Nell'ambito della rassegna Lucca Comics & Games 2024, la casa editrice Dynit ha invitato come ospite l'autrice Akane Torikai, artista capace di affrontare tematiche spinose e complesse all'interno delle sue opere.
 
Torikai intervista

AnimeClick ha potuto seguire la mangaka durante le sue apparizioni pubbliche in fiera, nonché richiederle un'intervista privata esclusiva, grazie alla disponibilità dell'editore Dynit.
Di seguito vi proponiamo quindi il resoconto dei vari incontri, possiamo così approfondire ulteriormente il suo stile e la sua poetica.
 
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Intervista privata ad Animeclick (1 novembre 2024)

In tale occasione, la sensei ha risposto a diverse curiosità sulle sue opere. Ve ne riportiamo qui un paio, rimandandovi al video integrale per tutti gli altri aneddoti emersi durante l'incontro.
Si ringrazia Dynit Manga per la disponibilità e la gentile concessione.
 

Intervista integrale ad Akane Torikai

AnimeClick: siamo a Lucca Comics and Games assieme alla sensei Akane Torikai e ad Asuka Ozumi di Dynit Manga. Confessiamo che ci piacerebbe parlare con la sensei per diverse ore a riguardo delle sue opere, ma ci limiteremo ad alcune domande; ci teniamo inoltre a ringraziarla per le opere che ha scritto, perché leggere le sue opere e vedere le tavole che lei ha disegnato è davvero per noi un'emozione grandissima.

Akane Torikai:
grazie a voi.
 
Torikai Animeclick

AC: nel suo diario Un amore da manga, lei ha scritto parole molto potenti. C'è una frase che mi ha colpito moltissimo: "solo perché donna, mi hanno messo dalla parte di chi viene consumata passivamente. Nelle parole che mi sono state rivolte finora ci sono state cose intollerabili ed è per questo che scrivo manga. Coi fumetti io comunico tutto questo".
Per lei è ancora così?


A. T.: rispetto al momento in cui ho scritto quel diario, io sono invecchiata e sono cambiata. Quando ero più giovane avevo per l'appunto questa percezione di sentirmi oggetto di consumo, e dunque queste mie sensazioni io le veicolavo all'interno dei miei manga. Però ora, invecchiando, mi sento maturata: più che a me stessa, io mi rivolgo alle persone più giovani e soprattutto alle donne più giovani. Le osservo, le rendo protagoniste dei miei manga. Soprattutto, quello che auspico per il futuro, è una situazione in cui le giovani donne di oggi possano vivere con una maggiore libertà. Questa è la mia speranza.
Che cosa posso fare io, allora? Il mio lavoro è quello di scrivere manga, e di esprimere per loro tramite tutto questo, in una prospettiva futura in cui non sono più io la protagonista, bensì le ragazze che oggi sono giovani e domani saranno più grandi e più adulte.


AC: in Mandarin Gypsycat's Barricade abbiamo una storia in cui l'ambientazione è un mondo distopico dominato dalle donne, in cui il maschio non esiste quasi più e con esso viene a mancare anche e soprattutto la fertilità maschile. Ciò mi ricorda molto un'altra famosissima opera giapponese scritta da Fumi Yoshinaga, ovvero Ooku - Le stanze proibite: in quel contesto avevamo un'ambientazione feudale, mentre nel suo manga, invece, per l'appunto lo sfondo sembra diverso dalla sua consueta ambientazione contemporanea slice-of-life. Nel suo caso quindi qual è il motivo e quale la genesi di quest'opera?

A. T.: esattamente, proprio come dici tu, io ho sempre ambientato le mie storie nella società contemporanea. La genesi di Mandarin Gypsycat's Barricade ha dei punti di contatto anche con quella di Amour Placebo, perché sono opere che mi sono state commissionate in entrambi i casi da riviste. In questo caso si è trattato di una rivista dai contenuti culturali diciamo abbastanza elevati, tendenzialmente una rivista letteraria dove vengono pubblicate nuove opere letterarie e presentati nuovi libri. Di conseguenza il suo lettore ipotetico è un tipo di lettore completamente diverso dal consueto. A me piace accogliere le nuove sfide, mi piace il sapore della novità; quando mi capita di lavorare per le riviste penso sempre a quali possono essere i punti di contatto tra il mio lavoro e la rivista in questione, per cercare di adattare in qualche modo le mie storie e i miei manga anche al contenitore che le ospiterà.
Di conseguenza mi sono chiesta: "se fossi una lettrice di questa rivista, che tipo di manga mi piacerebbe trovare su queste pagine? Così ho pensato di scrivere una storia che fosse di fantascienza, di science fiction.
Poi c'è anche un'altra cosa da dire: pur nel mio essere molto -per così dire- concreta e molto ancorata alla realtà, mi piace comunque sempre immaginare quali potrebbero essere gli scenari futuri, e di conseguenza chissà, quello narrato nel manga potrebbe in qualche modo essere uno dei mondi possibili. In più, la tematica della riproduzione, intesa proprio per come materialmente i bambini vengono al mondo, è una tematica che mi ha sempre affascinato, e quindi ha assunto un ruolo abbastanza centrale all'interno dell'opera.

 
Gypsy tavola

Infine c'è un ultimo aspetto: più o meno in quel periodo, in Giappone andava molto di moda la parola 'moe'. Nel mondo degli anime e dei manga, sia il sostantivo 'moe' che il verbo corrispondente 'moeru' venivano utilizzati frequentemente.
Quand'ero bambina anch'io leggevo manga e guardavo anime, ma oggi purtroppo non li guardo e non li leggo più, quindi sentivo sempre tutti che parlavano di questo 'moe', ma io non riuscivo a capire esattamente a che tipo di sentimento si riferisse.
Quando qualcuno diceva "provo del moe", era era qualcosa che io non riuscivo a capire. E poi c'è stato un momento in cui ho avuto una specie di illuminazione: dovete sapere che il Giappone ha una squadra di calcio femminile fortissima, vengono soprannominate le Nadeshiko Japan. In quel periodo la capitana della squadra dell'epoca un giorno rilasciò un'affermazione alle sue compagne: "io sto sempre davanti a voi. Quando vi sentite in difficoltà e quando vi perdete d'animo, voi guardate la mia schiena, perché io sarò sempre davanti".
Quando ho saputo di questa sua affermazione ho pensato: "santo cielo, è fighissima". Ed è stato lì che mi sono detta: "ah... forse per me quel sentimento e quell'impeto chiamato 'moe' è qualcosa che io provo di fronte a delle donne forti, che in qualche modo possono essere un punto di riferimento, ovvero nei confronti delle quali io provo ammirazione." E quindi ho pensato: "beh, allora forse potrei cercare di creare delle donne così anche all'interno dei miei manga". E infatti in Mandarin Gypsycat's Barricade ce ne sono.
Aggiungo poi un ulteriore commento personale riguardo a Ooku, che citavi prima: è un manga che io reputo bellissimo, davvero molto interessante.

 
AC: molte delle sue opere sono state trasposte in live action. In merito a questo potremmo aprire vari spunti, ma ci limitiamo a due riflessioni, per le quali chiediamo i suoi pensieri e riflessioni.
La prima riflessione è che La professoressa mente è diventato di recente un film dal vivo, e sappiamo che attorno a questo film ci sono state delle polemiche profonde e pesanti.
In particolare, la gestazione del film è durata oltre sette anni per una serie di fattori: uno di questi è stato che vi sono state numerose attrici candidate al ruolo della protagonista, ma tutte hanno rifiutato perché la loro richiesta di poter avere un intimacy coordinator (figura che si pone come intermezzo tra produzione e attori, supportando questi ultimi nelle scene di intimità, di nudo e coinvolgenti la sfera della sessualità, ndr) nello staff è stata negata da parte del regista. L'attrice Nao ha infine accettato il ruolo pur in assenza di questa figura; a raccontare tutto ciò pubblicamente è stato proprio il regista. Per un film che tratta proprio queste tematiche, non prevedere un intimacy coordinator e soprattutto raccontarlo in tale maniera, crediamo sia qualcosa che fa un po' a pugni con il film stesso.
Volevamo pertanto chiederle se ha piacere di parlarne e di offrirci il suo punto di vista.


