L'Avventuroso
Prima di prendere in mano questo manga mi sono soffermato sul titolo: "L’avventuroso?" Io ho già visto questo titolo in qualche negozio o in qualche mercatino.
L’avventuroso infatti era una rivista degli anni ‘30 dedicata ai fumetti e il titolo è un omaggio ad essa. E infondo è meglio del “Il ragazzo avventuroso” che sarebbe la traduzione letterale del titolo giapponese.
Premetto io non ho letto nessun one shot di Adachi, tranne forse uno scritto a due mani con Rumiko Takahashi che ho trovato al tempo stesso interessante (per la mole di informazioni biografiche) e mal disegnato (i disegni non avevano lo stile né dell’uno né dell’altra ma erano molto “semplici”).
Qui Adachi mostra il suo stile di disegno classico, minimale nei personaggi e molto approfondito su certi fondali.
Ma come sono queste storie?
Semplici.
Legate l’un l’altra dal filo della nostalgia.
Persone di successo o falliti, qualcuno di perso o ritrovato tutto condito segondo l’abitudine di Mitsuru Adachi ma senza il fan services che hanno offerto le tante ragazzine dell’autore. D’altronde qui è un autore che si vuol far vedere maturo anche usando scene che ricordano i suoi shonen.
Questi episodi sono considerati seinen perché apparsi su Big Comic Superior ma avrebbero potuto apparire anche su Shonen Sunday… forse non sarebbero ugualmente piaciuti al pubblico perché i protagonisti sono adulti o bambini che diventano adulti, ma l’aria alla Adachi è la stessa.
Io ho deciso di leggere questo volume prima di approcciarmi a Short Program e devo dire che non mi sento convinto del tutto dell’autore come autore di storie brevi.
Credo che questo volume unico non sia il biglietto da visita per chi vuole approcciarsi ad uno dei massimi mangaka viventi.
Con questo non voglio dire che le storie sono brutte ma non ho trovato la folle genialità che ad esempio la sua collega Rumiko Takahashi riesce ad infondere anche in una storia di venti pagine.
Adachi non stupisce ma fa il suo compitino: ecco qui ritroviamo la buone e serena quotidianità che si trova spesso in questo autore, che ti permette di dargli un sette dicendo: eppure sa di già visto!
L’avventuroso infatti era una rivista degli anni ‘30 dedicata ai fumetti e il titolo è un omaggio ad essa. E infondo è meglio del “Il ragazzo avventuroso” che sarebbe la traduzione letterale del titolo giapponese.
Premetto io non ho letto nessun one shot di Adachi, tranne forse uno scritto a due mani con Rumiko Takahashi che ho trovato al tempo stesso interessante (per la mole di informazioni biografiche) e mal disegnato (i disegni non avevano lo stile né dell’uno né dell’altra ma erano molto “semplici”).
Qui Adachi mostra il suo stile di disegno classico, minimale nei personaggi e molto approfondito su certi fondali.
Ma come sono queste storie?
Semplici.
Legate l’un l’altra dal filo della nostalgia.
Persone di successo o falliti, qualcuno di perso o ritrovato tutto condito segondo l’abitudine di Mitsuru Adachi ma senza il fan services che hanno offerto le tante ragazzine dell’autore. D’altronde qui è un autore che si vuol far vedere maturo anche usando scene che ricordano i suoi shonen.
Questi episodi sono considerati seinen perché apparsi su Big Comic Superior ma avrebbero potuto apparire anche su Shonen Sunday… forse non sarebbero ugualmente piaciuti al pubblico perché i protagonisti sono adulti o bambini che diventano adulti, ma l’aria alla Adachi è la stessa.
Io ho deciso di leggere questo volume prima di approcciarmi a Short Program e devo dire che non mi sento convinto del tutto dell’autore come autore di storie brevi.
Credo che questo volume unico non sia il biglietto da visita per chi vuole approcciarsi ad uno dei massimi mangaka viventi.
Con questo non voglio dire che le storie sono brutte ma non ho trovato la folle genialità che ad esempio la sua collega Rumiko Takahashi riesce ad infondere anche in una storia di venti pagine.
Adachi non stupisce ma fa il suo compitino: ecco qui ritroviamo la buone e serena quotidianità che si trova spesso in questo autore, che ti permette di dargli un sette dicendo: eppure sa di già visto!
“Nostalgia: il ricordo delle cose passate.”
Una sentenza lapidaria è quella che, all’inizio XVII secolo, William Shakespeare inciderà indelebilmente, dai richiami quasi dizionaristici, sull’Otello, opera destinata a marchiare definitivamente la storia universale del teatro. Circa quattrocento anni dopo, però, in un’altra epoca, e dall’altra parte del mondo, in Giappone, tale concetto verrà magistralmente espresso e reiterato, quasi cantato, da Misturo Adachi, poeta, o meglio cantore, della nostalgia e delle emozioni “leggere e potenti” per loro natura, con una “non potenza” che ben si presta alle qualità del genio di Stratford-upon-Avon.
L’avventuroso, Bouken Shounen (冒険少年), è un volume unico, un seinen, contente sette storie ideate e disegnate da Mitsuru Adachi tra il 1998 e il 2005, pubblicate totalmente su Big Comic Original (rivista di proprietà della casa editrice Shogakukan) ed edite, nel gennaio del 2008, in Italia grazie a Star Comics, editore umbro di Bosco che, ormai da decenni, si impegna costantemente (seppur non unicamente) nella fruizione presso il pubblico italiano delle opere del maestro di Isesaki, prefettura di Gunma. In questo caso, è certamente doveroso segnalare l’intuizione, da parte di Star Comics, di adattare il titolo, letteralmente “Il ragazzino avventuroso”, in “L’avventuroso”, celebre testata italiana in attività tra il 1934 e il 1943, della Casa Editrice Nerbini, prima in Italia – proprio tra queste pagine – a riportare integralmente le strisce complete di balloon, utilizzando per altro lo stesso identico font, quindi il logo, di tale periodico. Elementi che segnano inequivocabilmente il rapporto di stima della Nerbini nei confronti di Star Comics, premiata da essa per la diffusione della nona arte giapponese nello Stivale.
