi, nonché un commento musicale che ben si sposa con grafica e contenuti.
Tuttavia, se devo cercare un difetto a questo lavoro, personalmente ho trovato la voce fuori campo a volte un po' troppo invasiva, e spesso non necessaria, considerato che già personaggi ed immagini parlavano da sole. Ho intuito che la voce narrante fosse da attribuire al gatto, Mii, appartenente alla famiglia, e la scelta è stata anche interessante, ma in certi casi, a parer mio, andava a rompere l'atmosfera creata.
Un corto consigliato a tutti, anche ai non amanti di questo autore. Una storia in cui difficilmente non ci si può non immedesimare, perché estremamente realistica. Queste fasi delle vita, e questi sentimenti e difficoltà, con le sue personali varianti, le abbiamo (o le stiamo) vissute tutti. Per questo motivo la visione genera rimpianto, malinconia e tristezza.
Pensate, ci evoca tutto questo subbuglio interiore, in poco meno di una manciata di minuti! Quanto, in fondo, siamo individui fragili! Perché? Perché tutti vorremmo essere felici come quando eravamo dei bambini protetti e amati incondizionatamente da mamma e papà (per chi ha avuto la fortuna di esserlo).
Ma tutto sommato, commenta la voce fuori campo alla fine, "la vera felicità è una cosa duratura".
Forse. Ma prima bisognerebbe chiedersi cosa per noi sia la "vera" felicità.
Con estrema disinvoltura narrativa, in sette minuti il nostro autore è stato capace di toccare più temi importanti e di trasmetterci vari emozioni, prima fra tutte la malinconia.
Non voglio soffermarmi sui particolari della trama, quella la scoprirete, se ne avrete voglia, quando vi cimenterete nella visione. Tuttavia vorrei illustrare il percorso delle innumerevoli argomentazioni affrontate.
Tramite Aya, protagonista di questo corto, ripercorriamo i vari momenti della vita, affrontando tematiche molto care al pubblico e al nostro Shinkai: l'infanzia e la felicità spontanea che si prova a crescere in una famiglia amorevole; l'amore incondizionato che ci donano gli animali, anche quando noi esseri umani li trascuriamo un po'; il rapporto tra genitori e figli, nel bene e nel male; l'adolescenza, con i suoi conflitti e ribellioni; l'età matura, in cui si desidera rendersi autonomi, lasciare la propria famiglia per rendere tangibili i nostri sogni; la solitudine e la consapevolezza che i nostri obiettivi raggiunti possono non corrispondere esattamente alle nostre aspettative di partenza; la scarsa gratificazione lavorativa e personale; la difficoltà ad esprimere i propri sentimenti, a dire la verità e ad ammettere le nostre difficoltà a chi ci sta vicino.
Tutto questo gestito con accortezza, e grande sensibilità, in un breve lasso di tempo, e tecnicamente confezionato come solo Shinkai sa fare: cura e finezza nei dettagli, giochi di luci ormai facilmente riconoscibili, fondali caldi e luminosi, nonché un commento musicale che ben si sposa con grafica e contenuti.
Tuttavia, se devo cercare un difetto a questo lavoro, personalmente ho trovato la voce fuori campo a volte un po' troppo invasiva, e spesso non necessaria, considerato che già personaggi ed immagini parlavano da sole. Ho intuito che la voce narrante fosse da attribuire al gatto, Mii, appartenente alla famiglia, e la scelta è stata anche interessante, ma in certi casi, a parer mio, andava a rompere l'atmosfera creata.
Un corto consigliato a tutti, anche ai non amanti di questo autore. Una storia in cui difficilmente non ci si può non immedesimare, perché estremamente realistica. Queste fasi delle vita, e questi sentimenti e difficoltà, con le sue personali varianti, le abbiamo (o le stiamo) vissute tutti. Per questo motivo la visione genera rimpianto, malinconia e tristezza.
Pensate, ci evoca tutto questo subbuglio interiore, in poco meno di una manciata di minuti! Quanto, in fondo, siamo individui fragili! Perché? Perché tutti vorremmo essere felici come quando eravamo dei bambini protetti e amati incondizionatamente da mamma e papà (per chi ha avuto la fortuna di esserlo).
Ma tutto sommato, commenta la voce fuori campo alla fine, "la vera felicità è una cosa duratura".
Forse. Ma prima bisognerebbe chiedersi cosa per noi sia la "vera" felicità.
Il mio rapporto con Makoto Shinkai è piuttosto difficile, nel senso che non riesco a percepire il genio che in così tanti osannano. Anzi, man mano che visiono i suoi titoli li trovo sempre meno attraenti, autoreferenziali e un po’ (tanto) gigioni.
Questo titolo non sfugge al trend. Nel raccontare una piccola storia di allontanamento e, forse, riavvicinamento fra padre e figlia, fa un uso smodato della voce fuori campo, affidando, ancora una volta, alla gatta di casa il compito di spiegarci la situazione. Ma, dopo aver visto "Lei e il gatto" e poi "Lei e il gatto Everything Flows", questa terza opera sulla stessa falsariga sinceramente stufa, anche perché non ha la stessa intensità dei titoli che la precedono. Inoltre, il finale va a ricalcare in qualche modo quello di "Everything Flows". Non ho potuto trattenere un moto di fastidio per l’utilizzo dello stesso espediente, e io i gatti li adoro incondizionatamente.
Non solo: il lavoro pare ambientato in un prossimo futuro, in cui si risponde al telefono attraverso degli ologrammi, ma tutto il resto delle vicende e dell’ambientazione è di stampo antico, quindi non si comprende la ragione di questa scelta. Volendo suggerire che le vicende narrate sono senza tempo, si sarebbe forse dovuto pigiare il pedale su situazioni più fantascientifiche. Così la cosa sembra campata per aria, senza motivo.
C’è chi ritiene che abbia un pregio particolare il raccontare un storia per immagini, con pochi dialoghi. Può essere, ma se poi sostituisci alla mancanza di dialoghi una voce narrante molto invadente, allora non è propriamente vero che racconti per immagini. Stai semplicemente trasformando un discorso da diretto a indiretto. E, mi spiace dirlo, il primo è quasi sempre molto più vivace e interessante. Sembra di ascoltare una lezioncina impartita dalla maestra di turno, espediente che mi ha personalmente distrutto il pathos che la vicenda avrebbe potuto ispirare. Perché devo dire, e suppongo non sarò l’unica, che nella storia mi ci sono anche ritrovata, ma purtroppo non è riuscita a suscitare in me il coinvolgimento e l’emozione che avrebbe potuto darmi se raccontata in modo diverso.
Le animazioni però sono una gioia per gli occhi e i disegni sono come sempre molto belli, parlando dei fondali. Sempre molto belli, ma un po’ meno spettacolari se parliamo dei personaggi, in special modo dei gatti, che sono molto semplificati. Insomma, il comparto personaggi è ben fatto, ma non geniale.
L’ho visionato con l’audio originale e ho trovato molto piacevole la voce del padre di Aya, la protagonista, un bel basso che risuona nell’anima. Anche la stessa ragazza ha ricevuto una bella voce e, devo ammetterlo, anche la voce narrante è stata molto abile. Peccato abbia strabordato, ma oggettivamente l’attrice ha fatto un ottimo lavoro. Manca l’opening, mentre c’è una breve ending piuttosto dolce, così come esiste una insert song orecchiabile. Il resto della colonna sonora è gradevole senza essere importuna.
Si tratta di un’opera che parte con l’ottima ambizione di raccontare l’evolversi – in peggio - dei rapporti familiari man mano che i figli crescono e cercano di trovare una propria strada, allontanandosi dal nido, mentre ai genitori non resta che la malinconica contemplazione del tempo che passa. O forse no.
Sei minuti sono un po’ pochi per approfondire le vicende e la psicologia di padre e figlia, per cui si è fatto ricorso all’espediente della voce narrante, ma rendendo così il tutto piatto e noioso. Non mancano un paio di situazioni anche coinvolgenti, ma purtroppo l’insieme sa di blando e già visto, assumendo a tratti la sgradevole veste del predicozzo. In sunto, un’occasione abbastanza sprecata.
(Sì, lo so, avrei potuto fare lunghissimi panegirici sull’attualità del messaggio, sui rapporti sempre più tenui fra i genitori e i figli quando questi crescono, sull’importanza dei rapporti familiari che sono spesso gli unici che durano tutta una vita, sull’egoismo, sull’indifferenza, sull’incomprensione reciproca, sulla difficoltà di comunicazione, sull’abitudine che diventa apatia… appunto.)
Sono stata tentata di assegnare un 6,5... ma poi ho preferito salvare la pelle.
Questo titolo non sfugge al trend. Nel raccontare una piccola storia di allontanamento e, forse, riavvicinamento fra padre e figlia, fa un uso smodato della voce fuori campo, affidando, ancora una volta, alla gatta di casa il compito di spiegarci la situazione. Ma, dopo aver visto "Lei e il gatto" e poi "Lei e il gatto Everything Flows", questa terza opera sulla stessa falsariga sinceramente stufa, anche perché non ha la stessa intensità dei titoli che la precedono. Inoltre, il finale va a ricalcare in qualche modo quello di "Everything Flows". Non ho potuto trattenere un moto di fastidio per l’utilizzo dello stesso espediente, e io i gatti li adoro incondizionatamente.
Non solo: il lavoro pare ambientato in un prossimo futuro, in cui si risponde al telefono attraverso degli ologrammi, ma tutto il resto delle vicende e dell’ambientazione è di stampo antico, quindi non si comprende la ragione di questa scelta. Volendo suggerire che le vicende narrate sono senza tempo, si sarebbe forse dovuto pigiare il pedale su situazioni più fantascientifiche. Così la cosa sembra campata per aria, senza motivo.
