The Boy and the Beast
Personalmente "The Boy and the Beast" è il primo film d'animazione di Mamoru Hosoda che mi capita tra le mani, e spinto dalla fama che lo precede, ho deciso di gettarmi in queste due ore di visione, che ho trovato estremamente piacevoli.
Il film parla di un ragazzino di appena nove anni di nome Ren che, dopo aver perso la madre e le tracce del padre, non volendo andare a vivere con gli zii, scappa di casa. Nella sua fuga si imbatte in una bestia di nome Kumatetsu, che vede in lui un grande potenziale e decide di prenderlo come suo allievo. I due, nonostante appartengano a specie diverse, si scopriranno molto simili, soprattutto in quanto a testardaggine e pessimo carattere, che li rendono due poli magnetici dello stesso segno, che invece di attrarsi si respingono. Nonostante ciò, l'apprendistato di Ren, che dura otto anni, inizia eppure chi impara di più da tutto ciò, è proprio Kumatetsu, che scopre grazie al ragazzo qualcosa che va oltre il duro allenamento e la fatica, ovvero il significato della parola 'famiglia'.
Oltre a ciò il film ricalca la mano su un altro argomento molto importante, che mi ha ricordato Devilman, ovvero la forte critica indirizzata all'essere umano, che ha accolto dentro di se le tenebre, che possono essere scacciate solo grazie alla forza dell'amore, che vede all'interno dell'opera, la sua metafora ne 'la spada nel cuore'.
In conclusione, ho trovato il lungometraggio molto "Kung fu Pandiano" soprattutto nelle scene di addestramento dei due e ho molto apprezzato l'animazione fluida e pulita, molto simile a quella dello Studio Ghibli, a cui Mamoru Hosoda fu molto vicino anni fa.
Il film parla di un ragazzino di appena nove anni di nome Ren che, dopo aver perso la madre e le tracce del padre, non volendo andare a vivere con gli zii, scappa di casa. Nella sua fuga si imbatte in una bestia di nome Kumatetsu, che vede in lui un grande potenziale e decide di prenderlo come suo allievo. I due, nonostante appartengano a specie diverse, si scopriranno molto simili, soprattutto in quanto a testardaggine e pessimo carattere, che li rendono due poli magnetici dello stesso segno, che invece di attrarsi si respingono. Nonostante ciò, l'apprendistato di Ren, che dura otto anni, inizia eppure chi impara di più da tutto ciò, è proprio Kumatetsu, che scopre grazie al ragazzo qualcosa che va oltre il duro allenamento e la fatica, ovvero il significato della parola 'famiglia'.
Oltre a ciò il film ricalca la mano su un altro argomento molto importante, che mi ha ricordato Devilman, ovvero la forte critica indirizzata all'essere umano, che ha accolto dentro di se le tenebre, che possono essere scacciate solo grazie alla forza dell'amore, che vede all'interno dell'opera, la sua metafora ne 'la spada nel cuore'.
In conclusione, ho trovato il lungometraggio molto "Kung fu Pandiano" soprattutto nelle scene di addestramento dei due e ho molto apprezzato l'animazione fluida e pulita, molto simile a quella dello Studio Ghibli, a cui Mamoru Hosoda fu molto vicino anni fa.
Un film molto complesso e a tratti anche anche stupefacente/straordinario. Un film profondo ed intenso.
La grafica e' fatta in parte dal computer e in parte da colori ad acquarello e a pastello. La colonna sonora è armoniosa ed intensa in fusione con gli stati d'animo e di mente dei personaggi. La trama è agrodolce, divisa tra momenti di rabbia, tristezza ed allegria, malinconia. Inoltre il titolo è una chiara ispirazione alla favola di Charles Perrault. Nella metà iniziale del film vi è anche la citazione del romanzo "Moby Dick" di Herman Melville, il quale funge da ispirazione per la trasformazione dell'antagonista.
E' una storia sul rapporto tra padre/figlio e maestro/discepolo che si conoscono fino in fondo, nonostante le divergenze e le avversità che la vita pone. La sfida più dura consiste nel far conciliare la propria vita interiore con quella esterna in modo da trovare un equilibrio da mantenere e proteggere a qualsiasi costo. Una metafora/allusione sul senso della vita e sull'importanza di non permettere alle brutte esperienze della vita di condizionarci, oltre al fatto che noi stessi siamo il nostro limite e la nostra fonte di energia.
La grafica e' fatta in parte dal computer e in parte da colori ad acquarello e a pastello. La colonna sonora è armoniosa ed intensa in fusione con gli stati d'animo e di mente dei personaggi. La trama è agrodolce, divisa tra momenti di rabbia, tristezza ed allegria, malinconia. Inoltre il titolo è una chiara ispirazione alla favola di Charles Perrault. Nella metà iniziale del film vi è anche la citazione del romanzo "Moby Dick" di Herman Melville, il quale funge da ispirazione per la trasformazione dell'antagonista.
E' una storia sul rapporto tra padre/figlio e maestro/discepolo che si conoscono fino in fondo, nonostante le divergenze e le avversità che la vita pone. La sfida più dura consiste nel far conciliare la propria vita interiore con quella esterna in modo da trovare un equilibrio da mantenere e proteggere a qualsiasi costo. Una metafora/allusione sul senso della vita e sull'importanza di non permettere alle brutte esperienze della vita di condizionarci, oltre al fatto che noi stessi siamo il nostro limite e la nostra fonte di energia.
Il rapporto allievo e discepolo mi ha sempre affascinato, ma nello stesso tempo è anche molto abusato. In questo caso però l'uno ha condizionato l'altro: il maestro ha provocato il discepolo che ha fatto perfezionare il maestro. Il tutto è ambientato sia nel mondo degli umani che in quello dei bakemono (animali? bestie?).
Ren, il nome del ragazzino, abbandonato e rimasto orfano di madre, fugge via per poter decidere appieno del suo futuro, segue una misteriosa figura incappucciata lungo uno stretto e buio vicolo, che si rivela essere l'accesso a un mondo parallelo, nello Jūtengai (il regno delle bestie). Qui vede il ribelle e selvaggio Kumatetsu (il nome della "bestia" che ha inseguito) combattere con un suo rivale, e il fatto che nessuno tifi per lui fa scattare una sorta di empatia nei suoi confronti. Da qui in poi i due si condizionano a vicenda dell'apprendere sia tecniche di combattimento che lezioni caratteriali.
Alla fine entrambe diverranno un'unico cuore per affrontare le battaglie che la parte oscura in ognuno di tira fuori nei momenti critici.
L'anime è molto interessante, solo un po' confusionario, la storia non sviluppa bene e coerentemente le tematiche emerse, e anche le metafore non sono ben chiare.
Comunque sia è molto godibile. Buona visione!
Ren, il nome del ragazzino, abbandonato e rimasto orfano di madre, fugge via per poter decidere appieno del suo futuro, segue una misteriosa figura incappucciata lungo uno stretto e buio vicolo, che si rivela essere l'accesso a un mondo parallelo, nello Jūtengai (il regno delle bestie). Qui vede il ribelle e selvaggio Kumatetsu (il nome della "bestia" che ha inseguito) combattere con un suo rivale, e il fatto che nessuno tifi per lui fa scattare una sorta di empatia nei suoi confronti. Da qui in poi i due si condizionano a vicenda dell'apprendere sia tecniche di combattimento che lezioni caratteriali.
Alla fine entrambe diverranno un'unico cuore per affrontare le battaglie che la parte oscura in ognuno di tira fuori nei momenti critici.
L'anime è molto interessante, solo un po' confusionario, la storia non sviluppa bene e coerentemente le tematiche emerse, e anche le metafore non sono ben chiare.
Comunque sia è molto godibile. Buona visione!
Corre l'anno 2015, sono passati 3 anni da un rinomato capolavoro che ha lasciato il segno nel mondo dell'animazione, e Mamoru Osoda inciampa con "The Boy and The Beast": probabilmente il peggior film della sua carriera. Peccato, perché dopo il coraggioso e maturo "Wolf Children", esce qualcosa di talmente privo di idee da far pensare a un blocco dell'artista.
Ben servito il setting standard da shonen manga, con quella linearità, a tratti divertente, nel tirare ad indovinare sugli sviluppi della trama.
Per carità, non sarebbe sbagliato prendere spunto da altri autori e reinterpretare, che nei casi più riusciti si traduce in "rinnovare", ma qui c'è il vuoto cosmico di idee, e da uno che ha avuto il potenziale di sfornare "Wolf Children", è una caduta di stile bella e buona.
Manca coraggio nella scrittura, per dare qualcosa di forte sulla tematica della crescita e che lasci il segno nel cuore dello spettatore, ed invece, un film su binari infarcito di buonismo, ma il mondo reale e la vita di un ragazzino che cresce con le proprie forze sono ben altro, e quello, dovrebbe essere il messaggio a qualsiasi tipo di spettatore.
In conclusione, un passo falso, ma non un disastro. Ecco perché sembra giusto dargli una quasi sufficienza e non essere troppo negativi, perché alla fine, Mamoru Osoda si apprezza per quello che ha realizzato in passato e per il proprio stile, che in ogni caso, è presente anche in questo film.
Ben servito il setting standard da shonen manga, con quella linearità, a tratti divertente, nel tirare ad indovinare sugli sviluppi della trama.
Per carità, non sarebbe sbagliato prendere spunto da altri autori e reinterpretare, che nei casi più riusciti si traduce in "rinnovare", ma qui c'è il vuoto cosmico di idee, e da uno che ha avuto il potenziale di sfornare "Wolf Children", è una caduta di stile bella e buona.
Manca coraggio nella scrittura, per dare qualcosa di forte sulla tematica della crescita e che lasci il segno nel cuore dello spettatore, ed invece, un film su binari infarcito di buonismo, ma il mondo reale e la vita di un ragazzino che cresce con le proprie forze sono ben altro, e quello, dovrebbe essere il messaggio a qualsiasi tipo di spettatore.
In conclusione, un passo falso, ma non un disastro. Ecco perché sembra giusto dargli una quasi sufficienza e non essere troppo negativi, perché alla fine, Mamoru Osoda si apprezza per quello che ha realizzato in passato e per il proprio stile, che in ogni caso, è presente anche in questo film.
Nel mondo delle bestie, una dimensione parallela al mondo degli umani, c’è un torneo per decidere chi sarà il gran maestro, successore del precedente che a sua volta si reincarnerà in un Kami (una divinità del culto shintoista: un’onorificenza per spiriti nobili e sacri). I due contendenti favoriti alla successione sono Iozen, bestia dalle fattezze di cinghiale dall’animo nobile e dai molti discepoli, tra i quali 2 figli, e Kumatetsu, un orso fisicamente più prestante del suo avversario ma assai irritabile, pigro e indolente, senza figli né discepoli. Questo il prologo all’ultimo film di Mamoru Hosoda il quale, a tre anni di distanza dall’intenso e toccante "Wolf Children", sua opera più compiuta, dà vita a un lungometraggio animato che ritorna in qualche modo sul tema del rapporto tra genitori e figli centrando questa volta l’attenzione sulla paternità e su quanto sia importante l’influenza del figlio sulle sorti del padre – in Wolf Children era invece posta l’attenzione sul ruolo fondamentale della madre nella crescita di due figli un po’anomali (dei piccoli licantropi). In "The Boy and the Beast" l’anomalia – o se vogliamo meglio definire la questione, l’elemento fantastico, trattandosi di fiaba animata – sta proprio nella dimensione parallela al mondo umano in cui si ritrova, con sorpresa, il giovanissimo protagonista della vicenda, Ren, bambino di 9 anni fuggito di casa in conseguenza della morte della madre e dell’affido agli zii, essendo il padre separato e tenuto all’oscuro da tempo, dai parenti materni, sia delle sorti del piccolo che dell’avverso destino della moglie. Con la solita estrema sensibilità che lo contraddistingue, Hosoda, partendo proprio da questa premessa ci regala un’opera in continuo interscambio tra i due mondi, attraverso gli occhi di un protagonista che percorre l’infanzia per arrivare, con nuove consapevolezze, ad un’adolescenza in cui le scelte che dovrà compiere saranno importanti non solo per la sua crescita personale ma anche per coloro che hanno imparato ad apprezzarlo e ad amarlo.