A. T.: ciò che che posso dire riguardo alla questione dell'intimacy coordinator nella versione cinematografica de La professoressa mente, è che io sono responsabile. Ovvero c'è della responsabilità mia personale in quello che è successo, poiché in quanto autrice dell'opera originale, io potevo alzare la mano e parlare od obiettare in qualunque momento.
Il progetto è partito sette anni fa, all'epoca la figura dell'intimacy coordinator ancora non esisteva e in Giappone forse si iniziava appena a parlare di questioni riguardanti il 'Me Too' e così via. Oggi è qualcosa di condiviso, cioè che durante le riprese e la produzione di un'opera cinematografica le attrici non debbano sentirsi costrette, o comunque che non debbano avvertire pressione per determinati contenuti che coinvolgano la sfera sessuale.
Cinque o dieci anni fa però era così? No. Nel senso che in fondo tutti siamo sempre stati convinti che, se è prevista una scena di sesso, l'attrice deve spogliarsi e basta. Forse con leggerezza si pensava addirittura che in una scena di questo tipo, quando si fa l'attrice dovrà impegnarsi a girarla. E dunque in un contesto simile, è un film che ha avuto una genesi particolarmente lunga e travagliata, dato che all'inizio appunto non si riusciva a trovare l'attrice, e il tutto è partito con delle premesse di consapevolezza -nei confronti di certe tematiche- che sono diverse da quelle odierne.

 
Sensei_no_shiroi_movie

In più, poi, come dire... la produzione e la derivazione cinematografica di un manga ha diversi attori in gioco: ci sono io che sono l'autrice, c'è l'editore e poi c'è la casa di produzione cinematografica.
L'editoria e il mondo del cinema sono due ambienti completamente diversi: esistono rapporti e pesi di potere completamente diversi, inoltre spesso anche nella comunicazione tra le varie parti a vari livelli serve parecchio tempo, quindi le comunicazioni avvengono molto lentamente. Banalmente, io non so neppure quando di preciso siano iniziate le riprese; però è anche vero che tre anni fa si è iniziato a parlare di intimacy coordinator. Quando ho sentito questa definizione per la prima volta anche al telegiornale mi si è acceso una lampadina in cui ho pensato: "beh sì, forse anche nel film de La professoressa mente forse ci vorrebbe una figura così". Però mi sono fatta dei problemi, per una questione di tempismo: mi dicevo che le riprese erano già iniziate, probabilmente il film era già in una fase avanzata di lavorazione. Nello stesso tempo, anche se lo avessi fatto io sola, avrei dovuto alzare la mano, avrei dovuto esprimermi e far sentire la mia voce.
Penso che la stessa cosa e lo stesso sentimento li abbia provati anche l'attrice (e le altre prima di lei), che ha fatto la richiesta (per poter avere questa figura nello staff), ma non è stata ascoltata. Per quella questione tipicamente giapponese di non voler creare problemi e di mantenere l'armonia, io non ho parlato e analogamente non lo ha fatto l'attrice.
Quindi qual è il problema, alla fine, quando si vengono a creare questo tipo di dinamiche? E' che non è possibile individuare un vero e unico colpevole in questo caso. Perché tutti quanti, nel voler mantenere l'armonia, ci si sobbarca  il peso di questa responsabilità e lo si condivide... per cui alla fine la colpa è di tutti e non è di nessuno.
In Giappone nessuno parla -io in primis- per non creare problemi o disagi, e per evitare di arrecare fastidio agli altri. Si creano però quelle dinamiche che sono in qualche modo anche simili anche per esempio quando si parla di date rape o quei casi di violenza e di stupro di gruppo. Anche lì a posteriori ci sono tutte quelle situazioni in cui ci si dice: "certo che però io potevo alzare la mano, potevo fare questo o potevo fare quell'altro... e invece non l'ho fatto."
Anch'io a mia volta non l'ho fatto per evitare di di creare problemi, però appunto di conseguenza quello che posso dire è che la responsabilità è anche mia.


AC: siamo rammaricati... ma grazie davvero per queste considerazioni.
Per quanto riguarda la seconda riflessione che ci viene da fare a riguardo delle trasposizioni live action, di recente si sono scatenati ulteriori dibattiti nella società giapponese, specie dopo la morte della sensei Hinako Ashihara, che sembra essere stata scatenata da un adattamento del suo manga Sexy Tanaka-san in una serie TV che non ha rispettato quelli che erano i valori, le idee, le storie, i personaggi che la sensei aveva elaborato. Cosa ne pensa lei a riguardo di tutto ciò che è accaduto, e che ha portato molti altri mangaka a dare il loro pensiero e la loro opinione forte in merito, stavolta?


A. T.: nel mio caso, per quanto riguarda il film de La professoressa mente, io ho scritto un messaggio molto lungo che voi potete recuperare tramite internet.
Riguardo la questione della responsabilità di cui si parlava prima, inoltre, volevo aggiungere una cosa: mi pongo sempre il problema dell'integrità, poi però quando si è trattato appunto di quel film, io quell'integrità lì non sono stata in grado di mantenerla. Nel messaggio che ho scritto in merito alla questione dell'intimacy coordinator, l'ho scritto chiaramente: la responsabilità è anche mia.
Nel caso invece della Ashihara, io penso che in qualche modo la sua sia stata un'assunzione drammatica di responsabilità. In un mondo dove nessuno ha voluto assumersi questa responsabilità, lei lo ha fatto con risvolti drammatici. È una cosa tremenda quella che è successo, però da un certo punto di vista io ammiro il suo coraggio.

 
Professoressa film manga

I mangaka o in generale chi crea delle opere da cui poi vengono elaborate delle opere derivate... chi è che deve proteggere queste opere? Sono gli autori e le autrici? O non sono forse invece gli editori, coloro che appunto che poi maneggiano questi diritti? Cioè forse è qualcun altro che deve assumersi questa responsabilità e non io, non Ashihara, non i mangaka.
Penso che sia sbagliato pretendere che siano i creatori a doversi assumere questo genere di responsabilità.
Quando io ho fatto questo mio comunicato in merito al film de La professoressa mente, ho chiesto una cosa all'editore giapponese Kodansha, poiché hanno un ufficio diritti che si è occupato di tutta la transazione per l'adattamento cinematografico.
Dopo che io -in quanto mangaka- mi sono esposta e mi sono assunta la responsabilità di certi errori, ho chiesto all'editore dicendo che forse alla mia dichiarazione doveva seguire la loro. Avrei voluto che loro dicessero "no, non è il mangaka che deve assumersi la responsabilità di questo errore. Siamo noi che non abbiamo vigilato, che non abbiamo controllato, che non abbiamo protetto l'opera e l'autrice." Invece l'azienda questa cosa non l'ha fatta, nonostante io l'abbia chiesta fortemente.
Questo mi ha fatto sentire molto frustrata perché si tratta di dinamiche complesse; è una azienda molto grande e quindi la mia richiesta purtroppo non è stata accolta.
Probabilmente è persino molto più complesso di quello che sembra, perché so che hanno fatto un sacco di riunioni e c'erano tante persone che hanno cercato di portare avanti la mia richiesta, hanno fatto di tutto perché questa mia richiesta venisse esaudita. Ma la decisione finale dell'azienda è stata che proprio a livello legale, cioè in termini legali, una assunzione di responsabilità non si potesse fare; temevano probabilmente che questa cosa potesse poi scatenare una caccia al colpevole o delle forme di compensazione. Quindi, come dire, c'erano di mezzo delle questioni anche legali purtroppo.