C’è chi ritiene che abbia un pregio particolare il raccontare un storia per immagini, con pochi dialoghi. Può essere, ma se poi sostituisci alla mancanza di dialoghi una voce narrante molto invadente, allora non è propriamente vero che racconti per immagini. Stai semplicemente trasformando un discorso da diretto a indiretto. E, mi spiace dirlo, il primo è quasi sempre molto più vivace e interessante. Sembra di ascoltare una lezioncina impartita dalla maestra di turno, espediente che mi ha personalmente distrutto il pathos che la vicenda avrebbe potuto ispirare. Perché devo dire, e suppongo non sarò l’unica, che nella storia mi ci sono anche ritrovata, ma purtroppo non è riuscita a suscitare in me il coinvolgimento e l’emozione che avrebbe potuto darmi se raccontata in modo diverso.
Le animazioni però sono una gioia per gli occhi e i disegni sono come sempre molto belli, parlando dei fondali. Sempre molto belli, ma un po’ meno spettacolari se parliamo dei personaggi, in special modo dei gatti, che sono molto semplificati. Insomma, il comparto personaggi è ben fatto, ma non geniale.
L’ho visionato con l’audio originale e ho trovato molto piacevole la voce del padre di Aya, la protagonista, un bel basso che risuona nell’anima. Anche la stessa ragazza ha ricevuto una bella voce e, devo ammetterlo, anche la voce narrante è stata molto abile. Peccato abbia strabordato, ma oggettivamente l’attrice ha fatto un ottimo lavoro. Manca l’opening, mentre c’è una breve ending piuttosto dolce, così come esiste una insert song orecchiabile. Il resto della colonna sonora è gradevole senza essere importuna.
Si tratta di un’opera che parte con l’ottima ambizione di raccontare l’evolversi – in peggio - dei rapporti familiari man mano che i figli crescono e cercano di trovare una propria strada, allontanandosi dal nido, mentre ai genitori non resta che la malinconica contemplazione del tempo che passa. O forse no.
Sei minuti sono un po’ pochi per approfondire le vicende e la psicologia di padre e figlia, per cui si è fatto ricorso all’espediente della voce narrante, ma rendendo così il tutto piatto e noioso. Non mancano un paio di situazioni anche coinvolgenti, ma purtroppo l’insieme sa di blando e già visto, assumendo a tratti la sgradevole veste del predicozzo. In sunto, un’occasione abbastanza sprecata.
(Sì, lo so, avrei potuto fare lunghissimi panegirici sull’attualità del messaggio, sui rapporti sempre più tenui fra i genitori e i figli quando questi crescono, sull’importanza dei rapporti familiari che sono spesso gli unici che durano tutta una vita, sull’egoismo, sull’indifferenza, sull’incomprensione reciproca, sulla difficoltà di comunicazione, sull’abitudine che diventa apatia… appunto.)
Sono stata tentata di assegnare un 6,5... ma poi ho preferito salvare la pelle.
Nel lontano 1917, Pirandello mandava in scena una commedia intitolata “Il piacere dell’onestà” e io, in questa sede, ripensando al titolo dell’opera teatrale, ho deciso di essere onesto al cento per cento con voi lettori. Makoto Shinkai è a mani basse il mio regista giapponese preferito. Sia sul piano contenutistico, sia sul piano stilistico, le sue opere riescono sempre a cogliere nel segno e lasciare una traccia indelebile dentro di me, e così è stato quando mi sono fronteggiato con alcuni dei suoi capolavori, come “Il Giardino delle Parole”. Quindi, in tutta onestà, questa recensione risentirà fortemente del mio amore feticistico per questo autore.
Nei pochi minuti a disposizione, Shinkai fa giusto in tempo a gettare le basi della storia, incentrata sulle vicende della famiglia Okamura. Le poche scene abilmente costruite dal regista, non permettono altro allo spettatore, che farsi un estemporaneo quadro della situazione, da cui ognuno, però, può trarre un valido insegnamento.
La storia ruota intorno alle vicende di una famiglia composta da quattro membri: la madre, il padre, la figlia Aya e il gattino Mii. Aya da piccola era una bambina solare, che amava trascorrere le giornate con i propri genitori. Un giorno, però, la madre si trasferì per lavoro e, da quel momento in poi, le cose iniziarono a cambiare. Per colmare, almeno in parte, il vuoto lasciato dalla partenza della madre, il padre di Aya decise di regalarle un dolce gattino, che sarebbe diventato il nuovo centro della sua vita. Sennonché, così come Madre Natura ha deciso, gli anni passano, Aya inizia a cambiare e con lei le sue passioni. Da “adulta” riesce a coronare il sogno di ogni adolescente giapponese, andare a vivere da sola. Ecco, dunque, che i rapporti familiari si riducono ai minimi storici e le persone che ti hanno cresciuta e educata, ti sembrano dei perfetti sconosciuti, che non hai voglia né di sentire, né di vedere. Fino a quando, un evento, talvolta spiacevole, non riesce a riunire la famiglia tutta e allora il ritorno alla vita di un tempo, non sembra poi neanche tanto orrido.
Shinkai non fa altro che riportare su pellicola la vita di un qualsiasi adolescente giapponese che, raggiunta una certa età, si lascia tutto alle spalle per non voltarsi più indietro. Una vita che, da quel momento in poi, li vedrà affrontare da soli le difficoltà di questo mondo burbero, perché è soltanto nel momento in cui te li risolvi da solo i problemi, che diventi veramente adulto e questo i giapponesi lo sanno bene. Il tutto in soli sette dannati minuti e raccontato da una voce narrante alquanto particolare ed eccentrica, quella del felino. La presenza di Shinaki è palpabile per tutta la durata nel corto, nel leitmotiv del gatto che risale alla sua prima regia “Lei e il gatto”, nel comparto musicale che si serve, perlopiù, del pianoforte e in quello grafico, come al solito inconfondibile e sublime.
“Nonostante tutto, sai bene che la vera felicità è una cosa duratura”.
Con questa citazione vi lascio, nella speranza che possiate dedicare sette minuti della vostra vita per guardare questo corto e apprezzarne la bellezza.
P.S. Lo so cosa state pensando: “ma come, tutto il pippone iniziale su Shinkai, per poi dire queste due cavolate?”. E certo, il corto dura sette minuti, non è che ve lo posso raccontare tutto io, con tanto di morale, altrimenti che sfizio c’è. Poi, a dirla tutta, vado di fretta perché dovrei andare a correre e le scarpe da ginnastica mi stanno guardando in cagnesco.
22/06/2022
Nei pochi minuti a disposizione, Shinkai fa giusto in tempo a gettare le basi della storia, incentrata sulle vicende della famiglia Okamura. Le poche scene abilmente costruite dal regista, non permettono altro allo spettatore, che farsi un estemporaneo quadro della situazione, da cui ognuno, però, può trarre un valido insegnamento.
La storia ruota intorno alle vicende di una famiglia composta da quattro membri: la madre, il padre, la figlia Aya e il gattino Mii. Aya da piccola era una bambina solare, che amava trascorrere le giornate con i propri genitori. Un giorno, però, la madre si trasferì per lavoro e, da quel momento in poi, le cose iniziarono a cambiare. Per colmare, almeno in parte, il vuoto lasciato dalla partenza della madre, il padre di Aya decise di regalarle un dolce gattino, che sarebbe diventato il nuovo centro della sua vita. Sennonché, così come Madre Natura ha deciso, gli anni passano, Aya inizia a cambiare e con lei le sue passioni. Da “adulta” riesce a coronare il sogno di ogni adolescente giapponese, andare a vivere da sola. Ecco, dunque, che i rapporti familiari si riducono ai minimi storici e le persone che ti hanno cresciuta e educata, ti sembrano dei perfetti sconosciuti, che non hai voglia né di sentire, né di vedere. Fino a quando, un evento, talvolta spiacevole, non riesce a riunire la famiglia tutta e allora il ritorno alla vita di un tempo, non sembra poi neanche tanto orrido.
Shinkai non fa altro che riportare su pellicola la vita di un qualsiasi adolescente giapponese che, raggiunta una certa età, si lascia tutto alle spalle per non voltarsi più indietro. Una vita che, da quel momento in poi, li vedrà affrontare da soli le difficoltà di questo mondo burbero, perché è soltanto nel momento in cui te li risolvi da solo i problemi, che diventi veramente adulto e questo i giapponesi lo sanno bene. Il tutto in soli sette dannati minuti e raccontato da una voce narrante alquanto particolare ed eccentrica, quella del felino. La presenza di Shinaki è palpabile per tutta la durata nel corto, nel leitmotiv del gatto che risale alla sua prima regia “Lei e il gatto”, nel comparto musicale che si serve, perlopiù, del pianoforte e in quello grafico, come al solito inconfondibile e sublime.
“Nonostante tutto, sai bene che la vera felicità è una cosa duratura”.
Con questa citazione vi lascio, nella speranza che possiate dedicare sette minuti della vostra vita per guardare questo corto e apprezzarne la bellezza.
P.S. Lo so cosa state pensando: “ma come, tutto il pippone iniziale su Shinkai, per poi dire queste due cavolate?”. E certo, il corto dura sette minuti, non è che ve lo posso raccontare tutto io, con tanto di morale, altrimenti che sfizio c’è. Poi, a dirla tutta, vado di fretta perché dovrei andare a correre e le scarpe da ginnastica mi stanno guardando in cagnesco.
22/06/2022
Ci sono argomenti con cui Makoto Shinkai flirta con la stessa facilità con cui si respira, l’amore che vive di contrasti, senza dubbio a guardare i suoi lungometraggi, ma anche i legami familiari, la malinconia che avvolge le nostre vite e i gatti, animali coi quali direi che ha un rapporto abbastanza privilegiato. Tutti questi ingredienti si ritrovano in “Dareka no Manazashi” (lett. “Lo sguardo di qualcuno”), corto del 2013 da lui diretto e sceneggiato.
