Ghost in the Shell - Stand Alone Complex - Solid State Society
La saga di “Ghost in the Shell - Stand Alone Complex” si conclude con questo film dal sottotitolo “Solid State Society”: scritto e diretto da Kenji Kamiyama e realizzato dallo studio Production I.G, il lungometraggio ha una durata di 105 minuti ed è stato trasmesso come episodio speciale nel 2006.
La storia si svolge nel 2034, due anni dopo la fine di “2nd GIG” e l’abbandono da parte di Motoko della sezione 9 di Pubblica Sicurezza. Gli agenti rimasti, capitanati da Togusa, dovranno risolvere il caso di una strana serie di suicidi compiuti da alcuni ex militari della Repubblica di Siak.
Gli sviluppi intricati che tanto avevano caratterizzato le stagioni precedenti tornano in grande in stile anche in “Solid State Society”: il film, infatti, è un rapido susseguirsi di eventi, analisi approfondite, nuove scoperte e colpi di scena. Gli attimi di pausa sono davvero rari, e come al solito è necessario un buon grado d’attenzione da parte dello spettatore per non perdere neanche una parola dei prolissi dialoghi che costellano tutta l’opera. L’indagine qui presentata, oltre ad essere stata macchinata nei minimi particolari, solleva le consuete implicazioni morali, che spaziano dallo sfruttamento dei più deboli per il benessere dello Stato alla corruzione che dilaga negli organi governativi. Sebbene non si raggiungano le vette dei casi dell’Uomo che Ride o degli Undici Individuali, quella del Marionettista è una storia che intrattiene a dovere e che sorprende anche per il colpo di scena finale.
Sul fronte personaggi, ci si concentra più che altro sul neo-promosso Togusa, decisamente più risoluto rispetto alle due serie TV, e Batou, alle prese con gli effetti provocati dalla scomparsa del maggiore (una situazione simile è osservabile anche in “Innocence”, ma i risultati sono lontani da ogni paragone). Gli altri membri della sezione 9 costituiscono un discreto contorno, mentre l’antagonista, più che per gli atti compiuti, si rivela interessante per la sua identità.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, disegni e animazioni raggiungono i livelli tipici dei lungometraggi, mentre la regia di Kamiyama presenta le medesime caratteristiche di quella delle serie. Le musiche della Kanno, dal canto loro, sono sempre di buona qualità, ma non raggiungono particolari picchi artistici.
In definitiva, “Ghost in the Shell - Stand Alone Complex - Solid State Society” è un film chiude in maniera degna la saga diretta dall’allievo di Oshii. La trama non è certamente superiore a quella dei suoi predecessori, ma resta comunque un valido prodotto che intrattiene a dovere.
La storia si svolge nel 2034, due anni dopo la fine di “2nd GIG” e l’abbandono da parte di Motoko della sezione 9 di Pubblica Sicurezza. Gli agenti rimasti, capitanati da Togusa, dovranno risolvere il caso di una strana serie di suicidi compiuti da alcuni ex militari della Repubblica di Siak.
Gli sviluppi intricati che tanto avevano caratterizzato le stagioni precedenti tornano in grande in stile anche in “Solid State Society”: il film, infatti, è un rapido susseguirsi di eventi, analisi approfondite, nuove scoperte e colpi di scena. Gli attimi di pausa sono davvero rari, e come al solito è necessario un buon grado d’attenzione da parte dello spettatore per non perdere neanche una parola dei prolissi dialoghi che costellano tutta l’opera. L’indagine qui presentata, oltre ad essere stata macchinata nei minimi particolari, solleva le consuete implicazioni morali, che spaziano dallo sfruttamento dei più deboli per il benessere dello Stato alla corruzione che dilaga negli organi governativi. Sebbene non si raggiungano le vette dei casi dell’Uomo che Ride o degli Undici Individuali, quella del Marionettista è una storia che intrattiene a dovere e che sorprende anche per il colpo di scena finale.
Sul fronte personaggi, ci si concentra più che altro sul neo-promosso Togusa, decisamente più risoluto rispetto alle due serie TV, e Batou, alle prese con gli effetti provocati dalla scomparsa del maggiore (una situazione simile è osservabile anche in “Innocence”, ma i risultati sono lontani da ogni paragone). Gli altri membri della sezione 9 costituiscono un discreto contorno, mentre l’antagonista, più che per gli atti compiuti, si rivela interessante per la sua identità.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, disegni e animazioni raggiungono i livelli tipici dei lungometraggi, mentre la regia di Kamiyama presenta le medesime caratteristiche di quella delle serie. Le musiche della Kanno, dal canto loro, sono sempre di buona qualità, ma non raggiungono particolari picchi artistici.
In definitiva, “Ghost in the Shell - Stand Alone Complex - Solid State Society” è un film chiude in maniera degna la saga diretta dall’allievo di Oshii. La trama non è certamente superiore a quella dei suoi predecessori, ma resta comunque un valido prodotto che intrattiene a dovere.
“Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Solid State Society” è un lungometraggio d’animazione giapponese del 2006, terzo film dedicato all'universo di “Ghost in the Shell”, nonché special conclusivo delle due serie televisive “Stand Alone Complex”. Diretto da Kenji Kamiyama e prodotto da Production I.G., è stato portato in Italia da Dynit.
Trama:
Sono passati due anni da quando il Maggiore Motoko Kusanagi ha lasciato la Sezione 9 di Pubblica Sicurezza per dedicarsi alle indagini seguendo un proprio “ragionamento personale”. Adesso, a dirigere le varie operazioni investigative è Togusa, questa volta impegnato in un difficile caso di apparentemente inspiegabili suicidi e bambini rapiti, in cui continuano a saltare fuori i nomi del Marionettista, un abilissimo cyberterrorista, e del misterioso Solid State.
“Solid State Society” riporta sullo schermo tutti gli apprezzati agenti della Sezione 9, per i quali dunque non viene sprecato tempo in superflue presentazioni. Anche la personalità di ognuno di essi è rimasta invariata, ad eccezione di un focus leggermente più approfondito su Togusa, ormai sempre più a proprio agio in una posizione di responsabilità, nonostante i rischi che questa comporta, specialmente per qualcuno sprovvisto di un resiliente corpo robotico, e sul Maggiore, le cui sempre più frequenti immersioni nella Rete, unite agli eventi delle passate stagioni, la stanno trasformando progressivamente nella donna malinconica e introspettiva dei film di Oshii.
La vicenda che li vede coinvolti, per quanto confermi la complessità di tematiche proprie di ogni opera marcata GitS, si rivela invece piuttosto sottotono rispetto a quanto visto in precedenza (il caso dell’Uomo che ride e quello degli Undici individuali): tralasciando un paio di scene molto intense, viene a mancare un autentico coinvolgimento emotivo. Nonostante gli stessi uffici e laboratori della Sezione 9 siano ancora una volta sottoposti ad attacchi hacker e alcuni dei suoi membri vengano impegnati in prima linea e mettano a repentaglio la propria incolumità per il trionfo della verità e della giustizia, è raro che si percepisca un vero senso di pericolo, specie considerando le massicce plot armor indossate dai protagonisti. Non vi è nemmeno un’adeguata presentazione dei numerosi colpi di scena e risvolti investigativi, che spesso giungono improvvisi e in rapida sequenza, probabilmente a causa della struttura del film, a cui sarebbe stata preferibile una mini-serie, con un ritmo più disteso e transizioni più chiare. In questo modo, invece, non si crea un’opportuna aspettativa nei confronti degli eventuali antagonisti, introdotti piuttosto avanti nella storia, con i quali non si sono stabiliti alcun rapporto precedente e legami emotivi, positivi o negativi che siano.