Difficile recensire l’opera in questione partendo dalle trame o dalle narrazioni, non solo perché si tratta di sette racconti totalmente autonomi, legati tra loro unicamente da un solo fille rouge che risponde al nome di “nostalgia”, ma anche per la non tangibilità delle trame stesse, semplici, stringate, quasi banali, fumose, intangibili: teatrali, a tutti gli effetti. Non esiste una vera e propria trama in questi mini racconti di Adachi, o meglio, esiste, ma è semplice proprio per sua natura: la semplicità della sinossi, dello sviluppo del racconto e della narrazione spinge così il lettore a focalizzarsi su quello che è il sentimento che l’autore stesso vuole plasmare e riportare su carta, il sentimento di nostalgia, un sentimento tanto forte quanto, a tratti, inutile e inconcludente, un sentimento che calza a pennello con quello che è il pennino di Adachi, capace di ricreare attraverso la poetica del silenzio, degli sguardi e del tutto che ci circonda, un mondo in grado di restituire la nostalgia, diluita – così come nella vita – dal presente, che la crea e la veicola. Proprio grazie alla leggerezza del racconto l’autore riesce dunque ad esprimere, come solo lui sa fare, le più potenti e ricorrenti emozioni della vita. La narrazione è dunque calma, quasi banale, una narrazione tipicamente adachiana, a metà strada dunque tra il virtuosismo narrativo della Takahashi e l’autoritarismo di Taniguchi: qui, come sempre, Adachi ben si districa tra una narrazione contraria all’impeto e alla sagacia, riportando continuamente schemi piatti che, se mal letti, potrebbero quasi risultare banali, e uno sviluppo tracotante e severo, scegliendo invece la via della banalità, quasi della giocosità, come a voler indicare che la vita, in fin dei conti, è costantemente costellata da beffe pronte e ben confezionate, da prendere così come vengono.
Se la recensione dalla/e trama/e risulta difficile, ancor di più è certamente l’analisi del tratto grafico. Dal punto di vista tecnico, l’opera non si discosta minimamente da quello che è il pennino classico di Adachi, così come non possono percepirsi variazioni tra l’ottobre del 1998 e l’aprile del 2005, datazioni del primo e dell’ultimo racconto: Adachi è sempre, costantemente e, meravigliosamente, lo stesso identico disegnatore! Nessun virtuosismo tecnico, nessun linearismo, nessuna stravaganza grafica, il disegno è per Adachi veicolo di emozioni, è qui che risiede la sua bravura, ben evidente in questi sette racconti: tratto morbido e tondeggiante, sfondi chiari ed identificativi, dinamismo ridotto e sapiente uso dei retini, il tutto valorizzato da un gioco di sguardi penetranti e assorti allo stesso tempo e da una strabiliante capacità di restituire le stagioni e le ore del giorno attraverso i fondali, aspetto che solo pochi grandi maestri sono riusciti a compiere così costantemente (per quanto riguarda la nouvelle vague internazionale dei fumettisti, sotto questo punto di vista, si segnalano le straordinarie capacità di Lâm Hoàng Trúc, vietnamita classe 1991).
Degna conclusione di questo commento, riprendendo l’excursus di matrice teatrale iniziale, è un breve (ma sarebbe da scriverci una tesi di laurea), ma importante accenno alla capacità dell’artista in questione di creare continuamente delle maschere. Adachi non usa personaggi, usa delle maschere teatrali: il personaggio è un pretesto, è preso, ripreso, usato, riusato completamente per l’atto creativo. E Adachi è un maestro proprio a tramare alle spalle di essi. L’arte di Adachi non sta nella creazione della storia nella sua originalità, l’arte di Adachi risiede bensì nell’uso forsennato di uno stesso cast che, sulle note di un racconto banale e reiterato, riesce a creare costantemente le stesse identiche emozioni, trasmettendo però, paradossalmente, qualcosa di nuovo. Così come i drammaturghi greci di età periclea usavano e riusavano in continuazione le divinità e i personaggi del mito, “vip” mai esisti materialmente, allo stesso modo Adachi riutilizza in continuazione, senza mai scadere veramente nel banale, gli stessi personaggi, volutamente e, strepitosamente, stereotipati. Il tutto, aspetto importante da sottolineare, senza ricorrere alla malvagità: non esiste un cattivo, tutto fa parte della vita, aspra, dolce, bella e altalenante nella sua linearità.
Adachi, anche qui, costantemente e, come è ovvio che sia, incessantemente, sa muoversi sulle emozioni che la vita da, camminando, in questo caso, come un funambolo tra malinconia, ricordo e lontananza, e disegnando una perla che va sfogliata immergendosi a capofitto, con la convinzione che se ne uscirà più forti e consapevoli di prima, seppur con un briciolo di smielata, quanto ovvia, malinconia.
Una sentenza lapidaria è quella che, all’inizio XVII secolo, William Shakespeare inciderà indelebilmente, dai richiami quasi dizionaristici, sull’Otello, opera destinata a marchiare definitivamente la storia universale del teatro. Circa quattrocento anni dopo, però, in un’altra epoca, e dall’altra parte del mondo, in Giappone, tale concetto verrà magistralmente espresso e reiterato, quasi cantato, da Misturo Adachi, poeta, o meglio cantore, della nostalgia e delle emozioni “leggere e potenti” per loro natura, con una “non potenza” che ben si presta alle qualità del genio di Stratford-upon-Avon.
L’avventuroso, Bouken Shounen (冒険少年), è un volume unico, un seinen, contente sette storie ideate e disegnate da Mitsuru Adachi tra il 1998 e il 2005, pubblicate totalmente su Big Comic Original (rivista di proprietà della casa editrice Shogakukan) ed edite, nel gennaio del 2008, in Italia grazie a Star Comics, editore umbro di Bosco che, ormai da decenni, si impegna costantemente (seppur non unicamente) nella fruizione presso il pubblico italiano delle opere del maestro di Isesaki, prefettura di Gunma. In questo caso, è certamente doveroso segnalare l’intuizione, da parte di Star Comics, di adattare il titolo, letteralmente “Il ragazzino avventuroso”, in “L’avventuroso”, celebre testata italiana in attività tra il 1934 e il 1943, della Casa Editrice Nerbini, prima in Italia – proprio tra queste pagine – a riportare integralmente le strisce complete di balloon, utilizzando per altro lo stesso identico font, quindi il logo, di tale periodico. Elementi che segnano inequivocabilmente il rapporto di stima della Nerbini nei confronti di Star Comics, premiata da essa per la diffusione della nona arte giapponese nello Stivale.