In questo corto, ambientato in un prossimo futuro non meglio precisato, conosciamo Aya, giovane ragazza che fatica cercando di farsi strada nel mondo del lavoro, il padre di lei, che quella strada l’ha già percorsa, e la piccola Mii, la gatta di famiglia piccola di dimensioni sì ma comunque ormai molto anziana e prossima purtroppo all’estremo saluto. È proprio la sua voce a fare da narrazione agli eventi presentandoci i protagonisti, e la sua annunciata morte rappresenta l’evento chiave che scalfisce i preconcetti di un legame ormai logoro tra padre e figlia, dovuto soprattutto a banali incomprensioni figlie della naturale differenza di vedute sulla vita che passano dall’infanzia all’adolescenza e fino all’età adulta, permettendo ai due di riavvicinarsi per (ri)scoprire gli aspetti positivi che ha rappresentato la presenza di ognuno nella vita dell’altro, e che potrà rappresentare di conseguenza ancora in futuro.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
C’è molta malinconia in questo corto che in fondo riunisce un padre e una figlia sullo sfondo di un evento luttuoso, ma si avverte anche la voglia di trasmettere quanto sia stato bello che Mii sia stata presente lì con loro nei momenti più tristi come in quelli più felici, così come la gratitudine che la stessa gatta prova nei confronti dei suoi compagni di vita umani che ha conosciuto sin da piccolissima. Proprio in virtù di questo grande legame tra i personaggi presentati, trasmesso egregiamente in neanche cinque minuti di girato alla fine, ho trovato francamente che il finale, dove viene adottata una nuova gattina in famiglia, stonasse un po’ con quanto visto in precedenza; posso capire l’esigenza di chiudere con un evento positivo e anche la necessità di come sia importante andare avanti e cercare di superare i momenti più duri che la vita ci propone, ma magari sarebbe stato meglio farlo in un ipotetico sequel di questo cortometraggio piuttosto che immediatamente dopo la morte di Mii, che mi è sembrata in questo modo troppo bistrattata e accantonata come se fosse facile e indolore sostituirla.
Fine parte contenente spoiler
Non posso certo lamentarmi, invece, sul comparto tecnico del corto, prodotto da quella Comix Wave Film che da lì a poco si apprestava a produrre i film più importanti e celebrati del regista giapponese, e che in “Dareka no Manazashi” ha impiegato la stessa cura nel design delle ambientazioni, dei personaggi e delle semplici animazioni presenti, più che promossa anche la musica che aiuta a immergersi nella cornice malinconica del corto e il doppiaggio originale.
Non ho altro da aggiungere al riguardo di questo lavoro, del resto per un’opera corta ci vuole una recensione corta diceva un uomo saggio, armato di pennello, ma ciò non toglie che la bellezza intrinseca di questa produzione può trasparire al di là del numero di parole con cui la si prova a descrivere, siano esse mille o ventidue, e vista anche l’esigua durata merita certamente almeno uno sguardo, nonostante quella chiosa finale precedentemente accennata che, nella sua accezione positiva, lascia comunque un po’ di amaro in bocca, altra tradizione e trait d’union di molti lavori dello Shinkai della prima maniera.
In questo corto, ambientato in un prossimo futuro non meglio precisato, conosciamo Aya, giovane ragazza che fatica cercando di farsi strada nel mondo del lavoro, il padre di lei, che quella strada l’ha già percorsa, e la piccola Mii, la gatta di famiglia piccola di dimensioni sì ma comunque ormai molto anziana e prossima purtroppo all’estremo saluto. È proprio la sua voce a fare da narrazione agli eventi presentandoci i protagonisti, e la sua annunciata morte rappresenta l’evento chiave che scalfisce i preconcetti di un legame ormai logoro tra padre e figlia, dovuto soprattutto a banali incomprensioni figlie della naturale differenza di vedute sulla vita che passano dall’infanzia all’adolescenza e fino all’età adulta, permettendo ai due di riavvicinarsi per (ri)scoprire gli aspetti positivi che ha rappresentato la presenza di ognuno nella vita dell’altro, e che potrà rappresentare di conseguenza ancora in futuro.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
C’è molta malinconia in questo corto che in fondo riunisce un padre e una figlia sullo sfondo di un evento luttuoso, ma si avverte anche la voglia di trasmettere quanto sia stato bello che Mii sia stata presente lì con loro nei momenti più tristi come in quelli più felici, così come la gratitudine che la stessa gatta prova nei confronti dei suoi compagni di vita umani che ha conosciuto sin da piccolissima. Proprio in virtù di questo grande legame tra i personaggi presentati, trasmesso egregiamente in neanche cinque minuti di girato alla fine, ho trovato francamente che il finale, dove viene adottata una nuova gattina in famiglia, stonasse un po’ con quanto visto in precedenza; posso capire l’esigenza di chiudere con un evento positivo e anche la necessità di come sia importante andare avanti e cercare di superare i momenti più duri che la vita ci propone, ma magari sarebbe stato meglio farlo in un ipotetico sequel di questo cortometraggio piuttosto che immediatamente dopo la morte di Mii, che mi è sembrata in questo modo troppo bistrattata e accantonata come se fosse facile e indolore sostituirla.
Fine parte contenente spoiler
Non posso certo lamentarmi, invece, sul comparto tecnico del corto, prodotto da quella Comix Wave Film che da lì a poco si apprestava a produrre i film più importanti e celebrati del regista giapponese, e che in “Dareka no Manazashi” ha impiegato la stessa cura nel design delle ambientazioni, dei personaggi e delle semplici animazioni presenti, più che promossa anche la musica che aiuta a immergersi nella cornice malinconica del corto e il doppiaggio originale.
Non ho altro da aggiungere al riguardo di questo lavoro, del resto per un’opera corta ci vuole una recensione corta diceva un uomo saggio, armato di pennello, ma ciò non toglie che la bellezza intrinseca di questa produzione può trasparire al di là del numero di parole con cui la si prova a descrivere, siano esse mille o ventidue, e vista anche l’esigua durata merita certamente almeno uno sguardo, nonostante quella chiosa finale precedentemente accennata che, nella sua accezione positiva, lascia comunque un po’ di amaro in bocca, altra tradizione e trait d’union di molti lavori dello Shinkai della prima maniera.
Eccoci con un'intervista davvero speciale. Oggi abbiamo l'onore, ma anche la responsabilità, di intervistare uno dei pilastri dell'animazione nipponica degli ultimi anni. Con una manciata di film ha cambiato l'animazione per come la intendiamo oggi. Un mille grazie per la disponibilità al sensei Makoto Shinkai.
S. Grazie a voi, davvero, dopo questa presentazione, spero di non deludere le aspettative.
Sono certo che non le deluderà.
Vorremmo in questa sede chiederle a riguardo di un film, o meglio, un corto, che lei ha realizzato; quello riguardo al gatto.
S. Ah, lei vuole tornare ai vecchi tempi, quando feci il corto che mi ha lanciato, Lei e il suo gatto...
No, veramente ne intendevo un altro quello che ha fatto più avanti nella sua carriera...
S. Ma allora lei è uno che la sa lunga. Non sono in molti a chiedermi di quel progetto Anikuri a cui partecipai, durante la realizzazione di "5 cm al secondo". Anzi, sono in pochi a saperlo. Immagino lei si riferisca a questo?
Ehm... veramente no, mi perdoni, il corto in questione è "Dareka no Manazashi"... Sa, quello che uscì praticamente assieme a Il giardino delle parole...
S. Dunque mi faccia pensare... Ah già! Ora ricordo, quello del gatto, come no. Sa questa cosa dei gatti mi è un po' sfuggita di mano. È un po' come i personaggi di Adachi*.
Ricordo poco di quel corto, ad essere onesto, fu fatto nei ritagli di tempo de "Il Giardino delle parole", tanto che avevamo pensato di inserirla lì come idea. Però non funzionava.
Era carina quella cosa che è il micio la voce fuori campo, e non potevamo fare la stessa cosa nel film. Alla fine lo abbiamo tenuto per portarlo al cinema assieme al Giardino, cosi da arrivare almeno all'ora di durata. Gli operatori di marketing dicevano che se il film non durava un'ora sarebbe potuto essere un flop.
È per questo che nel successivo "Your name" ci ha dato dentro con una sceneggiatura lunga ed un film di quasi due ore?
S. Braaavo. Esatto proprio per quello. Non volevo ripetere lo stesso errore.
Se mi permette parliamo un momento del corto. Lei tratta anche il tema della famiglia. Che ruolo ha nei suoi lavori, e nel suo immaginario?
S. Di solito nei miei film descrivo gli adolescenti, i ragazzi.
È stata forse la prima volta in cui uscivo da questo fil rouge che collega le mie opere, e mi creda, è un lavoraccio.
Parlare dei rapporti famigliari è un casino allucinante. In Giappone poi. Lei ci ha fatto caso che negli anime metà dei personaggi sono orfani? Ma mica solo i meisaku, pure tanti altri più moderni. Lo fanno per evitare l'argomento. In un corto sì, ma non lo farei mai in un film, non immagino lo sbattimento.
È come se questa cosa dei genitori, boh... forse in Giappone non esistono i genitori, socialmente intendo. Quando un ragazzo diventa grande, i genitori, è come se sparissero.
Per fortuna che ci sono i gatti quindi a tenere unite le famiglie, è questo che vuole dire con il breve segmento?
S. Mah, sa, quella del corto è una situazione romanzata, poteva essere un cane, o un oggetto.
Ci ho messo il gatto perché mi ricorda la mia infanzia. Avevo un libro con tute le favole sui gatti, quindi fino ai 7 anni per me non esistevano quasi altri animali. Li ho sempre amati profondamente; non lo so se questa cosa è condivisa con il resto del paese. Ma penso di sÌ. Di sicuro è condivisa con il mio pubblico gattaro.
Però ecco, da qui a dire che tengono insieme le famiglie non so. Certi rapporti, anche familiari, si rompono per molto meno.
Una cosa su cui invece si è tenuto saldo ai suoi binari sono gli sfondi, opere d'arte a cui lei ci ha abituato sin da subito nella sua carriera. Come è stato per questo corto? Qualche retroscena particolare?
