AnimeRing Head


Tante volte ci è stato chiesto di fare una rubrica dove inserire il bianco e il nero, Capuleti e Montecchi, Livorno e Pisa, giorno e notte...insomma due punti di vista diametralmente opposti su cui poter discutere e magari anche schierarsi.

Dobbiamo ammetterlo, il timore che tutto finisca in un inutile flame ci ha sempre frenato ma, visto che ultimamente voi utenti vi siete dimostrati meno "scalmanati" e che i nostri detrattori scarseggiano a fantasia, ci siamo detti in Redazione "Why not"?
 
AnimeRing!

Un titolo, anime o manga, due recensioni a confronto. Due recensioni di voi utenti, il vostro diverso punto di vista sul "palco" di AnimeClick.it.
Come nel miglior incontro di Wrestling, come nella più epica delle Battle rap, saranno le vostre opinioni a sfidarsi fino all'ultimo colpo anzi...spoiler!

Andiamo a scoprire il titolo, da oggi in poi cercheremo di fare qualche appuntamento in più al mese!

Meglio l'anime o il manga? Quante volte è nata questa diatriba?
Stavolta AnimeRing vuole davvero accendere la discussione visto che fa scendere in campo un titolone, quello che da molti viene definito come lo shonen "definitivo" anzi uno dei migliori titoli di sempre a prescindere dal genere: stiamo parlando di Full Metal Alchemist!
Il manga firmato da Hiromu Arakawa ha visto la luce nel 2001 durando fino al 2010, mentre  la prima serie anime dedicata a questo titolo va sulle tv nipponiche nel 2006 mentre "Brotherhood", la versione animata più fedele, è andata in onda a partire dal 2009 in Giappone. Tutte le versioni sono arrivate in Italia grazie a Panini, il manga, e a Dynit,  gli anime.
Qui nascono le discussioni? Preferite il manga? Preferite la prima versione animata che alcuni definiscono (vedi il nostro Kotaro) la più amata? Preferite la versione anime "Brotherhood" che resta più fedele manga? 
Dite la verità, vi è mai capitato di parlarne con gli altri vostri amici fissati di questo titolo?
E' giunto il momento di scoprire cosa ne pensa tutta l'utenza grazie a un piccolo sondaggio che durerà tre giorni!

 
La domanda è una sola: voi da che parte state?


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In un periodo particolarmente prolifico per il mercato degli anime, nel 2003 prende forma la versione animata di uno dei manga più interessanti, commoventi, emozionanti, misteriosi e divertenti di sempre: l’ormai leggendario Fullmetal Alchemist.
Com’è noto a quasi la totalità degli “esperti/appassionati del settore”, questo prodotto è considerato come il primo dei due Fullmetal Alchemist per la TV, a cui seguirà Fullmetal Alchemist: Brotherhood.
Sebbene l’autrice del manga, ovvero la talentuosa e stimata Arakawa abbia cominciato a scrivere il manga tempo addietro prima che questa serie facesse la sua comparsa sul piccolo schermo, come spesso accade gli eventi narrati nell’anime raggiunsero il punto dove la mangaka era arrivata a disegnare e pur di evitare orrendi e inutili filler lo staff d’animazione decise per una scelta singolare ma quanto mai azzeccata: far divergere la storia dell’anime in maniera completamente differente da quella del manga, con una sceneggiatura, a partire da circa metà serie, scritta da zero e che, nonostante si discosti completamente dalle idee originali dell’autrice, non deluse affatto.
“Fullmetal Alchemist” nella sua interezza, che sia Brotherhood, manga o questa prima serie, riesce sempre a trasmettere emozioni fortissime, a far pensare, a proporre temi sociali e a far soffrire lo spettatore tramite il travaglio interiore e chiaramente esteriore dei due leggendari protagonisti, i fratelli Elric.
Per tutti i fan che hanno amato questa serie non posso fare altro che consigliare la visione del Brotherhood, che riprende totalmente la storia fedele al manga, ma consiglio caldamente di non tralasciare questa versione, un assoluto capolavoro di sentimenti, colori, animazione e azione.