AC: da parte nostra la ringraziamo tantissimo per la disponibilità e per il tempo che ci ha dedicato, nonché per l'apertura che ci ha dimostrato e per essere stata così franca e così diretta. I lettori italiani sicuramente saranno davvero molto contenti di poter poi godere di questo approfondimento che ci ha concesso.

 
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Press cafè (2 novembre 2024)
 
torikai press


Moderatore: Akane Torikai la conoscete praticamente tutti. In Italia è stato pubblicato La professoressa mente, adesso Dynit presenta Girl Friends in the Hell. Parleremo poi anche di una prossima opera in lavorazione, molto interessante, di cui deve ancora uscire il primo volume in Giappone.
Ci sono state molte trasposizioni televisive con attori dal vivo delle sue opere e anche il diario Un amore da manga, opera in qualche maniera fondamentale nel suo excursus privato e professionale.
Penso che già lo sappiate, ma la cosa interessante -e io la ringrazio anche per questa sua abitudine- è che Torikai è un'autrice di manga che ama molto raccontare le sue opere e sé stessa. Non è una cosa comunissima, dunque in questo incontro c'è anche questo risvolto molto interessante. Partiamo con le domande, così diamo spazio a tutti.


Stampa: i suoi fumetti sono ricchi di emozioni e arrivano dritti al cuore. Vorremmo sapere da lei dov'è che prende tutte le emozioni che poi inserisce nelle sue storie.

Akane Torikai: innanzitutto grazie per la domanda. Diciamo che le fonti a cui attingo per quanto riguarda le emozioni all'interno dei miei manga, sicuramente sono le relazioni umane che io stessa vivo, e per lo più diciamo le relazioni d'amore. Per esempio, tutte le relazioni che ho avuto in precedenza, quelle all'interno dei matrimoni che ho vissuto e in questo momento anche la relazione che vivo con mio figlio e il rapporto che ho con lui.
Penso che questo valga per ciascuno di noi, in quanto esseri umani che nel relazionarci con gli altri proviamo delle emozioni, pensiamo a tante cose, spesso ci scontriamo con gli altri o ci troviamo di fronte a delle assurdità anche nelle nostre relazioni interpersonale. Penso che queste emozioni che io provo costituiscano la base e l'essenza di quello che poi inserisco nei miei manga. 


Stampa (Laurora Giuseppe Di Nanoda): la mia è una domanda tecnica sul suo stile. Quando lei ha desiderato diventare una mangaka? Cosa l'ha spinta a diventarlo e più o meno in che periodo ha raggiunto il suo stile e il suo tratto caratteristico? 

A. T.: in Giappone ho frequentato una scuola d'arte e ho deciso di diventare una mangaka più o meno in quel periodo. In realtà avrei tanto voluto diventare un'artista o un'illustratrice, ma non avevo sufficientemente talento, e soprattutto ero circondata da persone ben più talentuose di me.
Per fortuna il Giappone è un Paese dove l'industria del manga è particolarmente sviluppata e quindi chi si cimenta con l'arte, chi in qualche modo ha a che vedere con l'arte figurativa e il disegno, per fortuna in questo Paese ha a disposizione questa forma alternativa per guadagnarsi da vivere, rispetto all'Arte con la maiuscola.
Io sono cresciuta vedendo mia madre, che ha sempre lavorato e ha cresciuto me e mia sorella da sola. Quindi ho sempre pensato che anch'io, in quanto donna, avrei comunque lavorato; so che forse come risposta può essere un pochino deludente, ma la mia aspirazione, la mia scelta di diventare mangaka deriva principalmente da una necessità economica. 
Invece, per quanto riguarda la domanda su quando ho avuto la certezza di aver raggiunto in qualche modo un mio stile: premesso che non sono sicura di avere un mio stile nemmeno in questo momento, c'è stato un momento, sì, ed è coinciso con la stesura de La professoressa mente.
Quello che caratterizza le mie opere, al di là di quello che può essere lo stile e l'aspetto grafico, penso che sia il fatto che io parli molto del disequilibrio che c'è nella società tra l'uomo e la donna; non lo vorrei chiamare messaggio, forse questa parola non è esattamente calzante però penso che alcune tematiche che io tratto in qualche modo costituiscano il mio stile, che si è consolidato a partire da La professoressa mente.
 
professoressa mente bacchette

Vorrei aggiungere poi che ambo le cose si sono consolidate dopo aver messo al mondo mio figlio, dopo aver avuto un bambino.
Le donne in generale, nel momento in cui diventano madri e hanno dei figli, tendono a vedere fortemente limitata la propria libertà.
E io avevo paura di questo: temevo che la mia libertà venisse limitata, avevo paura che l'essere madre mi portasse tendenzialmente a stare in casa, a uscire di meno. Avevo paura soprattutto perché mi rendevo conto che in qualche modo, in quanto madre, cercavo per esempio di essere più accomodante, cercavo di essere più dolce. E c'è stato un momento in cui avevo paura che l'essere madre in qualche modo potesse limitare anche la mia aggressività. E' stato più o meno in quel periodo che ho deciso di scrivere La professoressa mente, che è un'opera la cui tematica centrale è lo stupro. Perché l'ho fatto?
Perché volevo mostrare a mio figlio la figura di una donna che ha il coraggio di dire quello che pensa, per non dovermi mai vergognare davanti a lui.
 

*segue un coro di lunghi applausi*

Content creator (Maurizio Iorio - Kirio1984): innanzitutto vorrei ringraziare la maestra per le bellissime opere che ci sta regalando. Vorrei inoltre chiederle quali sono state le differenze maggiori riscontrate tra lo scrivere un manga e scrivere un diario, anche magari nel rapporto con gli editor e quant'altro. Tolta ovviamente la parte illustrativa; poiché comunque le sue opere sono spesso autobiografiche, come si vede anche dalle sue avventure con la scuola guida, per esempio, raccontate meglio nel diario.

A. T.: per quanto riguarda la questione dell'editor, nel caso del diario Un un amore da manga ovviamente si trattava di un editor letterario, quindi si tratta proprio di due figure completamente diverse. L'editor sapeva con chi io avevo una relazione in quel momento (il mangaka Inio Asano, ndr) e il tutto faceva parte di un progetto più ampio che prevedeva che io scrivessi il mio diario, che il mio partner facesse la stessa cosa, ed entrambi avevamo lo stesso editor. Quindi era un progetto molto specifico e circoscritto. Onestamente parlando, penso che non scriverò mai più un diario. 
Per quanto riguarda invece la differenza tra scrivere un diario o scrivere un manga: beh, sicuramente c'è l'immediatezza poiché il diario, è qualcosa che, come dire, quello che uno pensa lo butta giù e gli dà una forma immediata, mentre invece il manga di solito è qualcosa che viene elaborato in un lasso di tempo un pochino più lungo, anche se può capitare che nella storia si ritrovino pezzi della mia quotidianità. Per esempio, prima si parlava della scuola guida; oppure a volte se i miei personaggi mangiano, beh io magari faccio mangiare loro quello che io stessa vorrei mangiare in quel momento. Ci sono ovviamente dei punti di contatto tra la realtà e la fiction dei miei manga, ma penso che la differenza principale sia questa. 


Moderatore: questo è ottimo per la dieta, forse dovrei iniziare a disegnare anch'io quando mi viene voglia di mangiare. 