Nondimeno, il caso è intrigante e discretamente inquietante, grazie ad una sapiente scelta dei colori, delle inquadrature e del design di personaggi e ambientazioni, in alcuni momenti la tensione è palpabile e si sente in maniera decisa il desiderio di scoprire la soluzione di questo enigma.
Sempre affascinanti le implicazioni sociali e morali della trama, che questa volta riguardano alcuni argomenti caldi dell’attualità, come la xenofobia, il ricambio generazionale, il futuro di una nazione sempre più anziana e con un tasso di natalità in discesa libera, i pregi e i difetti del welfare e, soprattutto, la dipendenza dalla tecnologia, la cui pervasività, con il proliferare di cervelli cibernetici, ispira una forte sensazione di mancanza di privacy e sicurezza, poiché qualunque ghost può essere violato, costringendo il soggetto in questione ad agire contro la propria volontà. Infine, si affacciano nuovamente le infinite potenzialità della Rete, vasta e insondabile, in cui risulta sempre più difficile riconoscere il confine che separa la coscienza umana da un’intelligenza artificiale complessa.
Il comparto tecnico è semplicemente strabiliante: le animazioni sono fluide e naturali, sia nei momenti più tranquilli che nelle ottime ma rare scene d’azione, condite da esplosioni e autentici sbarramenti di artiglieria. Il design dei personaggi è molto curato e proporzionato, in linea con quanto visto in “Stand Alone Complex” e ognuno di essi è subito riconoscibile e dotato di segni peculiari. Grande attenzione è prestata alla realizzazione dei fondali, per i quali si può chiaramente parlare di iperdettaglio: casermoni di periferia, lussuosi grattacieli, affollati scorci cittadini, piccoli appartamenti e avanzatissimi uffici, è impossibile non notare lo zelo riversato in ogni minimo particolare di interni ed esterni. La stessa accuratezza è evidente nella resa dei materiali, principalmente acciaio e vetro, assolutamente realistica in quanto a riflettività, convincente e indubbiamente una gioia per gli occhi. La computer grafica è evidente soprattutto nei vari veicoli e nei mecha, siano Tachikoma/Fuchikoma o esoscheletri potenziati, ma è estremamente discreta e si sposa armoniosamente con l’animazione tradizionale. Ovunque spadroneggiano tonalità cupe, con imperanti grigi e verdi antropici, in palese contrasto con la luce accecante dei monitor di computer e dei neon.
Le musiche sono ancora una volta composte da Yoko Kanno e sono di ottimo livello, anche se non sempre ispirate come quelle delle serie televisive e il montaggio sonoro è a volte troppo secco, con brani molto differenti posti uno immediatamente in successione all'altro. Il doppiaggio nostrano conserva le voci originali di “S.A.C.” e “S.A.C.: 2n GIG”, regalando generalmente buone interpretazioni, specie per quanto riguarda le figure principali del cast.
“Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Solid State Society” è un discreto special conclusivo, ma a cui servirebbe una storia di una scala tale da poter essere considerato quel grandioso epilogo che le avventure di Motoko Kusanagi e dei suoi commilitoni meriterebbero. Gli elementi classici di GitS ci sono tutti: gli intrighi politici, il terrorismo internazionale, la critica allo sfruttamento dei più vulnerabili, i riferimenti ad un mondo che, nonostante le innovazioni tecnologiche, non è progredito più di tanto, ancora devastato da guerre e conflitti mondiali, con tanto di masse di poveri, rifugiati ed esclusi. A mancare è un intreccio definitivo, di indubbio spessore psicologico e narrativo, che eviti di ricorrere ai vari stereotipi dei film polizieschi e di spionaggio.
Siamo comunque di fronte ad un prodotto notevole sotto molti altri aspetti, soprattutto stilistici, e che cattura rapidamente l’attenzione dello spettatore, lasciando incollato allo schermo senza annoiarlo, nonostante i numerosi dialoghi e alcuni ragionamenti cervellotici. Consigliato agli amanti del genere e dell’universo nato dalla mente di Masamune Shirow.
Trama:
Sono passati due anni da quando il Maggiore Motoko Kusanagi ha lasciato la Sezione 9 di Pubblica Sicurezza per dedicarsi alle indagini seguendo un proprio “ragionamento personale”. Adesso, a dirigere le varie operazioni investigative è Togusa, questa volta impegnato in un difficile caso di apparentemente inspiegabili suicidi e bambini rapiti, in cui continuano a saltare fuori i nomi del Marionettista, un abilissimo cyberterrorista, e del misterioso Solid State.
“Solid State Society” riporta sullo schermo tutti gli apprezzati agenti della Sezione 9, per i quali dunque non viene sprecato tempo in superflue presentazioni. Anche la personalità di ognuno di essi è rimasta invariata, ad eccezione di un focus leggermente più approfondito su Togusa, ormai sempre più a proprio agio in una posizione di responsabilità, nonostante i rischi che questa comporta, specialmente per qualcuno sprovvisto di un resiliente corpo robotico, e sul Maggiore, le cui sempre più frequenti immersioni nella Rete, unite agli eventi delle passate stagioni, la stanno trasformando progressivamente nella donna malinconica e introspettiva dei film di Oshii.
La vicenda che li vede coinvolti, per quanto confermi la complessità di tematiche proprie di ogni opera marcata GitS, si rivela invece piuttosto sottotono rispetto a quanto visto in precedenza (il caso dell’Uomo che ride e quello degli Undici individuali): tralasciando un paio di scene molto intense, viene a mancare un autentico coinvolgimento emotivo. Nonostante gli stessi uffici e laboratori della Sezione 9 siano ancora una volta sottoposti ad attacchi hacker e alcuni dei suoi membri vengano impegnati in prima linea e mettano a repentaglio la propria incolumità per il trionfo della verità e della giustizia, è raro che si percepisca un vero senso di pericolo, specie considerando le massicce plot armor indossate dai protagonisti. Non vi è nemmeno un’adeguata presentazione dei numerosi colpi di scena e risvolti investigativi, che spesso giungono improvvisi e in rapida sequenza, probabilmente a causa della struttura del film, a cui sarebbe stata preferibile una mini-serie, con un ritmo più disteso e transizioni più chiare. In questo modo, invece, non si crea un’opportuna aspettativa nei confronti degli eventuali antagonisti, introdotti piuttosto avanti nella storia, con i quali non si sono stabiliti alcun rapporto precedente e legami emotivi, positivi o negativi che siano.
Nondimeno, il caso è intrigante e discretamente inquietante, grazie ad una sapiente scelta dei colori, delle inquadrature e del design di personaggi e ambientazioni, in alcuni momenti la tensione è palpabile e si sente in maniera decisa il desiderio di scoprire la soluzione di questo enigma.