Fuori dalla eccessiva linearità della storia e dai toni scopertamente edificanti (con riferimenti e omaggi espliciti a Melville e ad alcune opere disneyane), peraltro sempre cari ad Hosoda, "The Boy and the Beast" è un’opera che non si può non amare, che non si può non apprezzare proprio per la sua limpidezza e per il richiamo a valori semplici e universali quali il rapporto che si instaura tra un maestro ed un allievo, tra un padre ed un figlio. Rapporti che, come ho sintetizzato nella trama, sono tutt’altro che a senso unico. Nulla è calato dall’alto nel racconto di Hosoda, nulla è avulso dal rapporto di relazione, dal feedback emotivo che si instaura tra esseri senzienti quando l’affetto e la conseguente necessità di voler donar sé stesso all’altro sono in primissimo piano, come nel caso in questione. Di più, nella limpida rielaborazione del regista nipponico è evidente come proprio l’influenza del figlio/allievo sia fondamentale per l’apprendimento e le sorti del padre/maestro il quale, una volta entrato in una relazione di spontanea empatia e di conseguente simbiosi, se così la vogliamo definire, saprà restituire il tutto nel momento del bisogno. Anche a costo di trasfigurare se stesso, per amore. Amore che è un termine quanto mai calzante se accostato all’epilogo di questa vicenda, senza alcuna vaghezza o ambiguità di sorta che possa alterarne in nessun modo il significato profondo ed intimo. Perché se il messaggio di fondo è ingenuo ed edificante, è tanto potente proprio per la sua semplicità ed immediatezza, per il suo essere così diretto da perforare letteralmente anche il cuore – e attraversarne lo spirito – di chi guarda, senza alcuna possibilità di trovarlo indifferente una volta arrivato ai titoli di coda. E ditemi se questa non è potenza della finzione. Se questo non è potere del racconto, quando affidato alle giuste mani: mani capaci e sapienti, come lo sono quelle di Hosoda .
Ci sono diverse scene madri e momenti toccanti, ma ciò che avviene nel mondo delle bestie – emblematiche le sequenze divertenti e ricche di pathos nelle quali Kyuta, ancora bambino, imita i movimenti di Kumatetsu – è il vero plusvalore di "The Boy and The Beast", realtà contrapposta efficacemente a quella umana, soprattutto a livello visivo. Se Shibuya è sempre rappresentata come un territorio grigio e assente in cui le figure sono quasi indistinte, quella delle bestie è una dimensione in cui vincono i colori e i paesaggi dal retrogusto mediterraneo e arabeggiante. Forse un po’ manichea, la scelta di Hosoda ha comunque una precisa valenza narrativa e, direi in maniera evidente, piuttosto critica nei confronti dei suoi connazionali e del suo Paese. Un popolo quasi atomizzato e, più in generale, una società persa nel suo piccolo mondo privato: un manifesto dell’individualismo dei tempi odierni imputabile peraltro non soltanto al Giappone. Nel mondo delle bestie, se non fosse una sorta di ossimoro apparente, si vive invece più a misura d’uomo, nella rappresentazione scelta da Hosoda. Ma ossimoro non è, se vogliamo entrare nella dimensione eminentemente fiabesca della storia, perché proprio la tradizione shintoista e i culti animisti permeano la vicenda in maniera decisiva per la comprensione dello spirito del racconto e le conseguenti scelte estetiche e contenutistiche del regista nipponico. Spirito del racconto il quale, a qualsiasi latitudine possiate fruirne, restituisce comunque, come detto, dei valori universali facilmente interiorizzabili a qualunque età.
"The Boy and The Beast", nella migliore tradizione dell’animazione giapponese, non è altro che una fiaba iniziatica, un racconto di formazione che fotografa la crescita del suo protagonista dall’infanzia all’adolescenza, celebrando i riti di passaggio. E che questo avvenga in regni animali, in dimensioni improbabili o nelle fredde e distaccate metropoli odierne è, in sostanza, assolutamente secondario. Ciò che conta è la storia e come ci viene raccontata, nella fattispecie con estrema sensibilità e attraverso animazioni costruite su disegni manuali davvero efficaci, con l’ausilio di una regia che assembla brillantemente tutte le componenti e in cui si riconosce, ancora una volta, il tocco magico di Mamoru Hosoda. Il quale non sarà mai, probabilmente, il nuovo Miyazaki, come sovente, impropriamente, è stato appellato. Perché Hosoda è altro rispetto a Miyazaki, e non potrà mai essere, è immaginabile, un creatore di nuove cosmogonie e mondi fantasmagorici, né di personaggi indimenticabili per la loro peculiare connotazione, che sia fisica o caratteriale. Hosoda ha invece il dono di saper raccontare le storie ed una sensibilità non comune, che riesce puntualmente a restituire regalando intense emozioni. "The Boy and The Beast" è, molto semplicemente, un film che emoziona, che arriva limpido e diretto ad ogni tipo di spettatore. E questo, a ben guardare, è davvero un pregio raro.
Fuori dalla eccessiva linearità della storia e dai toni scopertamente edificanti (con riferimenti e omaggi espliciti a Melville e ad alcune opere disneyane), peraltro sempre cari ad Hosoda, "The Boy and the Beast" è un’opera che non si può non amare, che non si può non apprezzare proprio per la sua limpidezza e per il richiamo a valori semplici e universali quali il rapporto che si instaura tra un maestro ed un allievo, tra un padre ed un figlio. Rapporti che, come ho sintetizzato nella trama, sono tutt’altro che a senso unico. Nulla è calato dall’alto nel racconto di Hosoda, nulla è avulso dal rapporto di relazione, dal feedback emotivo che si instaura tra esseri senzienti quando l’affetto e la conseguente necessità di voler donar sé stesso all’altro sono in primissimo piano, come nel caso in questione. Di più, nella limpida rielaborazione del regista nipponico è evidente come proprio l’influenza del figlio/allievo sia fondamentale per l’apprendimento e le sorti del padre/maestro il quale, una volta entrato in una relazione di spontanea empatia e di conseguente simbiosi, se così la vogliamo definire, saprà restituire il tutto nel momento del bisogno. Anche a costo di trasfigurare se stesso, per amore. Amore che è un termine quanto mai calzante se accostato all’epilogo di questa vicenda, senza alcuna vaghezza o ambiguità di sorta che possa alterarne in nessun modo il significato profondo ed intimo. Perché se il messaggio di fondo è ingenuo ed edificante, è tanto potente proprio per la sua semplicità ed immediatezza, per il suo essere così diretto da perforare letteralmente anche il cuore – e attraversarne lo spirito – di chi guarda, senza alcuna possibilità di trovarlo indifferente una volta arrivato ai titoli di coda. E ditemi se questa non è potenza della finzione. Se questo non è potere del racconto, quando affidato alle giuste mani: mani capaci e sapienti, come lo sono quelle di Hosoda .
Ci sono diverse scene madri e momenti toccanti, ma ciò che avviene nel mondo delle bestie – emblematiche le sequenze divertenti e ricche di pathos nelle quali Kyuta, ancora bambino, imita i movimenti di Kumatetsu – è il vero plusvalore di "The Boy and The Beast", realtà contrapposta efficacemente a quella umana, soprattutto a livello visivo. Se Shibuya è sempre rappresentata come un territorio grigio e assente in cui le figure sono quasi indistinte, quella delle bestie è una dimensione in cui vincono i colori e i paesaggi dal retrogusto mediterraneo e arabeggiante. Forse un po’ manichea, la scelta di Hosoda ha comunque una precisa valenza narrativa e, direi in maniera evidente, piuttosto critica nei confronti dei suoi connazionali e del suo Paese. Un popolo quasi atomizzato e, più in generale, una società persa nel suo piccolo mondo privato: un manifesto dell’individualismo dei tempi odierni imputabile peraltro non soltanto al Giappone. Nel mondo delle bestie, se non fosse una sorta di ossimoro apparente, si vive invece più a misura d’uomo, nella rappresentazione scelta da Hosoda. Ma ossimoro non è, se vogliamo entrare nella dimensione eminentemente fiabesca della storia, perché proprio la tradizione shintoista e i culti animisti permeano la vicenda in maniera decisiva per la comprensione dello spirito del racconto e le conseguenti scelte estetiche e contenutistiche del regista nipponico. Spirito del racconto il quale, a qualsiasi latitudine possiate fruirne, restituisce comunque, come detto, dei valori universali facilmente interiorizzabili a qualunque età.
"The Boy and The Beast", nella migliore tradizione dell’animazione giapponese, non è altro che una fiaba iniziatica, un racconto di formazione che fotografa la crescita del suo protagonista dall’infanzia all’adolescenza, celebrando i riti di passaggio. E che questo avvenga in regni animali, in dimensioni improbabili o nelle fredde e distaccate metropoli odierne è, in sostanza, assolutamente secondario. Ciò che conta è la storia e come ci viene raccontata, nella fattispecie con estrema sensibilità e attraverso animazioni costruite su disegni manuali davvero efficaci, con l’ausilio di una regia che assembla brillantemente tutte le componenti e in cui si riconosce, ancora una volta, il tocco magico di Mamoru Hosoda. Il quale non sarà mai, probabilmente, il nuovo Miyazaki, come sovente, impropriamente, è stato appellato. Perché Hosoda è altro rispetto a Miyazaki, e non potrà mai essere, è immaginabile, un creatore di nuove cosmogonie e mondi fantasmagorici, né di personaggi indimenticabili per la loro peculiare connotazione, che sia fisica o caratteriale. Hosoda ha invece il dono di saper raccontare le storie ed una sensibilità non comune, che riesce puntualmente a restituire regalando intense emozioni. "The Boy and The Beast" è, molto semplicemente, un film che emoziona, che arriva limpido e diretto ad ogni tipo di spettatore. E questo, a ben guardare, è davvero un pregio raro.
Questo è il primo film di Mamoru Osoda che vedo, e devo dire che mi è piaciuto veramente molto, infatti in Giappone è stato dichiarato "miglior film di animazione". Io ora non posso confermarlo, perché non ho ancora visto "Your name" e "A Silent voice". Le animazioni sono molto fluide e ben fatte, i disegni sono sono abbastanza carini e i personaggi naturalmente sono fantastici. Le cose che mi sono piaciute di più sono state: la trama che è passata al genere "Fantastico-Fantasy", ho apprezzato anche l'inserimento di un po' di violenza e parolacce che fa capire che non è un film "per bambini" ai genitori, infatti la visione di questo film è VPA, cioè Visione con "la Presenza di un Adulto"; le OST ovviamente bellissime, e infine il finale mi ha commosso molto... penso che in futuro rivederò questo film. La cosa che non capisco e perché non abbia un otto pieno, oppure di più anche. Comunque sia consiglio questo film a tutti.