Difficile recensire l’opera in questione partendo dalle trame o dalle narrazioni, non solo perché si tratta di sette racconti totalmente autonomi, legati tra loro unicamente da un solo fille rouge che risponde al nome di “nostalgia”, ma anche per la non tangibilità delle trame stesse, semplici, stringate, quasi banali, fumose, intangibili: teatrali, a tutti gli effetti. Non esiste una vera e propria trama in questi mini racconti di Adachi, o meglio, esiste, ma è semplice proprio per sua natura: la semplicità della sinossi, dello sviluppo del racconto e della narrazione spinge così il lettore a focalizzarsi su quello che è il sentimento che l’autore stesso vuole plasmare e riportare su carta, il sentimento di nostalgia, un sentimento tanto forte quanto, a tratti, inutile e inconcludente, un sentimento che calza a pennello con quello che è il pennino di Adachi, capace di ricreare attraverso la poetica del silenzio, degli sguardi e del tutto che ci circonda, un mondo in grado di restituire la nostalgia, diluita – così come nella vita – dal presente, che la crea e la veicola. Proprio grazie alla leggerezza del racconto l’autore riesce dunque ad esprimere, come solo lui sa fare, le più potenti e ricorrenti emozioni della vita. La narrazione è dunque calma, quasi banale, una narrazione tipicamente adachiana, a metà strada dunque tra il virtuosismo narrativo della Takahashi e l’autoritarismo di Taniguchi: qui, come sempre, Adachi ben si districa tra una narrazione contraria all’impeto e alla sagacia, riportando continuamente schemi piatti che, se mal letti, potrebbero quasi risultare banali, e uno sviluppo tracotante e severo, scegliendo invece la via della banalità, quasi della giocosità, come a voler indicare che la vita, in fin dei conti, è costantemente costellata da beffe pronte e ben confezionate, da prendere così come vengono.
Se la recensione dalla/e trama/e risulta difficile, ancor di più è certamente l’analisi del tratto grafico. Dal punto di vista tecnico, l’opera non si discosta minimamente da quello che è il pennino classico di Adachi, così come non possono percepirsi variazioni tra l’ottobre del 1998 e l’aprile del 2005, datazioni del primo e dell’ultimo racconto: Adachi è sempre, costantemente e, meravigliosamente, lo stesso identico disegnatore! Nessun virtuosismo tecnico, nessun linearismo, nessuna stravaganza grafica, il disegno è per Adachi veicolo di emozioni, è qui che risiede la sua bravura, ben evidente in questi sette racconti: tratto morbido e tondeggiante, sfondi chiari ed identificativi, dinamismo ridotto e sapiente uso dei retini, il tutto valorizzato da un gioco di sguardi penetranti e assorti allo stesso tempo e da una strabiliante capacità di restituire le stagioni e le ore del giorno attraverso i fondali, aspetto che solo pochi grandi maestri sono riusciti a compiere così costantemente (per quanto riguarda la nouvelle vague internazionale dei fumettisti, sotto questo punto di vista, si segnalano le straordinarie capacità di Lâm Hoàng Trúc, vietnamita classe 1991).
Degna conclusione di questo commento, riprendendo l’excursus di matrice teatrale iniziale, è un breve (ma sarebbe da scriverci una tesi di laurea), ma importante accenno alla capacità dell’artista in questione di creare continuamente delle maschere. Adachi non usa personaggi, usa delle maschere teatrali: il personaggio è un pretesto, è preso, ripreso, usato, riusato completamente per l’atto creativo. E Adachi è un maestro proprio a tramare alle spalle di essi. L’arte di Adachi non sta nella creazione della storia nella sua originalità, l’arte di Adachi risiede bensì nell’uso forsennato di uno stesso cast che, sulle note di un racconto banale e reiterato, riesce a creare costantemente le stesse identiche emozioni, trasmettendo però, paradossalmente, qualcosa di nuovo. Così come i drammaturghi greci di età periclea usavano e riusavano in continuazione le divinità e i personaggi del mito, “vip” mai esisti materialmente, allo stesso modo Adachi riutilizza in continuazione, senza mai scadere veramente nel banale, gli stessi personaggi, volutamente e, strepitosamente, stereotipati. Il tutto, aspetto importante da sottolineare, senza ricorrere alla malvagità: non esiste un cattivo, tutto fa parte della vita, aspra, dolce, bella e altalenante nella sua linearità.
Adachi, anche qui, costantemente e, come è ovvio che sia, incessantemente, sa muoversi sulle emozioni che la vita da, camminando, in questo caso, come un funambolo tra malinconia, ricordo e lontananza, e disegnando una perla che va sfogliata immergendosi a capofitto, con la convinzione che se ne uscirà più forti e consapevoli di prima, seppur con un briciolo di smielata, quanto ovvia, malinconia.
"L'avventuroso" è una raccolta di storie brevi ideate e disegnate da Mitsuru Adachi; in questo volume sono raccolti in totale sette racconti.
Ad accomunare questi sette, brevissimi racconti è la tematica trattata, ovvero la nostalgia e il ricordo dell'infanzia, dei sogni non realizzati, dei rimpianti e degli errori commessi quando ancora non era possibile riconoscerli come tali.
I protagonisti di queste storie sono tutti uomini ormai entrati nell'età adulta, che, per un motivo o per l'altro, si ritrovano a fare i conti con pensieri di questo tipo, e in tutti i casi viene data loro la possibilità di rimediare.
Oltre a questo filo conduttore, le tematiche trattate sono diverse: in "Un arco celeste", ad esempio, è evidente come Adachi voglia portare l'attenzione del lettore sul rapporto padre/figlio, argomento da lui spesso trattato nelle sue opere.
