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kirk

Volumi letti: 34/34 --- Voto 9
"Classe di ferro" inizia veramente col botto: il primo volume è pieno di storie divertenti in cui facciamo conoscenza degli studenti dell’Otoko Juku ovvero una scuola che come dice il nome forma uomini-demoni e qual è l’aspetto principe del demoniaco se non la violenza.
Certo c’è molta ironia nella storia di questi studenti di una scuola che esiste da 300 anni e che punta a formare non studiosi, ma veri uomini, ma nel senso di guerrieri.
Come dicevo dopo i primi episodi divertenti si procede con storie di combattimenti nel genere "Hokuto no Ken", ma decisamente più stupidi e seriali, con temi ricorrenti come bestie od insetti usati come arma, veleni e acidi. Una cosa mi ricorda "Fairy Tail" che a Mashima non perdono ma perdono a Akira Miyashita: i personaggi resuscitano in continuazione! Dovrebbero essere morti sciolti nell’acido o avvelenati da sostanze in grado di uccidere 10 elefanti e sopravvivono sempre. Un’altra cosa che non sopporto è la catch phrase del preside della scuola: "io sono il preside della Otokojuku, Edajima Heihachi!” come se la cosa valesse chissà quanto.

La storia procede con vari tornei mortali in cui i nostri eroi sconfiggono avversari di valore, a volte fanno amicizia, sempre si comportano con onore rifiutando trucchi e mostrandosi generosi.
Il protagonista è Momotaro Tsurugi (“Momo” per gli amici) ma anche se avrà un ruolo fondamentale non è né il più forte né il protagonista assoluto: vi ricordate cosa vi diceva il professore di italiano parlando dei Malavoglia di Giovanni Verga? “Un romanzo corale”.
"Classe di ferro" è un fumetto corale in cui molti personaggi guadagneranno spazio a danno degli altri ma a rotazione, di fatto in ogni torneo ci sono vari duelli e ogni duello vede opposte coppie diverse e non invece il solo Momo contro tutti. La qualità dei duelli è in genere alta, ma alla fine mi hanno stufato, d’altronde la trama è veramente minima. Alla fine le ultime due saghe vengono concluse anzitempo.

In Italia l’opera è stata pubblicata da Star Comics in 20 volumi da cinque/sei euro ai tempi ancora in cui c’erano i Kappa Boys ma non aveva sfondato.
Io promuovo tutto con un nove: le trovate dei combattimenti sono molto stupide e belle e l’autore usa le pubblicazioni della Minmei Shobo come pezze d’appoggio. Io pensavo che fosse impossibile esistessero libri con informazioni così curiose e incredibili… ma tale editrice esiste davvero: l’ho trovata su internet!


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balordo91

Volumi letti: 34/34 --- Voto 10
Un manga dell'epoca d'oro della shonen jump anni 80 arrivato in Italia purtroppo troppo tardi, ma meno male che è arrivato!
"Sakigake!!Otokojuku" è una scuola fondata per formare grandi condottieri del futuro con metodi anacronistici e nazionalisti, governata da un preside, ex eroe della seconda guerra mondiale, che ripete sempre la stessa divertentissima frase nelle situazioni più disparate: "io sono il preside della Otokojuku, Edajima Heihachi!" e che più che una "scuola" ha fondato una sorta di base militare. Ci viene introdotto il protagonista Momotaro Tsurugi sopranominato "Momo", un samurai taciturno maestro di spada leale che porta un'Hachimaki bianca sulla fronte e la sua katana. Non manca niente in "Sakigake!!Otokojuku", partendo dall'ironia iniziale demenziale della gag arc, come il bagno nell'olio bollente di Togashi o il rugby armato nella prima saga per poi formare un vero e proprio gruppo di amici/combattenti (Momo, Togashi; J, Toramaru, Hidemaro inizialmente, per poi espandersi) chiamati a combattere in un torneo mortale a squadre (per motivi che non spoilero), senza esclusione di colpi con tecniche iconiche dei nostri protagonisti che non sto qui a elencare, ma davvero assurde e stravaganti che vi stupiranno.
Il nostro protagonista, taciturno è sempre pronto al confronto con il ghigno di sfida sul viso, Momotaro Tsurugi come caratterizzazione a me, insieme a Kenshiro, ha ricordato molto Jotaro Kujo di JoJo, Otokojuku, come stile a mio avviso ha ispirato JoJo, io lo considero un po' come fosse la serie 0 di JoJo per lo stile dei combattimenti e il chara del sensei Miyashita, gli altri personaggi di Otokojuku non sono da meno, ognuno caratterizzato alla perfezione formando un gruppo di combattenti al quale ci si affeziona molto rapidamente.

In Otokojuku ogni personaggio è sempre pronto a mettersi alla prova e a morire in combattimento. L'azione, lo stile assurdo delle tecniche nei combattimenti folli, adrenalinici e bizzarri più belli per me stanno in "Sakigake!!Otokojuku", io l'ho letteralmente adorato alla follia questo manga, per me merita un 10.


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Darkwil

Volumi letti: 34/34 --- Voto 9
Ma che spasso incredibile doveva essere Shonen Jump negli anni ottanta!
Ho sempre pensato che fosse il prototipo, l'antenato, dei più recenti shonen alla Fairy Tail: sempre nuovi, tantissimi personaggi, combattimenti a non finire, con tecniche e situazioni sempre più assurde.
Non c'è che dire: l'ho adorato! Divertentissime gag, alleanze con personaggi che ti fanno quasi "esaltare" e tante citazioni di altri manga. Per noi italiani sono impossibili da cogliere tutte, io ne ho notate più di qualcuna che rimandava a personaggi e pose di Hokuto no Ken.
Complimenti alla Star Comics che lo aveva portato in Italia con un ottimo formato e pubblicato velocemente.
Opera passata ai più inosservata e tuttora a molti sconosciuta. Per come funzionano le cose sono convinto che se la serie animata (che so che esiste, ma non ho mai visto) passasse in Tv o su qualche portale streaming questo diventerebbe un manga che tutti vorrebbero.