Sempre affascinanti le implicazioni sociali e morali della trama, che questa volta riguardano alcuni argomenti caldi dell’attualità, come la xenofobia, il ricambio generazionale, il futuro di una nazione sempre più anziana e con un tasso di natalità in discesa libera, i pregi e i difetti del welfare e, soprattutto, la dipendenza dalla tecnologia, la cui pervasività, con il proliferare di cervelli cibernetici, ispira una forte sensazione di mancanza di privacy e sicurezza, poiché qualunque ghost può essere violato, costringendo il soggetto in questione ad agire contro la propria volontà. Infine, si affacciano nuovamente le infinite potenzialità della Rete, vasta e insondabile, in cui risulta sempre più difficile riconoscere il confine che separa la coscienza umana da un’intelligenza artificiale complessa.
Il comparto tecnico è semplicemente strabiliante: le animazioni sono fluide e naturali, sia nei momenti più tranquilli che nelle ottime ma rare scene d’azione, condite da esplosioni e autentici sbarramenti di artiglieria. Il design dei personaggi è molto curato e proporzionato, in linea con quanto visto in “Stand Alone Complex” e ognuno di essi è subito riconoscibile e dotato di segni peculiari. Grande attenzione è prestata alla realizzazione dei fondali, per i quali si può chiaramente parlare di iperdettaglio: casermoni di periferia, lussuosi grattacieli, affollati scorci cittadini, piccoli appartamenti e avanzatissimi uffici, è impossibile non notare lo zelo riversato in ogni minimo particolare di interni ed esterni. La stessa accuratezza è evidente nella resa dei materiali, principalmente acciaio e vetro, assolutamente realistica in quanto a riflettività, convincente e indubbiamente una gioia per gli occhi. La computer grafica è evidente soprattutto nei vari veicoli e nei mecha, siano Tachikoma/Fuchikoma o esoscheletri potenziati, ma è estremamente discreta e si sposa armoniosamente con l’animazione tradizionale. Ovunque spadroneggiano tonalità cupe, con imperanti grigi e verdi antropici, in palese contrasto con la luce accecante dei monitor di computer e dei neon.
Le musiche sono ancora una volta composte da Yoko Kanno e sono di ottimo livello, anche se non sempre ispirate come quelle delle serie televisive e il montaggio sonoro è a volte troppo secco, con brani molto differenti posti uno immediatamente in successione all'altro. Il doppiaggio nostrano conserva le voci originali di “S.A.C.” e “S.A.C.: 2n GIG”, regalando generalmente buone interpretazioni, specie per quanto riguarda le figure principali del cast.
“Ghost in the Shell: Stand Alone Complex – Solid State Society” è un discreto special conclusivo, ma a cui servirebbe una storia di una scala tale da poter essere considerato quel grandioso epilogo che le avventure di Motoko Kusanagi e dei suoi commilitoni meriterebbero. Gli elementi classici di GitS ci sono tutti: gli intrighi politici, il terrorismo internazionale, la critica allo sfruttamento dei più vulnerabili, i riferimenti ad un mondo che, nonostante le innovazioni tecnologiche, non è progredito più di tanto, ancora devastato da guerre e conflitti mondiali, con tanto di masse di poveri, rifugiati ed esclusi. A mancare è un intreccio definitivo, di indubbio spessore psicologico e narrativo, che eviti di ricorrere ai vari stereotipi dei film polizieschi e di spionaggio.
Siamo comunque di fronte ad un prodotto notevole sotto molti altri aspetti, soprattutto stilistici, e che cattura rapidamente l’attenzione dello spettatore, lasciando incollato allo schermo senza annoiarlo, nonostante i numerosi dialoghi e alcuni ragionamenti cervellotici. Consigliato agli amanti del genere e dell’universo nato dalla mente di Masamune Shirow.
SOLID STATE SOCIETY
Prima di iniziare è doveroso fare un piccola premessa. Questo è il terzo lungometraggio ispirato al manga di Shirow ma, come ho accennato sopra, non ha niente a che vedere con i film diretti da Mamoru Oshii. Come ha affermato lo stesso Kamiyama in un'intervista, tutto il franchise STAND ALONE COMPLEX è sì basato sul manga di Shirow, ma segue un percorso completamente a se stante dai film Oshii, di cui trascura completamente gli avvenimenti. Questo lungometraggio è infatti il seguito in linea temporale delle due serie televisive. La storia inizia due anni dopo la fine della seconda serie, che si concludeva con la decisione da parte di Motoko Kusanagi di abbandonare la Sezione 9. Anche questa volta Kamiyama da il meglio di sé e non solo mette in scena un film con una trama intricata e delle ottime scene d'azione, ma calca pesantemente la mano su una tematica sociale molto sentita in Giappone, cioè quello della bassa natalità e del progressivo invecchiamento della popolazione giapponese.
Vengono ripresi e rielaborati dei particolari già sfruttati da Oshii, assieme ad alcuni elementi presi da dei capitoli del manga per realizzare una sceneggiatura decisamente ben articolata. La storia infatti inizia con Motoko che ha abbandonato la Sezione 9, ma resta più fedele alla trama del manga e vediamo il Maggiore che si è messa in proprio come agente freelance. Inoltre viene ripreso il personaggio del Marionettista (il "Signore dei Pupazzi" del primo film). Kamiyama però tralascia le implicazioni filosofiche della sua esistenza e lo fa diventare l'antagonista di Kusanagi e della Sezione 9 (per certi versi, mi è sembrato come se il regista volesse introdurre il Marionettista per una futura terza serie). Ovviamente viene tirato in ballo il tema delle personalità virtuali, ma gli viene dato meno spessore e risulta solo uno dei tanti tasselli alla storia. Stilisticamente parlando, Kamiyama si avvicina notevolmente allo stile narrativo di Shirow, dando molto spazio alle tematiche portanti della vicenda e ai pericoli dovuti ad un'eccessiva informatizzazione, piuttosto che alle implicazioni filosofiche come faceva Oshii.
Ovviamente non vengono tralasciate le scene d'azione e ci troviamo ad assistere ad alcuni momenti memorabili, come lo scontro di Saito con un altro cecchino e l'hacking subito da Togusa, che gli costa quasi sua figlia. E poi..... vedere sullo schermo Motoko che fa la freelance è assolutamente impagabile (utilizza persino alcuni corpi fantoccio come nel manga). Il tutto si svolge seguendo un ritmo caratteristico di un poliziesco. La caratterizzazione dei personaggi si concentra particolarmente sulle conseguenze derivate dall'abbandono della Sezione 9 da parte del Maggiore. Togusa si trova combattuto fra i doveri legati al suo nuovo ruolo e il desiderio di stare più vicino alla sua famiglia; Aramaki non è più il mastino a cui siamo abituati, ma comincia a rendersi conto della sua mortalità e a preoccuparsi per il futuro della Sezione 9; Batou invece è quello che soffre di più della mancanza di Kusanagi e sembra molto sottotono, risultando più solitario e introspettivo del solito.
Questi cambiamenti vengono sottolineati anche da un evidente invecchiamento a livello di character design. Per quello che riguarda Motoko, mentre nel manga (e nel primo film) si fondeva con il Signore dei Pupazzi e abbandonava la Sezione 9 per perseguire i suoi obbiettivi, qui l'ha abbandonata solo per allontanarsi dalle restrizioni che le venivano imposte. Però, una volta da sola, si è ritrovata a fare le stesse cose che faceva con la Sezione 9 e questo la porta a riflettere sulla sua decisione. Vista la sua condizione di cyborg, l'aspetto di Motoko appare inalterato, ma quello che è cambiato è il suo atteggiamento che sembra molto più contraddittorio a quanto eravamo abituati. Per quanto riguarda i mecha, all'inizio della pellicola vengono utilizzati i Fuchikoma, versioni più corazzate e meno individuali dei precedenti carri armati ma, ad un certo punto, tornano in scena anche i Tachikoma, prima come assistenti virtuali di Motoko e poi di nuovo nei loro corpi di metallo accanto agli operativi della Sezione 9.