A. T.: e invece no, perché poi dopo averlo disegnato poi lo mangio veramente!
Un'altra cosa che posso trovare come punto di contatto tra queste due diversi tipi di scrittura è che quel diario in particolare l'ho scritto in un momento in cui stavo vivendo dei problemi, soprattutto avvertivo una profonda solitudine ed ero in una condizione che si può assimilare a quella della sindrome depressiva. Spesso le persone, quando soffrono di questi problemi, scrivono un diario, oppure c'è chi va in terapia; così si vuole in qualche modo dar voce e dare una forma alle proprie sofferenze perché si desidera che qualcuno ci ascolti. Quindi per me, forse l'utilità di quel diario è stata anche quella: quelle cose le scrivevo perché mi sentivo sola e volevo che qualcuno mi ascoltasse. Un qualcuno che poi in realtà era un ipotetico lettore. 
In particolare in quei periodi sono coincisi la stesura del diario e quella di Saturn Return; spesso i miei manga sono anche il riflesso della mia condizione psicologica e del momento in cui li scrivo.
Forse per questo si trovano dei punti di contatto, e soprattutto per chi magari ha letto entrambi, riesce a trovare dei riferimenti reciproci.


Moderatore: prima della prossima domanda, ho una curiosità derivante da un pensiero che mi ha stimolato la sensei in questo momento. Non so se avete notato, ma la sensei parla di rapporti tra uomo e donna non soltanto in termini di violenza fisica, ma anche per tutta una serie di differenze di pressioni sociali e così via.
Chiaramente qui di fronte a me ho solo una curiosità statistica, ma noto una prima fila composta quasi tutta da uomini, e anche le prime quattro domande sono state tutte poste da maschi. C'è secondo me inconsciamente un'attitudine di forse maggiore o minore aggressività nel porsi, credo, però curiosamente in un panel di questo tipo i maschi sono tutti "partiti all'attacco".  E' una cosa su cui dovremmo ragionare, perché chiaramente è un comportamento inconscio.
 

Stampa: ci sono diversi studi antropologici proprio su questa questione. Effettivamente noi donne siamo portate ad essere un pochino più remissive.

A. T.: io invece sono molto stupita di questa cosa, cioè di avere degli uomini in platea. Perché invece in Giappone le persone che si interessano ai miei manga di solito sono donne; quindi il fatto che siate intervenuti qui con così tanto interesse per me è, come dire, peculiare. È davvero molto interessante. 
 
volti torikai


Stampa (Alessia Bertini per Mangialibri): ho conosciuto la sensei con Saturn Return e la prima cosa che mi ha colpito è la grande espressività che riesce a dare ai volti, e soprattutto il suo modo di riportare su carta un mondo interiore spesso anche molto complesso. Mi chiedevo quindi: quali tecniche lei predilige per riportare poi su questi volti il dramma che le persone stanno vivendo? Magari si ispira a fotografie oppure si guarda intorno per raccogliere questa emotività e poi trasporla in bianco e nero sulla carta? 

A. T.: sarebbe top secret, ma ve lo rivelerò in via del tutto eccezionale. Per quelli che sono i momenti chiave io mi ispiro alla mia faccia. 
Il fatto che tu abbia notato l'espressività dei volti mi rende molto, molto felice, quando le persone me lo fanno notare ne sono davvero contenta. In Saturn Return però ho prestato moltissima attenzione anche agli sfondi e soprattutto alle vedute di città. Ho cercato di fare in modo che anche quelle vignette in qualche modo contribuissero a comunicare gli stati d'animo dei protagonisti. 


Stampa: ma lei si guarda allo specchio oppure si fotografa, per avere un'idea di come e cosa riprodurre?

A. T.: mi guardo allo specchio, perché sono espressioni che non potrei mai far vedere a nessuno. 

Content creator: sempre su Saturn Return, vorrei chiederle come ha pensato e tratto ispirazione per il personaggio principale, che -senza fare spoiler- ha un cambiamento caratteriale estremo dall'inizio alla fine dell'opera. E se per le sfaccettature incredibili che ha il suo carattere lei ha tratto ispirazione da altri autori o dalla sua vita, perché è un personaggio pazzesco. Grazie per averlo pensato così.

A. T.: innanzitutto, ovviamente non esiste un modello reale per Ritsuko Kaji, perché sarebbe una persona veramente troppo assurda per esistere davvero. 
Tendenzialmente io provo sempre un profondo interesse verso le donne un po' fuori dalle righe o un po' strane. Per esempio donne criminali, fuggiasche, donne che combinano casini e che attirano l'attenzione dei media. Sono sempre delle figure che in qualche modo mi affascinano, perché certe donne hanno in sé una forza, anche una sorta di tracotanza, di prepotenza, un modo di agire senza preoccuparsi di piacere agli altri.
Queste donne esercitano del fascino su di me perché io invece sono esattamente il contrario; sono un pochino più timida e paurosa, e quindi in qualche modo sono attratta da queste figure.
Se devo essere sincera, all'inizio Ritsuko non mi piaceva, anzi, d'accordo con l'editor lei doveva essere la protagonista-antagonista, la cattiva della situazione, quella con cui nessun lettore e nessuna lettrice avrebbero mai potuto immedesimarsi. Cosa è successo invece a un certo punto? È accaduto che questo personaggio era talmente diverso da me che io mi 
sentivo come se si stesse allontanando sempre di più, sempre di più e troppo da me; a metà della storia ho sentito proprio il bisogno di prenderlo per mano e di riportarlo indietro.
Peraltro ciò ha anche coinciso con un momento in cui io stavo vivendo tutta una serie di problemi a livello personale; quindi io e Ritsuko, sebbene fossimo persone completamente diverse, in qualche modo eravamo legate. Mentre nella mia vita privata io vivevo questo timore di perdermi e di perdere me stessa, sentivo il pericolo di essere annullata, e quindi per controbilanciare ho cercato di ri-attirare Ritsuko verso di me. 

 
Kaji vita

A partire più o meno da metà dell'opera c'è stata poi anche un'esigenza editoriale di dare un taglio diverso alla storia. Banalmente era un problema di vendite, e quindi bisognava cercare di fare qualcosa per dare una scossa all'opera, per risollevare un pochino le vendite: quella che era quindi l'idea iniziale di Ritsuko Kaji è stata sostanzialmente rivista, completamente riscritta, cercando di rendere la storia più avvincente, più appassionante e più divertente. Di conseguenza, nella seconda parte del manga c'è una nuova Ritsuko e poi c'ero io con i miei problemi.
Nei momenti in cui ad esempio Ritsuko scappa nuda, picchia suo marito, guida in autostrada a tutta velocità o ruba la macchina... ecco, più Ritsuko faceva delle cose assurde e più io mi sentivo leggera. E' come se Ritsuko mi avesse permesso di uscire da un guscio; o meglio, è come se ci fossimo state tutte e due. Come se io e Ritsuko fossimo all'interno di una gabbia, ma perché io potessi uscire dalla gabbia c'era bisogno che uscisse prima lei, e mi portasse fuori per mano.
Soprattutto l'ottavo il nono e il decimo volume, ecco, sono dei volumi che io amo moltissimo; mi è piaciuto tantissimo scriverli. Li amo molto. L'evoluzione di questo personaggio in qualche modo ha avuto degli effetti su quella che è la mia vita privata: mi ha fatto sentire molto più libera, e poi la mia realtà di fatto è cambiata, dunque lei è stata per me come un'ancora di salvezza.


Moderatore: intervengo ora perché ci terrei che la sensei raccontasse qualcosa a riguardo del nuovo manga su cui sta lavorando, che deve ancora uscire in Giappone, con un tema di una tragica potenza in qualunque parte del mondo: l'aborto. Vorrebbe raccontarcene la genesi? Come mai lei ha deciso in maniera così forte di puntare su questo manga e come lo sta sviluppando? 