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AlbertoBrescia

Volumi letti: 20/34 --- Voto 8
Se credete che i fratelli di Kenshiro siano solo tre, cioè Raul, Toki e Jagger vi sbagliavate: non ho mai visto tante facce uguali a Kenshiro, con i mascelloni squadrati, dei petti che sembrano lavagne delle superiori talmente solo larghi, e muscoli d'acciaio come in questo manga...questo diciamo è quello che salta all'occhio finito i 20 mega volumi...
La storia tratta di una scuola, la Otoku Juku, dove si iscrivono tutti i ragazzacci che le altre scuole non vogliono, e il programma didattico è quello di fortificare questi giovani attraverso vari addestramenti e discipline di combattimento per forgiarne il carattere, per essere pronti un giorno a essere uomini d'onore e virili e guidare il Giappone. Questo è più o meno quello che si capisce dal manga.
Il succo è ben diverso e si tratta di 20 mega volumi dove i ragazzi se le danno di santa ragione, ma non all'interno della scuola, come insegnano gli altri shounen studenteschi, ma veri e proprio tornei di arti marziali...
Devo dire che la trama è un po' ripetitiva, nel senso che attacca il cattivo, sembra che riesca a vincere, poi salta fuori un'arte segreta dello studente della Otoku Juku, il buono, e vince, magari a costo della vita, però diciamo che il filo conduttore sarà così per tutti i tornei.
Quello che mi ha fatto arrivare fino alla fine è la fantasia che ha il mangaka Akira Miyashita, vedrete delle cose che neanche immaginate, siccome i combattimenti sono tanti, vedrete armi segrete, arti segrete, una serie di tattiche di guerra mai concepite.
Il bello del manga è questo, ecco spiegato il mio 8, la fantasia che vedi nei combattimenti e come scorrono via le pagine nel seguire questi tornei senza annoiarti.
Dai tutto sommato direi che un 8 è il suo voto, anche perchè non vorrei far arrabbiare i fratelli non riconosciuti di Kenshiro.


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Ais Quin

Volumi letti: 20/34 --- Voto 7
"Il valore di un uomo si rivela nell'istante in cui la vita si confronta con la morte."
(Yukio Mishima, "Lezioni spirituali per giovani samurai e altri scritti")

Sto immaginando di sfogliare molto velocemente, senza aprirlo del tutto, un numero di "Weekly Shōnen Jump" della seconda metà degli Anni Ottanta: sebbene non ci sia solo quello ciò che più mi colpisce è senza dubbio la quantità di muscoli guizzanti, di pose plastiche e di sangue che sfila sotto ai miei occhi. Ma davvero stiamo parlando di una rivista destinata ai giovanissimi? No, perché "ai miei tempi", vale a dire al giorno d'oggi, storie così cruente sarebbero considerate seinen. Incredibile, poi, come alcune di loro si assomiglino per aspetto e per contenuti, per non parlare del modo in cui sembrano strizzare l'occhio ad un Occidente sempre più accessibile grazie alla globalizzazione. Lande desolate e teste che esplodono al tocco di un ombroso giustiziere? Benvenuti nel mondo assai poco ospitale di "Hokuto no Ken". Citazioni musicali e trash ben oltre i livelli di guardia? Comincio a chiedermi se ci vogliano più Joestar per sconfiggere un vampiro con manie di grandezza o per cambiare una lampadina. E poi c'è "Sakigake!! Otoko Juku" di Akira Miyashita, conosciuto (ma non troppo) in Italia come "Classe di ferro", che goliardicamente copia ed ispira, crea e distrugge, conserva ed innova in nome dell'equilibrio tra tradizione orientale ed influenze straniere.

Giappone, 1985. Sono passati quarant'anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e trentatré da quel fatidico 28 aprile 1952, quando l'entrata in vigore del Trattato di San Francisco pose fine all'occupazione del paese. Le nuove generazioni, inebetite dal troppo benessere, sognano l'America, mentre coloro che hanno vissuto sulla propria pelle l'umiliazione di essere governati dai gaijin in casa propria guardano all'Occidente con la naturale diffidenza di chi non può e non vuole dimenticare. Per Heihachi Edajima, ex eroe di guerra e preside dell'Otoko Juku, il tempo sembra essersi fermato: con polso fermo e voce tonante egli inculca ai suoi allievi i medesimi precetti di virilità e di identità nazionale che hanno caratterizzato la sua giovinezza, avvalendosi di metodi educativi che definire poco ortodossi sarebbe un eufemismo. Soltanto chi dimostrerà di possedere forza di volontà e sangue freddo in abbondanza potrà uscirne vivo e quindi prendere in mano le redini di un Giappone sempre più in bilico tra tradizione e modernità, e pazienza se nessuno di loro andrà mai oltre le tabelline o l'antesignano di "The pen is on the table". Tra assurde punizioni corporali, terribili prove di coraggio, senpai sui generis ed insegnanti incompetenti le matricole, capitanate dal flemmatico Momotaro Tsurugi, fanno del loro meglio per rivelarsi all'altezza della situazione.

I battle shōnen non mi piacciono granché. No, aspettate, non è esatto: non mi piacciono i battle shōnen che se la tirano senza poterselo permettere. Ci sono però alcuni titoli su cui vale la pena di investire, ed è proprio a costoro che "Otoko Juku" si ripropone di fare il verso invitando il lettore a non prenderlo troppo sul serio. Ma una parodia troppo accurata e affettuosa non corre forse il rischio di trasformarsi in qualcosa di molto simile all'oggetto del suo scherno? E soprattutto, non saranno un po' troppi trentaquattro volumi (venti nell'edizione nostrana) per trasmettere il messaggio, che rischia di giungere a destinazione annacquato?

