La principessa e il ranocchio
Anno 2004, la Walt Disney prende la decisione di chiudere con l'animazione tradizionale, forte del successo dei film Pixar contrapposti ai flop di Atlantis, Koda e soprattutto il modesto Mucche alla Riscossa. Passano due anni e la Disney acquista a suon di Paperdollari la stessa Pixar, lasciando al suo padre fondatore John Lasseter la direzione creativa di ogni produzione animata, conscia (o convinta) di aver trovato il Walt Disney del XXI secolo.
Accade che il panzone amante delle camice hawaiane, il paladino della rivoluzione digitale nell'animazione, si alza una mattina con l'idea in testa di far tornare l'animazione 2-D, dicendo di averla sempre amata, che l'ha cresciuto, ispirato e bla bla bla. Ogni suo desiderio è un ordine, sommo creatore di mondi giocattolosi, ma in cantiere ci sono due lungometraggi: uno è un certo "American Dog" (Bolt), del tutto inadatto alla tecnica tradizionale, e l'altro un progetto ispirato alla favola di "Rapunzel", ma anche per quest'ultimo venne scelta la tecnica in CG, convinti che sotto la guida artistica di Glen Keane si potesse realizzare una classica fiaba Disney anche con i più moderni mezzi di animazione digitale.
A quel punto la scelta di richiamare la coppia di registi John Musker e Ron Clements venne quasi naturale. Tra gli artefici del Rinascimento Disney, con pellicole del calibro de La Sirenetta, Aladdin ed Hercules, i due sembravano perfetti per riportare al cinema una fiaba d'altri tempi, ma al contempo moderna. La Principessa e il Ranocchio è esattamente questo, una dichiarazione d'amore nei confronti dell'animazione Disney anni novanta, con i pro e i contro che questo comporta.
L'ambientazione è una inedita quanto piacevole New Orleans degli anni venti, ed è senza mezzi termini l'aspetto più riuscito del film. Dalle folkloristiche strade alle sconfinate paludi, tramite le note della musica Jazz e della ricorrenza del Martedì Grasso, la pellicola non fa mancare nulla allo spettatore per catapultarlo nel suo contesto socio-culturale. Tiana è la nostra protagonista che lavora duramente per aprire un ristorante, sogno ereditato dal defunto padre. Forte e determinata, la ragazza ha in testa solo il lavoro e questo preoccupa un po' sua madre, ma nonostante ciò tutto sembra andare per il verso giusto, fino a quando non giunge in città un allegro principe di nome Naveen.
Partiamo dai personaggi. Ottimo il duo protagonista, non certo originale (la lavoratrice e lo scansafatiche, con variante di sessi sono un classico della commedia) e abbastanza prevedibile nei risvolti, ma comunque divertente dal momento in cui i due si trasformano in rane. La migliore amica di Tiana, Charlotte, è semplicemente uno spasso: vivace, sognatrice, a tratti superficiale ma mai banale, e cosa importante appare il giusto durante il corso del lungometraggio. Decisamente più dimenticabili i comprimari: il coccodrillo trombettista, a parte qualche gag azzeccata, scorre via senza mordere davvero, e la lucciola Ray si deve aggrappare a un finale eroico-commovente per lasciare il segno, e non è detto che ci riesca. Sa di già visto infine Mamma Odie, messa lì al solo scopo narrativo (e per inserire la solita canzone del cavolo).
Il cattivo l'ho trovato nel complesso riuscito; ispirato vagamente alla divinità Baron Samedi, lo stregone garantisce quei momenti dark che non guastano mai e lo stesso tema del voodoo è quantomeno azzeccato e originale.
Altrettanto pregevole la colonna sonora del film firmata Randy Newman. Per quanto non manchino canzoni superflue, buona parte degli stacchetti musicali sono di ottima qualità anche scenografica, come "Almost There", la cui particolare sequenza sembra ispirarsi alla pittura della Harlem Renaissance. Tuttavia la soundtrack de La Principessa e il Ranocchio può risultare tanto gradevole da sentire sul momento quanto dimenticabile sul lungo periodo; in sintesi siamo ancora ben lontani da alcune memorabili canzoni del passato più o meno remoto Disney.