A. T.: quando hai pronunciato la parola aborto ho visto delle espressioni di disapprovazione. L'aborto, ovviamente, è un argomento molto divisivo e in quella che è la mia opera più rappresentativa, che è La professoressa mente, io ho parlato di stupro e di disparità di genere. Argomenti su cui, come dire, oggi siamo tutti d'accordo nel ritenere che siano delle cose orribili e siamo tutti d'accordo nel condannarle. Oggi le persone leggono La professoressa mente, è un'opera che piace e i cui contenuti, il cui messaggio viene sostenuto. Ma dieci anni fa non era così. Dieci anni fa, anche a livello internazionale il movimento Me Too ancora non c'era; su queste tematiche soprattutto, come la violenza sessuale e la disparità di genere, il Giappone è molto arretrato.
Come dicevo prima, uno dei miei obiettivi è parlare nei miei manga di quello che io ritengo giusto anche quando questo può essere scomodo, anzi, mi piace. Mi piace la sfida di parlare di qualcosa di scomodo e quindi tratto determinati 
argomenti pur sapendo che il pubblico potrebbe opporre resistenza
, che al pubblico potrebbero non piacere.

All'epoca ai tempi de La professoressa mente, più di dieci anni fa, nessuno in Giappone trattava della violenza sessuale, o meglio, la violenza sessuale era presente nei manga come elemento di intrattenimento, ma nessuno parlava di violenza sessuale all'interno dei manga centrando il problema.
Quindi cosa è successo nel frattempo? Alla mia voce se ne sono unite altre. Quando tante voci si mettono insieme diventano un movimento, e pian piano le cose sono cambiate.

Ritornando quindi al tema dell'aborto, è un argomento divisivo: le persone possono essere favorevoli o contrarie, ovviamente non esiste una risposta con un sì o un no, e neppure io sono in grado di darla. Ma in questo momento, in più parti del mondo, quello che era un diritto non lo è più: il fatto è che oggi, almeno in Giappone, io sono ancora almeno nella condizione di poterne parlare, di poter esprimere la mia idea e la mia opinione al riguardo in libertà. Può anche darsi che un domani, proprio in questo stesso Giappone, chi si troverà a dover affrontare una gravidanza indesiderata sarà costretta a portarla a termine; e magari in futuro un manga come il mio che parla di aborto potrà finire in un indice dei libri proibiti o essere criminalizzato; in questo momento, però, c'è ancora la libertà di esprimersi su tale argomento e io penso che parlarne ora sia ben più che significativo. 
Mentre scrivevo La professoressa mente -quindi parlando di qualcosa di scomodo- io avevo paura; mi sentivo molto inquieta, e quello stesso timore e quell'inquietudine la sto provando adesso, nel parlare di aborto nel mio manga. 


Stampa: prima è stato fatto effettivamente notare, con grande sensibilità, anche l'approccio diverso con le disparità di genere che ci sono anche qui in Italia, nell'atteggiamento maschile rispetto a quello femminile. Anche qui insomma, noi siamo socialmente educate a essere più remissive, a dover sorridere. In alcuni posti d'Italia addirittura ancora ci sono tante condizioni femminili che sono molto arretrate. Insomma c'è questa idea che bisogna dipendere dall'uomo e tant'altro.
Vorrei chiederle quindi se lei, con la sua sensibilità, è riuscita a notare qualcosa di particolare e di diverso sulla condizione femminile italiana, rispetto a quella giapponese, in questi suoi giorni di permanenza in Italia. 


A. T.: essendo arrivata da pochissimo, guardandomi intorno, grosse diciamo differenze di genere purtroppo non le ho ancora notate. Però quando vado all'estero a me piace sempre accendere la TV: è la prima cosa che ho fatto anche arrivata in albergo qui, e quello che ho visto probabilmente era un reality, dato che era un programma con delle coppie che litigano in continuazione. Dal mio punto di vista, anche all'interno di queste coppie che litigano, cosa dicano quelle donne in italiano non lo capisco, ma capisco che ne dicono di tutti i colori, sono molto aggressive. E questo mi è sembrato abbastanza bello e ammirevole.
Per esempio un'altra cosa che mi aveva colpito quando ero stata in Francia è che in televisione non ci sono ragazze carinissime e giovanissime, ma ci sono tante donne di mezza età che appaiono in televisione, e sono incazzate

Questa è una cosa che in Giappone non succede. Chiunque vada in Giappone se ne può rendere conto: la televisione giapponese è caratterizzata da ragazze molto giovani, decisamente carine, molto accondiscendenti e altrettanto sorridenti. E spesso, appunto, anche gli stranieri che vengono in Giappone si chiedono: perché le ragazze giapponesi sono tutte così carine, sorridenti e remissive? È un fenomeno che colpisce abbastanza anche a livello superficiale. 
 
torikai stand dynit

Moderatore: scusatemi, io... il mio DNA mi obbliga a intervenire da maschio. No, in realtà è una curiosità, ma penso che interessi a tutti. È evidente la differenza che c'è nell'approccio umano e professionale della sensei nel suo racconto, che peraltro trovo di una lucidità e potenza meravigliosa come autoanalisi, ciò ci permette di fare ampi ragionamenti. Però è evidente la differenza rispetto ad altri artisti giapponesi che rispondono a monosillabi o con un "buongiorno" o giù di lì per un'ora all'incirca.
Vorrei chiederle quindi se c'è stato un momento nella sua vita o magari più momenti che l'hanno portata a questo approccio di dialogo così aperto verso il pubblico e verso la stampa che non è tipico però degli artisti giapponesi. Sono curioso di capire se appartiene a lei o c'è stato un momento artistico o umano che l'ha liberata.


A. T.: innanzitutto dovete sapere che io sono di Osaka: le persone di Osaka sono un pochino diverse da come uno si immagina i giapponesi. Se vi capita l'occasione, vi invito ad andarci perché gli abitanti di Osaka sono tutti molto aperti, molto chiacchieroni, non hanno peli sulla lingua. Forse... sono un po' simili agli italiani.
Sin da giovane spesso vedevo la realtà, vivevo delle esperienze e mi interrogavo; a volte mi ponevo delle domande, in ciò che vivevo avvertivo dell'assurdo, e ho sempre avuto questo desiderio di confrontarmi con gli altri, parlarne con gli amici o con il mio fidanzato di quel momento, per discuterne insieme. Ma non ci sono mai riuscita bene, perché le persone tendono a sentirsi messe in discussione. 
Ai giapponesi non piace sentirsi messi in discussione e in generale nella cultura giapponese si tende a evitare di sollevare questioni. Ai giapponesi non piace litigare, e quindi tutto questo mio desiderio di confronto anche verbale, soprattutto quando ero giovane, non ha trovato comprensione nei miei interlocutori. Però, come dire, tutti questi interrogativi in qualche modo dovevo digerirli, e il mio modo per farlo è stato di scrivere manga. Quindi quando mi trovo all'estero e mi capita che le persone mi facciano delle domande molto puntuali e molto chirurgiche, beh, io sono piena di risposte, muoio dalla voglia di condividere queste risposte. Quindi sono molto contenta di rispondere alle vostre domande. 


Stampa (AnimeClick): la sensei si è dimostrata una persona e una donna molto forte, anche per il coraggio di raccontare storie con temi molto particolari, come quello che appunto ha in previsione di far uscire ora. In Italia è recente notizia che la maternità surrogata è diventata per legge un crimine internazionale. Forse perché si va un po' contro natura o forse perché è importante dominare la scelta di una donna di prestare il proprio corpo per dare vita a una creatura? Ci piacerebbe sapere cosa ne pensa lei in merito a questa tematica così fortemente dibattuta. Grazie.