All'inizio Miyashita opta per un taglio umoristico ideale per mettere in luce tutti gli eccessi e le esilaranti contraddizioni della dottrina Edajima (e quindi della stessa società giapponese di allora), dopodiché "Otoko Juku" diventa in tutto e per tutto un picchiaduro cartaceo. Inutile dire che l'unica regola, valida per entrambi i lati del cosiddetto Quarto Muro, è che non ve n'è alcuna. Quantunque l'intrattenimento sia assicurato devo ammettere di aver più volte sentito la mancanza di parentesi che permettessero al lettore di tirare po' il fiato il fiato tra uno scontro e l'altro, tanto che a un certo punto ho iniziato ad avere dei problemi nel tentare di non confondere combattimenti e combattenti fra loro. E attenzione, non è che Miyashita non sia in grado di fare qualcosa di così semplice, soprattutto se rapportato ad altre sue trovate quali, ad esempio, la creazione di un'intera bibliografia di arti marziali atta a conferire agli scontri una parvenza di credibilità: ne abbiamo la riprova verso la fine del manga, quando i nostri protagonisti, reduci dalle sfiancanti Olimpiadi della Sfida al Cielo, attendono l'alba in vista della nuova sfida che si profila loro davanti, quella delle Sette Zanne delle tenebre.
La trama si fa vedere poco e con esitazione, quasi come se avesse paura di interferire con l'interminabile sequela di combattimenti implicata da un simile cambio di registro. Visto il tenore della serie non c'è nulla di strano nel fatto che Miyashita se ne esca con qualche "ass pull" di tanto in tanto, anche perché le proibitive scadenze di "Jump" sono del tutto incompatibili con eventuali cali d'ispirazione, ma di qui a farne una regola il passo dovrebbe essere tutt'altro che breve. Peccato che il "papà" di Momotaro e compagnia sembri fare un po' troppo affidamento sul fatto che da una serie come questa il lettore non si aspetta che ogni suo lampo di genio abbia un senso. Che dire inoltre di tutte quelle morti che, per un motivo o per l'altro, si rivelano soltanto apparenti? Le prime volte ci può anche stare, ma dopo aver fatto risorgere praticamente mezzo cast direi che è ora di darci un taglio, parodia o non parodia - sempre, naturalmente, che la ragione non sia da ricercare anche nei gusti del pubblico di "Jump", che come tutti sanno viene tenuto in grandissima considerazione. Non so a quante ragazzine potesse interessare un titolo del genere, ma suppongo che Hien, a cui almeno in termini di bellezza piace vincere facile, debba aver costituito per loro un notevole incentivo. E dato che siamo in argomento ritengo assai probabile che la prematura conclusione degli ultimi due archi narrativi (si fa per dire...) del manga sia da imputarsi proprio ad un suo calo di popolarità, perché altrimenti non si spiega come mai siano così involuti per contenuti e modalità di svolgimento rispetto a quelli precedenti.
Ovviamente un'opera incentrata su combattimenti, soprattutto se quantomeno strampalati, richiede una dose da cavallo di "info-rigurgiti" verbali e/o visuali che aiutino il lettore a capire cos'è appena successo. Poteva forse "Otoko Juku" fare eccezione? A tale proposito ho una confessione da fare: arrivata circa a metà delle Olimpiadi della Sfida al Cielo ho smesso quasi del tutto di prestare attenzione a qualsiasi ovvietà uscisse dalle bocche dei telecronisti di turno, in genere Togashi e Toramaru. E no, non mi sento affatto in colpa per questo.

Dacché mondo è mondo ogni titolo ha le sue priorità, che variano a seconda del genere a cui appartiene. Credo si possa dire che in linea di massima lo scavo introspettivo non rientra tra quelle dei battle shōnen, anche se fortunatamente ne esistono alcuni capaci di infondere persino alla sottoscritta un po' di fede in questo tipo di opere. Rifacendosi essenzialmente a "Hokuto no Ken", che nel corso dei suoi ventisette volumi tocca - peraltro con estrema puntualità - una considerevole gamma di emozioni, "Otoko Juku" affronta tematiche importanti quali l'amicizia, il rispetto, il perdono, l'onore, la vendetta, il sacrificio e la rivalità, senza tuttavia prendersene gioco come ci si aspetterebbe. Ma come delineare la psicologia dei numerosissimi personaggi se non esiste una trama di fondo con cui giocare in tal senso? La risposta è tanto semplice quanto odiosa: utilizzando il raccontato al posto del mostrato. Certo, ogni tanto Miyashita ci fa l'onore di concederci qualche flashback più o meno succoso su questo o quello studente, ma nulla che possa mettere a tacere per sempre la fame di contenuti con cui ci tocca fare i conti. Di alcuni, poi, non è dato sapere pressoché nulla, come nel caso di Momotaro che, da vero Gary Stu (corrispettivo maschile della Mary Sue, ovvero un personaggio talmente perfetto da risultare irreale), si direbbe scaturito dalla testa del suo autore così come lo vediamo, alla stessa stregua della dea Atena - quella vera, non quella di Kurumada. Chi è quindi l'uomo chiamato Momotaro Tsurugi? Esiste davvero oppure si limita ad incarnare l'archetipo dell'eroe dei battle shōnen? Se da un lato una simile approssimazione a livello psicologico si spiega con il fatto che il vero protagonista del manga è il corpo studentesco dell'Otoko Juku nella sua interezza, dall'altro si tratta di un ostacolo che si sarebbe potuto aggirare in tutta tranquillità evitando di introdurre tonnellate di personaggi "usa e getta" (sì, Togo, sto guardando proprio te) o al limite fondendone alcuni fra loro.

La fantasia di Miyashita - che, ribadisco, non è in dubbio - trova ulteriore modo di esprimersi nel tratto, che combina stili di disegno molto diversi fra loro come, ad esempio, quelli dei sopracitati Hara e Kurumada. Divertentissimo e quantomai inaspettato, inoltre, il tributo a Riyoko Ikdea nella persona di un elegante e femmineo guerriero identico a Oscar François de Jarjayes. Peccato che le tavole risultino piuttosto caotiche, circostanza che in parte giustifica la massiccia presenza di balloon e di pannelli espositivi - ma solo in parte, eh?

A questo punto presumo che qualcuno di voi si stia chiedendo come mai, nonostante tutti i difetti da me ravvisati, abbia deciso di valutare questo manga con un 7. Non ho problemi ad ammettere di essere una contachiodi, ma al tempo stesso riconosco che, per quanto possa sforzarmi, non riuscirò mai a comprendere del tutto lo spirito degli Anni Ottanta per il semplice fatto che non li ho mai vissuti; ne consegue che il quadro generale di "Otoko Juku" è destinato a sfuggirmi, circostanza di cui devo per forza tenere conto.
Oltre a ciò le domande che mi sono posta nel decidere che voto dargli sono essenzialmente queste: mi intrattiene? Accidenti, sì: i vari volumi si leggono in un soffio ed è davvero impossibile non rimanere a bocca aperta di fronte all'ennesima trovata di Miyashita, capace di convertire qualsiasi oggetto di uso comune in un'arma impropria. Lascia qualcosa dietro di sé, oltre a qualche spunto di riflessione sul rapporto d'amore e odio che fin dai tempi dei gesuiti e dei primi conquistatori portoghesi lega il Giappone all'Occidente? Chiedetelo alla Capcom o anche soltanto ad Araki, se proprio non vi va di abbandonare le pagine di "Jump". Tuttavia ritengo che la sua estensione e la sua ambizione abbiano finito, a lungo andare, per ritorcerglisi un po' contro.