Voto Animazioni e Disegni: 8
Voto OST: 8,5
Voto Trama: 9
Voto Personaggi: 8,5
Media totale 8,5. Voto finale a questo anime: 8,5/10
Voto Animazioni e Disegni: 8
Voto OST: 8,5
Voto Trama: 9
Voto Personaggi: 8,5
Media totale 8,5. Voto finale a questo anime: 8,5/10
Attenzione: presenza di lievi spoiler
"The Boy and The Beast" è un film di Mamoru Hosoda che torna alle luci della ribalta dopo "Wolf Children" con un film che non sarà un capolavoro dell'animazione, ma risulta piacevole nell'arco delle due ore propinatoci.
Tema centrale dell'opera sono i punti di vista di Ren e Kumatetsu (discepolo e maestro), due anime affini dai risvolti diversi, che si incontrano per migliorarsi e capire cosa fare della propria vita. Ren, dopo aver perso il padre per divorzio e la madre per una malattia, decide di scappare di casa e di vivere da solo come un vagabondo. In questo frangente incontra Kumatetsu e, seguendolo, scopre un nuovo mondo parallelo composto da uomini-bestie, il Jutengai. Dopo molti battibecchi, i due si alleneranno a vicenda per raggiungere i propri obbiettivi.
Chiaramente la punta di diamante del film è proprio il legame tra i due. Ren, dopo aver perso entrambi i genitori, non voleva vivere in una casa in cui tutto era già stato deciso dai suoi parenti senza poter decidere di sua volontà, così sceglie di diventare forte con le sole proprie forze. L'incontro con Kumatetsu apre finalmente il suo cuore, proiettando la figura paterna in lui cercando di imitarlo in toto al fine di raggiungere il suo obbiettivo. Dal canto suo, Kumatetsu, rozzo guerriero che non ha mai avuto un allievo, fatica a trovare un punto d'incontro con Ren e tende sempre a litigare con lui, giusto perchè sono uno uguale all'altro. A differenza del discepolo, Kumatetsu è riuscito nell'intento di reggersi sulle proprie gambe, ma purtroppo manca di eleganza e costanza e, se vuole diventare Gran Maestro e ascendere così a divinità minore, dovrà sconfiggere il rivale al titolo, Iozen, con il suo ausilio.
Tuttavia l'autore punta tutto su Ren. Nonostante riesca a costruire un buon rapporto tra maestro e allievo, o padre e figlio che dir si voglia, Ren si sente ancora incompleto. Grazie al passaggio che collega i due mondi (che non si capisce come funziona) fa la conoscenza di Kaede, una ragazza liceale che lo istruisce e lo incita a ritornare sui libri di scuola. In seguito ritrova perfino il padre biologico e il protagonista si sente ancora più confuso su quale padre dovrebbe scegliere, e di conseguenza, da che parte vivere.
Il villain, tra l'altro, viene tenuto all'oscuro per più di metà film e un occhio attento riuscirà fin dall'inizio a capire chi sia. Difatti il film preferisce promuovere la crescita singolare di Ren facendo a meno di un contraltare specifico e di comprimari all'altezza, ad eccezione di Kumatetsu. All'inizio il film fatica ad attrarre interesse, solo a lungo andare entrerà nel dettaglio raggiungendo un finale tutto sommato buono, ma che non accende la miccia come speravo. Mamoru Hosoda sembra appunto preferire un progetto collaudato piuttosto che provare a strafare e inserire qualche momento memorabile. Di certo non vi pentirete di averlo visto, ma neanche griderete al capolavoro.
"The Boy and The Beast" è un film di Mamoru Hosoda che torna alle luci della ribalta dopo "Wolf Children" con un film che non sarà un capolavoro dell'animazione, ma risulta piacevole nell'arco delle due ore propinatoci.
Tema centrale dell'opera sono i punti di vista di Ren e Kumatetsu (discepolo e maestro), due anime affini dai risvolti diversi, che si incontrano per migliorarsi e capire cosa fare della propria vita. Ren, dopo aver perso il padre per divorzio e la madre per una malattia, decide di scappare di casa e di vivere da solo come un vagabondo. In questo frangente incontra Kumatetsu e, seguendolo, scopre un nuovo mondo parallelo composto da uomini-bestie, il Jutengai. Dopo molti battibecchi, i due si alleneranno a vicenda per raggiungere i propri obbiettivi.
Chiaramente la punta di diamante del film è proprio il legame tra i due. Ren, dopo aver perso entrambi i genitori, non voleva vivere in una casa in cui tutto era già stato deciso dai suoi parenti senza poter decidere di sua volontà, così sceglie di diventare forte con le sole proprie forze. L'incontro con Kumatetsu apre finalmente il suo cuore, proiettando la figura paterna in lui cercando di imitarlo in toto al fine di raggiungere il suo obbiettivo. Dal canto suo, Kumatetsu, rozzo guerriero che non ha mai avuto un allievo, fatica a trovare un punto d'incontro con Ren e tende sempre a litigare con lui, giusto perchè sono uno uguale all'altro. A differenza del discepolo, Kumatetsu è riuscito nell'intento di reggersi sulle proprie gambe, ma purtroppo manca di eleganza e costanza e, se vuole diventare Gran Maestro e ascendere così a divinità minore, dovrà sconfiggere il rivale al titolo, Iozen, con il suo ausilio.
Tuttavia l'autore punta tutto su Ren. Nonostante riesca a costruire un buon rapporto tra maestro e allievo, o padre e figlio che dir si voglia, Ren si sente ancora incompleto. Grazie al passaggio che collega i due mondi (che non si capisce come funziona) fa la conoscenza di Kaede, una ragazza liceale che lo istruisce e lo incita a ritornare sui libri di scuola. In seguito ritrova perfino il padre biologico e il protagonista si sente ancora più confuso su quale padre dovrebbe scegliere, e di conseguenza, da che parte vivere.
Il villain, tra l'altro, viene tenuto all'oscuro per più di metà film e un occhio attento riuscirà fin dall'inizio a capire chi sia. Difatti il film preferisce promuovere la crescita singolare di Ren facendo a meno di un contraltare specifico e di comprimari all'altezza, ad eccezione di Kumatetsu. All'inizio il film fatica ad attrarre interesse, solo a lungo andare entrerà nel dettaglio raggiungendo un finale tutto sommato buono, ma che non accende la miccia come speravo. Mamoru Hosoda sembra appunto preferire un progetto collaudato piuttosto che provare a strafare e inserire qualche momento memorabile. Di certo non vi pentirete di averlo visto, ma neanche griderete al capolavoro.
"The Boy and the Beast" è un anime che, nonostante la sua lunga durata (due ore), mi è piaciuto molto.
L’idea è interessante: a Tokyo si cela attraversando dei vicoli, apparentemente tutti uguali, lo Jutengai, un regno popolato da animali che per fisicità e comportamenti possiamo definire “umanoidi”. Essi non accettano nel loro regno gli umani... ma nel caso del protagonista, Kyuta, un ragazzino orfano che scappa di casa, non sarà così. Egli verrà trovato da Kumatetsu, un orso maestro di arti marziali, considerato nel regno degli animali un “omone” rozzo e scorbutico. Egli è uno dei due pretendenti alla successione del Gran Maestro, sovrano del regno delle bestie. Iozen, un cinghiale nobile, ha il consenso della maggior parte degli abitanti di Jutengai poiché, almeno a parole, si mostra molto diplomatico e ragionevole, meno impulsivo e diretto di Kumatetsu.
Durante il film vedremo come in maniera molto realistica evolverà il rapporto tra Kyuta e Kumatetsu, fino al giorno del combattimento per decretare il nuovo “re”. Inizialmente i caratteri simili dei due protagonisti si scontreranno, portando Kyuta ad un atteggiamento di chiusura e ribellione nei confronti del suo sensei, che dal canto suo si mostra indisposto e sempre pronto a criticare il ragazzino in maniera prepotente e apparentemente non educativa. Dietro l’apparenza però, si cela da parte di entrambi grande ammirazione e voglia di imparare ed essere apprezzati “silenziosamente”. Questo porterà ad una profonda lettura interiore reciproca, su se stessi e sui propri obiettivi, e di conseguenza ad un bellissimo poiché spontaneo scambio di insegnamenti, proprio come dovrebbe avvenire in un ideale rapporto “padre-figlio”. Anche chi visiona il film viene indotto ad una profonda riflessione, in particolare modo su valori quali amicizia, famiglia, fratellanza. Il messaggio che trasmette questo anime è toccante, malinconico ma al tempo stesso carico di speranza.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico devo dire che i disegni non reggono il confronto con opere del calibro dello Studio Ghibli, ma non si possono neanche definire “insufficienti”.
Tuttavia, grazie alle emozionanti musiche che accompagnano perfettamente i momenti clou ed alla resa eccellente delle scene d’azione, con combattimenti spettacolari e dinamici perfettamente animati, il lato tecnico raggiunge livelli più che soddisfacenti.
Quest’opera è sicuramente adatta a grandi e piccini, con chiavi di lettura differenti a seconda di chi ne sarà alla visione. La cosa certa è che questo film animato lascerà qualcosa di positivo in chiunque trascorrerà 120 minuti in sua compagnia!
L’idea è interessante: a Tokyo si cela attraversando dei vicoli, apparentemente tutti uguali, lo Jutengai, un regno popolato da animali che per fisicità e comportamenti possiamo definire “umanoidi”. Essi non accettano nel loro regno gli umani... ma nel caso del protagonista, Kyuta, un ragazzino orfano che scappa di casa, non sarà così. Egli verrà trovato da Kumatetsu, un orso maestro di arti marziali, considerato nel regno degli animali un “omone” rozzo e scorbutico. Egli è uno dei due pretendenti alla successione del Gran Maestro, sovrano del regno delle bestie. Iozen, un cinghiale nobile, ha il consenso della maggior parte degli abitanti di Jutengai poiché, almeno a parole, si mostra molto diplomatico e ragionevole, meno impulsivo e diretto di Kumatetsu.
Durante il film vedremo come in maniera molto realistica evolverà il rapporto tra Kyuta e Kumatetsu, fino al giorno del combattimento per decretare il nuovo “re”. Inizialmente i caratteri simili dei due protagonisti si scontreranno, portando Kyuta ad un atteggiamento di chiusura e ribellione nei confronti del suo sensei, che dal canto suo si mostra indisposto e sempre pronto a criticare il ragazzino in maniera prepotente e apparentemente non educativa. Dietro l’apparenza però, si cela da parte di entrambi grande ammirazione e voglia di imparare ed essere apprezzati “silenziosamente”. Questo porterà ad una profonda lettura interiore reciproca, su se stessi e sui propri obiettivi, e di conseguenza ad un bellissimo poiché spontaneo scambio di insegnamenti, proprio come dovrebbe avvenire in un ideale rapporto “padre-figlio”. Anche chi visiona il film viene indotto ad una profonda riflessione, in particolare modo su valori quali amicizia, famiglia, fratellanza. Il messaggio che trasmette questo anime è toccante, malinconico ma al tempo stesso carico di speranza.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico devo dire che i disegni non reggono il confronto con opere del calibro dello Studio Ghibli, ma non si possono neanche definire “insufficienti”.
Tuttavia, grazie alle emozionanti musiche che accompagnano perfettamente i momenti clou ed alla resa eccellente delle scene d’azione, con combattimenti spettacolari e dinamici perfettamente animati, il lato tecnico raggiunge livelli più che soddisfacenti.