Sul lato estetico, La Principessa e il Ranocchio sollevò fin da subito il problema di un ritorno al disegno a mano bidimensionale dopo anni di stop. Gli animatori erano per buona parte cambiati così come i mezzi a disposizione, con il CAPS (Computer Animation Production System, introdotto dal 1989 per accorciare i tempi di produzione) quale strumento ormai superato. L'utilizzo del ben più economico "Toon Boom Harmony software", sfruttato dalla Disney principalmente per i suoi sequel destinati all'home video, divenne quindi la scelta più idonea, arricchito a sua volta da plug-in atti a rendere effetti di ombreggiature e di fumo tipiche dello stile Disney anni novanta. Il cortometraggio "Pippo e l'home theater" proiettato nei cinema nel 2007, servì principalmente per "riallenare" gli animatori alla tecnica di animazione tradizionale in vista del nuovo-vecchio Classico. Il risultato finale è di ottima fattura e il film è meritevole del marchio che porta, dagli sfondi ai personaggi, tutto è realizzato minuziosamente.
Tuttavia dal punto di vista creativo l'ultimo lavoro di Musker e Clements sembra preoccuparsi più di citare il passato, invece che di imbastire qualcosa di suo e di memorabile, e questo è un limite pesante per un Classico che tenta in tutti i modi di comportarsi da tale. A partire dalla primissima inquadratura che riprende la stella di Pinocchio, la pellicola è talmente pregna di rimandi e citazioni da risultare quasi ossessiva nell'autocelebrazione e arrendevole nei confronti di una servizievole nostalgia di tempi andati.
Nonostante abbia quindi in definitiva alcuni elementi di sicuro interesse (la citata ambientazione, il personaggio di Tiana che non è una principessa, ma di fatto lo diventa), La Principessa e il Ranocchio non osa oltre il "contentino" per nostalgici, indirizzato più ai genitori che ai rispettivi figli. Un'operazione di conseguenza in parte riuscita ma troppo fine a sé stessa, la quale non può ergersi a guida del nuovo corso dei film Disney.
Accade che il panzone amante delle camice hawaiane, il paladino della rivoluzione digitale nell'animazione, si alza una mattina con l'idea in testa di far tornare l'animazione 2-D, dicendo di averla sempre amata, che l'ha cresciuto, ispirato e bla bla bla. Ogni suo desiderio è un ordine, sommo creatore di mondi giocattolosi, ma in cantiere ci sono due lungometraggi: uno è un certo "American Dog" (Bolt), del tutto inadatto alla tecnica tradizionale, e l'altro un progetto ispirato alla favola di "Rapunzel", ma anche per quest'ultimo venne scelta la tecnica in CG, convinti che sotto la guida artistica di Glen Keane si potesse realizzare una classica fiaba Disney anche con i più moderni mezzi di animazione digitale.
A quel punto la scelta di richiamare la coppia di registi John Musker e Ron Clements venne quasi naturale. Tra gli artefici del Rinascimento Disney, con pellicole del calibro de La Sirenetta, Aladdin ed Hercules, i due sembravano perfetti per riportare al cinema una fiaba d'altri tempi, ma al contempo moderna. La Principessa e il Ranocchio è esattamente questo, una dichiarazione d'amore nei confronti dell'animazione Disney anni novanta, con i pro e i contro che questo comporta.
L'ambientazione è una inedita quanto piacevole New Orleans degli anni venti, ed è senza mezzi termini l'aspetto più riuscito del film. Dalle folkloristiche strade alle sconfinate paludi, tramite le note della musica Jazz e della ricorrenza del Martedì Grasso, la pellicola non fa mancare nulla allo spettatore per catapultarlo nel suo contesto socio-culturale. Tiana è la nostra protagonista che lavora duramente per aprire un ristorante, sogno ereditato dal defunto padre. Forte e determinata, la ragazza ha in testa solo il lavoro e questo preoccupa un po' sua madre, ma nonostante ciò tutto sembra andare per il verso giusto, fino a quando non giunge in città un allegro principe di nome Naveen.