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The Narutimate Hero

Volumi letti: 20/34 --- Voto 9
"Se non dovessi farcela, sappi amore mio che vivrò per sempre nel tuo cuore, e ti aspetterò nell'aldilà, ti ho sempre voluto bene e sempre te ne vorrò..."
"Caro, devi solo operarti di unghia incarnita, non c'è bisogno di fare tutte queste scene, sii uomo!"

"Prof, non posso essere interrogato, vede... Ieri non sono riuscito a tornare a casa, l'autobus è rimasto senza benzina... Avevo una gomma a terra... Non avevo i soldi per prendere il taxi... La biblioteca non mi ha consegnato i libri! C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!"
"John, se non avevi voglia di studiare almeno ammettilo, sii uomo..."

"Oddioddioddioddioddio... non ce la faccio a dirglielo, ho troppa paura... e se poi mi dice di no?"
"Dai, si vede che le piaci, e lei ti piace, fatti coraggio e diglielo, sii uomo!"

Cos'è un uomo?
Cosa vuol dire essere uomini veri, è solo una sterile dimostrazione di forza bruta, di tracotanza fine a sé stessa, o è qualcosa di più profondo, di più importante?
Per saperlo dobbiamo tornare indietro di parecchi anni, e spostarci in Giappone, per vedere che stava accadendo da quelle parti in quel periodo.
Nel 1985 D.C., tutto il Giappone era stato conquistato dalla cultura occidentale. Tutto? No!
Nella periferia di Tokyo c'è una piccola scuola superiore che resiste ancora e sempre all'invasore, una piccola scuola di irriducibili Giapponesi, la Otoko Juku. Una scuola dove l'unico indumento di biancheria concesso è il fundoshi, dove cantare canzoni che non siano Kimi Ga Yo (l'inno nazionale Giapponese) e i canti di guerra è vietato, dove si affrontano prove terribili per forgiare gli animi più saldi e dove solo al secondo anno si cominciano a studiare le "terribili somme delle frazioni".
Sakigake!! Otoko Juku (conosciuto in Italia come Classe di Ferro-Otoko Juku) mostra le sue carte sin dal primo volume, e si può facilmente capire dove voglia andare a parare l'autore Akira Miyashita: azione, legnate, umorismo, mascolinità strabordante (soprattutto grazie ai disegni che molto devono a Tetsuo Hara e lo dicono anche abbastanza esplicitamente in un paio di scene) e genialità nell'inventarsi tante arti marziali, tante soluzioni assurde, tanti combattimenti con regole deliranti e pericolosissime, più qualche messaggio nascosto.

Chi conosce la storia Giapponese del Ventesimo Secolo sa che quello è stato un periodo di rivoluzione assoluta per il sol levante, dove la rigidissima cultura nipponica si è ritrovata a doversi aprire a quella delle altre nazioni, tra assolutisti che vedevano il nuovo come il demonio e i giovani, più aperti e ribelli, che abbracciavano queste novità, musicali, letterarie o culturali in generale.
Heihachi Edajima, il preside della Otoko Juku (personaggio assolutamente geniale e ben stampato nell'immaginario collettivo Giapponese) è per certi versi un ottimo punto di svolta per la gestione della sua scuola. Si è laureato all'Università Imperiale di Tokyo, ha combattuto nella seconda Guerra Mondiale, venendo poi venerato come un mito, e infine ha raggiunto la sua posizione all'interno dell'istituto, e qui, a poco a poco, pur mantenendo salde le radici di orgoglio nipponico che contraddistinguono l'edificio, si è aperto anche lui al resto del mondo, a una maggiore libertà pur rimanendo orgoglioso delle sue origini, per far si che i suoi studenti possano crescere anche in maniera migliore.
L'adattarsi ai tempi che cambiano pur non perdendo la propria identità storica è quindi una delle tematiche nascoste dietro alla fracassona trama di questo manga, e di pari passo va anche il tema del ricambio generazionale, un ricambio consapevole e da accettare per far sì che le nuove generazioni crescano nel modo giusto e raggiungano a loro volta la vetta, questo si noterà soprattutto nella seconda metà della serie, con passaggi di testimone tra senpai e kohai così commoventi da far percepire nel profondo quanto la fiducia verso le capacità degli uomini del domani dev'essere sentita, in quanto non è semplicemente il futuro che sostituisce il passato bensì dev'essere proprio il passato a farsi da parte per primo, lasciando comunque traccia di sé, un segno indelebile nell'eternità anche nelle generazioni successive.

Oltre al tema del rinnovamento "intelligente" e del ricambio generazionale, è un altro il tema che circonda la storia, senza dubbio il più sentito e più evidente, tanto da essere sottilmente ammesso dall'autore nel discorso in chiusura della serie: il tema dei legami tra le persone e della loro solidità.
Legami d'amicizia, d'affetto, d'amore, di stima e d'ammirazione, ma anche contrastanti, d'odio, di rivalità, di vendetta, d'invidia, sentimenti che possono legare amici, compagni di scuola, compagni d'armi, genitori e figli, fratelli, innamorati corrisposti e non corrisposti, persino uomini e animali, in quanto è pieno di combattenti che lottano al fianco di creature di vario ordine e grado e che li trattano come veri e propri figli o, nel caso dei più deplorevoli, solo come armi di cui sbarazzarsi quando non servono più.
Si tratta di una vera e propria analisi della vita adolescenziale in salsa combattiva, perché è quella l'età dei protagonisti, anche se non sembra, e loro vivono, come più o meno noi, lo stesso tipo di scoperta del rapportarsi con gli altri tipico dell'adolescenza, i legami d'amicizia coi compagni di scuola, il voler rendere orgogliosi i genitori o il volersi ribellare a loro rifilandogli uno schiaffo morale, gli amori dolorosi o meno, e anche il dolore nel perdere qualcuno, dolore che porta a crescere e maturare, se affrontato con lo spirito giusto, lo spirito della Otoko Juku, in fondo.
Inizialmente poi, si può trovare folle che la frase-tormentone "io sono Heihachi Edajima, il preside della Otoko Juku!" possa essere considerato un discorso con parole ricche di significato, ma chiuso il ventesimo volumetto italiano, si finisce per comprendere almeno un po' cosa voglia dire questa frase, di cui non spiegherò la mia interpretazione personale, lascerò alla mente di chi legge, finita la storia, fare le giuste supposizioni.
Le avventure di Momotaro, di Togashi, di Matsuo, Tazawa, del professor Orco Barbuto e di tutti quelli che verranno dopo saranno intensissime, senza mai un attimo di stanca, pur andando nella parte finale dell'opera (dal diciassettesimo volume Italiano in poi) a standardizzarsi un po'.