S. No guardi, mi spiace deluderla ma gli sfondi sono riciclati. Pensi, io riciclavo le cose già dieci anni fa, non ho mica aspettato la transizione ecologica eheh.
Sono bozze prese da altri film, un po' da 5cm, un po' dal Giardino, la struttura esterna dei palazzi per esempio. Ma, questa cosa non la mette nell'intervista vero?
Non si preoccupi, siamo in live, ma poi filtriamo tutto, ci pensano i nostri addetti.
S. Ah bene, grazie mille.
Questa cosa dei palazzi me la ricordo bene, siccome quella sera non avevo più molta voglia di stare a pc, avevo due occhi che non le dico, cosi mi sono detto, sai che c'è Makoto? Tanto i palazzi in Giappone sono tutti uguali, se li prendi dall'altro film che stiamo facendo, non fai un torto a nessuno.
E poi guardi, senza farlo apposta, possiamo ovviare a questo 'difetto' ammiccando al fatto che i due prodotti sono legati, ambientati nella stessa città. Ohh, ma questa cosa mi piace, guarda cosa ti invento così su due piedi.
Se mi da un momento chiamo dentro al mio studio per passare l'idea.
---------------
Ora che Shinkai è al telefono, posso tirare due conclusioni personali.
Il corto l'ho rivisto recentemente a distanza di un enorme tempo. È bello? Si, ma non è memorabile, è comunque un corto che non riesce, per ovvi limiti, a costruirsi un'identità.
Ciò nonostante ne ho un bel ricordo di quando lo vidi al cinema a suo tempo; e se l'intervista sopra è frutto di fantasia, il mio ricordo è reale.
Voto 8, apprezzabile, ma con tutti i limiti di un corto.
Ah, dimenticavo:
* I personaggi di Adachi sono tutti simili tra loro (ndr).
S. Grazie a voi, davvero, dopo questa presentazione, spero di non deludere le aspettative.
Sono certo che non le deluderà.
Vorremmo in questa sede chiederle a riguardo di un film, o meglio, un corto, che lei ha realizzato; quello riguardo al gatto.
S. Ah, lei vuole tornare ai vecchi tempi, quando feci il corto che mi ha lanciato, Lei e il suo gatto...
No, veramente ne intendevo un altro quello che ha fatto più avanti nella sua carriera...
S. Ma allora lei è uno che la sa lunga. Non sono in molti a chiedermi di quel progetto Anikuri a cui partecipai, durante la realizzazione di "5 cm al secondo". Anzi, sono in pochi a saperlo. Immagino lei si riferisca a questo?
Ehm... veramente no, mi perdoni, il corto in questione è "Dareka no Manazashi"... Sa, quello che uscì praticamente assieme a Il giardino delle parole...
S. Dunque mi faccia pensare... Ah già! Ora ricordo, quello del gatto, come no. Sa questa cosa dei gatti mi è un po' sfuggita di mano. È un po' come i personaggi di Adachi*.
Ricordo poco di quel corto, ad essere onesto, fu fatto nei ritagli di tempo de "Il Giardino delle parole", tanto che avevamo pensato di inserirla lì come idea. Però non funzionava.
Era carina quella cosa che è il micio la voce fuori campo, e non potevamo fare la stessa cosa nel film. Alla fine lo abbiamo tenuto per portarlo al cinema assieme al Giardino, cosi da arrivare almeno all'ora di durata. Gli operatori di marketing dicevano che se il film non durava un'ora sarebbe potuto essere un flop.
È per questo che nel successivo "Your name" ci ha dato dentro con una sceneggiatura lunga ed un film di quasi due ore?
S. Braaavo. Esatto proprio per quello. Non volevo ripetere lo stesso errore.
Se mi permette parliamo un momento del corto. Lei tratta anche il tema della famiglia. Che ruolo ha nei suoi lavori, e nel suo immaginario?
S. Di solito nei miei film descrivo gli adolescenti, i ragazzi.
È stata forse la prima volta in cui uscivo da questo fil rouge che collega le mie opere, e mi creda, è un lavoraccio.
Parlare dei rapporti famigliari è un casino allucinante. In Giappone poi. Lei ci ha fatto caso che negli anime metà dei personaggi sono orfani? Ma mica solo i meisaku, pure tanti altri più moderni. Lo fanno per evitare l'argomento. In un corto sì, ma non lo farei mai in un film, non immagino lo sbattimento.
È come se questa cosa dei genitori, boh... forse in Giappone non esistono i genitori, socialmente intendo. Quando un ragazzo diventa grande, i genitori, è come se sparissero.
Per fortuna che ci sono i gatti quindi a tenere unite le famiglie, è questo che vuole dire con il breve segmento?
S. Mah, sa, quella del corto è una situazione romanzata, poteva essere un cane, o un oggetto.
Ci ho messo il gatto perché mi ricorda la mia infanzia. Avevo un libro con tute le favole sui gatti, quindi fino ai 7 anni per me non esistevano quasi altri animali. Li ho sempre amati profondamente; non lo so se questa cosa è condivisa con il resto del paese. Ma penso di sÌ. Di sicuro è condivisa con il mio pubblico gattaro.
Però ecco, da qui a dire che tengono insieme le famiglie non so. Certi rapporti, anche familiari, si rompono per molto meno.
Una cosa su cui invece si è tenuto saldo ai suoi binari sono gli sfondi, opere d'arte a cui lei ci ha abituato sin da subito nella sua carriera. Come è stato per questo corto? Qualche retroscena particolare?
S. No guardi, mi spiace deluderla ma gli sfondi sono riciclati. Pensi, io riciclavo le cose già dieci anni fa, non ho mica aspettato la transizione ecologica eheh.
Sono bozze prese da altri film, un po' da 5cm, un po' dal Giardino, la struttura esterna dei palazzi per esempio. Ma, questa cosa non la mette nell'intervista vero?
Non si preoccupi, siamo in live, ma poi filtriamo tutto, ci pensano i nostri addetti.
S. Ah bene, grazie mille.
Questa cosa dei palazzi me la ricordo bene, siccome quella sera non avevo più molta voglia di stare a pc, avevo due occhi che non le dico, cosi mi sono detto, sai che c'è Makoto? Tanto i palazzi in Giappone sono tutti uguali, se li prendi dall'altro film che stiamo facendo, non fai un torto a nessuno.
E poi guardi, senza farlo apposta, possiamo ovviare a questo 'difetto' ammiccando al fatto che i due prodotti sono legati, ambientati nella stessa città. Ohh, ma questa cosa mi piace, guarda cosa ti invento così su due piedi.
Se mi da un momento chiamo dentro al mio studio per passare l'idea.
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Ora che Shinkai è al telefono, posso tirare due conclusioni personali.
Il corto l'ho rivisto recentemente a distanza di un enorme tempo. È bello? Si, ma non è memorabile, è comunque un corto che non riesce, per ovvi limiti, a costruirsi un'identità.
Ciò nonostante ne ho un bel ricordo di quando lo vidi al cinema a suo tempo; e se l'intervista sopra è frutto di fantasia, il mio ricordo è reale.
Voto 8, apprezzabile, ma con tutti i limiti di un corto.
Ah, dimenticavo:
* I personaggi di Adachi sono tutti simili tra loro (ndr).
Apprezzo molto Shinkai quando non esagera con la sua carica emotiva. "Dareka no Manazashi", sarà per la lunghezza da corto (sei minuti circa), sarà per altro, si contiene abilmente. Non v'è effettivamente molto da dire, se non che il rapporto variabile tipico dell'età moderna tra i figli ed il genitore (in tal caso il padre) è abilmente dipinto in brevissimo tempo e con sapiente stile e fotogrammi. Il gatto, tema ricorrente a quanto pare, funge da collante e da deus ex machina finale che salva il salvabile. Non so, onestamente, quanto il finale sia positivo, perché comunque tende ad essere lievemente accennato. Certo, Shinkai è un inguaribile romanticone e sempre positivo, a suo modo, ma il fatto di aver solo brevemente accennato la conclusione ha provocato il mio gradimento: conoscendo la natura umana posso ben immaginare che quel rapporto che si pensa ristabilito rimorirà celermente. Questo è quanto l'uomo è.
Ottima riuscita: triste rappresentazione della vita dell'adolescente medio moderno.
Ottima riuscita: triste rappresentazione della vita dell'adolescente medio moderno.
Makoto Shinkai ha saputo produrre un altro piccolo capolavoro con la cura, la semplicità e la sensibilità che lo contraddistinguono.
Premetto di aver visionato sue opere migliori, più toccanti e meglio fatte, ma anche "Dareka no Manazashi" è riuscito ad emozionare e a toccare le corde giuste.
La protagonista, Aya è una ragazza che ha deciso da tempo di andare a vivere da sola, chiudendo i contatti con la sua famiglia e con le persone in generale. Le piccole incomprensioni che possono nascere in famiglia, se una figlia si sente abbandonata e inizia a disprezzare i genitori mentre questi ultimi sono convinti che stia solo crescendo e che vada lasciata ancora più libera, l'amore vero che una famiglia può riservarti anche a distanza di anni, l'affetto negli occhi di un padre che non perde occasione per rivedere sua figlia, i ricordi nelle fotografie, nel gatto ormai vecchio compagno di giochi, i tempi del liceo e della ribellione, del prendere in giro i genitori per i loro comportamenti strani agli occhi dei giovani, noiosi ed esagerati: tutto questo è "Dareka no Manazashi".
Accompagnato dalle note di un pianoforte, dalle animazioni di qualità, dai colori brillanti, in soli sette minuti Makoto Shinkai è riuscito a raccontare una storia, una storia completa e che non lascia dubbi, solo piccole emozioni. Lo consiglio tantissimo.
Premetto di aver visionato sue opere migliori, più toccanti e meglio fatte, ma anche "Dareka no Manazashi" è riuscito ad emozionare e a toccare le corde giuste.