La parte tecnica è ineccepibile. Vengono mantenuti gli standard della seconda serie televisiva con dei disegni pulitissimi e delle ottime animazioni che si vanno ad amalgamarsi con gli effetti realizzati in computer grafica. Per quanto riguarda le musiche c'è sempre lo zampino di Yoko Kanno, ma questa volta tende a riciclare alcuni pezzi già usati in precedenza. Questo Solid State Society è ricco di citazioni dedicate al primo Ghost in the Shell. A partire del salto nel vuoto di Kusanagi all'inizio del film, attraverso la comparsa di diversi personaggi o scene che rimandano alla pellicola, per finire con una scena molto simile. Kusanagi riflette sulla sua incapacità di spezzare le restrizioni che la legano, quando viene mostrata una ripresa della città, e si conclude con le parole "La rete è vasta e infinita". Nonostante tutto, queste due pellicole non sono paragonabili, si tratta di prodotti totalmente diversi realizzati con dei propositi diametralmente opposti. Mentre quello di Oshii era un lavoro a sé stante, questo è indissolubilmente legato alle serie televisive, per cui ne è consigliata la visione solo a coloro che le hanno già viste. Tirando le somme.... si tratta di un ottimo lavoro, che fa da conclusione a due bellissime serie tv.
Prima di iniziare è doveroso fare un piccola premessa. Questo è il terzo lungometraggio ispirato al manga di Shirow ma, come ho accennato sopra, non ha niente a che vedere con i film diretti da Mamoru Oshii. Come ha affermato lo stesso Kamiyama in un'intervista, tutto il franchise STAND ALONE COMPLEX è sì basato sul manga di Shirow, ma segue un percorso completamente a se stante dai film Oshii, di cui trascura completamente gli avvenimenti. Questo lungometraggio è infatti il seguito in linea temporale delle due serie televisive. La storia inizia due anni dopo la fine della seconda serie, che si concludeva con la decisione da parte di Motoko Kusanagi di abbandonare la Sezione 9. Anche questa volta Kamiyama da il meglio di sé e non solo mette in scena un film con una trama intricata e delle ottime scene d'azione, ma calca pesantemente la mano su una tematica sociale molto sentita in Giappone, cioè quello della bassa natalità e del progressivo invecchiamento della popolazione giapponese.
Vengono ripresi e rielaborati dei particolari già sfruttati da Oshii, assieme ad alcuni elementi presi da dei capitoli del manga per realizzare una sceneggiatura decisamente ben articolata. La storia infatti inizia con Motoko che ha abbandonato la Sezione 9, ma resta più fedele alla trama del manga e vediamo il Maggiore che si è messa in proprio come agente freelance. Inoltre viene ripreso il personaggio del Marionettista (il "Signore dei Pupazzi" del primo film). Kamiyama però tralascia le implicazioni filosofiche della sua esistenza e lo fa diventare l'antagonista di Kusanagi e della Sezione 9 (per certi versi, mi è sembrato come se il regista volesse introdurre il Marionettista per una futura terza serie). Ovviamente viene tirato in ballo il tema delle personalità virtuali, ma gli viene dato meno spessore e risulta solo uno dei tanti tasselli alla storia. Stilisticamente parlando, Kamiyama si avvicina notevolmente allo stile narrativo di Shirow, dando molto spazio alle tematiche portanti della vicenda e ai pericoli dovuti ad un'eccessiva informatizzazione, piuttosto che alle implicazioni filosofiche come faceva Oshii.
Ovviamente non vengono tralasciate le scene d'azione e ci troviamo ad assistere ad alcuni momenti memorabili, come lo scontro di Saito con un altro cecchino e l'hacking subito da Togusa, che gli costa quasi sua figlia. E poi..... vedere sullo schermo Motoko che fa la freelance è assolutamente impagabile (utilizza persino alcuni corpi fantoccio come nel manga). Il tutto si svolge seguendo un ritmo caratteristico di un poliziesco. La caratterizzazione dei personaggi si concentra particolarmente sulle conseguenze derivate dall'abbandono della Sezione 9 da parte del Maggiore. Togusa si trova combattuto fra i doveri legati al suo nuovo ruolo e il desiderio di stare più vicino alla sua famiglia; Aramaki non è più il mastino a cui siamo abituati, ma comincia a rendersi conto della sua mortalità e a preoccuparsi per il futuro della Sezione 9; Batou invece è quello che soffre di più della mancanza di Kusanagi e sembra molto sottotono, risultando più solitario e introspettivo del solito.
Questi cambiamenti vengono sottolineati anche da un evidente invecchiamento a livello di character design. Per quello che riguarda Motoko, mentre nel manga (e nel primo film) si fondeva con il Signore dei Pupazzi e abbandonava la Sezione 9 per perseguire i suoi obbiettivi, qui l'ha abbandonata solo per allontanarsi dalle restrizioni che le venivano imposte. Però, una volta da sola, si è ritrovata a fare le stesse cose che faceva con la Sezione 9 e questo la porta a riflettere sulla sua decisione. Vista la sua condizione di cyborg, l'aspetto di Motoko appare inalterato, ma quello che è cambiato è il suo atteggiamento che sembra molto più contraddittorio a quanto eravamo abituati. Per quanto riguarda i mecha, all'inizio della pellicola vengono utilizzati i Fuchikoma, versioni più corazzate e meno individuali dei precedenti carri armati ma, ad un certo punto, tornano in scena anche i Tachikoma, prima come assistenti virtuali di Motoko e poi di nuovo nei loro corpi di metallo accanto agli operativi della Sezione 9.
La parte tecnica è ineccepibile. Vengono mantenuti gli standard della seconda serie televisiva con dei disegni pulitissimi e delle ottime animazioni che si vanno ad amalgamarsi con gli effetti realizzati in computer grafica. Per quanto riguarda le musiche c'è sempre lo zampino di Yoko Kanno, ma questa volta tende a riciclare alcuni pezzi già usati in precedenza. Questo Solid State Society è ricco di citazioni dedicate al primo Ghost in the Shell. A partire del salto nel vuoto di Kusanagi all'inizio del film, attraverso la comparsa di diversi personaggi o scene che rimandano alla pellicola, per finire con una scena molto simile. Kusanagi riflette sulla sua incapacità di spezzare le restrizioni che la legano, quando viene mostrata una ripresa della città, e si conclude con le parole "La rete è vasta e infinita". Nonostante tutto, queste due pellicole non sono paragonabili, si tratta di prodotti totalmente diversi realizzati con dei propositi diametralmente opposti. Mentre quello di Oshii era un lavoro a sé stante, questo è indissolubilmente legato alle serie televisive, per cui ne è consigliata la visione solo a coloro che le hanno già viste. Tirando le somme.... si tratta di un ottimo lavoro, che fa da conclusione a due bellissime serie tv.