Sono purtroppo presenti alcune dimenticanze di trama che non generano incongruenze pesanti ma sono comunque da segnalare, come gente che recupera dita o braccia perse senza che venga detto niente su come ha fatto, ok che hanno le antichissime tecniche di medicina cinese dalla loro, ma un minimo di spiegazione sarebbe stato gradito.
È tutto sommato un peccato poi che la penultima saga si chiuda in un modo un po' frettoloso, per quanto comunque l'autore sia riuscito a mettere in piedi una conclusione divertente ed esaltante.

Il tratto di Miyashita è quanto di più anni '80 possibile, con personaggi maschili possenti e dall'aspetto adulto (e anche parecchio nerboruto) e, di contro, pochissimi personaggi femminili disegnati, dove non sono vecchiette comiche, in maniera aggraziata e con garbo, senza eccedere in maniera esagerata come sovente capita oggi, ma senza risparmiarsi in delicato fascino.
Il character design subisce un'impennata nel corso dell'opera, con personaggi assolutamente fuori dagli schemi ed estremamente diversi l'uno dall'altro: se all'inizio l'opera si basa solo su ciò che avviene all'interno della scuola, e quindi l'abbigliamento dei personaggi è ricco di ragazzi/omoni con le divise scolastiche lunghe e nere, proseguendo si avrà modo d'aver a che fare con antichi Egizi, Dei dell'Olimpo, citazioni ad altre famosissime opere dell'epoca o tizi talmente ben caratterizzati da ispirare in futuro personaggi di altre produzioni (Dhalsim e T.Hawk di Street Fighter sono nati qui).
Peccato solo il buon Akira seppur ricco di fantasia pecchi in attenzione di quando in quando, sono presenti infatti alcuni refusi (non troppo grandi in realtà) nell'aspetto di alcuni personaggi: cicatrici che vanno e vengono, per esempio, e in una scena il buon Tazawa riesce a tenere le braccia conserte e contemporaneamente massaggiarsi il mento con una terza mano.
Sono dettagli minuscoli, che di certo non rendono l'opera meno bella sotto l'aspetto grafico dove anzi eccelle ma che è giusto citare per dovere di cronaca.

L'edizione italiana dell'opera, a cura della Star Comics, è più breve dell'originale in quanto i volumi sono più grandi di quelli giapponesi ma la storia è stata pubblicata nella sua integrità.
L'adattamento è ottimo e divertente, per quanto da un certo punto in avanti (in corrispondenza con l'addio dei Kappa Boys alla Star, peraltro) c'è un calo qualitativo generale nell'adattamento e nel lettering, con refusi sia grammaticali che di natura più problematica (nel volume 17, il peggio adattato di tutta l'opera, viene detto che tre personaggi sono morti quando non lo sono e la frase era intesa come "sono rimasti loro e sono morti gli altri", oltre a esserci un grossolano errore di matematica, stavolta non colpa dei cattivi insegnamenti dei prof della scuola).
La carta utilizzata è solida e priva di trasparenze, e i volumi per quanto cicciosi sono resistenti.

Classe di Ferro-Otoko Juku si prefigge dunque un obiettivo chiaro e tondo (voler essere uno shonen ironico/iconico ricchissimo di combattimenti sì drammatici, sì seri, ma dotati di una vena delirante evidente, anche solo nelle descrizioni delle arti marziali, che se all'inizio sembrano serissime, poi diventano una chiara farsa da millantatore di quart'ordine e non si vergognano d'esserlo) e tanti obiettivi segreti (narrare una storia con un evidente invito al rinnovamento, sull'importanza del ricambio generazionale e sulla forza dei legami che si vengono a creare e sciogliere, nel bene e nel male, nel corso dell'adolescenza, o della vita in generale) sin dalla prima pagina e li centra tutti, finendo per stamparsi a chiare lettere nel cuore di chi ha saputo cogliere lo spirito della Otoko Juku e quindi lo spirito dell'opera, e si è affezionato a quei personaggi, tanto da sentirli davvero come loro compagni di crescita, e si stima il preside come se fosse il proprio, come un vero e proprio padre, anzi, una figura così calda, possente, seriosa e affidabile e così incredibilmente divertente e comica che è davvero impossibile non amare.
Una bellissima opera sfaccettata, con dei piccoli lati grezzi, ma con un grande cuore e un'atmosfera speciale, guascona fuori, dolce (una dolcezza mascolina e virile, ma sempre calda è) e matura dentro.
E soprattutto, divertentissima e comica come ormai non se ne vedono più.

Tratto da: Mille modi per elaborare una recensione sulla narrativa disegnata orientale nel corso dei secoli, pubblicato dalla Minmei Shobo


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ShinichiMechazawa

Volumi letti: 20/34 --- Voto 8
Se si esamina il periodo d'oro di Shonen Jump, gli anni '80, si nota come siano palesi tante influenze occidentali in molti dei suoi pezzi da novanta. Hokuto No Ken non nasconde il fatto che i suoi autori siano fan di Mad Max e di altri film d'azione di quel periodo e similmente faceva Dr. Slump & Arale; per non parlare delle Bizzarre Avventure di Jojo!
In un quadro simile un manga come quello che sto recensendo rappresenta una mosca bianca nella sua "giapponesità" quadrata che offre pochissimo spazio alla pop culture occidentale con omoni per la stragrande maggioranza nipponici, muscolosissimi e sempre pronti all'estremo sacrificio. Questo spirito giapponese viene a volte celebrato e a volte parodizzato. Insomma, a metà tra il bushido e gli "idioti dell'onore" di battiatiana memoria.

Ora, di preciso, i venti volumoni dell'opera di che trattano? È presto detto: la prima parte mischia in maniera convincente lo shonen d'azione alla commedia scolastica offrendo numerosi siparietti demenziali, resi imperdibili grazie a un cast ben assortito con protagonisti e comprimari ben riusciti (a parte il "protagonista" della storia, ma ne riparlerò più avanti) che vanno dal ciccione imbranato al secchione che in realtà è ignorante come una capra culminando nell'impareggiabile e pelatissimo preside.
A questa prima parte segue la seconda, ben più lunga, composta da una lunga sequela di tournament arcs che introdurranno un numero sempre crescente di personaggi. Da una parte questa scelta lascia poco spazio all'umorismo demenziale e alla caratterizzazione, dall'altra i combattimenti sono per la maggior parte impostati benissimo e a dir poco appassionanti.