Nelle opere "Invio" e "L'album da disegno" viene accennato il tema dell'amore che, come quello dell'amicizia presentato in "Perdersi", non poteva certamente mancare.
Purtroppo, se alcuni racconti li ho trovati interessanti e scorrevoli, altri mi hanno leggermente annoiato, e non sono riuscito ad apprezzarli al meglio.
Dal punto di vista dei disegni lo stile Adachi si riconosce subito: i personaggi sono disegnati in modo semplicissimo, tratti essenziali e nulla di più; stessa cosa non si può però affermare per i fondali, e per alcune tavole veramente dettagliate. Inoltre, la Star Comics questa volta ha stampato un formato veramente gradevole da leggere, con molte tavole a colori che fanno la loro bella figura.
In conclusione, un'opera leggera e veloce da leggere, con degli spunti di riflessione interessanti. Se vi piace l'autore, è decisamente consigliata.
Ad accomunare questi sette, brevissimi racconti è la tematica trattata, ovvero la nostalgia e il ricordo dell'infanzia, dei sogni non realizzati, dei rimpianti e degli errori commessi quando ancora non era possibile riconoscerli come tali.
I protagonisti di queste storie sono tutti uomini ormai entrati nell'età adulta, che, per un motivo o per l'altro, si ritrovano a fare i conti con pensieri di questo tipo, e in tutti i casi viene data loro la possibilità di rimediare.
Oltre a questo filo conduttore, le tematiche trattate sono diverse: in "Un arco celeste", ad esempio, è evidente come Adachi voglia portare l'attenzione del lettore sul rapporto padre/figlio, argomento da lui spesso trattato nelle sue opere.
Nelle opere "Invio" e "L'album da disegno" viene accennato il tema dell'amore che, come quello dell'amicizia presentato in "Perdersi", non poteva certamente mancare.
Purtroppo, se alcuni racconti li ho trovati interessanti e scorrevoli, altri mi hanno leggermente annoiato, e non sono riuscito ad apprezzarli al meglio.
Dal punto di vista dei disegni lo stile Adachi si riconosce subito: i personaggi sono disegnati in modo semplicissimo, tratti essenziali e nulla di più; stessa cosa non si può però affermare per i fondali, e per alcune tavole veramente dettagliate. Inoltre, la Star Comics questa volta ha stampato un formato veramente gradevole da leggere, con molte tavole a colori che fanno la loro bella figura.
In conclusione, un'opera leggera e veloce da leggere, con degli spunti di riflessione interessanti. Se vi piace l'autore, è decisamente consigliata.
"Adesso questi ricordi sono tornati a tormentarmi
Mi tormentano come una maledizione
Un sogno che non si avvera è da considerare una bugia?
O forse c'è qualcosa di peggio
Che mi spinge giù in quel fiume
Anche se so che adesso quel fiume si è prosciugato
Giù in quel fiume, io e la mia ragazza
Giù in quel fiume, noi ci dirigeremo"
Negli anni '70, Bruce Springsteen cantava del travaglio di adulti cresciuti troppo precocemente che conducevano una vita lavorativa difficile per via della crisi economica e che, dunque, si abbandonavano ai ricordi e alla malinconia, desiderosi di rituffarsi nel nostalgico fiume che simboleggiava la loro giovinezza, anche se quel fiume si era ormai prosciugato e mai più sarebbe stato come lo ricordavano.
"L'avventuroso" (o "Bouken Shounen", il ragazzo avventuroso, che dir si voglia), bel volume firmato dal maestro Mitsuru Adachi, è come quella vecchia canzone di Bruce Springsteen, come quei vecchi nastri di musica rock americana che ascoltavamo da bambini nell'autoradio dei nostri padri e il cui significato, non conoscendo l'inglese, avremmo compreso soltanto una volta cresciuti. Ma, intanto, quei nastri, quegli enigmatici testi in inglese di cui all'epoca capivamo soltanto qualche sparuto termine, rappresentavano per noi un simbolo, legandosi a sensazioni che ci saremmo portati dentro per tutta la vita.
Da una parte, i bambini. Che giocano, fanno amicizia, litigano, si prendono in giro, piangono, amano, ma, soprattutto, sognano. Sognano di compiere viaggi per oceani sconfinati, in paesi esotici, nello spazio, nel passato, nel futuro; di vivere fantastiche avventure piene di meraviglie; di essere fortissimi e invincibili come gli eroi del wrestling che tanto ammirano; di giocare al Koushien. Sognano gli adulti che desiderano essere, magari felicemente sposati con quella bambina che tanto gli piace ma a cui non riescono ad esprimere i loro sentimenti.
Dall'altra, gli adulti che quei bambini sono diventati, tanti anni dopo.
Che ne è stato, dunque, dei sogni della loro infanzia? Sono riusciti a realizzarli o hanno lasciato che l'età adulta li fagocitasse? Li hanno dimenticati? O, magari, ancora li rincorrono o rimpiangono, desiderosi di tuffarsi in quel fiume della loro giovinezza che si è ormai prosciugato?
In sette storie, il maestro Adachi ci racconta il mondo degli adulti e dei loro sentimenti, in parallelo con la narrazione della loro infanzia (o comunque giovinezza, nel caso dell'ultima storia) che risulterà essere la chiave di volta della vicenda.
Storie delicate, toccanti, a volte drammatiche, a volte romantiche, talvolta con una lieve vena sovrannaturale (chi non ha pensato, leggendo certi racconti di questo volume, al bellissimo "In una lontana città" di Jiro Taniguchi, che ha iniziato la sua serializzazione lo stesso anno di "L'avventuroso"?), per un volume che, pur avendo i limiti di questo tipo di produzioni (alcune storie possono essere più o meno riuscite di altre o risultare sacrificate nell'arco delle loro poche pagine), riesce comunque a toccare più o meno profondamente l'animo del lettore.
Un volume impreziosito da splendide pagine a colori che valorizzano il singolare ed efficace stile di disegno del maestro Adachi.
