Il regno dei sogni e della follia
"Il Regno dei Sogni e della Follia" non è un anime. O forse sì? Resta il fatto che dopo cinque minuti di visione avevo già gli occhi lucidi a ricordare i suoi lavori e il viaggio in Giappone occorso sedici anni fa. Un must imperdibile dedicato sia ai neofiti che ad ogni fan di lunga data del regista/sceneggiatore/padrone/maestro più anticonformista di tutto l'universo nipponico (e forse mondiale). Ancora non riesco a comprendere l'etichetta affibiatagli da alcuni critici occidentali di "Walt Disney del Sol Levante". Forse, ma solo per la mole sterminata della produzione, sarebbe una definizione più consona a Osamu Tezuka. È indubbio che anche il papà di Topolino all'inizio lavorò ai suoi primi corti nel garage sotto casa, ma, una volta arrivato il successo, egli passò tutta la parte creativa e di produzione al suo staff negli studios di Burbank. Mentre Miya-san a settant'anni compiuti (e passati) arriva al lavoro in treno - sfoggiando jeans e camicia con tanto di sigaretta in bocca -, Disney raggiungeva gli animatori in giacca e cravatta con tanto di autista, rivestendo meramente ormai solo la carica di direttore del personale. Miyazaki ha vissuto nell'ombra di Takahata per anni, in seguito aveva intrapreso la strada di sindacalista, disegnava il manga "Nausicaa della Valle del Vento" solo a matita (un incubo per le case editrici), spendeva per un episodio TV tre o quattro volte più del normale (mandando su tutte le furie gli sponsor), proponeva soggetti distanti anni luce dagli standard richiesti dai produttori, ma alla fine eccolo che passeggia nel vicolo contiguo allo studio con il suo inseparabile grembiule e la barba bianca, sempre sarcastico e pessimista ma sotto sotto felice di essere riuscito a fare ciò che si era prefissato: film. Unica pecca rimane il fatto di non avere citato nemmeno per una volta il nomi di Yasuji Mori, considerato da Miyazaki stesso come il suo tutore, e di Toru Hara, che è stato il vero fondatore dello studio (cioè colui che organizzò e rese possibile il progetto Ghibli grazie ai fondi della Tokuma Shoten).