Quest’opera è sicuramente adatta a grandi e piccini, con chiavi di lettura differenti a seconda di chi ne sarà alla visione. La cosa certa è che questo film animato lascerà qualcosa di positivo in chiunque trascorrerà 120 minuti in sua compagnia!
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Visionato “The Boy and the Beast” viene ancora di più da chiedersi come sarebbe stato il sodalizio tra Hosoda e Studio Ghibli; forse non tutti lo sanno, ma inizialmente il regista designato a dirigere “Il castello errante di Howl” era proprio Mamoru Hosoda. A causa di alcune divergenze ideologiche con la produzione fu sostituito da un certo Hayao Miyazaki, il resto è storia.
“The Boy and the Beast” è un film meraviglioso, le cui fonti d’ispirazione sono sì chiare e nette, ma allo stesso tempo perfettamente trasformate ed agglomerate in uno scenario assolutamente autonomo, ove il suono di tali riferimenti echeggia dolce e lontano. Tolto il palese omaggio all’opera di Melville (Moby Dick) e al classico della letteratura cinese “Viaggio in occidente” abbiamo richiami disneyani e miyazakiani: “Il Libro della Giungla” (un bambino cresciuto da bestie) quindi “Tarzan”, “Alice nel paese delle meraviglie” e “La città incantata” (il mondo parallelo a cui accede Ren) ed infine “Princess Mononoke” (la dicotomia uomo-bestia). Hosoda amalgama il tutto, aggiungendo il suo estro per confezionare quello che a conti fatti è uno dei migliori film d’animazione giapponese degli ultimi anni.
Dopo la morte della madre e l’abbandono del padre, Ren sta per finire sotto le veci degli zii. Il bambino non accetta il suo destino, scappa di casa ed incuriosito da due loschi figuri finisce per pedinarli, ritrovandosi nello Jutengai: il regno delle bestie. Lo Jutengai ha le sue regole e la sua gerarchia, al cui vertice c’è il Gran Maestro.
Il Maestro ha ormai fatto il suo tempo ed il regno delle bestie è in attesa di un nuovo “re”.
I due contendenti sono Iozen e Kumatetsu (uno degli strani individui che Ren ha seguito per ritrovarsi nello Jutengai).
Iozen è il più quotato, una bestia cinghiale avente due figli e molti discepoli, elegante combattente è dotato di grande onere. Dall’altra parte Kumatetsu è fisicamente il più forte dello Jutengai, un orso dallo stile combattivo grezzo e ferale il cui però carattere irruento e scontroso l’ha reso solo. Captando che la sua stessa solitudine attanaglia il cuore del piccolo Ren, deciderà di prenderlo come suo discepolo. Ma la tenebra dimora nel cuore degli umani, e nel regno delle bestie tale oscurità non dovrebbe mai addentrarsi.
La storia di per se è classica e neanche troppo accattivante, tuttavia una buona sceneggiatura, ponderati plot twist e un’ottima caratterizzazione dei personaggi fanno sì che si lasci piacevolmente seguire per tutti i 120 minuti. Momenti comici e divertenti si alternano ad altri intensi e drammatici, mantenendo sempre viva l’attenzione dello spettatore. Ma cos’è che incanta di questo film? Indimenticabili gli scontri tra Iozen e Kumatetsu, ma è Il rapporto allievo-maestro tra quest’ultimo e Ren la componente che più di tutte innalza il valore della pellicola; un rapporto di crescita reciproca in cui l’uomo impara dalla bestia e la bestia impara dall’uomo, non senza difficoltà. “Devi impugnare la spada nel tuo cuore”. Le divergenze caratteriali che inizialmente porteranno i due ad inevitabili scontri, saranno pian piano sopperite dalla spasmodica voglia di migliorarsi, evolvendosi in sano spirito di competizione.
I personaggi risultano più o meno tutti interessanti, spiccano Iozen e Kumatetsu ma anche i Gran Maestri sono decisamente ispirati. Anche i comprimari appaiono ben caratterizzati. Mi è piaciuta un po' meno Kaede e si poteva far qualcosa in più su colui che poi si rivela il villain della storia Ichirohiko (il figlio umano adottivo di Iozen). Ad ogni modo il lavoro svolto è più che soddisfacente.
Il comparto grafico è un ibrido di CG (spettacolare la realizzazione del mostro cetaceo sul finale) e classica animazione disegnata a mano, con cui son state raffigurate le bestie. Eccezionali i fondali, evocativi e particolarmente dettagliati. Armoniose le animazioni, che generano espressioni credibili e combattimenti spettacolari. Ottima anche la trovata di rappresentare l’alter-ego oscuro degli umani con una sagoma nera forata in petto, che ricorda gli Heartless di "Kingdom Hearts". Il comparto sonoro è più che buono e alterna epiche musiche da fiaba ad incalzanti e ritmate melodie per i combattimenti.
Ciò che non convince di “The Boy and the Beast” è l’inizio, per inizio intendo proprio i primi 5 minuti. Quelli in cui appunto Ren fugge dalla famiglia per andare a vagabondare in giro: succede tutto piuttosto frettolosamente e considerato anche che i retroscena sul perché il ragazzo compia tale scelta vengono spiattellati allo spettatore in modo approssimativo, senza mai essere sviscerati, è decisamente un punto a sfavore della pellicola. Splendida invece la scelta nel finale di far diventare proprio Kumatetsu “La spada nel cuore” di Ren.
A livello interpretativo il film è decisamente meno criptico delle opere targate “Studio Ghibli”, ed il messaggio chiave è più che chiaro: l’amicizia è un valore importante, fondamentale, imprescindibile per qualsiasi essere vivente intenda completarsi. D’altro canto la solitudine smorza ed appassisce tutto, oscurando anche un talento puro.
“The Boy and the Beast” è un autentico gioiellino, un film d’animazione per tutti, metaforico ed intrattenente, immediato ed educativo. Consigliato a tutti i fan dell’animazione, dai neofiti agli spettatori più smaliziati.
Voto: 8.5
Visionato “The Boy and the Beast” viene ancora di più da chiedersi come sarebbe stato il sodalizio tra Hosoda e Studio Ghibli; forse non tutti lo sanno, ma inizialmente il regista designato a dirigere “Il castello errante di Howl” era proprio Mamoru Hosoda. A causa di alcune divergenze ideologiche con la produzione fu sostituito da un certo Hayao Miyazaki, il resto è storia.
“The Boy and the Beast” è un film meraviglioso, le cui fonti d’ispirazione sono sì chiare e nette, ma allo stesso tempo perfettamente trasformate ed agglomerate in uno scenario assolutamente autonomo, ove il suono di tali riferimenti echeggia dolce e lontano. Tolto il palese omaggio all’opera di Melville (Moby Dick) e al classico della letteratura cinese “Viaggio in occidente” abbiamo richiami disneyani e miyazakiani: “Il Libro della Giungla” (un bambino cresciuto da bestie) quindi “Tarzan”, “Alice nel paese delle meraviglie” e “La città incantata” (il mondo parallelo a cui accede Ren) ed infine “Princess Mononoke” (la dicotomia uomo-bestia). Hosoda amalgama il tutto, aggiungendo il suo estro per confezionare quello che a conti fatti è uno dei migliori film d’animazione giapponese degli ultimi anni.
Dopo la morte della madre e l’abbandono del padre, Ren sta per finire sotto le veci degli zii. Il bambino non accetta il suo destino, scappa di casa ed incuriosito da due loschi figuri finisce per pedinarli, ritrovandosi nello Jutengai: il regno delle bestie. Lo Jutengai ha le sue regole e la sua gerarchia, al cui vertice c’è il Gran Maestro.
Il Maestro ha ormai fatto il suo tempo ed il regno delle bestie è in attesa di un nuovo “re”.
I due contendenti sono Iozen e Kumatetsu (uno degli strani individui che Ren ha seguito per ritrovarsi nello Jutengai).
Iozen è il più quotato, una bestia cinghiale avente due figli e molti discepoli, elegante combattente è dotato di grande onere. Dall’altra parte Kumatetsu è fisicamente il più forte dello Jutengai, un orso dallo stile combattivo grezzo e ferale il cui però carattere irruento e scontroso l’ha reso solo. Captando che la sua stessa solitudine attanaglia il cuore del piccolo Ren, deciderà di prenderlo come suo discepolo. Ma la tenebra dimora nel cuore degli umani, e nel regno delle bestie tale oscurità non dovrebbe mai addentrarsi.
La storia di per se è classica e neanche troppo accattivante, tuttavia una buona sceneggiatura, ponderati plot twist e un’ottima caratterizzazione dei personaggi fanno sì che si lasci piacevolmente seguire per tutti i 120 minuti. Momenti comici e divertenti si alternano ad altri intensi e drammatici, mantenendo sempre viva l’attenzione dello spettatore. Ma cos’è che incanta di questo film? Indimenticabili gli scontri tra Iozen e Kumatetsu, ma è Il rapporto allievo-maestro tra quest’ultimo e Ren la componente che più di tutte innalza il valore della pellicola; un rapporto di crescita reciproca in cui l’uomo impara dalla bestia e la bestia impara dall’uomo, non senza difficoltà. “Devi impugnare la spada nel tuo cuore”. Le divergenze caratteriali che inizialmente porteranno i due ad inevitabili scontri, saranno pian piano sopperite dalla spasmodica voglia di migliorarsi, evolvendosi in sano spirito di competizione.
I personaggi risultano più o meno tutti interessanti, spiccano Iozen e Kumatetsu ma anche i Gran Maestri sono decisamente ispirati. Anche i comprimari appaiono ben caratterizzati. Mi è piaciuta un po' meno Kaede e si poteva far qualcosa in più su colui che poi si rivela il villain della storia Ichirohiko (il figlio umano adottivo di Iozen). Ad ogni modo il lavoro svolto è più che soddisfacente.
Il comparto grafico è un ibrido di CG (spettacolare la realizzazione del mostro cetaceo sul finale) e classica animazione disegnata a mano, con cui son state raffigurate le bestie. Eccezionali i fondali, evocativi e particolarmente dettagliati. Armoniose le animazioni, che generano espressioni credibili e combattimenti spettacolari. Ottima anche la trovata di rappresentare l’alter-ego oscuro degli umani con una sagoma nera forata in petto, che ricorda gli Heartless di "Kingdom Hearts". Il comparto sonoro è più che buono e alterna epiche musiche da fiaba ad incalzanti e ritmate melodie per i combattimenti.
Ciò che non convince di “The Boy and the Beast” è l’inizio, per inizio intendo proprio i primi 5 minuti. Quelli in cui appunto Ren fugge dalla famiglia per andare a vagabondare in giro: succede tutto piuttosto frettolosamente e considerato anche che i retroscena sul perché il ragazzo compia tale scelta vengono spiattellati allo spettatore in modo approssimativo, senza mai essere sviscerati, è decisamente un punto a sfavore della pellicola. Splendida invece la scelta nel finale di far diventare proprio Kumatetsu “La spada nel cuore” di Ren.
A livello interpretativo il film è decisamente meno criptico delle opere targate “Studio Ghibli”, ed il messaggio chiave è più che chiaro: l’amicizia è un valore importante, fondamentale, imprescindibile per qualsiasi essere vivente intenda completarsi. D’altro canto la solitudine smorza ed appassisce tutto, oscurando anche un talento puro.
“The Boy and the Beast” è un autentico gioiellino, un film d’animazione per tutti, metaforico ed intrattenente, immediato ed educativo. Consigliato a tutti i fan dell’animazione, dai neofiti agli spettatori più smaliziati.