"L'avventuroso" è una raccolta di storie impregnate di nostalgia, di ricordi e di sogni, effetto ampliato dal titolo scelto per l'edizione italiana, che, con una traduzione molto fedele di quello giapponese, intende rendere omaggio ad una storica rivista italiana di fumetti per ragazzi.
Un volume che forse non interesserà più di tanto i giovani lettori, ma che invece sarà una lettura decisamente interessante per gli adulti, target a cui "L'avventuroso" si rivolge esplicitamente.
Il maestro Adachi ci regala un fumetto, genere di letteratura solitamente associato ai bambini, che invece parla agli adulti.
Agli adulti di oggi ricorda di quando erano i bambini di ieri, esortandoli a non dimenticare i sogni, i sentimenti, gli eroi e le avventure che a quel tempo custodivano nel loro cuore.
Chissà se sarà possibile ritornare al famoso fiume della nostra giovinezza cantato da Bruce Springsteen, se quel fiume è ancora azzurro e rigoglioso e non si è prosciugato. Che ci sia o no, in realtà, l'importante è custodirlo nel cuore e non dimenticarlo mai, il sogno di quel fiume e del ragazzino che, felice, ci si bagnava, poiché l'adulto che oggi siamo parte da lì.
Mi tormentano come una maledizione
Un sogno che non si avvera è da considerare una bugia?
O forse c'è qualcosa di peggio
Che mi spinge giù in quel fiume
Anche se so che adesso quel fiume si è prosciugato
Giù in quel fiume, io e la mia ragazza
Giù in quel fiume, noi ci dirigeremo"
Negli anni '70, Bruce Springsteen cantava del travaglio di adulti cresciuti troppo precocemente che conducevano una vita lavorativa difficile per via della crisi economica e che, dunque, si abbandonavano ai ricordi e alla malinconia, desiderosi di rituffarsi nel nostalgico fiume che simboleggiava la loro giovinezza, anche se quel fiume si era ormai prosciugato e mai più sarebbe stato come lo ricordavano.
"L'avventuroso" (o "Bouken Shounen", il ragazzo avventuroso, che dir si voglia), bel volume firmato dal maestro Mitsuru Adachi, è come quella vecchia canzone di Bruce Springsteen, come quei vecchi nastri di musica rock americana che ascoltavamo da bambini nell'autoradio dei nostri padri e il cui significato, non conoscendo l'inglese, avremmo compreso soltanto una volta cresciuti. Ma, intanto, quei nastri, quegli enigmatici testi in inglese di cui all'epoca capivamo soltanto qualche sparuto termine, rappresentavano per noi un simbolo, legandosi a sensazioni che ci saremmo portati dentro per tutta la vita.
Da una parte, i bambini. Che giocano, fanno amicizia, litigano, si prendono in giro, piangono, amano, ma, soprattutto, sognano. Sognano di compiere viaggi per oceani sconfinati, in paesi esotici, nello spazio, nel passato, nel futuro; di vivere fantastiche avventure piene di meraviglie; di essere fortissimi e invincibili come gli eroi del wrestling che tanto ammirano; di giocare al Koushien. Sognano gli adulti che desiderano essere, magari felicemente sposati con quella bambina che tanto gli piace ma a cui non riescono ad esprimere i loro sentimenti.
Dall'altra, gli adulti che quei bambini sono diventati, tanti anni dopo.
Che ne è stato, dunque, dei sogni della loro infanzia? Sono riusciti a realizzarli o hanno lasciato che l'età adulta li fagocitasse? Li hanno dimenticati? O, magari, ancora li rincorrono o rimpiangono, desiderosi di tuffarsi in quel fiume della loro giovinezza che si è ormai prosciugato?
In sette storie, il maestro Adachi ci racconta il mondo degli adulti e dei loro sentimenti, in parallelo con la narrazione della loro infanzia (o comunque giovinezza, nel caso dell'ultima storia) che risulterà essere la chiave di volta della vicenda.
Storie delicate, toccanti, a volte drammatiche, a volte romantiche, talvolta con una lieve vena sovrannaturale (chi non ha pensato, leggendo certi racconti di questo volume, al bellissimo "In una lontana città" di Jiro Taniguchi, che ha iniziato la sua serializzazione lo stesso anno di "L'avventuroso"?), per un volume che, pur avendo i limiti di questo tipo di produzioni (alcune storie possono essere più o meno riuscite di altre o risultare sacrificate nell'arco delle loro poche pagine), riesce comunque a toccare più o meno profondamente l'animo del lettore.
Un volume impreziosito da splendide pagine a colori che valorizzano il singolare ed efficace stile di disegno del maestro Adachi.
"L'avventuroso" è una raccolta di storie impregnate di nostalgia, di ricordi e di sogni, effetto ampliato dal titolo scelto per l'edizione italiana, che, con una traduzione molto fedele di quello giapponese, intende rendere omaggio ad una storica rivista italiana di fumetti per ragazzi.
Un volume che forse non interesserà più di tanto i giovani lettori, ma che invece sarà una lettura decisamente interessante per gli adulti, target a cui "L'avventuroso" si rivolge esplicitamente.
Il maestro Adachi ci regala un fumetto, genere di letteratura solitamente associato ai bambini, che invece parla agli adulti.
Agli adulti di oggi ricorda di quando erano i bambini di ieri, esortandoli a non dimenticare i sogni, i sentimenti, gli eroi e le avventure che a quel tempo custodivano nel loro cuore.
Chissà se sarà possibile ritornare al famoso fiume della nostra giovinezza cantato da Bruce Springsteen, se quel fiume è ancora azzurro e rigoglioso e non si è prosciugato. Che ci sia o no, in realtà, l'importante è custodirlo nel cuore e non dimenticarlo mai, il sogno di quel fiume e del ragazzino che, felice, ci si bagnava, poiché l'adulto che oggi siamo parte da lì.
Volume unico con 7 storie autoconclusive. Questi racconti sono tutti accomunati dall'effetto nostalgia per l'infanzia lontana e il rimpianto per la perdita della magia tipica di quell'età da parte dei protagonisti - sempre uomini maturi di 30-40 anni. Racconti in cui il protagonista si rende conto degli errori passati che hanno influenzato anche il proprio modo di vivere il presente, ma a cui in un modo o nell'altro si riesce a porre rimedio con un po' di coraggio.