Particolarmente efficace l'espediente di prendere sul serio tutti gli assurdi stili di combattimento presentati con tanto di spiegazioni prese da enciclopedie fittizie, un'idea che crea un'efficace sensazione di straniamento che non mancherà di far strappare più di un sorriso.

E ora prendiamo in mano la chitarra scordata, che bisogna cominciare l'ingrato lavoro di spiegare le note dolenti del manga: innanzitutto il modo in cui è impostata la seconda parte lascia ben poco agli sviluppi della trama, che spesso finisce per essere un pretesto per vedere mazzate assortite. Secondo, il tratto di Miyashita, efficace nei combattimenti ma un po' traballante nelle anatomie e che pecca anche di essere un po' derivativo.
Ultimo, un protagonista decisamente amorfo che aderisce agli stereotipi più classici dell'eroe da shounen e che quindi finisce per essere adombrato dai suoi comprimari, sia quelli più seri che quelli più strampalati.

In conclusione è un'opera che andrà benissimo per chi stravede per un certo tipo di fumetto d'azione "old school" mentre rischia di lasciare l'amaro in bocca a chi vorrebbe qualcosa di più: non è assolutamente uno dei migliori esponenti dello Shonen Jump degli anni '80 ma si fa comunque leggere con piacere.

Un'ultima cosetta: vedete il voto finale che gli ho affibbiato? Bene, prendetelo e aggiungete o togliete una o due cifre a seconda dei vostri gusti.


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Nyx

Volumi letti: 20/34 --- Voto 9
Titolo originale di quest'opera è "Sakigake!! Otoko Juku" e si tratta di un manga apparso per la prima volta nel 1985 su Shonen Jump sulla scia dell'arcinoto Ken il Guerriero. Le affinità con quest'ultima opera sono relative quasi unicamente allo stile di disegno, oltre al fatto che, ovviamente, anche Classe di Ferro tratta combattimenti all'ultimo sangue.
Come accennato in precedenza lo stile del disegno ricorda moltissimo quello di Hokuto No Ken, con uomini dalle dimensioni muscolari a dir poco esagerate e dalle tecniche di lotta completamente fuori dall'ordinario, ma Classe di Ferro è un'opera che va presa più alla leggera, si alternano fasi comiche ad altre decisamente più seriose se non drammatiche e commoventi.

La Otoko Juku per la cronaca non è altro che una scuola, o meglio, un istituto correttivo, quindi tutt'altro che un istituto scolastico convenzionale. Neanche a dirlo la materia predominante è l'allenamento del corpo e dello spirito, nelle materie tradizionali gli alunni della Otoko Juku sono a livelli di prima elementare ma questo poco importa dato che lo scopo dell'istituto sarebbe quello di forgiare gli elementi che saranno un giorno in grado di guidare il Giappone o forse il mondo intero.

Inizialmente ero perplesso sull'acquisto di questo manga, ma nel giro di pochi volumetti si è tramutato nell'appuntamento mensile atteso con maggiore impazienza e tutt'oggi la rileggo volentieri ad ogni occasione. Pubblicato dalla Star Comics in un'edizione come al solito priva di sovraccopertina, ma con volumetti di notevoli dimensioni, si è conclusa alla ventesima uscita. I primi cinque volumetti venivano venduti al prezzo di 5 euro mentre dal sesto in poi si è passati a sei euro cadauno. Soldi ben spesi considerando le dimensioni dei volumetti (350pg) e la qualità dell'opera. Come tutte le opere edite dalla Star Comics trovare gli arretrati non sarà un problema e ne vale la pena.


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Kotaro

Volumi letti: 20/34 --- Voto 9
Navi. Una flotta di navi a vapore di colore nero, che a metà dell'800 solcano il mare approdando alla baia di Edo.
Fra i tanti modi in cui si può cominciare a parlare di Otoko Juku, ho scelto di partire da qui, perchè è da qui che comincia la storia del Giappone moderno e dunque, trasversalmente, anche quella della Otoko Juku.
Lo sbarco di quelle navi, giunte dall'America, è l'inizio di un processo che porterà il Giappone, da secoli chiuso in sè stesso, ad apprendere l'esistenza dell'Occidente, fino ad allora quasi completamente ignorato. E' l'inizio di una nuova storia, la storia di un paese che scopre di non essere unico come credeva, ma anzi per certi versi inferiore ai paesi dell'Occidente. Una storia fatta di sconfitte, di battaglie, di trattati ineguali imposti, di rivalsa, rimodernizzazione, riorganizzazione e tecnologizzazione del proprio paese, di guerre mondiali e bombe nucleari, di occupazioni straniere, di imperatori considerati divini per secoli che d'un tratto si rendono conto di non esserlo, di modernità e tradizione, Oriente e Occidente che si scontrano in maniera ambivalente.
Tale è la storia del Giappone moderno, una storia che dall'Occidente e in particolar modo dall'America è ancora oggi fortemente influenzata.
La restaurazione del paese nel periodo Meiji, la sconfitta subita nella seconda guerra mondiale, lo spettro di Hiroshima e Nagasaki e gli anni dell'occupazione americana hanno lasciato un solco indelebile nei Giapponesi del '900, influenzando la cultura, la società, la politica e, di rimando, anche la letteratura, scritta o disegnata.
Siamo negli anni '80, gli stessi anni in cui Kimagure Orange Road di Izumi Matsumoto offriva un universo giovanile fatto di fast food, cocktail, locali alla moda, musica rock e bellissime ragazze vestite all'occidentale. Gli anni di Kinnikuman, spassoso omaggio in salsa di soia agli eroi del wrestling a stelle e strisce. Gli anni di "Licia", cresciuta dal tradizionalista "Marrabbio", cuoco di okonomiyaki appassionato di enka, che deve battersi per far trionfare la sua love story con "Mirko", spregiudicato asso del rock dall'aspetto effeminato e dai variopinti capelli cotonati. Gli anni di Kenshiro, indomito erede di una orientalissima e tradizionale scuola di arti marziali (con tanto di templi, statue buddiste e santoni) che si muove in un universo postnucleare fra giacche di pelle, borchie, colossali teppisti in motocicletta con colorate creste punk e plateali omaggi al wrestling e alla cinematografia americana di quel periodo.
E' in questi anni di ambiguità, in cui i giovani sognano l'America con grande dispiacere dei "vecchi", che han fatto la guerra e invece vedono l'America come un nemico, che nasce Otoko Juku.