La protagonista, Aya è una ragazza che ha deciso da tempo di andare a vivere da sola, chiudendo i contatti con la sua famiglia e con le persone in generale. Le piccole incomprensioni che possono nascere in famiglia, se una figlia si sente abbandonata e inizia a disprezzare i genitori mentre questi ultimi sono convinti che stia solo crescendo e che vada lasciata ancora più libera, l'amore vero che una famiglia può riservarti anche a distanza di anni, l'affetto negli occhi di un padre che non perde occasione per rivedere sua figlia, i ricordi nelle fotografie, nel gatto ormai vecchio compagno di giochi, i tempi del liceo e della ribellione, del prendere in giro i genitori per i loro comportamenti strani agli occhi dei giovani, noiosi ed esagerati: tutto questo è "Dareka no Manazashi".
Accompagnato dalle note di un pianoforte, dalle animazioni di qualità, dai colori brillanti, in soli sette minuti Makoto Shinkai è riuscito a raccontare una storia, una storia completa e che non lascia dubbi, solo piccole emozioni. Lo consiglio tantissimo.
Makoto Shinkai è ormai entrato nella mia lista anime da un paio di titoli, e ancora una volta mi cimento nel vedere un suo cortometraggio, che in apparenza è molto emotivo e ricco di emozioni ma in profondità, Dreka no Manazashi ha un significato davvero profondo e anche un po' triste.
La trama si concentra in un trio, padre di famiglia, la figlia Aya e il suo gattino Mii. Quest'ultimo racconta con voce da narratore le vicende quotidiane della ragazza, menzionando il rapporto che c'è tra genitori e figli.
Inizialmente vediamo in apparenza una famiglia unita, composta da due genitori e la propria figlia, dove in seguito si unirà un tenero gattino, ma per via del lavoro, la madre di Aya si trasferisce e qui la ragazza cerca di compensare con l'amore felino; tuttavia Aya continua a crescere e arrivò al punto di dimenticare la figura materna e andò a vivere da sola cercando l'indipendenza. La famiglia è sempre a braccia aperte, pronta ad accoglierti anche se commetti degli errori, ma nel caso di Aya, c'è solo il padre ad attenderlo a braccia aperte che in molte occasioni, anche in quelle più banali, spera che la figlia lo vada a trovare. Le giornate di Aya passano e cerca di mascherare gli errori commessi, come quello di isolare il padre nella sua casa, ma alla fine un'espediente cambia nettamente le carte in tavola; la morte fa parte della nostra vita e certe volte riunisce una famiglia ormai fredda e distante, così Mii riesce a far ritornare Aya da suo padre e riscaldare quel rapporto freddo che stava piano piano consumando i loro cuori.
Come sempre il comparto visivo mi stupisce, ottima grafica e disegni molto caratterizzati da particolari che fanno la differenza; il comparto sonoro è lo stesso molto ben realizzato, con una profonda voce narrante e musica di pianoforte come sottofondo che sottolinea i momenti tristi della vicenda. Voto 8.
La trama si concentra in un trio, padre di famiglia, la figlia Aya e il suo gattino Mii. Quest'ultimo racconta con voce da narratore le vicende quotidiane della ragazza, menzionando il rapporto che c'è tra genitori e figli.
Inizialmente vediamo in apparenza una famiglia unita, composta da due genitori e la propria figlia, dove in seguito si unirà un tenero gattino, ma per via del lavoro, la madre di Aya si trasferisce e qui la ragazza cerca di compensare con l'amore felino; tuttavia Aya continua a crescere e arrivò al punto di dimenticare la figura materna e andò a vivere da sola cercando l'indipendenza. La famiglia è sempre a braccia aperte, pronta ad accoglierti anche se commetti degli errori, ma nel caso di Aya, c'è solo il padre ad attenderlo a braccia aperte che in molte occasioni, anche in quelle più banali, spera che la figlia lo vada a trovare. Le giornate di Aya passano e cerca di mascherare gli errori commessi, come quello di isolare il padre nella sua casa, ma alla fine un'espediente cambia nettamente le carte in tavola; la morte fa parte della nostra vita e certe volte riunisce una famiglia ormai fredda e distante, così Mii riesce a far ritornare Aya da suo padre e riscaldare quel rapporto freddo che stava piano piano consumando i loro cuori.
Come sempre il comparto visivo mi stupisce, ottima grafica e disegni molto caratterizzati da particolari che fanno la differenza; il comparto sonoro è lo stesso molto ben realizzato, con una profonda voce narrante e musica di pianoforte come sottofondo che sottolinea i momenti tristi della vicenda. Voto 8.
Mi perdonerete, se non introduco il cortometraggio con una sinossi, ma credo che, già grazie alle immagini e alla sola informazione che la protagonista di questa vicenda sia una ragazza di nome Aya, avrete abbastanza elementi per farvi una idea di questi sei minuti di animazione.
Si nota sin da subito la mano dietro questa opera, Makoto Shinkai, e dal punto visivo ci troviamo davanti al solito splendido lavoro, con una colonna sonora ben studiata e decisamente d'effetto, adattissima a quanto narrato, e una grafica che offre paesaggi con effetti di luce molto convincenti e spettacolari. Torna il tema del gatto, che è caro all'autore, ma questa volta è un modo per seguire le vicende familiari di Aya e la sua crescita come donna, il suo rapporto con la famiglia e sul come la sua vita si è indirizzata.
Non posso dire di aver trovato la protagonista e il padre così convincenti, vengono mostrati dei momenti della vita di Aya, a partire dalla sua infanzia, e ci è mostrato il rapporto con il padre, come si è evoluto negli anni e come è attualmente. Si nota che entrambi i personaggi sono tormentati dalla situazione attuale ed è gratificante vedere come si conclude il cortometraggio, ma il tutto sembra essere un compitino già visto: non riescono a dimostrarsi sufficientemente empatici e risultano un po' poco naturali nelle loro interazioni.
Il ruolo della voce narrante l'ho trovato troppo invasivo: avrei evitato di lasciare a lei riflessioni e pensieri, avrei dato più spazio ai personaggi, alle loro espressioni e gestualità, o anche alle loro stesse parole, il compito di fare trasmettere quanto voleva essere comunicato. Shinkai ne sarebbe capace, sebbene sicuramente la voce narrante sia un altro artefatto che ama usare e a cui ci ha abituato in altre occasioni.
Nel complesso, lo trovo un cortometraggio discreto, che stupisce più per l'impatto artistico che per quanto riesce a raccontare.
Si nota sin da subito la mano dietro questa opera, Makoto Shinkai, e dal punto visivo ci troviamo davanti al solito splendido lavoro, con una colonna sonora ben studiata e decisamente d'effetto, adattissima a quanto narrato, e una grafica che offre paesaggi con effetti di luce molto convincenti e spettacolari. Torna il tema del gatto, che è caro all'autore, ma questa volta è un modo per seguire le vicende familiari di Aya e la sua crescita come donna, il suo rapporto con la famiglia e sul come la sua vita si è indirizzata.
Non posso dire di aver trovato la protagonista e il padre così convincenti, vengono mostrati dei momenti della vita di Aya, a partire dalla sua infanzia, e ci è mostrato il rapporto con il padre, come si è evoluto negli anni e come è attualmente. Si nota che entrambi i personaggi sono tormentati dalla situazione attuale ed è gratificante vedere come si conclude il cortometraggio, ma il tutto sembra essere un compitino già visto: non riescono a dimostrarsi sufficientemente empatici e risultano un po' poco naturali nelle loro interazioni.
Il ruolo della voce narrante l'ho trovato troppo invasivo: avrei evitato di lasciare a lei riflessioni e pensieri, avrei dato più spazio ai personaggi, alle loro espressioni e gestualità, o anche alle loro stesse parole, il compito di fare trasmettere quanto voleva essere comunicato. Shinkai ne sarebbe capace, sebbene sicuramente la voce narrante sia un altro artefatto che ama usare e a cui ci ha abituato in altre occasioni.
Nel complesso, lo trovo un cortometraggio discreto, che stupisce più per l'impatto artistico che per quanto riesce a raccontare.
Piccolo gioiello di animazione diretta da Makoto Shinkai, che in soli sette minuti riesce in maniera incredibile a coinvolgere e emozionare lo spettatore.
Una voce narrante racconte la storia di Aya e della sua famiglia. Aya è sempre stata una bambina molto legata ai suoi genitori, ma per motivi di lavoro non è mai potuta tare al loro fianco nel modo in cui avrebbe voluto. Suo padre vedendola triste decise allora di comprarle Mii, una piccola gattina che diventerà col tempo una membra della famiglia a tutti gli effetti.
Quando Aya cresce, il padre decide di lasciarla sempre libera il più possibile, anche se questo distacco gli causa molte sofferenze.
Aya da parte sua vedendo il padre allontanarsi da lei non la prende bene e alla prima occasione decide di andare a vivere fuori di casa e di diventare autonoma, ma anch'essa a malincuore.
Nel finale si scopre che la voce narrante non è altro che quella di Mii che ha potuto assistere a tutta la storia della famiglia, ed è proprio nel momento della sua morte che padre e figlia si riuniscono e il loro rapporto ricomincia col piede giusto.
Dal punto di vista tecnico è stato svolto un ottimo lavoro, sia per quanto riguarda il comparto grafico che quello sonoro, ma non credo che sia questo il motivo per cui questo filmato sia un'opera così speciale; la cosa che mi ha lasciato veramente stupito è stata l'incredibile emozione che un corto di soli sette minuti è riuscito a lasciarmi.
In questo brevissimo lasso di tempo Shinkai cattura lo spettatore, rendendolo partecipe in maniera incredibile e riesce a farlo immedesimare nei personagggi e nelle situazioni che poi ci propone.
E' incredibile come alcune serie anime passino intere puntate a parlare del nulla, mentre "Dareka no Manazashi" in pochi minuti riesca a fornire un'incredibile quantità di materiale su cui riflettere.