Storie malinconiche e poetiche adatte a tutti, ma consigliabili soprattutto agli adulti.
Storie malinconiche e poetiche adatte a tutti, ma consigliabili soprattutto agli adulti.
Voto massimo per quest'altra "fatica" di Adachi.
Forse molti di voi potranno trovare eccessivo un dieci per una raccolta di mini-storie autoconclusive, per me invece il voto massimo è l'unico che rende giustizia a quella che, personalmente, trovo essere la raccolta che cercavo da tanto tempo: una raccolta di storie focalizzate in principal modo sui sentimenti che un ragazzo adulto prova nel guardare il proprio passato, nell'esplorare ancora una volta quelli che erano i luoghi magici dell'infanzia e alle amicizie che parevano tanto solide allora ma che col tempo si sono consumate, e quelli che fino a pochi anni fa potevano essere considerati "fratelli" oggi magari sono poco più che "vecchie conoscenze".
Questo tema centrale di Adachi sa anche molto di denuncia verso il mondo moderno che, come un tornando, fagocita le persone dentro ad un sistema sempre in rapida ascesa e che non lascia spazio ai personaggi (e quindi alle persone) di coltivare, anche per poco, quelli che sono i ricordi e i rapporti interpersonali.
L'autore non dice mai e poi mai nelle sue storie di continuare a giocare al parchetto a 30 anni di età, sarebbe pazzo e assurdo, però come tanti suoi colleghi hanno fatto e continuano a fare, vuole farci capire quanto sia importante coltivare certi aspetti della nostra vita, sopratutto della sfera famigliare e delle amicizie piuttosto che seguire sogni effimeri ed illusioni della società che in un modo o nell'altro non ti daranno mai abbastanza gratificazioni. Non a caso gli "eroi" degli shonen commedia e sentimentali non sono mia ricchi fighetti di successo, ma sempre (e sopratutto nel caso di Adachi) ragazzi semplici e normali, ed è questa la loro ricchezza.
Il manga lo consiglio a tutti, anche se forse è più indicato ai "vecchietti" come me che hanno superato i 20/21 anni e che, per motivi di studi o lavoro, si sono allontanati dai "luoghi dell'infanzia" o dalle amicizie del passato e cercano, attraverso la lettura, un senso quasi di vicinanza con i protagonisti disegnati. A tutti gli altri invece dico: attenzione, perché rischiate di non cogliere la poesia legata alla malinconia dei ricordi, e dico chiaramente che se non si coglie questa poesia questo boken shonen non è molto di più che 200 pagine bianche e nere.
Forse molti di voi potranno trovare eccessivo un dieci per una raccolta di mini-storie autoconclusive, per me invece il voto massimo è l'unico che rende giustizia a quella che, personalmente, trovo essere la raccolta che cercavo da tanto tempo: una raccolta di storie focalizzate in principal modo sui sentimenti che un ragazzo adulto prova nel guardare il proprio passato, nell'esplorare ancora una volta quelli che erano i luoghi magici dell'infanzia e alle amicizie che parevano tanto solide allora ma che col tempo si sono consumate, e quelli che fino a pochi anni fa potevano essere considerati "fratelli" oggi magari sono poco più che "vecchie conoscenze".
Questo tema centrale di Adachi sa anche molto di denuncia verso il mondo moderno che, come un tornando, fagocita le persone dentro ad un sistema sempre in rapida ascesa e che non lascia spazio ai personaggi (e quindi alle persone) di coltivare, anche per poco, quelli che sono i ricordi e i rapporti interpersonali.
L'autore non dice mai e poi mai nelle sue storie di continuare a giocare al parchetto a 30 anni di età, sarebbe pazzo e assurdo, però come tanti suoi colleghi hanno fatto e continuano a fare, vuole farci capire quanto sia importante coltivare certi aspetti della nostra vita, sopratutto della sfera famigliare e delle amicizie piuttosto che seguire sogni effimeri ed illusioni della società che in un modo o nell'altro non ti daranno mai abbastanza gratificazioni. Non a caso gli "eroi" degli shonen commedia e sentimentali non sono mia ricchi fighetti di successo, ma sempre (e sopratutto nel caso di Adachi) ragazzi semplici e normali, ed è questa la loro ricchezza.
Il manga lo consiglio a tutti, anche se forse è più indicato ai "vecchietti" come me che hanno superato i 20/21 anni e che, per motivi di studi o lavoro, si sono allontanati dai "luoghi dell'infanzia" o dalle amicizie del passato e cercano, attraverso la lettura, un senso quasi di vicinanza con i protagonisti disegnati. A tutti gli altri invece dico: attenzione, perché rischiate di non cogliere la poesia legata alla malinconia dei ricordi, e dico chiaramente che se non si coglie questa poesia questo boken shonen non è molto di più che 200 pagine bianche e nere.
L’Avventuroso è una raccolta di storie brevi di Adachi a tema, che hanno come soggetto dei ragazzi che ricordano la loro infanzia, caratterizzata da diversi eventi che hanno poi ripercussione nel loro presente. E’ l’occasione per leggere un Adachi diverso del solito, solo uno dei racconti riguarda il baseball, gli altri propongono situazioni diverse, ma che mantengono lo stesso stile narrativo.
La cosa più bella di questa raccolta è l’edizione offerta da Star Comics, davvero molto bella: formato ampio e molte pagine a colori, ad un prezzo decisamente abbordabile. L’impatto grafico è decisamente tra i migliori che Adachi ha offerto, complice anche l’ottimo uso dei colori.
I racconti sono carini, ma molto brevi. Hanno una struttura simile, con il deus ex machina finale che mostra l’infanzia del protagonista, e come il suo passato influisca, più o meno magicamente, sul presente. Fra tutti mi è piaciuto quello del truffatore, che vede un elemento magico, presente anche in altre storie. In una è presente quello soprannaturale, seppur appena accennato.