Asuka Ozumi: preciso che la questione della gestazione per altri per com'è vista in Italia a livello normativo gliel'ho riassunta io ora, lei la sente adesso per la prima volta.

A. T.: in merito alla maternità surrogata e alla gestazione per altri, in Giappone c'è un'autrice -molto famosa anche in Italia- che si chiama Natsuo Kirino e che ha scritto un romanzo che ha come argomento questo tema. In giapponese il libro é intitolato Tsubame wa modottekonai, ovvero "Le rondini non tornano indietro", ancora non è stato tradotto in italiano, e tra l'altro ha avuto di recente una trasposizione live action che ha fatto parlare molto di sé. Kirino è un'autrice che io adoro, che sfida costantemente lo status quo
Questa storia sostanzialmente parla di una donna che decide di prestarsi alla gestazione per altri spinta da ragioni economiche, se non ricordo male alla fine quando mette al mondo il bambino, poi lo rapisce e scappa. 
C'è da dire che in Giappone il problema non è ancora visto tanto come un reale problema della persone comuni e della società di tutti i giorni, bensì come qualcosa di molto lontano. Probabilmente perché c'è una casistica ancora molto limitata. È anche questo un argomento divisivo su cui è difficile pronunciarsi a favore o contrari. È difficile dire di sì o di no, perché ci sono tanti problemi legati alla questione della gestazione per altri.
E' come dire: il desiderio di genitorialità delle persone deve essere soddisfatto a tutti i costi? E questa è una domanda. L'altra domanda sarebbe: è lecito lo sfruttamento del corpo della donna per fini economici attraverso una gravidanza? Questa è un'altra domanda. Oltre a queste, ci sono poi tante altre domande legate alla gestazione per altri. Sono tutte domande che sono legate tra loro, ma al contempo anche slegate. Quindi è effettivamente un fenomeno molto complesso su cui io non so esprimermi.

 
Tsubame_drama

Nel manga a cui sto lavorando adesso, invece, è come se fosse il rovescio della stessa medaglia, perché io parlo di aborto. Quindi parlo non di vite che vengono desiderate a tutti i costi, ma del contrario, cioè di vite che invece non sono desiderate, che in teoria non dovrebbero esistere ma che invece ci sono.
Sulla gestazione per altri non ho una mia posizione, però da un altro punto di vista sto comunque  in qualche modo approfondendo l'argomento. Poi secondo me c'è un'altra cosa importante da considerare, che penso c'entri non poco: io come persona giapponese non sento il peso o l'influenza della religione. Il peso da dare o la priorità della vita non ha un significato religioso, per me, in quanto giapponese; mentre invece penso che in un Paese come l'Italia il fattore religioso c'entri eccome. 


Moderatore: giusto un pochino.

A. T.: se posso aggiungere qualcosa sull'argomento... quello che secondo me è importante chiedersi è: di fronte a una donna che si decide di portare avanti una gestazione per altri, il ruolo di madre surrogata lo vorrebbe se non ne avesse bisogno o in assenza di una vera necessità economica di farlo?
Voglio dire, una donna porterebbe avanti una gravidanza di sua spontanea volontà, portando in grembo un figlio che non è suo e con cui non condivide alcun DNA, se non ne avesse bisogno? Questa, secondo me, è la domanda da porsi. Sto estremizzando.
Penso che sia la stessa domanda che mi pongo per quanto riguarda la prostituzione: se non fosse spinta da un fattore economico, una necessità estrema o dal denaro, una ragazza deciderebbe con gioia di fare quella professione? Potrebbe essere quella la sua massima aspirazione di una vita, se non ci fosse di mezzo il denaro? Una ragazza potrebbe decidere di andare a letto e di fare sesso con una persona, con un uomo per cui non prova niente? Secondo me è un ragionamento estremo, però in qualche modo penso sia la stessa domanda che ci si può porre anche per la gestazione per altri.
Quindi se la premessa è quella di un mondo in cui sempre più donne portano avanti gravidanze per altri, spinte dalla sola necessità economica, io non posso dichiararmi favorevole


*segue un coro di applausi*

Moderatore: chiudiamo così quest'incontro veramente profondissimo.
La conoscevamo tutti grazie alle sue opere opere, ma anche mettersi in gioco così è veramente affascinante.
Tra l'altro una piccola chiosa: la meraviglia di Lucca Comics & Games è che mentre parliamo di massimi sistemi, di fecondazione assistita e di gravidanza per altri, di aborto etc, abbiamo fuori dalla finestra il passaggio della fanfara con le sigle televisive. Questo succede solo a Lucca, insomma.
Ringraziamo tantissimo l'artista Akane Torikai, attualmente pubblicata in Italia da Dynit Manga; aspettiamo con curiosità anche la sua ultima opera. Grazie.

 
A. T.: grazie mille.
 

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Maxi Showcase (2 novembre 2024)

Presso l'Auditorium della chiesa di San Romano si è tenuto uno showcase con la sensei Torikai, alla presenza di Asuka Ozumi di Dynit Manga e con la moderazione di Andrea Fiamma di Fumettologica: durante l'evento la mangaka ha risposto a varie domande, lavorando al contempo a una tavola illustrata.
Di seguito vi riportiamo la conferenza nella sua integralità.
 
torikai showcase

Andrea Fiamma: Akane Torikai è una delle autrici più interessanti del panorama fumettistico e manga contemporaneo. Se siete qui, forse non serve che io ve la introduca, ma a beneficio di tutti magari è utile ricapitolare chi è Akane Torikai e perché lei è così importante nel panorama del manga.
È un'autrice che attraverso le sue opere come Saturn Return, Girl Friends in the Hell, Amour Placebo e La professoressa mente ha trattato temi molto delicati, con un linguaggio e una visione del mondo personalissima: i traumi, le perdite, il ruolo della donna nella società giapponese. Tutta una serie di temi che in Giappone è strano vedere affrontati da un'autrice al femminile, che lei tuttavia affronta anche con uno sguardo personale, che è ciò che rende poi i fumettisti e tutte le persone creative degli autori veri e propri. Guardare cioè a delle cose che tutti noi già conosciamo con uno sguardo nuovo, e quindi facendocele sembrare nuove e diverse.
Qui con noi c'è anche Asuka Ozumi, che è la responsabile della collana Showcase di Dynit, la casa editrice che in Italia porta la stragrande maggioranza delle sue opere; Asuka ci funge anche da interprete.
Farei quindi un applauso a entrambe, quindi inizierei con lo showcase vero e proprio.


A. F.: visto che ci troviamo davanti a un foglio bianco, esso è la metafora perfetta degli inizi. Mi chiedevo quindi: quando la sensei affronta un nuovo progetto, da dove parte? Parte da un'immagine, da un concetto o magari da una parola? Qual è il primo passo quando si affronta una nuova opera, un nuovo progetto?

Akane Torikai: oddio, inizi subito con la più difficile delle domande. Non saprei proprio come rispondere...

A. F.: prendiamo magari un'opera in particolare. Per Saturn Return ad esempio qual è stata la genesi? La prima scintilla che ha dato il via alla storia: un'immagine o una parola, magari?

A. T.: io sono una mangaka di professione, dunque mi guadagno da vivere scrivendo manga. Quindi, come dire, il primo passo e la causa scatenante nell'iniziare un nuovo manga è che è finito quello precedente.
Anche nel caso di Saturn Return, si era concluso il mio manga precedente, quindi mi sono dedicata a Saturn Return.


A. F.: mi viene allora da chiedere se nella vita di tutti i giorni la scintilla, o questa specie di spia per creare storie è sempre accesa.