Ho visto il film, ho letto le varie recensioni e mi son fatto l'idea che praticamente solo in pochi si siano resi conto di dove, ancora una volta, gli autori e chi con loro, vogliano andare a parare. Escludendo le serie, tutti e tre i film sono, a mio avviso, dei trattati di sociologia un po alla Ursula K. Le Guin. E, come per i suoi libri, anche qui vi si trattano problematiche sociali attuali proiettate in probabili evoluzioni. Non credo che autori e produttori si aspettassero che chiunque le potesse individuare e comprendere e non hanno fatto nulla per spettacolarizzare il racconto dando azione e spiegazioni sillabate. Qui non vi sono protagonisti se non la reale prospettiva dell'ultra invecchiamento della società, dell'attaccamento morboso ed egoista alla sopravvivenza personale e alla cecità della società verso il futuro di se stessa. Fatto questo pippotto, devo dire che, in questo capitolo della saga, si incomincia a notare una più realistica umanità nei vari personaggi volta a chi gli è intorno. Cosa comune in un gruppo che collabora da lungo tempo e che, comunque, non si sente elitario. A mio giudizio questo capitolo lo trovo più maturo dei precedenti.
'Solid State Society' è l'atto conclusivo della saga cyberpunk scritta da Kenji Kamiyama e, presentato sotto forma di un lungo special televisivo di quasi due ore, si presta idealmente a venire ricordato come il terzo vero film di 'Ghost in the Shell' dopo quelli di Oshii (quest'anno lo sarà proprio ufficialmente, trasmesso in 3D nei cinema giapponesi). Duole però constare come, a fronte di due serie televisive eccelse, l'atto finale della trilogia si risolverà in un prodotto semplicemente troppo ambizioso per essere sviluppato in un unico film.
Il soggetto di 'Solid State Society' è, come sempre, impareggiabile: ancora super-hacker e oscure trame governative, ma anche stavolta Kamiyama stupisce nel suo sfruttare la componente cyberpunk per parlarci, con coerenza e naturalezza inattaccabili, di piani per salvare la società dal degrado sfruttando dei particolari Ghost. La nuova idea non è stavolta valorizzata da una sceneggiatura all'altezza, in quanto 'Solid State Society' è sintetizzabile solo in noia e mal di testa: quasi due ore di dialoghi infiniti e cervellotici, con pochissima azione (se non nelle parti finale, as usual) e una mostruosa mole di complessi ragionamenti e deduzioni, tour de force di sopportazione capace di attecchire lo spettatore fin dalle prime sequenze e di fargli assistere, quasi completamente smarrito, al dipanarsi di una storia pressoché incomprensibile.
Vero che, arrivati alla risoluzione del mistero, il soggetto prende forma, ma se si prova a ripensarci successivamente ci si stupisce del gran numero di risvolti che, a fine visione, rimangono comunque mal spiegati o non capiti. Questo perché 'Solid State Society', per quanto soporifero, è narrato in modo addirittura affrettato, con bruschi stacchi da una sequenza all'altra e pochissimo, praticamente zero tempo per portare lo spettatore a comprendere lo sviluppo di trama e la mole di rivelazioni che districano il bandolo della matassa. Inevitabile a questo punto pensare che sarebbe servita una serie televisiva per raccontare degnamente la storia, permettendo di assimilarla coi giusti tempi e di rilassare la testa con qualche intermezzo leggero: purtroppo questo special, a prescindere dalla bontà del soggetto, è serioso dall'inizio alla fine e per questo in più riprese indigeribile, soporifero e confuso.
Qualcosa che si salva fortunatamente c'è, ma a semplici sprazzi: la tesa sequenza di Togusa con sua figlia, la bellissima scena d'azione finale, le intriganti rivelazioni conclusive - comprensive di una sterzata di cybermisticismo - che danno un senso al tutto. Ma è davvero arduo pensare di consigliare 'Solid State Society' solo per una ventina di minuti eccellenti e un'altra ora e mezza pesante e di difficile comprensione. Se, infine, come confezione Production I.G siamo sempre al top, bisogna purtroppo ammettere che a deludermi questa volta c'è anche la Kanno, qui, a mio avviso, in una delle sue prove meno incisive con il suo mal riuscito alternative rock mischiato alle sonorità delle due serie precedenti, score moscio che non mi trasmette il consueto senso di tensione e universalità.
La conclusione salva questo thriller mal scritto e pesante, ma dare un voto superiore alla sufficienza solo per questo sarebbe fuorviante. Per gli amanti di Shirow e della saga anche 'Solid State Society' può meritare un'occhiata per completezza, peccato che pensando a quanto sfacciatamente superiori sono i suoi prequel non si può, infine, che reputarlo l'occasione sprecata di concludere in bellezza una saga straordinaria. Stranamente - considerando che le prime due stagioni sono arrivate - è inedito in Italia.
Il soggetto di 'Solid State Society' è, come sempre, impareggiabile: ancora super-hacker e oscure trame governative, ma anche stavolta Kamiyama stupisce nel suo sfruttare la componente cyberpunk per parlarci, con coerenza e naturalezza inattaccabili, di piani per salvare la società dal degrado sfruttando dei particolari Ghost. La nuova idea non è stavolta valorizzata da una sceneggiatura all'altezza, in quanto 'Solid State Society' è sintetizzabile solo in noia e mal di testa: quasi due ore di dialoghi infiniti e cervellotici, con pochissima azione (se non nelle parti finale, as usual) e una mostruosa mole di complessi ragionamenti e deduzioni, tour de force di sopportazione capace di attecchire lo spettatore fin dalle prime sequenze e di fargli assistere, quasi completamente smarrito, al dipanarsi di una storia pressoché incomprensibile.
Vero che, arrivati alla risoluzione del mistero, il soggetto prende forma, ma se si prova a ripensarci successivamente ci si stupisce del gran numero di risvolti che, a fine visione, rimangono comunque mal spiegati o non capiti. Questo perché 'Solid State Society', per quanto soporifero, è narrato in modo addirittura affrettato, con bruschi stacchi da una sequenza all'altra e pochissimo, praticamente zero tempo per portare lo spettatore a comprendere lo sviluppo di trama e la mole di rivelazioni che districano il bandolo della matassa. Inevitabile a questo punto pensare che sarebbe servita una serie televisiva per raccontare degnamente la storia, permettendo di assimilarla coi giusti tempi e di rilassare la testa con qualche intermezzo leggero: purtroppo questo special, a prescindere dalla bontà del soggetto, è serioso dall'inizio alla fine e per questo in più riprese indigeribile, soporifero e confuso.
Qualcosa che si salva fortunatamente c'è, ma a semplici sprazzi: la tesa sequenza di Togusa con sua figlia, la bellissima scena d'azione finale, le intriganti rivelazioni conclusive - comprensive di una sterzata di cybermisticismo - che danno un senso al tutto. Ma è davvero arduo pensare di consigliare 'Solid State Society' solo per una ventina di minuti eccellenti e un'altra ora e mezza pesante e di difficile comprensione. Se, infine, come confezione Production I.G siamo sempre al top, bisogna purtroppo ammettere che a deludermi questa volta c'è anche la Kanno, qui, a mio avviso, in una delle sue prove meno incisive con il suo mal riuscito alternative rock mischiato alle sonorità delle due serie precedenti, score moscio che non mi trasmette il consueto senso di tensione e universalità.
La conclusione salva questo thriller mal scritto e pesante, ma dare un voto superiore alla sufficienza solo per questo sarebbe fuorviante. Per gli amanti di Shirow e della saga anche 'Solid State Society' può meritare un'occhiata per completezza, peccato che pensando a quanto sfacciatamente superiori sono i suoi prequel non si può, infine, che reputarlo l'occasione sprecata di concludere in bellezza una saga straordinaria. Stranamente - considerando che le prime due stagioni sono arrivate - è inedito in Italia.