Il problema è che, come spesso accade nelle raccolta di storie così brevi, non riescono a lasciare molto. Finita la lettura, pur piacevole e spesso toccante, il tutto termina lì, lo spunto in fin dei conti è svolto velocemente, senza che ci sia tempo per attaccarsi a personaggi o all’ambientazione, e pertanto lasciano poco il segno.
Rimane comunque una raccolta ispirata e piacevole, della quale vi consiglio la lettura, ancor più perché ben portata in Italia e molto curata.
Di rado ho visto tante tavole a colori in un manga arrivare fino all’edizione italiana.
Se vi piace Adachi da avere assolutamente, per gli altri rimane una buona raccolta, ma se non conoscete l’autore, non è il miglior modo probabilmente per approcciarsi a lui, essendo comunque racconti un po’ particolari, e tutti di poche pagine.
La cosa più bella di questa raccolta è l’edizione offerta da Star Comics, davvero molto bella: formato ampio e molte pagine a colori, ad un prezzo decisamente abbordabile. L’impatto grafico è decisamente tra i migliori che Adachi ha offerto, complice anche l’ottimo uso dei colori.
I racconti sono carini, ma molto brevi. Hanno una struttura simile, con il deus ex machina finale che mostra l’infanzia del protagonista, e come il suo passato influisca, più o meno magicamente, sul presente. Fra tutti mi è piaciuto quello del truffatore, che vede un elemento magico, presente anche in altre storie. In una è presente quello soprannaturale, seppur appena accennato.
Il problema è che, come spesso accade nelle raccolta di storie così brevi, non riescono a lasciare molto. Finita la lettura, pur piacevole e spesso toccante, il tutto termina lì, lo spunto in fin dei conti è svolto velocemente, senza che ci sia tempo per attaccarsi a personaggi o all’ambientazione, e pertanto lasciano poco il segno.
Rimane comunque una raccolta ispirata e piacevole, della quale vi consiglio la lettura, ancor più perché ben portata in Italia e molto curata.
Di rado ho visto tante tavole a colori in un manga arrivare fino all’edizione italiana.
Se vi piace Adachi da avere assolutamente, per gli altri rimane una buona raccolta, ma se non conoscete l’autore, non è il miglior modo probabilmente per approcciarsi a lui, essendo comunque racconti un po’ particolari, e tutti di poche pagine.
Devo dire che era da tempi del manga "al tempo di papà" di Jiro Taniguchi che non trovavo quella malinconia dei tempi passati che ho ritrovato nell'Avventuroso di Adachi. Se uno vuol scoprire la tanto celebrata poesia di Adachi e non ha voglia o tempo o denaro per leggere Touch o Rough diciamo che l'Avventuroso fa al caso loro. Molto bello, stranamente anche meglio disegnato con personaggi un pochino più personificati. Questo volume racchiude più storie quindi anche generalizzarle diventa difficile. Posso solo dire che Adachi si è impegnato a regalarci un altra ottima opera che, con un po' di nostalgia, ci prende nella lettura e ci fa passare una bella mezz'oretta. A me è piaciuto!
Meravigliosa serie di racconti autoconclusivi di Mitsuru Adachi. L'avventuroso racconta una serie di storie interessanti che fanno riflettere su varie fasi della nostra vita come può essere quella di perdere un amico o quella di credere in un qualche eroe. Molto soddisfacente come volume e soprattutto interessante. Sono stato colpito da quella dei ragazzi che rimangono incastrati nella foresta per un guasto alla macchina e lo spirito del loro amico deceduto li aiuta.
E' veramente difficile iniziare un commento per questo tipo di manga; come sempre il caro Adachi ha dato il meglio di se con queste storie brevi; già mi erano piaciute particolarmente, quelle raccolte nei volumetti, di Short Programm, ma devo dire, che ne l'avventuroso, non sapevo nemmeno se commuovermi o ridere, per l'ottima qualita delle storie; l'unica, e devo proprio dirla, l'unica pecca, che ritrovo in tutte le storie del maestro Adachi, è il fatto che il disegno dei personaggi, sia dei bambini che degli adulti, spesso un pò si ripete e prendendo le sue vecchie opere, spesso si vedono personaggi di opere diverse, molto simili tra di loro; ma ormai su questo ci ho messo una pietra sopra e non ci penso più; punto invece sulla trama, che riesce sempre a renderla interessante ed il più delle volte nuova, a volte usando lo sport, a volte usando solamente momenti di vita vissuta. Potrei continuare a parlare di quanto mi sia piaciuto l'avventuroso, ma altre parole non servirebbero a nulla; mi rimane da dire che tra le sette storie, ho apprezzato moltissimo, Perdersi e l'eroe; infine invito tutti ad andare a comprare questo piccolo capolavoro; vi assicuro, non tradirà le vostre aspettative.
Quando si conclude la lettura di <b>Boken Shonen - L’avventuroso</b>, di <i>Mitsuru Adachi</i> non si può che sorridere. Sospesi tra passato e presente, i personaggi delle sette storie brevi li abbiamo discretamente scorti nella docile, rotonda mano del maestro mangaka, già autore di <i>Rough, Touch</i> e <i>H2</i>. E la prima lieve sensazione è quella di appartenere precisamente alla stessa sospensione.
Lettori di manga, perché. Forse proprio per queste tinte rivelatesi dolci, nelle pagine splendide a colori dell’edizione di <b>Star Comics</b>, ma sempre sottintese; sappiamo che tra le infinite produzioni esistono percorsi che difficilmente tradiscono, e lasciano assolutamente pieni, ritrovati, ben oltre una distanza culturale infinita (per questo, i miei complimenti alla Star per l’idea, espressa nel comunicato, di chiudere un cerchio con le <b>Edizioni Nerbini</b> del 1934).
Nello specifico il senso di Boken Shonen è riassunto tutto nella splenda copertina.
Un ragazzino dallo sguardo deciso e rivolto verso il lettore - sullo sfondo le case di una cittadina provinciale come tante – proietta dinanzi a sé un’ombra ben più lunga della sua statura. Adachi mette in gioco due interessanti voci: i sogni, i desideri dell’infanzia dialogano con i rimpianti, gli imbarazzi dell’età adulta senza sposare alcuna risoluzione del confronto, bensì mostrando alcune delle infinite possibilità del vivere.