Voto: 8.5
Oggi sono qui per recensire un film d'animazione del 2015 diretto da Mamoru Hosoda.
Trama: Ren è un bambino orfano di madre, che viene affidato a dei suoi parenti, visto che il padre l'ha abbandonato. Ren non accetta di andare a vivere con qualcuno che non gli voglia davvero bene o che tenga a lui, quindi scappa di casa e si ritrova a Shibuya, dove incontra due strani tizi che decide di pedinare, finendo nel mondo dei Bakemono.
Allora, la cosa che si nota subito è la grafica: molto buoni i disegni, così come i colori, molto vivaci.
Animazioni ottime, ben fatto anche il comparto sonoro, con una buona colonna sonora ed una buona ending.
Il doppiaggio italiano è ben fatto e non risulta fastidioso.
La sceneggiatura non è una delle migliori di Hosoda, ma nel complesso è buona, con ideali come l'amicizia e la famiglia.
Il cambio di ambientazione l'ho trovato perfetto, il mondo dei Bakemono non risulta troppo esagerato ed è una città piena di vita.
Sicuramente non manca qualche colpo di scena nel film, soprattutto nel finale, che ho trovato comunque troppo frettoloso, ma che non rovina la visione del film.
Parliamo velocemente dei personaggi: non sono pochi, ma sono tutti ben caratterizzati e soprattutto molto emotivi. Ben fatta la crescita dei due protagonisti (Kyuuta e Kumatetsu), che in realtà si aiutano a vicenda: non è Kumatetsu che allena Kyuuta, possiamo dire che entrambi abbiano imparato qualcosa dall'altro.
Io vi consiglio questo film, riuscirà sicuramente a farvi emozionare.
Trama: Ren è un bambino orfano di madre, che viene affidato a dei suoi parenti, visto che il padre l'ha abbandonato. Ren non accetta di andare a vivere con qualcuno che non gli voglia davvero bene o che tenga a lui, quindi scappa di casa e si ritrova a Shibuya, dove incontra due strani tizi che decide di pedinare, finendo nel mondo dei Bakemono.
Allora, la cosa che si nota subito è la grafica: molto buoni i disegni, così come i colori, molto vivaci.
Animazioni ottime, ben fatto anche il comparto sonoro, con una buona colonna sonora ed una buona ending.
Il doppiaggio italiano è ben fatto e non risulta fastidioso.
La sceneggiatura non è una delle migliori di Hosoda, ma nel complesso è buona, con ideali come l'amicizia e la famiglia.
Il cambio di ambientazione l'ho trovato perfetto, il mondo dei Bakemono non risulta troppo esagerato ed è una città piena di vita.
Sicuramente non manca qualche colpo di scena nel film, soprattutto nel finale, che ho trovato comunque troppo frettoloso, ma che non rovina la visione del film.
Parliamo velocemente dei personaggi: non sono pochi, ma sono tutti ben caratterizzati e soprattutto molto emotivi. Ben fatta la crescita dei due protagonisti (Kyuuta e Kumatetsu), che in realtà si aiutano a vicenda: non è Kumatetsu che allena Kyuuta, possiamo dire che entrambi abbiano imparato qualcosa dall'altro.
Io vi consiglio questo film, riuscirà sicuramente a farvi emozionare.
Da tempo non scrivo una recensione su questo sito, e questo già fa capire quanto questo film mi abbia colpito. Potrei forse non dire altro e invitarvi semplicemente a guardarlo.
"The Boy and the Beast" parla di ognuno di noi, della luce e della tenebra, del cuore e della sofferenza. Ma, ancor più, questo film dà una chiave ad ognuno di noi. Chi ha orecchie per intendere... Un rapporto così intenso tra maestro e allievo forse non si è mai visto al cinema, a parte il caso dell'ultimo film di Kurosawa "Madadayo", ma Hosoda in questa pellicola è riuscito ad esprimere una legge che lega le persone le une alle altre e che è collegata direttamente all'Amore che muove tutto. E scusate se è poco...
"The Boy and the Beast" parla di ognuno di noi, della luce e della tenebra, del cuore e della sofferenza. Ma, ancor più, questo film dà una chiave ad ognuno di noi. Chi ha orecchie per intendere... Un rapporto così intenso tra maestro e allievo forse non si è mai visto al cinema, a parte il caso dell'ultimo film di Kurosawa "Madadayo", ma Hosoda in questa pellicola è riuscito ad esprimere una legge che lega le persone le une alle altre e che è collegata direttamente all'Amore che muove tutto. E scusate se è poco...
Era da tanto che un film d'animazione non mi colpiva così e non mi faceva provare emozioni forti durante la sua visione, quindi spendere qualche parola per presentarlo a chi ancora non l'ha visto è doveroso. Non mi soffermerò sulla trama, ma su cosa questo film insegna.
Siamo di fronte a un'opera pregna di messaggi da trasmettere, che tramite i disegni, i dialoghi e anche i silenzi, ci fa comprendere il vero valore che ciascuno di noi dovrebbe dare ai rapporti umani, alla genuinità dell'essere e al sacrificio. E' il protagonista della storia, il piccolo Ren, che ci lascia disarmati per il suo coraggio e la sua forza d'animo, dimostrati da sempre per farsi valere e nella consapevolezza di ciò che lo avrebbe aspettato, compreso l'abbandonare la propria casa, il proprio mondo. Fare ciò che si ritiene giusto non è sempre la scelta più semplice, e talvolta si preferisce prendere "la via più facile", pur di non trovarsi in mezzo a delle complicazioni; questo ragazzino invece non pensa mai che possa esistere "una scappatoia": la vita è dura, ma va affrontata raccogliendo sempre tutte le proprie forze, dando il massimo, e sapendo nel proprio cuore di non essere mai soli, perché i rapporti fraterni che si è riusciti a instaurare con qualcuno non hanno tempo, non hanno luogo, non hanno razza e non hanno convenienza. Neanche questi ultimi sono sempre semplici, ma, per quanto controversi, non vuol dire che non possano essere belli. Ognuno ha una "spada nel cuore" a cui potersi aggrappare e da poter sguainare al momento giusto, bisogna solo esserne consapevoli. Nonostante il continuo scontro, il continuo litigio tra il ragazzo e la bestia, e nonostante l'allontanamento col genitore, i protagonisti di questa storia ci fanno umilmente capire che abbiamo sempre tutti da imparare per poter comprendere l'altro, e il venirsi incontro reciprocamente, per quanto difficile, può solo insegnare a volersi bene al di là delle difficoltà.
Spero con queste mie parole di aver ispirato i futuri spettatori del film, e soprattutto quei genitori che vorranno trasmettere la forza dei sentimenti ai propri figli, perché ogni insegnamento di questa storia è un arricchimento per lo spirito. Consigliato a chiunque, indipendentemente dall'età.
Siamo di fronte a un'opera pregna di messaggi da trasmettere, che tramite i disegni, i dialoghi e anche i silenzi, ci fa comprendere il vero valore che ciascuno di noi dovrebbe dare ai rapporti umani, alla genuinità dell'essere e al sacrificio. E' il protagonista della storia, il piccolo Ren, che ci lascia disarmati per il suo coraggio e la sua forza d'animo, dimostrati da sempre per farsi valere e nella consapevolezza di ciò che lo avrebbe aspettato, compreso l'abbandonare la propria casa, il proprio mondo. Fare ciò che si ritiene giusto non è sempre la scelta più semplice, e talvolta si preferisce prendere "la via più facile", pur di non trovarsi in mezzo a delle complicazioni; questo ragazzino invece non pensa mai che possa esistere "una scappatoia": la vita è dura, ma va affrontata raccogliendo sempre tutte le proprie forze, dando il massimo, e sapendo nel proprio cuore di non essere mai soli, perché i rapporti fraterni che si è riusciti a instaurare con qualcuno non hanno tempo, non hanno luogo, non hanno razza e non hanno convenienza. Neanche questi ultimi sono sempre semplici, ma, per quanto controversi, non vuol dire che non possano essere belli. Ognuno ha una "spada nel cuore" a cui potersi aggrappare e da poter sguainare al momento giusto, bisogna solo esserne consapevoli. Nonostante il continuo scontro, il continuo litigio tra il ragazzo e la bestia, e nonostante l'allontanamento col genitore, i protagonisti di questa storia ci fanno umilmente capire che abbiamo sempre tutti da imparare per poter comprendere l'altro, e il venirsi incontro reciprocamente, per quanto difficile, può solo insegnare a volersi bene al di là delle difficoltà.
Spero con queste mie parole di aver ispirato i futuri spettatori del film, e soprattutto quei genitori che vorranno trasmettere la forza dei sentimenti ai propri figli, perché ogni insegnamento di questa storia è un arricchimento per lo spirito. Consigliato a chiunque, indipendentemente dall'età.
"The Boy and the Beast" - "Bakemono no ko" (il figlio della bestia) - è il nuovo film diretto da Mamoru Hosoda che ha debuttato nelle sale italiane nel maggio del 2016 grazie alla Lucky Red, riscuotendo un discreto successo.
Ren è un ragazzo di nove anni che resta orfano della madre e viene affidato ai suoi parenti, dato che il padre ha lasciato la casa tempo fa. Il protagonista non accetta di essere affidato a persone a cui non importa nulla di lui e quindi scappa di casa, nutrendo un profondo odio verso tutti; mentre attraversa le strade di Shibuya, Ren decide di pedinare due strani individui, finendo nel regno dei mostri, Jūtengai, un mondo collegato direttamente con quello degli umani, in cui vivono delle bestie umanoidi simili agli animali. In questo mondo, Ren verrà cresciuto da Kumatetsu, una bestia che cerca un discepolo da allenare. Da qui inizia la vicenda dei due protagonisti.
Di primo impatto, colpisce immediatamente la grafica, che ci propone dei buoni disegni riempiti con dei buoni colori vivaci e non troppo appariscenti, seguiti da delle ottime animazioni che rendono il tutto piacevole; anche il comparto sonoro non è da meno grazie alla discreta colonna sonora e all'interpretazione delle voci giapponesi che come sempre riescono a trasmettere molto a livello emotivo, chiudendo infine con una piacevole ending seguita da diverse immagini del film. Anche il doppiaggio in italiano è stato realizzato con cura e quindi notevole.
Ma ora veniamo alla sceneggiatura di questo film, che secondo le voci non è una delle migliori opere di Mamoru Hosoda, ma personalmente credo che il film sia stato molto gradevole e abbastanza ricco di ideali come l'amicizia e il rispetto verso qualcuno che cerca con tutte le sue forze di prendersi cura di te. Il film colpisce sin dall'inizio grazie ad un ambiente reale che in un niente diventa fantascientifico, ma senza staccarsi troppo dalla realtà, e questo fa sì che la nostra visione sia abbastanza fluida e non troppo sporca di inutili particolari; i colpi di scena non mancano, soprattutto nel finale, che a mio parere è stato forse un po' frettoloso ma comunque ben realizzato, senza truccare molto la vicenda.
Un'altro aspetto fondamentale del film sono i personaggi che, come ho già scritto in precedenza, sono pieni di ideali e riescono a tramettere molto a livello emotivo, ma ciò che colpisce è la forte crescita fisica e mentale dei due protagonisti che in poco tempo riescono a migliorarsi, e questo comporta anche la nascita di qualche figura negativa che ben presto affronteranno.