Credo che sia un'opera veramente notevole, che merita di essere vista almeno una volta, e che sicuramente non vi porterà via molto tempo, a meno che non decidiate di guardarla più e più volte.
Una voce narrante racconte la storia di Aya e della sua famiglia. Aya è sempre stata una bambina molto legata ai suoi genitori, ma per motivi di lavoro non è mai potuta tare al loro fianco nel modo in cui avrebbe voluto. Suo padre vedendola triste decise allora di comprarle Mii, una piccola gattina che diventerà col tempo una membra della famiglia a tutti gli effetti.
Quando Aya cresce, il padre decide di lasciarla sempre libera il più possibile, anche se questo distacco gli causa molte sofferenze.
Aya da parte sua vedendo il padre allontanarsi da lei non la prende bene e alla prima occasione decide di andare a vivere fuori di casa e di diventare autonoma, ma anch'essa a malincuore.
Nel finale si scopre che la voce narrante non è altro che quella di Mii che ha potuto assistere a tutta la storia della famiglia, ed è proprio nel momento della sua morte che padre e figlia si riuniscono e il loro rapporto ricomincia col piede giusto.
Dal punto di vista tecnico è stato svolto un ottimo lavoro, sia per quanto riguarda il comparto grafico che quello sonoro, ma non credo che sia questo il motivo per cui questo filmato sia un'opera così speciale; la cosa che mi ha lasciato veramente stupito è stata l'incredibile emozione che un corto di soli sette minuti è riuscito a lasciarmi.
In questo brevissimo lasso di tempo Shinkai cattura lo spettatore, rendendolo partecipe in maniera incredibile e riesce a farlo immedesimare nei personagggi e nelle situazioni che poi ci propone.
E' incredibile come alcune serie anime passino intere puntate a parlare del nulla, mentre "Dareka no Manazashi" in pochi minuti riesca a fornire un'incredibile quantità di materiale su cui riflettere.
Credo che sia un'opera veramente notevole, che merita di essere vista almeno una volta, e che sicuramente non vi porterà via molto tempo, a meno che non decidiate di guardarla più e più volte.
Ho sempre avuto un rapporto molto complicato con Makoto Shinkai dato che non sempre sono riuscito ad apprezzare le sue opere ed i messaggi che essi contenevano (credo di essere uno dei pochissimi, ad esempio, a cui 5 cm per second non è piaciuto). Il rapporto con il famoso autore giapponese si era tuttavia ricomposto con il bellisssimo "il giardino delle parole" per il quale ho speso parole di grande elogio e ammirazione. Il rapporto di odio-amore che si è instaurato fra le opere di Shinkai ed il sottoscritto ora viene nuovamente messo alla prova da questo Dareka no Manazashi, un anime della della durata di sette minuti circa. E cosa avrà mai voluto comunicarci il buon Makoto in coì poco tempo?
La breve storia parla delle vicende quotidiane di Aya, una ragazza come tante. Ottenuto il suo primo lavoro, riesce ad esaudire il suo desiderio di trasferirsi dalla casa patriarcale e vivere da sola. La vita non le deve apparire così rosea come aveva sognato ma questo passo le appare indispensabile per potersi finalmente emancipare ed avviarsi verso l'età adulta. La morte del gatto mii la farà tornare per un breve periodo alla casa del padre e durante il periodo passato si lascia prendere dai ricordi e da lì a passare momenti di grande intimità con la sua famiglia dalla quale era scappata poco prima non per problemi particolari ma solo per assecondare il suo desiderio di crescita personale.
Dareka no Manazashi descrive le varie fasi della crescita di una persona: l'età infantile, durante la quale i genitori rappresentano la cosa più importante e l'oggetto su cui scaricare tutto il loro affetto; l'età adolescenziale e le prime ribellioni; l'età adulta in cui il desiderio più grande è quello di emanciparsi dalla propria famiglia e costruire una vita propria. Tutto ciò viene raccontato da Shinkai in pochissimo tempo, ma lo fa benissimo; non è un lavoro che passerà alla storia ma un titolo che in sette minuti riesce a trasmettere allo spettatore una vera e propria valanga di contenuti su cui riflettere: dal rapporto genitori-figli tradizionale, alle difficoltà di raccontare la verità sui propri problemi per difendere le proprie scelte, sui rimpianti che comunque restano dentro quando una persona lascia il nido e comincia a volare da solo. E tanto, tanto altro
Non potevo aspettarmi di più da un lavoro del genere, per cui mi ritengo estremamente soddisfatto di ciò che ho visto. L'opera è un must per chi ama i lavori di Shinkai, ma anche un titolo che un po' tutti dovrebbero guardare: in fondo, anche se solo in minima parte, non potremo non riconoscerci vagamente con Aya e le sue emozioni e a riflettere su come, in fondo, la vita sia un continuo ciclo di scelte che si ripetono di generazione in generazione. Insomma, è consigliatisssimo.
La breve storia parla delle vicende quotidiane di Aya, una ragazza come tante. Ottenuto il suo primo lavoro, riesce ad esaudire il suo desiderio di trasferirsi dalla casa patriarcale e vivere da sola. La vita non le deve apparire così rosea come aveva sognato ma questo passo le appare indispensabile per potersi finalmente emancipare ed avviarsi verso l'età adulta. La morte del gatto mii la farà tornare per un breve periodo alla casa del padre e durante il periodo passato si lascia prendere dai ricordi e da lì a passare momenti di grande intimità con la sua famiglia dalla quale era scappata poco prima non per problemi particolari ma solo per assecondare il suo desiderio di crescita personale.
Dareka no Manazashi descrive le varie fasi della crescita di una persona: l'età infantile, durante la quale i genitori rappresentano la cosa più importante e l'oggetto su cui scaricare tutto il loro affetto; l'età adolescenziale e le prime ribellioni; l'età adulta in cui il desiderio più grande è quello di emanciparsi dalla propria famiglia e costruire una vita propria. Tutto ciò viene raccontato da Shinkai in pochissimo tempo, ma lo fa benissimo; non è un lavoro che passerà alla storia ma un titolo che in sette minuti riesce a trasmettere allo spettatore una vera e propria valanga di contenuti su cui riflettere: dal rapporto genitori-figli tradizionale, alle difficoltà di raccontare la verità sui propri problemi per difendere le proprie scelte, sui rimpianti che comunque restano dentro quando una persona lascia il nido e comincia a volare da solo. E tanto, tanto altro
Non potevo aspettarmi di più da un lavoro del genere, per cui mi ritengo estremamente soddisfatto di ciò che ho visto. L'opera è un must per chi ama i lavori di Shinkai, ma anche un titolo che un po' tutti dovrebbero guardare: in fondo, anche se solo in minima parte, non potremo non riconoscerci vagamente con Aya e le sue emozioni e a riflettere su come, in fondo, la vita sia un continuo ciclo di scelte che si ripetono di generazione in generazione. Insomma, è consigliatisssimo.
Quando si intende raccontare una storia, ci si sente assaliti dai dubbi tipici di ogni narratore. Da dove farla iniziare, e come farla proseguire? Come realizzare quella data scena, e come comunicare certi sentimenti?
In questo caso, per il suo nuovo progetto, Makoto Shinkai è riuscito a gestire il suo corto animato in soli sei minuti e poco più. A tal proposito, la questione principale diventa una soltanto: cosa potrò mai esprimere in così poco tempo? Eppure, il quesito non sembra aver raggiunto le orecchie degli spettatori di questo suo ultimo lavoro, poiché in circa sei minuti Shinkai sensei è stato capace di condensare ciò che di saliente c'è da dire della storia di Aya Okamura e della sua famiglia.
La prima scena si apre con un'immagine dall'alto di una metropoli. Si è fatta sera, e le luci degli edifici sono accese, così come quelle del treno su cui viaggia la nostra protagonista. Nell'immensità di questo paesaggio sovrastato dal rosa e dall'azzurro, il sole è ormai calato. La città è tanto ampia da inghiottire i suoi cittadini e da aumentare il senso di distacco che c'è fra loro e ciò che li circonda. Intanto, si sente una voce fuori campo narrare della solitudine di Aya. Quest'ultima non fa nulla per diminuire la distanza fra lei e gli altri, e come vedremo, questo è un trattamento che non riserva solo agli estranei. Infatti, il fulcro della storia è il dolore che talvolta sorge nei rapporti familiari. Un dolore fatto di parole dette, e altre appena sussurrate. Un disagio nato dal rifiuto di passare del tempo assieme e da bugie che vengono fuori senza alcun perché. Episodi che rimangono impressi nella nostra mente e che cadono nel limbo dei ricordi. Vite appartate, incomprese, la nostalgia di ciò che non c'è più e la paura di crescere.
Quando si nasce in una famiglia, c'è il rischio che ciò che eri non ritorni mai più. Crescere può significare cambiare, e cambiare può farci allontanare dalle persone che amiamo. Ma il lato positivo di avere una famiglia, è che questa non ti volta le spalle. La famiglia sa perdonare e aspetta a braccia tese. Nella storia di Aya, la famiglia è il padre, più della mamma o del gatto. Il padre aspetta il ritorno della mamma che viaggia per lavoro, così come aspetta l'occasione giusta affinché la figlia, Aya, li venga a trovare. Magari prova a forzare le coincidenze, la aspetta fuori l'appartamento o la chiama tutte le sere, e nonostante il caso non riconduce Aya da lui, lui non smette di provarci. Ciò che Shinkai riesce a comunicare in soli sei minuti, sono i ricordi buoni e brutti della giovinezza di Aya in famiglia. La sua attuale vita fatta di corse a lavoro, viaggi in treno e dormite pesanti, è intervallata dalle chiamate del padre. Il padre che attende speranzoso che la figlia si ricordi della sua promessa, nonostante ormai trovi la propria felicità fuori dalla famiglia.