<b>Attenzione! Contiene possibili spoiler!</b>
Ho visto tempo fa questo film, ultimo in elenco, dopo il leggendario primo film, dopo le due notevoli serie, e dopo il profondamente filosofico Innocence. Non sono riuscita a commentarlo subito perché confesso che il mio voto è combattuto, ma alla fine se ne esce con un dignitoso otto tondo.
Solid State Society ha qualcosa che stona nel confronto di filosofia con i suoi predecessori, eppure ha qualcosa di profondamente intrigante da dire allo stesso tempo. In mezzo a tutta la filosofia di GITS c'è anche "questo", intrighi politici di portata notevole, drammi esistenziali della società e non del mero singolo, dilemmi di tipo collettivo e non da stand alone. Quando si deve parlare della massa è difficile che i toni siano toccanti eppure il caso del Marionettista, il progetto Solid State, il dramma delle nuove generazioni da salvaguardare, tutto questo non è trattato con fredda analisi tecnica (tipico dell'analisi collettiva), si è riusciti a dare intensità emotiva ad un'analisi di politiche di massa. Questo è grandioso; tramite i personaggi che ormai si conoscono da film e serie, a monte si è eseguito un cambio di prospettiva, non sono più gli stand alone sotto analisi, è la massa da cui a volte saltano fuori gli stand alone e sono i problemi di quella massa il vero protagonista di questo film.
Non nego che i toni investigativi di quest'opera la fanno da padroni, trucidando il lato filosofico, tuttavia non condivido il pensiero che questo abbia schiacciato a zero l'analisi introspettiva dei personaggi. Per quanto sia stata ridotta in favore di un'altra analisi (quello che dicevo prima), ci troviamo comunque davanti a una Sezione 9 in pieno remake organizzativo e che viene osservata. Togusa ha preso il posto di Motoko e questo non è proprio una bazzeccola: vi sono l'analisi psicologica dietro gli scambi gerarchici, il rifiuto di Batou di prendere il posto del Maggiore, la visione di Togusa deciso a rimanere umano messa in discussione al punto da arrivare a discutere una possibile conversione cibernetica per il bene della squadra. E ancora l'analisi di Aramaki sulla scelta fatta e la sua ferma volontà di vedere se è davvero in grado di tirare fuori il potenziale di Togusa, e non ultima la crisi interiore di Motoko che l'ha spinta a girare per la rete a caccia di nemmeno lei sa chi o cosa. Eppure la frase "la rete è vasta ed infinita" è un rimando davvero intenso ai dubbi del Maggiore che sarà poi a caccia del signore dei pupazzi.
Insomma la visione introspettiva non è annichilita, è semplicemente veleggiante dietro le quinte del caso in esame, ma è presente, ovviamente in modi e termini diversi da quelli a cui siamo abituati, eppure SSS non è un altro mondo, è GIST, ma c'è un'altra prospettiva.
Il profilo tecnico è ovviamente notevole, i personaggi sono definiti in modo egregio, siamo a un livello molto superiore anche a quello delle due serie. Le ambientazioni mancano del lato oscuro tipico di GIST ma, anche qui, si vuole dire altro, si vuole guardare altro; prendono d'importanza le rappresentazioni urbane per la massa e non più la città intesa come campo di battaglia dove più o meno tacitamente si muovono gli stand alone. Va tenuto da conto il concetto anche dal lato tecnico.
Le musiche sono come sempre impeccabili, la colonna sonora ha sempre avuto un grandissimo ruolo nelle due serie come nei film e anche qui non si smentisce.
Io non credo che SSS sia di delusione ai fan, è semplicemente un'altra cosa - a cui forse non si era abituati, ok - e lo si capisce da subito. Non è la caccia allo stand alone di turno che ha qualcosa da dire al mondo con le sue gesta, è il mondo che ha qualcosa da dire ai vari singoli. Questo lascerà un attimo di straniamento forse a chi sognava il successore de "L'uomo che ride" o di Kuze o del Signore dei Pupazzi - predecessore in questo caso, temporalmente parlando. Ma non c'è questa volta, è la massa l'analizzato ed è dagli occhi della Sezione 9 che si analizza.
Confermo che non siamo ai livelli dei due film, ma SSS è un attimo link con le due serie, questo sicuramente. Inoltre il maggiore che inizia a palesare incertezze serie è utile vederlo a monte delle due serie animate andando poi, temporalmente, verso il primo film.
Assolutamente consigliato.
Ho visto tempo fa questo film, ultimo in elenco, dopo il leggendario primo film, dopo le due notevoli serie, e dopo il profondamente filosofico Innocence. Non sono riuscita a commentarlo subito perché confesso che il mio voto è combattuto, ma alla fine se ne esce con un dignitoso otto tondo.
Solid State Society ha qualcosa che stona nel confronto di filosofia con i suoi predecessori, eppure ha qualcosa di profondamente intrigante da dire allo stesso tempo. In mezzo a tutta la filosofia di GITS c'è anche "questo", intrighi politici di portata notevole, drammi esistenziali della società e non del mero singolo, dilemmi di tipo collettivo e non da stand alone. Quando si deve parlare della massa è difficile che i toni siano toccanti eppure il caso del Marionettista, il progetto Solid State, il dramma delle nuove generazioni da salvaguardare, tutto questo non è trattato con fredda analisi tecnica (tipico dell'analisi collettiva), si è riusciti a dare intensità emotiva ad un'analisi di politiche di massa. Questo è grandioso; tramite i personaggi che ormai si conoscono da film e serie, a monte si è eseguito un cambio di prospettiva, non sono più gli stand alone sotto analisi, è la massa da cui a volte saltano fuori gli stand alone e sono i problemi di quella massa il vero protagonista di questo film.
Non nego che i toni investigativi di quest'opera la fanno da padroni, trucidando il lato filosofico, tuttavia non condivido il pensiero che questo abbia schiacciato a zero l'analisi introspettiva dei personaggi. Per quanto sia stata ridotta in favore di un'altra analisi (quello che dicevo prima), ci troviamo comunque davanti a una Sezione 9 in pieno remake organizzativo e che viene osservata. Togusa ha preso il posto di Motoko e questo non è proprio una bazzeccola: vi sono l'analisi psicologica dietro gli scambi gerarchici, il rifiuto di Batou di prendere il posto del Maggiore, la visione di Togusa deciso a rimanere umano messa in discussione al punto da arrivare a discutere una possibile conversione cibernetica per il bene della squadra. E ancora l'analisi di Aramaki sulla scelta fatta e la sua ferma volontà di vedere se è davvero in grado di tirare fuori il potenziale di Togusa, e non ultima la crisi interiore di Motoko che l'ha spinta a girare per la rete a caccia di nemmeno lei sa chi o cosa. Eppure la frase "la rete è vasta ed infinita" è un rimando davvero intenso ai dubbi del Maggiore che sarà poi a caccia del signore dei pupazzi.
Insomma la visione introspettiva non è annichilita, è semplicemente veleggiante dietro le quinte del caso in esame, ma è presente, ovviamente in modi e termini diversi da quelli a cui siamo abituati, eppure SSS non è un altro mondo, è GIST, ma c'è un'altra prospettiva.