Ren e Kumatetsu sono entrambi personaggi ben realizzati e trovo che siano davvero una coppia magnifica e piena di sentimenti che, secondo me, riuscirà ad emozionare anche voi. Consiglio vivamente quest'ottimo film.
Ren è un ragazzo di nove anni che resta orfano della madre e viene affidato ai suoi parenti, dato che il padre ha lasciato la casa tempo fa. Il protagonista non accetta di essere affidato a persone a cui non importa nulla di lui e quindi scappa di casa, nutrendo un profondo odio verso tutti; mentre attraversa le strade di Shibuya, Ren decide di pedinare due strani individui, finendo nel regno dei mostri, Jūtengai, un mondo collegato direttamente con quello degli umani, in cui vivono delle bestie umanoidi simili agli animali. In questo mondo, Ren verrà cresciuto da Kumatetsu, una bestia che cerca un discepolo da allenare. Da qui inizia la vicenda dei due protagonisti.
Di primo impatto, colpisce immediatamente la grafica, che ci propone dei buoni disegni riempiti con dei buoni colori vivaci e non troppo appariscenti, seguiti da delle ottime animazioni che rendono il tutto piacevole; anche il comparto sonoro non è da meno grazie alla discreta colonna sonora e all'interpretazione delle voci giapponesi che come sempre riescono a trasmettere molto a livello emotivo, chiudendo infine con una piacevole ending seguita da diverse immagini del film. Anche il doppiaggio in italiano è stato realizzato con cura e quindi notevole.
Ma ora veniamo alla sceneggiatura di questo film, che secondo le voci non è una delle migliori opere di Mamoru Hosoda, ma personalmente credo che il film sia stato molto gradevole e abbastanza ricco di ideali come l'amicizia e il rispetto verso qualcuno che cerca con tutte le sue forze di prendersi cura di te. Il film colpisce sin dall'inizio grazie ad un ambiente reale che in un niente diventa fantascientifico, ma senza staccarsi troppo dalla realtà, e questo fa sì che la nostra visione sia abbastanza fluida e non troppo sporca di inutili particolari; i colpi di scena non mancano, soprattutto nel finale, che a mio parere è stato forse un po' frettoloso ma comunque ben realizzato, senza truccare molto la vicenda.
Un'altro aspetto fondamentale del film sono i personaggi che, come ho già scritto in precedenza, sono pieni di ideali e riescono a tramettere molto a livello emotivo, ma ciò che colpisce è la forte crescita fisica e mentale dei due protagonisti che in poco tempo riescono a migliorarsi, e questo comporta anche la nascita di qualche figura negativa che ben presto affronteranno.
Ren e Kumatetsu sono entrambi personaggi ben realizzati e trovo che siano davvero una coppia magnifica e piena di sentimenti che, secondo me, riuscirà ad emozionare anche voi. Consiglio vivamente quest'ottimo film.
Abbandonato dal padre e persa la madre, affidato ancora da bambino a dei parenti a cui non interessi veramente, cosa potrebbe restituirti un motivo per guardare con speranza al futuro?
Hosoda fantastica su un insolito incontro, che porta il giovanissimo Ren e diventare il discepolo di una rozza e irascibile bestia, Kumatetsu, che ricorda come aspetto un orso. Bisognoso di trovare un discepolo, decide di “adottare” il bambino, che ribattezza Kyuuta, e allevarlo nel suo mondo.
Tra contrasti, litigi e incomprensioni, nasce una magia che li rende, dopo un po’ di rodaggio, una squadra vincente: si crea un rapporto che riesce a lenire i difetti di ognuno, rendendoli a loro modo migliori. Non si può negare che anche in questa parte del lungometraggio, come in altri casi, Hosoda riesce a dare il meglio di se stesso nel mostrare questi spaccati di vita familiare, grazie a gag brillanti, divertenti e soprattutto in grado di toccare, tra un sorriso e l’altro, il cuore dello spettatore. Avete presente "Wolf Children" e la parte che racconta come sono cresciuti i bambini lupo? Questa parte di film la ricorda e ne pareggia, a mio parere, l’efficacia.
"The Boy and the Beast" è fino a questo momento eccellente, un piacere da seguire. L’occasione per inserire tematiche meno spensierate si presenta quando Ren raggiunge la maturità, momento nel quale vi è un consistente ritorno di attrazione per il mondo degli umani, spinto anche da due nuovi personaggi che prepotentemente si fanno strada nella quotidianità del protagonista. Cambiano quindi i toni e il ritmo, nel mentre anche Kumatetsu vede ridimensionato il suo ruolo, perdendo quei tratti che aveva guadagnato con la convivenza con Ren e che sarebbe piaciuto vedere meglio sviluppati.
I nuovi problemi di Ren impongono una maggiore introspezione, svolta in modo inizialmente convincente, ma che man mano mostra qualche incertezza, quasi come se Hosoda non avesse fiducia nello spettatore e non lo credesse capace di capire gli indizi che saggiamente ha disseminato in giro. Il meccanismo a questo punto si inceppa: vengono più volte sbattuti sul viso dello spettatore concetti che già, forse non a tutti, ma sicuramente allo spettatore più maturo e attento, erano chiari. Ce ne era bisogno? Forse la volontà del regista è quella di rendere il lungometraggio accessibile a tutti, anche ad un pubblico più giovane e meno smaliziato, ma la ridondanza che va creando l’ho trovata eccessiva. Seppur le seguenti siano considerazioni più soggettive, non ho nemmeno apprezzato il messaggio lanciato dal regista: seppur nobile e condivisibile, risulta piuttosto scontato, banale, già sfruttato e, ahimè, oserei anche dire buonista.
Nonostante questi problemi, che non sono nuovi ad Hosoda - guardate ad esempio "Summer Wars" -, il film sarebbe potuto rimanere perfettamente godibile e uscire dal mio giudizio con solo con qualche ammaccatura, se avesse proposto almeno un epilogo ritmato e appassionante. Invece, lo scontro con l’antagonista finale risulta ben poco epico, sottotono e privo di reale interesse, con un deus ex machina che non sono riuscito ad apprezzare e che, anzi, credo faccia ulteriori danni.
"The Boy and the Beast" è un brutto film? No, direi piuttosto discreto. Si posiziona lontano da “Wolf Children”, da “La Ragazza che Saltava nel Tempo” e secondo me risulta meno convincente anche di “Summer Wars”. Ho visto un Hosoda poco coraggioso, quasi timoroso, che preferisce non osare e finisce per calpestare un terreno sicuro e collaudato. Peccato, perché "The Boy and the Beast" inizia proprio bene.
Hosoda fantastica su un insolito incontro, che porta il giovanissimo Ren e diventare il discepolo di una rozza e irascibile bestia, Kumatetsu, che ricorda come aspetto un orso. Bisognoso di trovare un discepolo, decide di “adottare” il bambino, che ribattezza Kyuuta, e allevarlo nel suo mondo.
Tra contrasti, litigi e incomprensioni, nasce una magia che li rende, dopo un po’ di rodaggio, una squadra vincente: si crea un rapporto che riesce a lenire i difetti di ognuno, rendendoli a loro modo migliori. Non si può negare che anche in questa parte del lungometraggio, come in altri casi, Hosoda riesce a dare il meglio di se stesso nel mostrare questi spaccati di vita familiare, grazie a gag brillanti, divertenti e soprattutto in grado di toccare, tra un sorriso e l’altro, il cuore dello spettatore. Avete presente "Wolf Children" e la parte che racconta come sono cresciuti i bambini lupo? Questa parte di film la ricorda e ne pareggia, a mio parere, l’efficacia.
"The Boy and the Beast" è fino a questo momento eccellente, un piacere da seguire. L’occasione per inserire tematiche meno spensierate si presenta quando Ren raggiunge la maturità, momento nel quale vi è un consistente ritorno di attrazione per il mondo degli umani, spinto anche da due nuovi personaggi che prepotentemente si fanno strada nella quotidianità del protagonista. Cambiano quindi i toni e il ritmo, nel mentre anche Kumatetsu vede ridimensionato il suo ruolo, perdendo quei tratti che aveva guadagnato con la convivenza con Ren e che sarebbe piaciuto vedere meglio sviluppati.
I nuovi problemi di Ren impongono una maggiore introspezione, svolta in modo inizialmente convincente, ma che man mano mostra qualche incertezza, quasi come se Hosoda non avesse fiducia nello spettatore e non lo credesse capace di capire gli indizi che saggiamente ha disseminato in giro. Il meccanismo a questo punto si inceppa: vengono più volte sbattuti sul viso dello spettatore concetti che già, forse non a tutti, ma sicuramente allo spettatore più maturo e attento, erano chiari. Ce ne era bisogno? Forse la volontà del regista è quella di rendere il lungometraggio accessibile a tutti, anche ad un pubblico più giovane e meno smaliziato, ma la ridondanza che va creando l’ho trovata eccessiva. Seppur le seguenti siano considerazioni più soggettive, non ho nemmeno apprezzato il messaggio lanciato dal regista: seppur nobile e condivisibile, risulta piuttosto scontato, banale, già sfruttato e, ahimè, oserei anche dire buonista.
Nonostante questi problemi, che non sono nuovi ad Hosoda - guardate ad esempio "Summer Wars" -, il film sarebbe potuto rimanere perfettamente godibile e uscire dal mio giudizio con solo con qualche ammaccatura, se avesse proposto almeno un epilogo ritmato e appassionante. Invece, lo scontro con l’antagonista finale risulta ben poco epico, sottotono e privo di reale interesse, con un deus ex machina che non sono riuscito ad apprezzare e che, anzi, credo faccia ulteriori danni.
"The Boy and the Beast" è un brutto film? No, direi piuttosto discreto. Si posiziona lontano da “Wolf Children”, da “La Ragazza che Saltava nel Tempo” e secondo me risulta meno convincente anche di “Summer Wars”. Ho visto un Hosoda poco coraggioso, quasi timoroso, che preferisce non osare e finisce per calpestare un terreno sicuro e collaudato. Peccato, perché "The Boy and the Beast" inizia proprio bene.
Film che conferma il bel lavoro svolto da Hosoda e il suo percorso di crescita come regista; anche se probabilmente il suo lavoro precedente "Wolf Children" è nel complesso più emozionante, "Bakemono no ko" ("The Boy and the Beast", nell'adattamento occidentale) offre picchi in grado di far quasi commuovere, soprattutto nel duplice rapporto genitore-figlio e maestro-alunno che si instaura fra i due protagonisti, la bestia Kumatetsu e il ragazzo Kyuuta. Anche qui, come in "Wolf Children", i rapporti fra i personaggi costituiscono l'ossatura portante del film, mostrando un processo di crescita (anche fisica) in gran parte dei personaggi. Un punto a favore di Hosoda è stata la capacità di rendere tale percorso in maniera chiara in un' ora e mezza, senza fare grandi salti o tralasciare particolari; se dovessi trovare una pecca, direi la durata: infatti, l'inizio e (soprattutto) la fine mi sembrano un po "schiacciati", ma in generale per nulla insoddisfacenti. Per quanto riguarda i disegni e la colonna sonora, entrambi sono molto ben fatti (soprattutto la colonna sonora: riascoltarla senza le immagini fa venire i brividi), gli animatori hanno fatto un bel lavoro e Hosoda riconferma quanto di buono aveva fatto vedere nelle regie precedenti.
Sarà stata la lunga attesa, ma il film mi è piaciuto veramente tanto. Rientra fra quei quattro-cinque film che consiglierei a chi non ha mai visto opere di questo tipo; siamo veramente di fronte all'erede di Miyazaki?