Il corto animato in questione, stupisce per la sensibilità dei sentimenti espressi in un tempo così ristretto. Un esempio puro di un progetto completo che non ha bisogno di raccontarsi ancora un po', grazie alla maestria del suo produttore, Makoto Shinkai, già noto per La Voce delle Stelle e 5 Centimeters per Second. Anche in questo filmato del 2013, sono presenti le tipiche atmosfere lente del regista, accompagnate da delle note al piano, e i colori rosati di un cielo terso durante il tramonto. Insomma, la qualità visiva rimane impeccabile e accattivante, non trascurando l'audio che, oltre all'iniziale sonata al piano, vanta la voce della cantante Kazusa con "Sore de Ii yo".
Il corto in questione è consigliato a chi vuole essere toccato nel profondo con estrema semplicità e dolcezza, consentendoci così uno spunto di riflessione per le personali storie relazionali.
In questo caso, per il suo nuovo progetto, Makoto Shinkai è riuscito a gestire il suo corto animato in soli sei minuti e poco più. A tal proposito, la questione principale diventa una soltanto: cosa potrò mai esprimere in così poco tempo? Eppure, il quesito non sembra aver raggiunto le orecchie degli spettatori di questo suo ultimo lavoro, poiché in circa sei minuti Shinkai sensei è stato capace di condensare ciò che di saliente c'è da dire della storia di Aya Okamura e della sua famiglia.
La prima scena si apre con un'immagine dall'alto di una metropoli. Si è fatta sera, e le luci degli edifici sono accese, così come quelle del treno su cui viaggia la nostra protagonista. Nell'immensità di questo paesaggio sovrastato dal rosa e dall'azzurro, il sole è ormai calato. La città è tanto ampia da inghiottire i suoi cittadini e da aumentare il senso di distacco che c'è fra loro e ciò che li circonda. Intanto, si sente una voce fuori campo narrare della solitudine di Aya. Quest'ultima non fa nulla per diminuire la distanza fra lei e gli altri, e come vedremo, questo è un trattamento che non riserva solo agli estranei. Infatti, il fulcro della storia è il dolore che talvolta sorge nei rapporti familiari. Un dolore fatto di parole dette, e altre appena sussurrate. Un disagio nato dal rifiuto di passare del tempo assieme e da bugie che vengono fuori senza alcun perché. Episodi che rimangono impressi nella nostra mente e che cadono nel limbo dei ricordi. Vite appartate, incomprese, la nostalgia di ciò che non c'è più e la paura di crescere.
Quando si nasce in una famiglia, c'è il rischio che ciò che eri non ritorni mai più. Crescere può significare cambiare, e cambiare può farci allontanare dalle persone che amiamo. Ma il lato positivo di avere una famiglia, è che questa non ti volta le spalle. La famiglia sa perdonare e aspetta a braccia tese. Nella storia di Aya, la famiglia è il padre, più della mamma o del gatto. Il padre aspetta il ritorno della mamma che viaggia per lavoro, così come aspetta l'occasione giusta affinché la figlia, Aya, li venga a trovare. Magari prova a forzare le coincidenze, la aspetta fuori l'appartamento o la chiama tutte le sere, e nonostante il caso non riconduce Aya da lui, lui non smette di provarci. Ciò che Shinkai riesce a comunicare in soli sei minuti, sono i ricordi buoni e brutti della giovinezza di Aya in famiglia. La sua attuale vita fatta di corse a lavoro, viaggi in treno e dormite pesanti, è intervallata dalle chiamate del padre. Il padre che attende speranzoso che la figlia si ricordi della sua promessa, nonostante ormai trovi la propria felicità fuori dalla famiglia.
Il corto animato in questione, stupisce per la sensibilità dei sentimenti espressi in un tempo così ristretto. Un esempio puro di un progetto completo che non ha bisogno di raccontarsi ancora un po', grazie alla maestria del suo produttore, Makoto Shinkai, già noto per La Voce delle Stelle e 5 Centimeters per Second. Anche in questo filmato del 2013, sono presenti le tipiche atmosfere lente del regista, accompagnate da delle note al piano, e i colori rosati di un cielo terso durante il tramonto. Insomma, la qualità visiva rimane impeccabile e accattivante, non trascurando l'audio che, oltre all'iniziale sonata al piano, vanta la voce della cantante Kazusa con "Sore de Ii yo".
Il corto in questione è consigliato a chi vuole essere toccato nel profondo con estrema semplicità e dolcezza, consentendoci così uno spunto di riflessione per le personali storie relazionali.
Ed ecco che ancora una volta Makoto Shinkai ci confeziona un piccolo gioiello, una perla dal punto di vista grafico, perchè anche se l'animazione ha le dimensioni di un corto di 6 minuti, questo arco temporale è sufficiente per rendere l'idea delle notevoli capacità scenografiche di cui è capace la mente del suddetto regista.
Per quanto riguarda il comparto grafico appunto, assolutamente nulla da obiettare, per quanto riguarda i contenuti dal punto di vista della trama invece si. Perchè mi pare che i fondali fantascientifici- stupendi, spaziali- e la notevole caratterizzazione dal punto di vista fisico dei personaggi (vedi ad esempio le mani della co-protagonista che si gonfiano e si arrossano quando si stringono al sostegno del tram) non bastano a farmi emozionare per davvero. Mi pare che tutto questo impalcato sia costruito appositamente per celare un'effettiva carenza strutturale per quanto riguarda la sceneggiatura ed i sentimenti dei personaggi, mi pare che il prodotto sia sofisticato e non genuino al 100%.
Proverò semmai a riguardarlo altre volte, però da un regista del calibro di Makoto Shinkai sinceramente mi aspetterei molto di più.
Forse sarà perchè fin dall'inizio l'avevo inquadrato come l'erede spirituale di Hayao Miyazaki, essendosi egli stesso dichiarato fan del maestro ed in particolar modo di "Laputa", ed allora mi ero posto della aspettative che poi sono state disattese nelle sue varie opere: la perfezione scenica e i colori spumeggianti di Makoto Shinkai per me non sono sufficienti ad affermare che ciò che produce sia realmente un capolavoro; ci sono tanti fuochi d'artificio, ok, però per me pecca un po di "presunzione", ovviamente inteso in senso lato; manca di pacatezza se così si può dire, che restituirebbe un lato più umile e realistico ai suoi personaggi. Se i suoi personaggi avessero un pizzico di umanità e di sincerità in più ai miei occhi tutte le sue opere sarebbero ancora più meritevoli di essere viste, e forse dei veri capolavori.
In ogni caso, siamo comunque ad un livello nettamente superiore rispetto a tutte le altre animazioni dei giorni nostri, quindi credo che 8 sia il voto giusto.
Per quanto riguarda il comparto grafico appunto, assolutamente nulla da obiettare, per quanto riguarda i contenuti dal punto di vista della trama invece si. Perchè mi pare che i fondali fantascientifici- stupendi, spaziali- e la notevole caratterizzazione dal punto di vista fisico dei personaggi (vedi ad esempio le mani della co-protagonista che si gonfiano e si arrossano quando si stringono al sostegno del tram) non bastano a farmi emozionare per davvero. Mi pare che tutto questo impalcato sia costruito appositamente per celare un'effettiva carenza strutturale per quanto riguarda la sceneggiatura ed i sentimenti dei personaggi, mi pare che il prodotto sia sofisticato e non genuino al 100%.
Proverò semmai a riguardarlo altre volte, però da un regista del calibro di Makoto Shinkai sinceramente mi aspetterei molto di più.
Forse sarà perchè fin dall'inizio l'avevo inquadrato come l'erede spirituale di Hayao Miyazaki, essendosi egli stesso dichiarato fan del maestro ed in particolar modo di "Laputa", ed allora mi ero posto della aspettative che poi sono state disattese nelle sue varie opere: la perfezione scenica e i colori spumeggianti di Makoto Shinkai per me non sono sufficienti ad affermare che ciò che produce sia realmente un capolavoro; ci sono tanti fuochi d'artificio, ok, però per me pecca un po di "presunzione", ovviamente inteso in senso lato; manca di pacatezza se così si può dire, che restituirebbe un lato più umile e realistico ai suoi personaggi. Se i suoi personaggi avessero un pizzico di umanità e di sincerità in più ai miei occhi tutte le sue opere sarebbero ancora più meritevoli di essere viste, e forse dei veri capolavori.
In ogni caso, siamo comunque ad un livello nettamente superiore rispetto a tutte le altre animazioni dei giorni nostri, quindi credo che 8 sia il voto giusto.
La prima cosa che viene in mente da dire a chi si appresta a leggere una recensione su questo corto è di smettere di leggere ed andarsi a vedere questo corto da 6 minuti e 45 secondi evitando qualunque tipo di anticipazione.
Se state continuando a leggere spero lo abbiate già visto.
Come ormai siamo stati abituati da Makoto Shinkai questa piccola opera è una piccola perla, un futuro tecnologico in cui basta un gesto con un dito per rispondere al telefono, questo è ciò che non racconta questo corto, la maestria di Shinkai come al solito sposta la nostra attenzione su elementi che normalmente troveremmo interessanti in altre serie, per poi riportarci nel nostro mondo interiore più profondo come per dirci cosa conta realmente, infatti la storia potrebbe anche essere stata ambientata dentro una grotta degli uomini delle caverne e l'effetto sarebbe stato identico.
<b>Spoiler</b>
Una voce narrante ci accompagnerà durante quasi tutta la breve visione, un inizio triste, la routine quotidiana, la menzogna, i sogni perduti, la solitudine del presente, per poi spostarsi sul passato, un inizio felice, la spensieratezza di una bambina, ma la vita è crudele, le cose cambiano, ci si allontana da tutto ciò a cui una volta si teneva, si diventa adulti.
A quel punto ci si rende conto che la voce narrante non è fine a se stessa, sono gli ultimi pensieri di qualcuno, del gatto che ha sempre accompagnato quelle persone a lui tanto care.