Il profilo tecnico è ovviamente notevole, i personaggi sono definiti in modo egregio, siamo a un livello molto superiore anche a quello delle due serie. Le ambientazioni mancano del lato oscuro tipico di GIST ma, anche qui, si vuole dire altro, si vuole guardare altro; prendono d'importanza le rappresentazioni urbane per la massa e non più la città intesa come campo di battaglia dove più o meno tacitamente si muovono gli stand alone. Va tenuto da conto il concetto anche dal lato tecnico.
Le musiche sono come sempre impeccabili, la colonna sonora ha sempre avuto un grandissimo ruolo nelle due serie come nei film e anche qui non si smentisce.
Io non credo che SSS sia di delusione ai fan, è semplicemente un'altra cosa - a cui forse non si era abituati, ok - e lo si capisce da subito. Non è la caccia allo stand alone di turno che ha qualcosa da dire al mondo con le sue gesta, è il mondo che ha qualcosa da dire ai vari singoli. Questo lascerà un attimo di straniamento forse a chi sognava il successore de "L'uomo che ride" o di Kuze o del Signore dei Pupazzi - predecessore in questo caso, temporalmente parlando. Ma non c'è questa volta, è la massa l'analizzato ed è dagli occhi della Sezione 9 che si analizza.
Confermo che non siamo ai livelli dei due film, ma SSS è un attimo link con le due serie, questo sicuramente. Inoltre il maggiore che inizia a palesare incertezze serie è utile vederlo a monte delle due serie animate andando poi, temporalmente, verso il primo film.
Assolutamente consigliato.
Ora, io non vorrei confrontare Solid State Society con i due Film di Oshii. Non vorrei proprio – perché il secondo è un capolavoro del cinema… e il Primo è un opera assoluta. Ma Kamiyama si tira il paragone da solo, con continui rimandi e sequenza ispirate ai due predecessori. E se non bastasse mette in gioco pure il nome del marionettista (come ha osato!!!) stravolgendo in modo assurdo e imperdonabile l’essenza di un personaggio che è entrato nel mito; e tanto per gradire copia in modo speculare da Ghost in the Shell la connessione del Maggiore con quest’ultimo. Va da sé che ne esca totalmente sfasciato su qualsiasi aspetto lo si voglia confrontare.
E con questo non è che voglio distruggere il film in questione, ma ridimensionarlo sì – e di parecchio anche, visto che vado sempre contro. Così, essendo uno special televisivo ad altissimo budget ideato per concludere con un lungometraggio le due serie Stand Alone Complex, c’era da aspettarsi un’opera altissima. E quando è finito ho detto: “Vabbe’, è che l’hai visto dopo il 2nd GIG che è superlativo. Non dare giudizi veloci e prenditi un po’ di tempo”. Be’, invece era proprio quello che avevo pensato a caldo.
L’aspetto tecnico è stato ulteriormente rifinito rispetto alle due serie, con dei disegni pulitissimi, con lo stesso inimitabile character design e con una fotografia splendida, oltre alla OST da brivido (ed è inutile che vi dica di chi è…). La narrazione si svolge due anni dopo la conclusione di 2nd GIG, con una sezione 9 superpotenziata diventata un organo di sicurezza finalmente di peso ma che per questo è dovuto scendere a compromessi. Così Motoko s’è scassata e li ha piantati in asso. Quindi ritroviamo un Batou serissimo e perennemente imbronciato per la nostalgia della sua dolce metà e l’ex pivellino Togusa che è diventato il capo sul campo della squadra (e fa davvero strano vederlo imborghesito in giacca e cravatta comandare la sezione ed essere una figura responsabile), con un Aramaki prossimo alla pensione e tutta la sezione speciale che chi non la conosce non è un appassionato di anime. Queste le premesse che fanno da sfondo alla trama vera e propria di questo caso Solid State Society, che come da abitudine Stand Alone Complex è un poliziesco strutturato su più livelli. Trama che si dipana partendo da dei casi di attentati collegati a un generale agli arresti domiciliari e che finisce a un caso di bambini rapiti (20.0000 bambini!!!) e di sanità pubblica legata ai vecchi pensionati senza famiglia e alle strutture che monitorano le loro condizioni di salute. Il tutto sotto l’ombra misteriosa e oscura delle due torri della Solid State Society, con la figura occulta del Maggiore che assume dei contorni sinistri.
Tu dirai “Sembra ’na figata”.
E invece la storia in sé è inferiore anche alle due serie. Perché non è coinvolgente e accattivante come l’intrigo stratificato dell’ “uomo che ride”, e perché non regge minimamente il confronto con l’affresco meraviglioso, intensissimo e struggente della seconda serie (e siamo sempre lì – in quella c’è la manina di Oshii). Il problema fondamentale è che il film non ha un carisma che lo faccia spaccare di brutto; manca di un’identità ben precisa e di profondità. I temi sociali e la critica corrosiva delle istituzioni e dei sistemi che hanno fatto la differenza nelle precedenti serie vengono solo sfiorati, e non basta la riflessione finale di Motoko per risollevare il tiro. Gli splendidi dialoghi e la filosofia e il pensiero impegnati che sono quello che contraddistingue l'universo Ghost in the Shell sono assenti. E poi tranne alcuni momenti o scene davvero degne di nota, non è veramente appassionante. Forse Kamiyama voleva ricercare un taglio più cinematografico, ma è rimasto solo nell’intenzione, dimostrandosi strettamente (e di gran lunga) affine alla strutturazione seriale. E il film resta a metà fra la sua regia classica molto statica e improvvisi stacchi e accelerate di ritmo decisamente male integrati – dando la sensazione di un ibrido per nulla riuscito. Piacevole per gli occhi perché l’impianto scenico è sempre di alto livello – ma assolutamente nulla in confronto alle atmosfere, alle ambientazioni e alla visionarietà Oshiiana – , si lascia guardare senza annoiare e se non si conosce per niente il mondo Stand Alone Complex può dare delle buone soddisfazioni. Ma per chi è stato hackerato da Motoko e dal Signore dei pupazzi, è una delusione bella grossa. Per me (e scusatemi se mi sono lasciato andare, ma c’è n’erano di cose da dire…) Ghost in the Shell si chiude con 2nd GIG. Difatti il film non ha un Ghost – ed è gravissimo!
P.S.
Non essendo stati ancora acquistati i diritti da nessuna casa di distribuzione italiana, ho ascoltato per la prima volta l’audio originale dei protagonisti del filone Ghost in the Shell. Ed è una delle rare volte in cui mi sia dispiaciuta l’assenza del doppiaggio, notando come le voci storiche italiane (il primo film e le due serie) siano decisamente ottime e forse anche meglio adatte di quelle giapponesi alle caratteristiche dei personaggi – ’na volta tanto.
E con questo non è che voglio distruggere il film in questione, ma ridimensionarlo sì – e di parecchio anche, visto che vado sempre contro. Così, essendo uno special televisivo ad altissimo budget ideato per concludere con un lungometraggio le due serie Stand Alone Complex, c’era da aspettarsi un’opera altissima. E quando è finito ho detto: “Vabbe’, è che l’hai visto dopo il 2nd GIG che è superlativo. Non dare giudizi veloci e prenditi un po’ di tempo”. Be’, invece era proprio quello che avevo pensato a caldo.