Sarà stata la lunga attesa, ma il film mi è piaciuto veramente tanto. Rientra fra quei quattro-cinque film che consiglierei a chi non ha mai visto opere di questo tipo; siamo veramente di fronte all'erede di Miyazaki?
Bakemono no ko (バケモノの子 "il figlio della bestia"), internazionalizzato con il titolo di The Boy and the Beast, è l'ultima fatica di Mamoru Hosoda, conosciuto ai più come il regista di Summer Wars, La ragazza che saltava nel tempo e Wolf Children. Trasmesso per la prima volta nei cinema nipponici l'11 luglio dell'estate scorsa e vincitore nella categoria "Miglior film d'animazione" ai Japan Academy Prize, The Boy and the Beast inizia quando Ren, separato dal padre dopo il divorzio, perde a nove anni anche l'altro genitore rimastogli. In fuga dai parenti che vogliono decidere del suo futuro come si fa col menù del pranzo di un matrimonio, segue una misteriosa figura orsina incappucciata lungo uno stretto e buio vicolo, che si rivela esser l'accesso ad un mondo parallelo di cui, fino a poco prima di attraversarne il portale, non conosceva l'esistenza.
Ren arriva così nello Jūtengai (渋天街 "il regno delle bestie"), dove scopre il nome e il ruolo che interpreta quel misterioso essere che aveva stimolato la sua curiosità, perché elemento di rottura nel monotono paesaggio urbano di Tōkyō. Kumatetsu, questo il suo nome, sembrerebbe all'apparenza incapace di educare chicchessia, perché per primo avrebbe bisogno di qualcuno che gli impartisca le buone maniere. Ciononostante, prenderà in qualità di discepolo quell'orfanello umano, che emana un odore simile al suo, sotto la sua ala protettiva e gli insegnerà la tecnica giusta per affrontare le battaglie che la vita pone dinanzi.
The Boy and the Beast mette in scena due solitudini, quella di un essere umano e quella di un mostro, che si incontrano in un periodo difficile per entrambi e imparano a compensare l'uno le mancanze dell'altro. Nonostante si conoscano come maestro e allievo, come padre putativo e come figlioccio, il ragazzo e la bestia, i protagonisti di questo racconto di formazione, che risuona di opere disneyane come Il libro della giungla, La Bella e la Bestia, Tarzan, evidenziano che nella solitudine tutti siamo uguali e che il più grande può imparare dal più piccolo. Da un lato, Kumatetsu, che si è cresciuto da sé, senza l'aiuto di nessuno, anzi rivaleggiando con chi tentava di mettergli a forza l'abito del conformismo. L'unica etichetta che il mondo riesce ad attaccargli è quella del ribelle stupido, scontroso e rude, che non ha nulla da tramandare e da cui è meglio tenersi alla larga. Da Kumatetsu nessuno si è mai aspettato niente, eppure è proprio lui quello che riesce a divenire il tutore di un moccioso umano raccolto per strada a guisa di gatto randagio, problematico e incavolato nero con la vita. Da antieroe a eroe, la crescita di Kumatetsu è a dir poco strabiliante: con lui si ride, si piange, ci si arrabbia, ci si commuove, la bestia si ficca e resta nei cuori degli spettatori come Excalibur trafisse la famosa roccia e vi rimase per lungo tempo.
Dall'altro lato, abbiamo Ren, ribattezzato Kyūta dagli anni che ha quando raggiunge lo Jūtengai, che scappa dal mondo umano per rifugiarsi in quello fantastico delle bestie. Sebbene finisca in un universo alieno alla sua specie, riesce in questo a ritrovare un legame che sente di aver perso con i suoi simili. In una simbologia che richiama La città incantata di Hayao Miyazaki, ricevere un nuovo nome per Ren significa rinascere come nuovo spirito: non è più il bambino senza genitori ma è il figlio della bestia. Kyūta è l'unico che può vivere a cavallo dei due mondi, il solo ad appartenere ad entrambi in quanto la Terra lo ha generato ma è il Jūtengai che lo ha cresciuto.
Come un neonato che imita i movimenti e le battute di un genitore, così Kyūta segue l'esempio di Kumatetsu, che diventa per lui il compagno che non ha mai avuto, l'amico che ti stimola a maturare e a credere in te stesso, il tuo posto nel mondo. Viceversa, per Kumatetsu Kyūta assume le stesse credenzialità. Una volta cresciuto e dopo le avventure vissute insieme, quando Ren si pone di nuovo la domanda "chi sono io?", la risposta non può essere nient'altro che "bakemono no ko".
"Io vi detesto" è la frase che ripete Ren, rivolgendosi alla massa umanoide che cammina per le strade di Shibuya. Parlando per esperienza personale, ho provato sulla mia pelle il senso di alienazione che si può arrivare a sentire a Shibuya, quando la folla di persone che attraversa l'incrocio pedonale più trafficato al mondo ti ingurgita come un taralluccio a colazione e ti risputa dall'altro lato della strada nemmeno avesse ingerito sabbia! Anche se lo stesso film generalizza, riconducendo la critica ad un'umanità arida e tendente all'oscuro più delle bestie, il fatto che venga sempre ripreso il quartiere di Shibuya e le persone che vi camminano, ragguaglia sulle intenzioni di Hosoda che, a mio avviso, sembra più lanciare un monito verso i suoi stessi compatrioti.
In Giappone, infatti, la tendenza all'omologazione è più forte rispetto ad un paese come l'Italia, dove non mi è mai capitato di pensare alle persone come ad un agglomerato informe di organismi tutti uguali che fanno le medesime cose, hanno la stessa espressione e sembrano non mirare a niente di più del continuare a condurre la stessa identica vita di sempre. Vidi un ragazzo vomitare e sentirsi male al centro di quel gigante incrocio di Shibuya e contemporaneamente osservai la gente che passava oltre, nemmeno stesse schivando uno scarafaggio che ha messo la testa fuori dal sacco, perché tutto ciò che non è quotidiana normalità va evitato come il lazzaretto! Non mi meraviglio che il piccolo Ren si sia sentito estraneo nella sua stessa città, le cui ferree regole si trasfigurano nei due poliziotti che cercano di riportarlo nella cella di casa sua, perché è proibito ai bambini uscire per strada dopo un certo orario.
Ancora, se Shibuya rappresenta la modernità che ha investito il Sol Levante all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, lo Jūtengai ha un non so cosa di primitivo, forse perché è il regno delle bestie o forse perché nei suoi abitanti, maestri di spada, vi riecheggia la vecchia classe samuraica di Edo. E in alcune cose lo Jūtengai è molto simile al Giappone d'epoca Tokugawa, perché abbraccia un'etichetta precisa, si divide in una gerarchia per età, pone al bando i comportamenti immorali, tiene a distanza il diverso e ciò che può minare il sistema. Così Kumatetsu viene visto di malocchio coi suoi atteggiamenti trasgressivi e la venuta di un piccolo d'uomo come Ren rappresenta una sventura. Nonostante questo, le bestie sembrano vivere più liberamente degli esseri umani, soprattutto sono più genuine, meno orientate al peccato, più pure nell'approccio alle cose; subito si affezionano al prossimo, instaurano relazioni pulite, coltivano la semplicità dell'ogni giorno. In The Boy and the Beast, infatti, sono piuttosto gli umani quelli avidi e che vivono costantemente con un buco in petto, incolmabile, che risucchia il positivo e il negativo mescolandoli senza cognizione di causa, come pioggia e terra che si sposano originando fango. Nell'adolescenza, di cui sono espressione Kyūta e Ichirōhiko, questa sensazione di essere manchevoli si accentua ogniqualvolta si è posti dinanzi agli altri, che appaiono come completi, vittoriosi sulla vita, appagati. E alla comparsa dell'apparente perfezione corrisponde un'assolutistica invidia. Come nel romanzo di Herman Melville, che ha tanto appassionato Ren, il demonio che alberga nel cuore umano acquisisce la forma della balena Moby Dick, che «gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell'intimo». Una citazione così colta non può che dare ancor più credito al genio di Hosoda.
In un'intervista su The Boy and the Beast, Hosoda afferma di essersi ispirato alla sua vita per redarre la sceneggiatura. Forse è proprio perché sta vivendo in prima persona la paternità che riesce a descrivere così bene quel meccanismo per il quale genitore e figlio sono l'uno il maestro dell'altro. Il tema della famiglia, tanto caro all'animazione giapponese, non si manifesta però in maniera così originale, perché di esperimenti simili a Bakemono no ko ne sono stati fatti già in precedenza; ma per quanto riguarda la tenerezza che il film riesce ad esprimere con il duo bestia/ragazzo, essa porta nuova linfa ad un argomento ormai consumato. In The Boy and the Beast non c'è solo il nucleo costituito da Kyūta e Kumatetsu, ma anche quello di Ichirōhiko, Jirōmaru e Iōzen, il rivale giurato dell'orso, che come questo aspira a ricoprire la carica di Gran Maestro e, assieme all'avversario, intrattiene il pubblico di bestie, ma anche noi spettatori, con gare di lotta, incontri di spada, sfide di superpoteri... Infine, la famiglia giapponese per eccellenza la ritroviamo col personaggio di Kaede: una mamma interessata solo ai voti che porti a casa e un papà troppo preso dal lavoro, che ignorano i sentimenti della figlia oppressa dallo studio. Quante volte nei manga e negli anime è venuta fuori una realtà di questo tipo?
Sebbene le animazioni non hanno brillato né in positivo né in negativo, sommariamente il livello tecnico è stato buono. D'altro canto, Hosoda ha rispettato la sua fama, ponendo l'attenzione su ciò che andava evidenziato, senza perdersi in inutili manierismi registici.
La colonna sonora è stata altresì gradevole, anche se mi tocca ammettere che ero talmente presa dalla storia da non conservarne una memoria così marcata. Scorrevole e immediato l'adattamento italiano dei dialoghi, senza l'utilizzo di termini aulici o arcaici, indicato anche per un pubblico di bambini. La scelta più apprezzabile dell'autore è stata l'ambientazione mediterranea del regno delle bestie, con vicoletti stretti, salite, discese, scalinate, case in pietra, terrazzamenti, tende usate a mo' di porta, tappeti, pozzi, mercati, ecc. Anche i vestiti dei suoi abitanti sono arabeggianti e danno allo Jūtengai quel tocco esotico, mettendolo ancor di più in contrapposizione con il panorama urbano di Tōkyō.
Quando Kaede e Ren si incontrano, lei indossa la divisa scolastica e lui degli abiti da novello Aladino, nemmeno fosse appena uscito da una favola de Le mille e una notte; questo contrasto traccia la linea di demarcazione che separa il mondo degli umani da quello arcaico delle bestie. D'altra parte, i bakemono sono collegati al culto shintoista, che affonda le sue radici nell'animismo e nei culti preistorici. Questi mostri che si dice popolino l'aldilà nella tradizione giapponese sono collegati quasi sempre all'immaginario orrifico, ma nella fantasia di Hosoda, che sposa bene la tendenza attuale dell'animazione giapponese, che sempre più spesso identifica il bene in questi esseri oltremondani, vengono rappresentati con più humanitas degli uomini. In questo senso, anche se dovrebbero apparire spaventosi agli occhi di chi guarda, assumono piuttosto le fattezze di peluche, di animali da strapazzare e nella cui morbidezza ci si inabisserebbe volentieri, come si affonda la testa nel cuscino per la notte.