Partiamo dai personaggi. Ottimo il duo protagonista, non certo originale (la lavoratrice e lo scansafatiche, con variante di sessi sono un classico della commedia) e abbastanza prevedibile nei risvolti, ma comunque divertente dal momento in cui i due si trasformano in rane. La migliore amica di Tiana, Charlotte, è semplicemente uno spasso: vivace, sognatrice, a tratti superficiale ma mai banale, e cosa importante appare il giusto durante il corso del lungometraggio. Decisamente più dimenticabili i comprimari: il coccodrillo trombettista, a parte qualche gag azzeccata, scorre via senza mordere davvero, e la lucciola Ray si deve aggrappare a un finale eroico-commovente per lasciare il segno, e non è detto che ci riesca. Sa di già visto infine Mamma Odie, messa lì al solo scopo narrativo (e per inserire la solita canzone del cavolo).
Il cattivo l'ho trovato nel complesso riuscito; ispirato vagamente alla divinità Baron Samedi, lo stregone garantisce quei momenti dark che non guastano mai e lo stesso tema del voodoo è quantomeno azzeccato e originale.
Altrettanto pregevole la colonna sonora del film firmata Randy Newman. Per quanto non manchino canzoni superflue, buona parte degli stacchetti musicali sono di ottima qualità anche scenografica, come "Almost There", la cui particolare sequenza sembra ispirarsi alla pittura della Harlem Renaissance. Tuttavia la soundtrack de La Principessa e il Ranocchio può risultare tanto gradevole da sentire sul momento quanto dimenticabile sul lungo periodo; in sintesi siamo ancora ben lontani da alcune memorabili canzoni del passato più o meno remoto Disney.
Sul lato estetico, La Principessa e il Ranocchio sollevò fin da subito il problema di un ritorno al disegno a mano bidimensionale dopo anni di stop. Gli animatori erano per buona parte cambiati così come i mezzi a disposizione, con il CAPS (Computer Animation Production System, introdotto dal 1989 per accorciare i tempi di produzione) quale strumento ormai superato. L'utilizzo del ben più economico "Toon Boom Harmony software", sfruttato dalla Disney principalmente per i suoi sequel destinati all'home video, divenne quindi la scelta più idonea, arricchito a sua volta da plug-in atti a rendere effetti di ombreggiature e di fumo tipiche dello stile Disney anni novanta. Il cortometraggio "Pippo e l'home theater" proiettato nei cinema nel 2007, servì principalmente per "riallenare" gli animatori alla tecnica di animazione tradizionale in vista del nuovo-vecchio Classico. Il risultato finale è di ottima fattura e il film è meritevole del marchio che porta, dagli sfondi ai personaggi, tutto è realizzato minuziosamente.
Tuttavia dal punto di vista creativo l'ultimo lavoro di Musker e Clements sembra preoccuparsi più di citare il passato, invece che di imbastire qualcosa di suo e di memorabile, e questo è un limite pesante per un Classico che tenta in tutti i modi di comportarsi da tale. A partire dalla primissima inquadratura che riprende la stella di Pinocchio, la pellicola è talmente pregna di rimandi e citazioni da risultare quasi ossessiva nell'autocelebrazione e arrendevole nei confronti di una servizievole nostalgia di tempi andati.
Nonostante abbia quindi in definitiva alcuni elementi di sicuro interesse (la citata ambientazione, il personaggio di Tiana che non è una principessa, ma di fatto lo diventa), La Principessa e il Ranocchio non osa oltre il "contentino" per nostalgici, indirizzato più ai genitori che ai rispettivi figli. Un'operazione di conseguenza in parte riuscita ma troppo fine a sé stessa, la quale non può ergersi a guida del nuovo corso dei film Disney.