Una scuola maschile, fuori moda, tradizionalista, infernale, in cui il programma di studio è quello delle elementari nonostante l'età anagrafica piuttosto alta degli studenti. Ma lo studio è soltanto una minima parte di ciò che viene richiesto agli allievi della scuola, i quali dovranno sottoporsi ad allenamenti impossibili, indicibili torture e rischiosi combattimenti, seguendo una metodologia assurda, anacronistica, che li porterà a diventare veri uomini, forti nel corpo e nello spirito, le future colonne del Giappone di domani. Una scuola che, a trent'anni dalla fine dell'occupazione americana e dalla conseguente demilitarizzazione del Giappone, trasporta i suoi iscritti in un mondo rimasto ancorato alla Grande Guerra, impartendogli un'educazione paramilitare e di stampo estremamente tradizionalista.
Se davvero esistesse un istituto del genere nel mondo reale, sarebbe chiuso in tre secondi, con relativa chiusura permanente in manicomio del direttore e del corpo docenti, ma Otoko Juku è un manga, quindi non prendiamolo sul serio e facciamoci due (ma anche di più) risate nel leggere di questa scuola così bizzarra, dove improbabili allievi con fisici da Mr. Olympia studiano le tabelline o inglese da terza elementare, devono sottostare (non senza prendersi gioco di loro all'occorrenza) a professori tanto massicci quanto tonti, vengono puniti se indossano abiti occidentali o se cantano le canzoni di Michael Jackson sotto la doccia e, fra un'assurdità e l'altra, si incamminano sulla strada che li porterà a diventare veri uomini in un lontano futuro di cui essi stessi saranno i pilastri.
Le porte di questa assurda scuola si aprono dunque ai bizzarri personaggi di cui seguiamo le vicende: Momotaro Tsurugi, impassibile spadaccino e protagonista "formale" della storia; Genji Togashi, teppistello rissaiolo ma dal grande onore; Ryuji Toramaru, forzuto, mangione e caciarone; Taio Matsuo, allegro e buontempone "ouendan"; Shinichiro Tazawa, che è considerato un gran pozzo di scienza ma è rimasto alle tabelline e a "This is a tako!"; Kiyomi Tsubakiyama, ragazzone enorme ma che non farebbe male ad una mosca; Hidemaro Gokukoji, mingherlino rampollo di un clan mafioso in rovina che è stato mollato alla scuola e dovrà suo malgrado adattarsi e poi J, promettente giovane pugile americano in scambio culturale.

Dopo un gruppo di episodi introduttivi, che servono al lettore e ai nuovi iscritti per familiarizzare con questa bizzarra scuola, le sue regole e il suo personale, fra deliranti gite scolastiche e lezioni tutte da ridere, ecco che rapidamente Otoko Juku cambia registro e si trasforma in una gran sequela di tornei e combattimenti, prima realizzati all'interno della scuola (e dunque occasione per conoscere meglio gli studenti del secondo e del terzo anno, oltre che altre assurde regole e prove della scuola) e poi svolti all'esterno e presentanti numerosi nuovi personaggi provenienti non dal solo Giappone ma anche dalla Cina, dall'India, dalla Siberia, dall'America, dall'Egitto, dalla Francia e via discorrendo, in quello che sarà un vero e proprio picchiaduro da sala giochi ante litteram.
In un primo momento, rapiti dalla divertentissima vita scolastica dei primi volumi, magari i lettori hanno un attimo di sconforto nell'apprendere che Otoko Juku adesso sarà soltanto composto da innumerevoli combattimenti, ma gettendosi nella lettura, pian piano, ci si fa l'abitudine e si rimane assuefatti anche da questi scontri, che si rivelano essere sempre interessanti e mai noiosi, oltre che, a ben guardare, perfettamente incastrati in una trama più profonda che però non si coglie immediatamente.
I personaggi mostrati nei vari combattimenti saranno tantissimi, ma mai uguali. Gente di tutto il mondo, dallo spiccatissimo design (che spesso e volentieri strizzerà l'occhio a manga come Ken il guerriero, I cavalieri dello zodiaco, Lady Oscar, a film americani o che, addirittura, talmente apprezzato, sarà poi alla base di popolari personaggi di videogiochi futuri) e dalle tecniche assurde e imprevedibili (oltre alle arti marziali "canoniche" troveremo l'uso di armi di ogni tipo, anche delle più svariate specie animali addestrate per il combattimento), sempre puntualmente spiegate dai deliranti manuali enciclopedici della Minmei Shobo, che provano a dare una descrizione scientifica di tutte queste assurde arti marziali che sarebbero alla base di fenomeni moderni come le granite o Batman o sarebbero state usate nelle più grandi battaglie della storia antica.