L’aspetto tecnico è stato ulteriormente rifinito rispetto alle due serie, con dei disegni pulitissimi, con lo stesso inimitabile character design e con una fotografia splendida, oltre alla OST da brivido (ed è inutile che vi dica di chi è…). La narrazione si svolge due anni dopo la conclusione di 2nd GIG, con una sezione 9 superpotenziata diventata un organo di sicurezza finalmente di peso ma che per questo è dovuto scendere a compromessi. Così Motoko s’è scassata e li ha piantati in asso. Quindi ritroviamo un Batou serissimo e perennemente imbronciato per la nostalgia della sua dolce metà e l’ex pivellino Togusa che è diventato il capo sul campo della squadra (e fa davvero strano vederlo imborghesito in giacca e cravatta comandare la sezione ed essere una figura responsabile), con un Aramaki prossimo alla pensione e tutta la sezione speciale che chi non la conosce non è un appassionato di anime. Queste le premesse che fanno da sfondo alla trama vera e propria di questo caso Solid State Society, che come da abitudine Stand Alone Complex è un poliziesco strutturato su più livelli. Trama che si dipana partendo da dei casi di attentati collegati a un generale agli arresti domiciliari e che finisce a un caso di bambini rapiti (20.0000 bambini!!!) e di sanità pubblica legata ai vecchi pensionati senza famiglia e alle strutture che monitorano le loro condizioni di salute. Il tutto sotto l’ombra misteriosa e oscura delle due torri della Solid State Society, con la figura occulta del Maggiore che assume dei contorni sinistri.
Tu dirai “Sembra ’na figata”.
E invece la storia in sé è inferiore anche alle due serie. Perché non è coinvolgente e accattivante come l’intrigo stratificato dell’ “uomo che ride”, e perché non regge minimamente il confronto con l’affresco meraviglioso, intensissimo e struggente della seconda serie (e siamo sempre lì – in quella c’è la manina di Oshii). Il problema fondamentale è che il film non ha un carisma che lo faccia spaccare di brutto; manca di un’identità ben precisa e di profondità. I temi sociali e la critica corrosiva delle istituzioni e dei sistemi che hanno fatto la differenza nelle precedenti serie vengono solo sfiorati, e non basta la riflessione finale di Motoko per risollevare il tiro. Gli splendidi dialoghi e la filosofia e il pensiero impegnati che sono quello che contraddistingue l'universo Ghost in the Shell sono assenti. E poi tranne alcuni momenti o scene davvero degne di nota, non è veramente appassionante. Forse Kamiyama voleva ricercare un taglio più cinematografico, ma è rimasto solo nell’intenzione, dimostrandosi strettamente (e di gran lunga) affine alla strutturazione seriale. E il film resta a metà fra la sua regia classica molto statica e improvvisi stacchi e accelerate di ritmo decisamente male integrati – dando la sensazione di un ibrido per nulla riuscito. Piacevole per gli occhi perché l’impianto scenico è sempre di alto livello – ma assolutamente nulla in confronto alle atmosfere, alle ambientazioni e alla visionarietà Oshiiana – , si lascia guardare senza annoiare e se non si conosce per niente il mondo Stand Alone Complex può dare delle buone soddisfazioni. Ma per chi è stato hackerato da Motoko e dal Signore dei pupazzi, è una delusione bella grossa. Per me (e scusatemi se mi sono lasciato andare, ma c’è n’erano di cose da dire…) Ghost in the Shell si chiude con 2nd GIG. Difatti il film non ha un Ghost – ed è gravissimo!
P.S.
Non essendo stati ancora acquistati i diritti da nessuna casa di distribuzione italiana, ho ascoltato per la prima volta l’audio originale dei protagonisti del filone Ghost in the Shell. Ed è una delle rare volte in cui mi sia dispiaciuta l’assenza del doppiaggio, notando come le voci storiche italiane (il primo film e le due serie) siano decisamente ottime e forse anche meglio adatte di quelle giapponesi alle caratteristiche dei personaggi – ’na volta tanto.
L'opera è l'ultima nata della famosa saga cyber-punk Ghost in the Shell, che ha già due lungometraggi e due serie televisive al suo attivo. Dal punto di vista tecnico, non c'è nulla da eccepire: le animazioni sono curate, i movimenti fluidi e la Computer Graphics, presente in abbondanza, è ben amalgamata al resto dei disegni; oramai le opere collegate all'idea originaria di Shirow ci hanno abituati ad un livello qualitativo notevole (si tratta di produzioni ad alto budget), con delle trame mai banali e sempre piuttosto complicate.
Come ha già scritto nella sua recensione l'utente "Porco Rosso", c'è in particolare una scena che riguarda Togusa, che è una delle più sbalorditive che abbia mai visto in un anime, non per l'ambientazione od i disegni, ma per la situazione in sé e per la bravura con cui è resa: complimenti alla regia ed alla sceneggiatura.
Non do il voto massimo solo perchè nel complesso in questo film mancano, a mio parere, la profondità e l'atmosfera delle due precedenti opere: il taglio è chiaramente più televisivo; il tocco del regista Oshii non c'è e si sente.
Come ha già scritto nella sua recensione l'utente "Porco Rosso", c'è in particolare una scena che riguarda Togusa, che è una delle più sbalorditive che abbia mai visto in un anime, non per l'ambientazione od i disegni, ma per la situazione in sé e per la bravura con cui è resa: complimenti alla regia ed alla sceneggiatura.
Non do il voto massimo solo perchè nel complesso in questo film mancano, a mio parere, la profondità e l'atmosfera delle due precedenti opere: il taglio è chiaramente più televisivo; il tocco del regista Oshii non c'è e si sente.
Solid State Society potrebbe essere definita la risposta di Kamiyama ai film di Oshii. I due, ovviamente, sono grandi collaboratori, ma era giusto dare la possibilità al maggior director delle serie di esprimersi in un mediometraggio. Il Film e' stupendo sotto ogni punto di vista, e la Sezione 9, orfana del maggiore, dà sempre il meglio di se'. Non voglio Spoilerare, ma c e' una scena in particolare che riguarda Batou, Togusa e sua figlia, che e' una delle scene piu' incredibili che abbia mai visto.
Capolavoro.
Capolavoro.
Ghost in the Shell Stand Alone Complex è bellissimo. Trama molto profonda e piena di colpi di scena.
Ghost in the Shell parla di un ERA futura dove cyborg e umani vivono insieme, qui il 99% della popolazione umana ha almeno un impianto meccanico; e descrive soprattutto della linea sottile che differenzia i cyborg dagli umani. La nostra protagonista fa parte di una divisione speciale che indaga solo su casi molto importanti o su atti terroristici.
La cosa che mi ha colpito di più è la colonna sonora che è davvero splendida( infatti alcune canzoni tratte da lì le ho messe addirittura nel mio MP3).
Stessa storia per Ghost in the Shell Solid State Society, un film bellissimo da vedere solo dopo la serie...^_^.....
Ghost in the Shell parla di un ERA futura dove cyborg e umani vivono insieme, qui il 99% della popolazione umana ha almeno un impianto meccanico; e descrive soprattutto della linea sottile che differenzia i cyborg dagli umani. La nostra protagonista fa parte di una divisione speciale che indaga solo su casi molto importanti o su atti terroristici.
La cosa che mi ha colpito di più è la colonna sonora che è davvero splendida( infatti alcune canzoni tratte da lì le ho messe addirittura nel mio MP3).
Stessa storia per Ghost in the Shell Solid State Society, un film bellissimo da vedere solo dopo la serie...^_^.....