A. T.: sì, diciamo che è come se la spia fosse sempre in stand by per eventuali nuove storie. Mentre scrivo la storia o il progetto che sto affrontando in un dato momento, mi trovo comunque sempre anche in stand by, in attesa di cogliere queste scintille di cui tu parli. 
 
torikai showcase inizio


A. F.: vorrebbe intanto iniziare a disegnare, oppure preferisce attendere con qualche altra domanda?

A. T.: devo dire che io sono sopraffatta in questo momento, davvero sopraffatta.
Sono innanzitutto sopraffatta dalla bellezza della location (Chiesa di San Romano nell'omonima piazza lucchese, ndr); e poi sono decisamente sopraffatta dalla quantità di persone che sono qui a osservarmi. In questo momento quindi la mia testa è completamente vuota. 


A. F.: come in tutte le cose, adesso ci si scalda un po' e poi si prende confidenza. Proseguo quindi con le domande; mi viene da chiederle se si ricorda la sensazione che ha provato quando è uscito il suo primo manga. Che cosa ha provato? 

A. T.: beh, è stato tanto, tanto, tanto tempo fa. E' passato molto tempo e onestamente non mi ricordo nel dettaglio, ma di sicuro all'epoca il fatto di essere pubblicata su una rivista era per me una "notiziona".
Oggi invece, a posteriori, il fatto di essere pubblicata su una rivista è, nel bene e nel male, nient'altro che il modo con cui io mi guadagno da vivere. Quindi -devo- essere pubblicata su rivista. 


A. F.: quindi, per citare la cosa che dicevamo prima, si sente poche volte sopraffatta nel suo lavoro, come le capita adesso in questa location? Si sente sopraffatta dal suo lavoro quando è all'opera su qualcosa?

A. T.: dovete sapere che l'ultima serie a cui ho lavorato che è stata realizzata interamente in analogico è stata Saturn Return. 
Oggi penso che siano pochissimi i mangaka che lavorano ancora in analogico, la stragrande maggioranza di loro lavora in digitale. Poi ci sarà appunto chi lavora ancora in analogico, ma sicuramente sono pochi. E invece quest'anno sono passata al digitale.

La nuova serie a cui sto lavorando, che è in corso di pubblicazione, la sto lavorando in digitale; ma questo senza che io abbia ancora imparato a padroneggiarne per bene gli strumenti. Quindi sto imparando man mano, lavorando, ma già pubblicando in tal senso. 
Per esempio, qua di fianco a me ora c'è una tavoletta grafica e utilizzo gli strumenti di questo tipo, ma li sto imparando a usare mentre ci lavoro.
Quindi per tornare alla domanda se mi sento ogni tanto sopraffatta: sì, io mi sento molto sopraffatta dall'onda del digitale in questo momento. Però c'è da dire che il digitale sicuramente ha un sacco di vantaggi ed è molto comodo.
Per esempio, permette di aggiungere tutta una serie di effetti che con una lavorazione analogica non è possibile fare, ed è molto divertente. Però comunque, mi sento ugualmente un po' sopraffatta. 

 
torikai viso ritsuko

A. F.: visto che ha appena iniziato, forse adesso è ancora prematuro chiederlo, ma in qualche modo il digitale ha cambiato il suo stile di disegno o il modo in cui guarda il disegno? 

A. T.: nel tentativo di fare in modo che non ci siano delle differenze, ovvero per poter mantenere il mio stile e il mio tratto analogico anche in digitale, ci sono tante persone che mi stanno sostenendo. Per esempio mi hanno proprio costruito un pennino speciale, fatto apposta per me. Infatti io disegno in digitale con la "Torikai pencil".

A. F.: parlavamo prima degli inizi. Lei ha iniziato professionalmente come assistente di Minoru Furuya. Mi chiedevo: qual è l'insegnamento più importante che ha appreso da questa esperienza?

A. T.: sì, ho lavorato come assistente per il maestro Minoru Furuya, che ho saputo purtroppo non essere ancora tradotto in lingua italiana.
E' un mangaka veramente straordinario e l'insegnamento più grande che ho ricevuto lavorando con lui è che è soprattutto un mangaka particolarmente abile nel rendere l'espressività dei volti.
Nelle sue opere spesso ci sono dei bellissimi primi piani che comunicano proprio bene le emozioni dei protagonisti.
Ciò che capitava spesso è che verso la fine della giornata, quando tutti eravamo già pronti per andare a casa, rilassati e contenti di aver finito, lui ad un certo punto diceva: "no, questa tavola è da rifare e da sostituire. Ho deciso di cambiare questa cosa", oppure "questa immagine / questo sfondo non mi piace tanto, è da rifare".
Penso che sia stato questo l'insegnamento più grande che mi ha trasmesso il maestro Furuya: non fermarsi, non rassegnarsi finché non si è pienamente soddisfatti del proprio lavoro
All'epoca quando lavoravo con lui mi chiedevo: "ma perché? Questa tavola è così bella, questa vignetta è così perfetta, perché la vuole rifare?" 
All'epoca la cosa mi stupiva, ma effettivamente la ricerca costante di un risultato che sia pienamente soddisfacente per l'autore, ecco, questo è l'insegnamento più grande.


A. F.: avevo letto un'intervista in cui lei dichiarava che una delle cose che tecnicamente poi l'ha aiutata in seguito, in questa esperienza da assistente, è stata anche l'uso dei dialoghi. Ovvero come rendere bene e realistici i testi e i dialoghi. In generale, di per sé la scrittura in un manga o in un fumetto è difficile da valutare, perché i dialoghi sono corti. Quindi è difficile capire di che pasta sia la scrittura di un autore, tuttavia in Un amore da manga che è un diario -o comunque molto più vicino all'idea che abbiamo di un testo letterario-, lo stile di scrittura è molto secco.
Le battute, le frasi sono brevi; anche in Girl Friends in the Hell i titoli dei capitoli sono fulminanti anche nel modo in cui vengono elaborati.
Dunque vorrei chiederle: la scrittura le è sempre venuta naturale, oppure ci ha dovuto lavorare durante i suoi anni da assistente?
 

A. T.: no, assolutamente. La scrittura non è qualcosa che mi viene naturale. E' venuta disegnando manga, nel senso che dopo che sono diventata una mangaka spesso hanno iniziato a chiedermi anche dei contributi scritti; così mi sono resa conto di quanto sia divertente la scrittura. 
 
torikai bouquet

A. F.: ritornando un po' agli inizi, al come si comincia... scusate se insisto su questo tema, ma è una cosa che mi affascina molto.
So che una delle epifanie che ha avuto da lettrice è stata quando ha letto per la prima volta Kyoko Okazaki: è una mangaka autrice di opere come Pink, che ama utilizzare il genere romantico sempre con degli elementi di fantastico.

Essendo lei invece abituata fino a quel momento a delle classiche storie d'amore, lì invece c'era una rottura dello stereotipo del genere a cui siamo abituati. Volevo che ci raccontasse l'effetto che le ha fatto quella scoperta di un tipo di manga diverso. 

A. T.: tendenzialmente in Giappone i manga vengono pubblicati su delle riviste, quindi per il pubblico maschile giovane di solito si tratta di Shonen Jump o Shonen Magazine, mentre invece tutte le ragazzine in Giappone leggono Ribon oppure Nakayoshi. Poi, quando diventano un pochino più grandi, passano a un'altra rivista per un target di età leggermente superiore che si chiama Margaret. In queste riviste di shoujo manga le storie sono principalmente sentimentali, con ragazze dagli occhi scintillanti e così via, ed è normale per le lettrici immedesimarsi con questo tipo di eroine.
I manga di Kyoko Okazaki invece non erano pubblicati sulle riviste shoujo, bensì su riviste di moda.