Nei racconti “<i>Oltre la porta</i>” e “<i>Le scale del tempo</i>”, un truffato e un ladro, due protagonisti opposti, vivono due vicende persino libere dal limite del reale, del razionale, aprendo la poesia del maestro a declinazioni suggestive del magico, procurandosi una seconda possibilità che sa di pesante leggerezza (è davvero possibile che una scelta diversa scriva una vita diversa?).
“<i>Perdersi</i>” e “<i>L’eroe</i>” sono invece sensibilmente vicini alle curve dell’amicizia nel tempo: quando il ricordo stesso arriva a mentire, perché asservito dal pregiudizio che riscrive ogni storia, quando il ricordo invece riesce a rivelare, perché una colpa alle spalle può rendere immobili per sempre.
In “<i>Un arco celeste</i>” il tema del passato va a incastonarsi su un anello assai caro alla poetica di Adachi, il rapporto con il padre e i suoi sogni (mi sovviene in H2 un preside ottuso per le delusioni patite), e la cornice è quella familiare del baseball.
Infine i meravigliosi “<i>Invio</i>” e “<i>L’album da disegno</i>”, in cui fa capolino, profumato e sostanzioso, l’amore: appena un cenno, ma splendidamente introdotto, è nel paradossale rapimento del quinto racconto, che rievoca le capsule del tempo già tesoro di altri manga recenti (<i>La Clessidra</i>, per esempio, di <i>Hinako Ashihara</i>); uno splendido commiato, nell’ultimo racconto del volume, dedicato a chi sogna di disegnare e inventare storie, perché riesca a mantener viva l’immaginazione contro l’inganno e le radici più nere dell’animo umano.
Insomma, il percorso di Boken Shonen (serie di racconti pubblicati tra il 1998 e il 2006 su <i>Big Comic Original</i>) è davvero ricco e piacevole; come già accennato l’edizione appare particolarmente curata, in un alternarsi virtuoso di pagine a colori, pagine in tricromia, pagine in bianco e nero. La mano di Adachi è moderna ma sempre personale, e il suo mondo, spesso ironico finanche rispetto al tratto e alle scelte formali adottate, non sembra temere invecchiamento né noia.
Lettori di manga, perché. Si diceva all’inizio di questa recensione. Perché lavori come questo ci offrono chiavi per decifrare il sogno, forse l’illusione, di un’anima da leggere e comprendere, proponendo strade distinte, diverse, che ameremo oggi come quando saremo adulti, più adulti, ancora ragazzini.
Lettori di manga, perché. Forse proprio per queste tinte rivelatesi dolci, nelle pagine splendide a colori dell’edizione di <b>Star Comics</b>, ma sempre sottintese; sappiamo che tra le infinite produzioni esistono percorsi che difficilmente tradiscono, e lasciano assolutamente pieni, ritrovati, ben oltre una distanza culturale infinita (per questo, i miei complimenti alla Star per l’idea, espressa nel comunicato, di chiudere un cerchio con le <b>Edizioni Nerbini</b> del 1934).
Nello specifico il senso di Boken Shonen è riassunto tutto nella splenda copertina.
Un ragazzino dallo sguardo deciso e rivolto verso il lettore - sullo sfondo le case di una cittadina provinciale come tante – proietta dinanzi a sé un’ombra ben più lunga della sua statura. Adachi mette in gioco due interessanti voci: i sogni, i desideri dell’infanzia dialogano con i rimpianti, gli imbarazzi dell’età adulta senza sposare alcuna risoluzione del confronto, bensì mostrando alcune delle infinite possibilità del vivere.
Nei racconti “<i>Oltre la porta</i>” e “<i>Le scale del tempo</i>”, un truffato e un ladro, due protagonisti opposti, vivono due vicende persino libere dal limite del reale, del razionale, aprendo la poesia del maestro a declinazioni suggestive del magico, procurandosi una seconda possibilità che sa di pesante leggerezza (è davvero possibile che una scelta diversa scriva una vita diversa?).
“<i>Perdersi</i>” e “<i>L’eroe</i>” sono invece sensibilmente vicini alle curve dell’amicizia nel tempo: quando il ricordo stesso arriva a mentire, perché asservito dal pregiudizio che riscrive ogni storia, quando il ricordo invece riesce a rivelare, perché una colpa alle spalle può rendere immobili per sempre.
In “<i>Un arco celeste</i>” il tema del passato va a incastonarsi su un anello assai caro alla poetica di Adachi, il rapporto con il padre e i suoi sogni (mi sovviene in H2 un preside ottuso per le delusioni patite), e la cornice è quella familiare del baseball.
Infine i meravigliosi “<i>Invio</i>” e “<i>L’album da disegno</i>”, in cui fa capolino, profumato e sostanzioso, l’amore: appena un cenno, ma splendidamente introdotto, è nel paradossale rapimento del quinto racconto, che rievoca le capsule del tempo già tesoro di altri manga recenti (<i>La Clessidra</i>, per esempio, di <i>Hinako Ashihara</i>); uno splendido commiato, nell’ultimo racconto del volume, dedicato a chi sogna di disegnare e inventare storie, perché riesca a mantener viva l’immaginazione contro l’inganno e le radici più nere dell’animo umano.
Insomma, il percorso di Boken Shonen (serie di racconti pubblicati tra il 1998 e il 2006 su <i>Big Comic Original</i>) è davvero ricco e piacevole; come già accennato l’edizione appare particolarmente curata, in un alternarsi virtuoso di pagine a colori, pagine in tricromia, pagine in bianco e nero. La mano di Adachi è moderna ma sempre personale, e il suo mondo, spesso ironico finanche rispetto al tratto e alle scelte formali adottate, non sembra temere invecchiamento né noia.
Lettori di manga, perché. Si diceva all’inizio di questa recensione. Perché lavori come questo ci offrono chiavi per decifrare il sogno, forse l’illusione, di un’anima da leggere e comprendere, proponendo strade distinte, diverse, che ameremo oggi come quando saremo adulti, più adulti, ancora ragazzini.