Se con questa recensione vi ho convinto almeno un po' a vedere l'ultima chicca di Mamoru Hosoda, allora correte subito a guardare lo spettacolo di The Boy and the Beast! Il ragazzo e la bestia offrono l'occasione per calarsi in un mondo fantastico, caleidoscopio di culture differenti, dove le antiche tradizioni orientali si incontrano con la modernità acquisita dall'Occidente, per originare uno spaccato dell'odierna realtà del Sol Levante, terra di contraddizioni, il tutto filtrato dall'immaginazione del regista già definito come l'erede di Hayao Miyazaki. Vi consiglio di non perdervelo!
Ren arriva così nello Jūtengai (渋天街 "il regno delle bestie"), dove scopre il nome e il ruolo che interpreta quel misterioso essere che aveva stimolato la sua curiosità, perché elemento di rottura nel monotono paesaggio urbano di Tōkyō. Kumatetsu, questo il suo nome, sembrerebbe all'apparenza incapace di educare chicchessia, perché per primo avrebbe bisogno di qualcuno che gli impartisca le buone maniere. Ciononostante, prenderà in qualità di discepolo quell'orfanello umano, che emana un odore simile al suo, sotto la sua ala protettiva e gli insegnerà la tecnica giusta per affrontare le battaglie che la vita pone dinanzi.
The Boy and the Beast mette in scena due solitudini, quella di un essere umano e quella di un mostro, che si incontrano in un periodo difficile per entrambi e imparano a compensare l'uno le mancanze dell'altro. Nonostante si conoscano come maestro e allievo, come padre putativo e come figlioccio, il ragazzo e la bestia, i protagonisti di questo racconto di formazione, che risuona di opere disneyane come Il libro della giungla, La Bella e la Bestia, Tarzan, evidenziano che nella solitudine tutti siamo uguali e che il più grande può imparare dal più piccolo. Da un lato, Kumatetsu, che si è cresciuto da sé, senza l'aiuto di nessuno, anzi rivaleggiando con chi tentava di mettergli a forza l'abito del conformismo. L'unica etichetta che il mondo riesce ad attaccargli è quella del ribelle stupido, scontroso e rude, che non ha nulla da tramandare e da cui è meglio tenersi alla larga. Da Kumatetsu nessuno si è mai aspettato niente, eppure è proprio lui quello che riesce a divenire il tutore di un moccioso umano raccolto per strada a guisa di gatto randagio, problematico e incavolato nero con la vita. Da antieroe a eroe, la crescita di Kumatetsu è a dir poco strabiliante: con lui si ride, si piange, ci si arrabbia, ci si commuove, la bestia si ficca e resta nei cuori degli spettatori come Excalibur trafisse la famosa roccia e vi rimase per lungo tempo.
Dall'altro lato, abbiamo Ren, ribattezzato Kyūta dagli anni che ha quando raggiunge lo Jūtengai, che scappa dal mondo umano per rifugiarsi in quello fantastico delle bestie. Sebbene finisca in un universo alieno alla sua specie, riesce in questo a ritrovare un legame che sente di aver perso con i suoi simili. In una simbologia che richiama La città incantata di Hayao Miyazaki, ricevere un nuovo nome per Ren significa rinascere come nuovo spirito: non è più il bambino senza genitori ma è il figlio della bestia. Kyūta è l'unico che può vivere a cavallo dei due mondi, il solo ad appartenere ad entrambi in quanto la Terra lo ha generato ma è il Jūtengai che lo ha cresciuto.
Come un neonato che imita i movimenti e le battute di un genitore, così Kyūta segue l'esempio di Kumatetsu, che diventa per lui il compagno che non ha mai avuto, l'amico che ti stimola a maturare e a credere in te stesso, il tuo posto nel mondo. Viceversa, per Kumatetsu Kyūta assume le stesse credenzialità. Una volta cresciuto e dopo le avventure vissute insieme, quando Ren si pone di nuovo la domanda "chi sono io?", la risposta non può essere nient'altro che "bakemono no ko".
"Io vi detesto" è la frase che ripete Ren, rivolgendosi alla massa umanoide che cammina per le strade di Shibuya. Parlando per esperienza personale, ho provato sulla mia pelle il senso di alienazione che si può arrivare a sentire a Shibuya, quando la folla di persone che attraversa l'incrocio pedonale più trafficato al mondo ti ingurgita come un taralluccio a colazione e ti risputa dall'altro lato della strada nemmeno avesse ingerito sabbia! Anche se lo stesso film generalizza, riconducendo la critica ad un'umanità arida e tendente all'oscuro più delle bestie, il fatto che venga sempre ripreso il quartiere di Shibuya e le persone che vi camminano, ragguaglia sulle intenzioni di Hosoda che, a mio avviso, sembra più lanciare un monito verso i suoi stessi compatrioti.
In Giappone, infatti, la tendenza all'omologazione è più forte rispetto ad un paese come l'Italia, dove non mi è mai capitato di pensare alle persone come ad un agglomerato informe di organismi tutti uguali che fanno le medesime cose, hanno la stessa espressione e sembrano non mirare a niente di più del continuare a condurre la stessa identica vita di sempre. Vidi un ragazzo vomitare e sentirsi male al centro di quel gigante incrocio di Shibuya e contemporaneamente osservai la gente che passava oltre, nemmeno stesse schivando uno scarafaggio che ha messo la testa fuori dal sacco, perché tutto ciò che non è quotidiana normalità va evitato come il lazzaretto! Non mi meraviglio che il piccolo Ren si sia sentito estraneo nella sua stessa città, le cui ferree regole si trasfigurano nei due poliziotti che cercano di riportarlo nella cella di casa sua, perché è proibito ai bambini uscire per strada dopo un certo orario.
Ancora, se Shibuya rappresenta la modernità che ha investito il Sol Levante all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, lo Jūtengai ha un non so cosa di primitivo, forse perché è il regno delle bestie o forse perché nei suoi abitanti, maestri di spada, vi riecheggia la vecchia classe samuraica di Edo. E in alcune cose lo Jūtengai è molto simile al Giappone d'epoca Tokugawa, perché abbraccia un'etichetta precisa, si divide in una gerarchia per età, pone al bando i comportamenti immorali, tiene a distanza il diverso e ciò che può minare il sistema. Così Kumatetsu viene visto di malocchio coi suoi atteggiamenti trasgressivi e la venuta di un piccolo d'uomo come Ren rappresenta una sventura. Nonostante questo, le bestie sembrano vivere più liberamente degli esseri umani, soprattutto sono più genuine, meno orientate al peccato, più pure nell'approccio alle cose; subito si affezionano al prossimo, instaurano relazioni pulite, coltivano la semplicità dell'ogni giorno. In The Boy and the Beast, infatti, sono piuttosto gli umani quelli avidi e che vivono costantemente con un buco in petto, incolmabile, che risucchia il positivo e il negativo mescolandoli senza cognizione di causa, come pioggia e terra che si sposano originando fango. Nell'adolescenza, di cui sono espressione Kyūta e Ichirōhiko, questa sensazione di essere manchevoli si accentua ogniqualvolta si è posti dinanzi agli altri, che appaiono come completi, vittoriosi sulla vita, appagati. E alla comparsa dell'apparente perfezione corrisponde un'assolutistica invidia. Come nel romanzo di Herman Melville, che ha tanto appassionato Ren, il demonio che alberga nel cuore umano acquisisce la forma della balena Moby Dick, che «gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell'intimo». Una citazione così colta non può che dare ancor più credito al genio di Hosoda.
In un'intervista su The Boy and the Beast, Hosoda afferma di essersi ispirato alla sua vita per redarre la sceneggiatura. Forse è proprio perché sta vivendo in prima persona la paternità che riesce a descrivere così bene quel meccanismo per il quale genitore e figlio sono l'uno il maestro dell'altro. Il tema della famiglia, tanto caro all'animazione giapponese, non si manifesta però in maniera così originale, perché di esperimenti simili a Bakemono no ko ne sono stati fatti già in precedenza; ma per quanto riguarda la tenerezza che il film riesce ad esprimere con il duo bestia/ragazzo, essa porta nuova linfa ad un argomento ormai consumato. In The Boy and the Beast non c'è solo il nucleo costituito da Kyūta e Kumatetsu, ma anche quello di Ichirōhiko, Jirōmaru e Iōzen, il rivale giurato dell'orso, che come questo aspira a ricoprire la carica di Gran Maestro e, assieme all'avversario, intrattiene il pubblico di bestie, ma anche noi spettatori, con gare di lotta, incontri di spada, sfide di superpoteri... Infine, la famiglia giapponese per eccellenza la ritroviamo col personaggio di Kaede: una mamma interessata solo ai voti che porti a casa e un papà troppo preso dal lavoro, che ignorano i sentimenti della figlia oppressa dallo studio. Quante volte nei manga e negli anime è venuta fuori una realtà di questo tipo?
Sebbene le animazioni non hanno brillato né in positivo né in negativo, sommariamente il livello tecnico è stato buono. D'altro canto, Hosoda ha rispettato la sua fama, ponendo l'attenzione su ciò che andava evidenziato, senza perdersi in inutili manierismi registici.
La colonna sonora è stata altresì gradevole, anche se mi tocca ammettere che ero talmente presa dalla storia da non conservarne una memoria così marcata. Scorrevole e immediato l'adattamento italiano dei dialoghi, senza l'utilizzo di termini aulici o arcaici, indicato anche per un pubblico di bambini. La scelta più apprezzabile dell'autore è stata l'ambientazione mediterranea del regno delle bestie, con vicoletti stretti, salite, discese, scalinate, case in pietra, terrazzamenti, tende usate a mo' di porta, tappeti, pozzi, mercati, ecc. Anche i vestiti dei suoi abitanti sono arabeggianti e danno allo Jūtengai quel tocco esotico, mettendolo ancor di più in contrapposizione con il panorama urbano di Tōkyō.
Quando Kaede e Ren si incontrano, lei indossa la divisa scolastica e lui degli abiti da novello Aladino, nemmeno fosse appena uscito da una favola de Le mille e una notte; questo contrasto traccia la linea di demarcazione che separa il mondo degli umani da quello arcaico delle bestie. D'altra parte, i bakemono sono collegati al culto shintoista, che affonda le sue radici nell'animismo e nei culti preistorici. Questi mostri che si dice popolino l'aldilà nella tradizione giapponese sono collegati quasi sempre all'immaginario orrifico, ma nella fantasia di Hosoda, che sposa bene la tendenza attuale dell'animazione giapponese, che sempre più spesso identifica il bene in questi esseri oltremondani, vengono rappresentati con più humanitas degli uomini. In questo senso, anche se dovrebbero apparire spaventosi agli occhi di chi guarda, assumono piuttosto le fattezze di peluche, di animali da strapazzare e nella cui morbidezza ci si inabisserebbe volentieri, come si affonda la testa nel cuscino per la notte.
Se con questa recensione vi ho convinto almeno un po' a vedere l'ultima chicca di Mamoru Hosoda, allora correte subito a guardare lo spettacolo di The Boy and the Beast! Il ragazzo e la bestia offrono l'occasione per calarsi in un mondo fantastico, caleidoscopio di culture differenti, dove le antiche tradizioni orientali si incontrano con la modernità acquisita dall'Occidente, per originare uno spaccato dell'odierna realtà del Sol Levante, terra di contraddizioni, il tutto filtrato dall'immaginazione del regista già definito come l'erede di Hayao Miyazaki. Vi consiglio di non perdervelo!