Tra l'altro il manga che avevo letto io era ospitato su una rivista di moda di quello che oggi viene chiamato Harajuku style, cioè lo street fashion molto di tendenza: era una rivista molto stilosa e al centro, in mezzo alle pagine patinate dei servizi di moda, c'erano anche queste pagine di manga che contenevano anche delle rappresentazioni di nudo femminile.
Per me, che all'epoca frequentavo la scuola media, è stato sicuramente scioccante sotto molti punti di vista.
I manga di Kyoko Okazaki erano qualcosa di mai visto prima: erano qualcosa di estremo, qualcosa di molto radicale rispetto a quello a cui ero abituata. E al tempo stesso, erano anche molto "stilosi".
Fino a quel momento per me il manga era legato in qualche modo alla cosiddetta 'cultura otaku' per come viene connotata in senso negativo, scusatemi se ammetto questa cosa; leggendo il manga di Kyoko Okazaki, per la prima volta ho pensato invece che un manga poteva essere qualcosa di estremamente figo


A. F.: questo sarebbe anche l'effetto che vorrebbe fare lei sui suoi lettori, ovvero lo stesso effetto che Okazaki ha avuto su di lei?

A. T.: no, no... non ho mai neppure osato pensare una cosa del genere.
Penso che il mio stile e i miei disegni non abbiano neppure lontanamente quella originalità che poteva avere Kyoko Okazaki.
C'è stato un momento, quando ero più giovane, in cui mi sarebbe tanto piaciuto diventare una mangaka "da rivista di moda". Ma quando frequentavo la scuola d'arte mi sono scontrata con quelli che erano i limiti del mio talento, e con dolore ho dovuto arrendermi all'idea, ammettendo che per me sarebbe stato qualcosa di impossibile.
Prima abbiamo nominato il maestro Furuya: è lavorando con il maestro Furuya che io ho compreso poi invece che si può lavorare anche all'interno di quello che è una modalità più convenzionale di fare manga, lavorando cioè con quella che è una "grammatica più elementare del manga". E che ciononostante è comunque possibile esprimere appieno la propria individualità: quindi io ho optato per questa seconda modalità di lavoro.
 
 
torikai doppio disegno

A. F.: passerei alle opere. In Saturn Return la protagonista è una scrittrice con il blocco dello scrittore che prende la pillola anticoncezionale all'insaputa del marito. In Italia il tema della contraccezione, che prima davamo anche per assodato, negli ultimi periodi si sta un po' ritirando, sta andando in retromarcia, diciamo.
Mi chiedevo qual è la situazione su questo tema in Giappone; se cioè l'aver inserito questo tema nel manga ha scaturito una particolare reazione nei lettori, se l'hanno accolta in qualche modo in particolare.


A. T.: ho avuto feedback da parte di persone per le quali quella scena citata di Saturn Return è stata in qualche modo scioccante.
C'è da fare una precisazione, ovvero che probabilmente rispetto ad altri Paesi al mondo, in Giappone la pillola contraccettiva non è ancora così tanto diffusa. Ovviamente ci sono delle differenze individuali, però sul perché la si prenda, sul come funzioni e così via, ecco: si tratta sono nozioni che probabilmente non sono diffuse proprio a livello universale, quindi non tutti sanno esattamente come funziona la pillola anticoncezionale. 
Per me è sicuramente una scena molto molto potente, per qualcuno può essere stata scioccante, ma non è stato un grosso problema, non è che abbia acceso chissà quale dibattito. 


A. F.: e ci sono stati invece dei casi di problemi per qualche tema o narrazione che ha voluto mostrare e raccontare nelle sue opere? 

A. T.: c'è un'opera, che ho scritto una decina d'anni fa, che è La professoressa mente, dove si trattano tematiche come lo stupro e la disparità di genere. All'epoca della pubblicazione, beh, sarebbe stato bello se avesse scatenato un dibattito, cosa che purtroppo non è avvenuta. 
Al momento della stesura e della pubblicazione di quel manga il movimento Me Too ancora non era nato; è accaduto solo in seguito.
Quando io ho scritto il manga, l'ho fatto senza aspettarmi niente di particolare, senza attendermi particolari reazioni.
Quello che è successo, invece, è avvenuto grazie soprattutto a persone vicine ai movimenti femministi: quelle persone avevano letto l'opera e mi hanno dato delle parole di ringraziamento, di conforto e di incoraggiamento. Come dire "ti sosteniamo in questa scelta che hai fatto di parlare di queste tematiche". 
C'è anche da dire che nell'arco di questi dieci anni il clima è cambiato, ed è diventato molto più comune parlare di determinati argomenti. Oggi si può appunto parlare di tematiche femministe. 

 
Prof combattere


A. F.: il tempo si sta avvicinando alla fine ma abbiamo tempo per un paio di domande ancora.
Un'altra delle sue opere, Mandarin Gypsycat's Barricade che arriva qui in Italia proprio in questo periodo, sempre grazie a Dynit, è un titolo un poco peculiare della sua bibliografia, più che altro perché affronta il genere fantascientifico. I temi comunque riportano a quella che è la sua visione del mondo: c'è la creazione di una società matriarcale dove l'uomo è un puro strumento riproduttivo.
Mi chiedevo cosa l'avesse stimolata a cercare questo taglio distopico per raccontare quelle che poi sono tematiche che lei affronta da sempre.


A. T.: Mandarin Gypsycat's Barricade è un'opera che non è stata pubblicata su una rivista di manga.
Molti autori prediligono lavorare sempre per la stessa rivista, mentre invece a me piace molto cambiare.
Nel caso di questo manga, la proposta è arrivata da una rivista che si può definire quasi di critica letteraria, non so se in Italia ci siano riviste simili; cioè una rivista dove vengono pubblicate presentazioni e articoli di critica di nuovi libri. 

Ovviamente non sono l'unica autrice di manga ad aver pubblicato su una rivista del genere. Ci sono degli illustri precedenti, per esempio c'era stata l'opera Maihime Terepsikola di Ryoko Yamagishi, un titolo dal valore letterario elevatissimo che compariva sulle pagine di quelle riviste, quindi in qualche modo non volevo essere da meno. 
E sempre in merito a mangaka che pubblicano manga su riviste non di manga, possiamo di nuovo citare la già citata Kyoko Okazaki; quindi magari Mandarin Gypsycat è stato dettato dal mio desiderio di fare qualcosa di diverso, di accogliere la sfida di fare qualcosa appunto che potesse sorprendere i lettori e le lettrici, e che non sfigurasse su una rivista letteraria. 

A. F.: il tempo a nostra disposizione è praticamente terminato. Faccio un'ultimissima domanda telegrafica, visto che siamo in uno showcase e stiamo parlando di disegno.
Molti disegnatori citano il cavallo come la cosa più difficile da disegnare; non so se ciò vale per lei. Quindi le chiedo: qual è la cosa più difficile da disegnare? 


A. T.: beh, ammetto che tutto quello che io non riesco a disegnare, lo faccio fare agli assistenti.

*seguono applausi e risate*

A. F.: mi sembra un ottimo modo per chiudere questa nostra "conversazione disegnata".
Ringrazio ancora Asuka Ozumi, Akane Torikai e Dynit per averla portata in Italia. Ringrazio voi per essere venuti qui così numerosi ad ascoltarci e a guardarla disegnare. Appuntamento alla prossima. Grazie. 


A. T.: scusatemi, perdonatemi moltissimo, non sono riuscita a terminare la mia illustrazione.
Però, anche il maestro Junji Ito è famoso per non finire mai le sue tavole durante le sessioni di live drawing. E quindi, beh, sono in "buona compagnia", ecco! 

 
torikai completo

 

Fonti consultate:
Si ringrazia Riri per l'aiuto nella trascrizione dei vari incontri, nonché l'editore Dynit Manga per la disponibilità