Ci crediamo? Non ci crediamo? Realtà? Verità? Menzogna? Finzione? Comicità? Serietà? Parodia? Esaltazione?
E' difficile da stabilire. Otoko Juku è insieme esaltazione e parodia, un'opera che, lo dice esplicitamente, non si prende e non va presa sul serio, che vuole scherzare su tutto e proporre assurdità ed esagerazioni. Eppure, fra i mille combattimenti di Otoko Juku si coglie perfettamente tutta l'essenza del Giappone degli anni '80, ma anche il Giappone del '900 e molte simbologie e stili di vita del Giappone stesso. La dicotomia fra Oriente e Occidente, fra modernità e tradizione, apertura e chiusura, vecchio e nuovo. Il parodico militarismo e nazionalismo di quella strana scuola che fa il verso ai giovani in guerra della Seconda Guerra Mondiale. L'incrollabile spirito di questi ragazzi che, fra una lotta e l'altra, sono pronti a dare la vita per i propri principi, a combattere a costo di elevatissimi sacrifici, a credere fra lacrime, sangue e sudore in un'amicizia virile, pura, sincera, che si esprime più coi gesti che con le parole e che può anche portare a perdonare il proprio acerrimo nemico o a trovare in un rivale uno stimato amico. L'estremo rispetto per le istituzioni, per i cosiddetti "senpai", i compagni più grandi che vanno rispettati e temuti e che a loro volta devono dare il buon esempio ai loro "kohai", i compagni più giovani ai quali un giorno lasceranno il testimone.
L'amicizia e i legami fra le persone, che possono mutare col tempo e generare odio e vendetta, ma anche e soprattutto rispetto, perdono, sacrificio, amore.
La vita votata alla lotta di questi "veri uomini", che spesso e volentieri compiono gesti estremi, come i samurai dell'epoca feudale, come i tokkotai (o kamikaze che dir si voglia) della Seconda Guerra Mondiale, come splendidi petali di ciliegio che si mostrano in tutta la loro bellezza per pochi istanti per poi cadere per sempre.
Otoko Juku è, per chi sa guardarlo più a fondo, tutto questo. E' una parodia? Oppure, tacitamente, vuole rappresentare la realtà e i sentimenti di un paese che viveva in quel periodo la scissione fra le sue secolari tradizioni e la modernità che avanzava, dare il buon esempio ai giovani lettori affascinati dalle mode occidentali e ricordargli valori tradizionali da tenere sempre in mente, affiancandoli ad un estetica (si guardi lo stile di disegno, che fa palesemente il verso al Tetsuo Hara di Ken il guerriero, serie di grido del periodo di pubblicazione) moderna?
La risposta è, inaspettatamente, molto difficile da dare. Ma quella che ci giunge dalla matita di Akira Miyashita è decisamente soddisfacente. Otoko Juku è un'opera divertentissima, ma anche molto lirica, passionale, toccante, indimenticabile, capace di lasciare col fiato sospeso per colpi di scena e combattimenti appassionanti, così come di far scendere copiose lacrime ("manly tears", le si chiama in gergo) ai suoi lettori e di farli ridere come non mai con gags davvero riuscitissime, efficaci tormentoni (impossibile non affezionarsi al celeberrimo "Io sono Heihachi Edajima, il preside della Otoko Juku!") e personaggi indimenticabili, capitanati dallo straordinario preside Edajima, esagerato baluardo di un mitico Giappone bellico che sbeffeggia e insieme esalta celebri eroi di guerra nipponici e al contempo si mostra forte, divertente, un po' stupido ma innegabilmente umano, riuscendo ad entrare nel cuore dei lettori con inaspettata facilità.

Siamo di fronte all'opera perfetta? No, purtroppo qualche difetto ce l'ha anche Otoko Juku, come una gestione dei personaggi non sempre ottimale (giustificabile col fatto che, come da titolo, protagonista è la collettività della scuola e tutti gli studenti hanno avuto le loro più o meno grandi spotlights nel corso della storia) e degli ultimi volumi un po' traballanti, che comunque preludono ad uno dei finali più divertenti che siano mai stati scritti.
Piccolezze che, se possono dar fastidio in un primo momento, ben poca cosa sono al confronto di un'opera intrisa di passione, capace di mettere in scena eroismi e sentimenti davvero grandi e di rappresentare fra le sue pagine l'essenza intrinseca e la storia di un intero paese.

Si tratta dunque di un'opera consigliatissima, che farà felicissimi gli amanti delle botte in salsa anni '80 e chi negli anni '90 campeggiava nelle sale giochi (di contro, potrà scoraggiare chi si è formato con le produzioni più moderne, ma voi dategli ugualmente un'occhiata, che non sarà tempo perso, quello speso a leggere questo manga), ma che, dietro le botte, nasconde molto di più. Per un lettore straniero e/o non avvezzo alla storia e alla cultura del Giappone, sarà ben difficile capire cosa sia, questo "qualcosa", ma ciò che rimarrà nel suo cuore, chiuso l'ultimo volumetto, sarà una storia che difficilmente dimenticherà.


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scar89

Volumi letti: 14/34 --- Voto 8
Per coloro a cui piacciono i manga anni 80, questo è pane per i loro denti. Nonostante l'età (1985) il disegno è ben curato e la trama arriva spesso a livelli surreali ma la stessa sgorga in bellissime ed esilaranti scenette. Gli stessi nomi delle tecniche sono sia esagerate che divertenti. I personaggi sono pure loro strambi si parte da un preside fuori come un balcone fino e degli studenti che fingono l'harakiri.

BigPanda

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BigPanda

Volumi letti: 8/34 --- Voto 9
Manga immancabile per tutti gli amanti dei combattimenti! Un applauso ad Akira Miyashita che è riuscito a miscelare violenza, azione, comicità e momenti drammatici in una serie interminabile di combattimenti appassionanti.
Trovo molto interessanti le citazioni tratte dalle pubblicazioni della Minmei Shobo che aggiungono un tocco di classe al manga.
La storia si basa sui combattimenti resi ancora più interessanti da personaggi carismatici come Date e Momotaro.
Infine personaggi assurdi e divertenti come Toramaru o Edajima danno un tocco di comicità alla storia!
Insomma... un mix divertente e appassionante in 20 volumi da più di 300 pagine ciascuno.

BioNeon

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BioNeon

Volumi letti: 5/34 --- Voto 10
Erano ANNI che non mi divertivo così con un manga. Come già scritto da Mumba c'è la caricatura dello spirito nazionalista nipponico. Tutti i personaggi, dal protagonista ai co-protagonisti, sono ottimamente realizzati. Carismatici al punto giusto.
Quanti di voi leggendolo non hanno ripetuto almeno una volta sola "sono heiachi edajima, preside della otoko juku"? Ovviamente ridendo ? xD Oltre a lui un comprimario fantastico come Togashi. Per anni passò come la terza serie di Hokuto No Ken. Per me supera la seconda serie di HnK di brutto!
Disegni molto simil-hara (d'altronde erano soliti in quel periodo..vedi pure la prima serie di Jojo). Fantastiche le descrizioni / nomi delle prove da affrontare (tutte al limite dell'umano xD ).
E grazie Star per questo piccolo grande capolavoro rimasto nei confini nipponici per oltre 20 anni e da Voi riscoperto e pubblicato in maniera eccelsa in supervolumi. Capolavoro da avere.
Sono certo non mi deluderà!

Mumba

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Mumba

Volumi letti: 5/34 --- Voto 9
Splendidamente anni '80, caricatura dello spirito nazionalista giapponese (attraverso l'esasperata e demenziale ostentazione dell'amicizia virile) non privo di una certa dose di violenza.
I personaggi sono ben caratterizzati, le vicende (per ora) piuttosto appassionanti: insomma un'opera che si legge bene, a cui dò un 8 nella speranza che non vada calando nei prossimi volumi.