A quel punto la voce narrante si ferma, ancora momenti tristi, nulla sembra essere cambiato, ma la voce riprende la sua narrazione, ci parla di cosa ci fosse dietro quei momenti tristi, ci mostra che quella distanza è solo un'illusione, mostra la speranza e che la morte è parte della vita, che è anche un nuovo inizio.
E' sempre strano vedere come una storia così breve possa farti scendere una lacrima e farti affezionare a dei personaggi visti solo per qualche minuto, ma è anche la dimostrazione che i sentimenti di una persona sono facili da raggiungere se premuti i giusti tasti, e Shinkai ci ha dimostrato di essere veramente un maestro in questo.
Per quanto riguarda tutto il comparto tecnico nulla da ridire, sempre su standard molto elevati, un tratto pulito e molto piacevole, paesaggi paragonabili a quelli di un quadro, musiche che si integrano talmente bene da farti rendere conto che la stai ascoltanto solo dopo qualche secondo.
Se state continuando a leggere spero lo abbiate già visto.
Come ormai siamo stati abituati da Makoto Shinkai questa piccola opera è una piccola perla, un futuro tecnologico in cui basta un gesto con un dito per rispondere al telefono, questo è ciò che non racconta questo corto, la maestria di Shinkai come al solito sposta la nostra attenzione su elementi che normalmente troveremmo interessanti in altre serie, per poi riportarci nel nostro mondo interiore più profondo come per dirci cosa conta realmente, infatti la storia potrebbe anche essere stata ambientata dentro una grotta degli uomini delle caverne e l'effetto sarebbe stato identico.
<b>Spoiler</b>
Una voce narrante ci accompagnerà durante quasi tutta la breve visione, un inizio triste, la routine quotidiana, la menzogna, i sogni perduti, la solitudine del presente, per poi spostarsi sul passato, un inizio felice, la spensieratezza di una bambina, ma la vita è crudele, le cose cambiano, ci si allontana da tutto ciò a cui una volta si teneva, si diventa adulti.
A quel punto ci si rende conto che la voce narrante non è fine a se stessa, sono gli ultimi pensieri di qualcuno, del gatto che ha sempre accompagnato quelle persone a lui tanto care.
A quel punto la voce narrante si ferma, ancora momenti tristi, nulla sembra essere cambiato, ma la voce riprende la sua narrazione, ci parla di cosa ci fosse dietro quei momenti tristi, ci mostra che quella distanza è solo un'illusione, mostra la speranza e che la morte è parte della vita, che è anche un nuovo inizio.
E' sempre strano vedere come una storia così breve possa farti scendere una lacrima e farti affezionare a dei personaggi visti solo per qualche minuto, ma è anche la dimostrazione che i sentimenti di una persona sono facili da raggiungere se premuti i giusti tasti, e Shinkai ci ha dimostrato di essere veramente un maestro in questo.
Per quanto riguarda tutto il comparto tecnico nulla da ridire, sempre su standard molto elevati, un tratto pulito e molto piacevole, paesaggi paragonabili a quelli di un quadro, musiche che si integrano talmente bene da farti rendere conto che la stai ascoltanto solo dopo qualche secondo.
Una fiera d'arredamento domestico come la Proud Box Kanshasai è uno scenario del tutto inedito per la proiezione d'opere d'animazione, men che meno le opere del grande Makoto Shinkai e ancor meno di un suo recente corto d'animazione; ma si sa: in Giappone lo stupore è all'ordine del giorno e tutto questo è stato reso possibile.
Dareka no Manazashi è uno speciale della stagione invernale 2013 della durata di 6 minuti e 45 secondi. Questo corto è stato proiettato in esclusiva dal Nomura Real Estate Group durante l'evento "Proud Box Kanshasai", una fiera di arredamento domestico. L'opera è attualmente reperibile su youtube.
Trama: l'intera storia è narrata da Mii, una gatta domestica che descrive le vicende di Aya e di suo padre nel quotidiano in un futuro prossimo. Cominciando con l'estenuante tragitto metropolitano di ritorno a casa, dove la ragazza più volte cambia impugnatura per non indolenzire eccessivamente la mano, per poi giungere finalmente nella sua casa, e una volta giunta a casa vengono descritte le bugie che si scambia telefonicamente con suo padre che coprono i piccoli e grandi fallimenti quotidiani. Eppure un tentativo di connessione tra loro esiste ed è rappresentato da Mii, ormai anziano e giunto al termine della sua vita. Mii fu l'inseparabile compagno di Aya nel momento in cui la madre partì per questioni lavorative, e man mano che Aya crebbe, cominciò a trovare nuovi interessi nel mondo esterno, al punto da rimpiazzare gradualmente la figura materna e felina e a realizzare il suo sogno di vita indipendente, tuttavia la morte di Mii segnerà la svolta della loro storia.
Grafica: ogni volta che guardo un'opera di Shinkai non posso che inchinarmi di fronte a cotanto splendore grafico e questo piccolo grande corto non fa eccezione. Ambientazioni realizzate meravigliosamente, con una nitidezza ed un iperdettaglio che lascia sbalorditi, meravigliosi i giochi di luce e alternanze a tinte acquerellate. Animazioni semplici ed efficaci, dotate della giusta fluidità. Character design meraviglioso. Neko design volutamente buffo ed irrealistico.
Sonoro: ottimo giudizio su tutto il comparto sonoro. L'opening non è presente, in compenso è presente un ending molto dolce e delicato. Le OST sono molto belle e svolgono egregiamente il loro compito di enfatizzare le varie scene. Ottimi effetti sonori. Doppiaggio impeccabile.
Personaggi: due umani ed un gatto, basta così. La loro caratterizzazione è affidata alla gatta Mii e ciò basta per comprenderne la natura. Ottime scene introspettive, ottima interazione. Maturazione ben presente.
Sceneggiatura: particolare dovuta ad una gestione temporale che esegue continui rimandi col passato fino alla fine dell'opera, mescolando incessantemente passato e presente. Il ritmo è abbastanza veloce. Nessun combattimento, nessuna scena d'azione, nessun fanservice. Solamente tanta umanità e dialoghi ben strutturati.
Finale: può la morte ricucire dei rapporti che si ritenevano perduti? Sarà lo spettatore a decidere. In ogni caso il finale è in perfetto stile Shinkai. Delicato, commovente, dolce e maturo nel contempo. Eppure questa volta sembra che una felicità duratura sia possibile.
In sintesi: penso che si tratti di uno dei migliori corti d'animazione mai realizzati finora. L'opera si guarda che è una meraviglia. Il buon Shinkai torna a colpire ritornando alle origini con corti narrati dai felini. Non sarà un'opera originale ma nulla toglie che sia veramente bella. Consigliata ai neofiti come a chi apprezza Shinkai da tempo.
Dareka no Manazashi è uno speciale della stagione invernale 2013 della durata di 6 minuti e 45 secondi. Questo corto è stato proiettato in esclusiva dal Nomura Real Estate Group durante l'evento "Proud Box Kanshasai", una fiera di arredamento domestico. L'opera è attualmente reperibile su youtube.
Trama: l'intera storia è narrata da Mii, una gatta domestica che descrive le vicende di Aya e di suo padre nel quotidiano in un futuro prossimo. Cominciando con l'estenuante tragitto metropolitano di ritorno a casa, dove la ragazza più volte cambia impugnatura per non indolenzire eccessivamente la mano, per poi giungere finalmente nella sua casa, e una volta giunta a casa vengono descritte le bugie che si scambia telefonicamente con suo padre che coprono i piccoli e grandi fallimenti quotidiani. Eppure un tentativo di connessione tra loro esiste ed è rappresentato da Mii, ormai anziano e giunto al termine della sua vita. Mii fu l'inseparabile compagno di Aya nel momento in cui la madre partì per questioni lavorative, e man mano che Aya crebbe, cominciò a trovare nuovi interessi nel mondo esterno, al punto da rimpiazzare gradualmente la figura materna e felina e a realizzare il suo sogno di vita indipendente, tuttavia la morte di Mii segnerà la svolta della loro storia.
Grafica: ogni volta che guardo un'opera di Shinkai non posso che inchinarmi di fronte a cotanto splendore grafico e questo piccolo grande corto non fa eccezione. Ambientazioni realizzate meravigliosamente, con una nitidezza ed un iperdettaglio che lascia sbalorditi, meravigliosi i giochi di luce e alternanze a tinte acquerellate. Animazioni semplici ed efficaci, dotate della giusta fluidità. Character design meraviglioso. Neko design volutamente buffo ed irrealistico.
Sonoro: ottimo giudizio su tutto il comparto sonoro. L'opening non è presente, in compenso è presente un ending molto dolce e delicato. Le OST sono molto belle e svolgono egregiamente il loro compito di enfatizzare le varie scene. Ottimi effetti sonori. Doppiaggio impeccabile.
Personaggi: due umani ed un gatto, basta così. La loro caratterizzazione è affidata alla gatta Mii e ciò basta per comprenderne la natura. Ottime scene introspettive, ottima interazione. Maturazione ben presente.
Sceneggiatura: particolare dovuta ad una gestione temporale che esegue continui rimandi col passato fino alla fine dell'opera, mescolando incessantemente passato e presente. Il ritmo è abbastanza veloce. Nessun combattimento, nessuna scena d'azione, nessun fanservice. Solamente tanta umanità e dialoghi ben strutturati.
Finale: può la morte ricucire dei rapporti che si ritenevano perduti? Sarà lo spettatore a decidere. In ogni caso il finale è in perfetto stile Shinkai. Delicato, commovente, dolce e maturo nel contempo. Eppure questa volta sembra che una felicità duratura sia possibile.
In sintesi: penso che si tratti di uno dei migliori corti d'animazione mai realizzati finora. L'opera si guarda che è una meraviglia. Il buon Shinkai torna a colpire ritornando alle origini con corti narrati dai felini. Non sarà un'opera originale ma nulla toglie che sia veramente bella. Consigliata ai neofiti come a chi apprezza Shinkai da tempo.