Eccoci dunque alle origini della sofferta e affascinante storia di Edward e Alphonse Elric, il primo fratello maggiore del secondo, entrambi figli di Trisha Elric, moglie di Hoheneim, uomo partito tempo addietro e grande studioso di alchimia, che i figlioletti non hanno quasi mai avuto la fortuna (?) di avere a casa.
Trisha e i due ragazzini vivono sereni in una casa di campagna, fino a quando la povera donna non si ammala gravemente, e gli unici vicini, Winry Rockbell (i cui genitori sono partiti come medici di guerra per andare ad soccorrere i soldati al fronte) e sua nonna, decidono di prendersi cura di loro.
Edward e Alphonse hanno un grandissimo talento nell’arte dell’alchimia, una scienza tanto fantastica quanto portentosa che governa quel mondo quasi fosse una sorta di magia: dall’alchimia pare si possa fare di tutto, ma sempre attenendosi alla prima legge fondamentale che nessuno può eludere: “per ottenere qualcosa, è sempre necessario dare in cambio qualcos’altro del medesimo valore”.
Sembra semplice, ma si rivelerà un’intuizione, quella dell’autrice, assolutamente geniale.
Oltre a rimandare alle leggi scientifiche del nostro mondo, riesce a infondere una vera e propria lezione di vita che lo spettatore apprende tramite gli errori e gli orrori dei protagonisti, avvertendo lo stesso dolore e la stessa amarezza che essi provano sulla loro pelle.
Trisha, donna meravigliosa, madre dolce e premurosa, muore, e i due ragazzini rimangono soli. In preda alla disperazione, col padre (che maledicono più e più volte) lontano e chissà dove, decidono di rompere uno dei grandi tabù dell’alchimia, e dissotterrare il corpo della madre per una trasmutazione alchemica innominabile fra gli alchimisti, ovvero la “trasmutazione umana”.

È possibile riportare in vita un essere umano? Può l’alchimia ardire a tanto, eguagliare un dio?
L’inesperienza, il desiderio di riabbracciare la madre e l’ignoranza dei poveri giovincelli, unita al loro innato talento privo di controllo, dà inizio alla loro tragedia: durante la trasmutazione qualcosa va storto e invece di riavere di nuovo una madre viva e vegeta, ottengono ripercussioni a dir poco drammatiche: dapprima catapultati al cospetto di una entità misteriosa (Dio? La verità? O cos’altro? Uno dei grandi misteri di FMA), nel processo di trasmutazione Alphonse perde l’intero corpo, e per salvarlo, Edward sacrifica un braccio e una gamba, appena in tempo per legare l’anima del fratellino a un’armatura coperta di polvere nello scantinato dove si teneva l’esperimento. Per giunta, ciò che rimane della madre è una creatura deforme, una carcassa purulenta e marcescente che si muove e respira… un mostro tornato in vita (fortunatamente dalla breve esistenza), solo per soffrire nuovamente!
Da quel giorno ha inizio il loro pellegrinaggio, un viaggio di dolore e pentimento, in un certo senso, smorzato dal sapiente umorismo che l’Arakawa riesce sempre ad adoperare per non appesantire eccessivamente la trama (un po’ come l’elfo Pak nel manga di Berserk, capace inizialmente di allentare i toni fin troppo pesanti che in sua assenza diverrebbero insostenibili).
Ed e Al viaggiano in cerca della pietra filosofale, per sperare di trovare un modo per riavere indietro le parti mancanti dei loro corpi, fra sensi di colpa, dolore, rabbia, e scoperte sempre più incredibili e sconcertanti, che rivelano sia a loro sia allo spettatore una verità a ogni episodio sempre più spaventosa e sconcertante. La cosiddetta “verità dentro la verità”.

È un anime esoterico, FMA. La scelta degli sceneggiatori dopo il bivio dal manga è parsa a mio parere davvero entusiasmante, con un finale che non conclude la trama (infatti precede il meraviglioso Conqueror of Shambala, lungometraggio finale che chiude per sempre la vicenda).
Ma che magia, che è stato. Capace di attirare grandi e piccini, capace di proporre temi molto seri in chiave semplice e ironica, si avvale di un “cast” di personaggi variegato e intrigante, figure raramente noiose, sempre interessanti e originali.
Tuttavia, a conti fatti, più di ogni altra cosa, l’anime desidera mostrare cosa sia il vero amore fraterno, l’affetto di sangue che può unire due fratelli e cosa questi possono arrivare a fare l’uno per l’altro.
Tecnicamente parlando, è una serie di ben 50 episodi abbastanza curata, dal tratto fluido il più fedele possibile a quello originale dell’Arakawa che non subisce mai, in tutto l’arco della storia, grandi cali di qualità. Chara design accattivante, colori brillanti e scelti anche grazie a ispirazioni classiche, colonna sonora assolutamente divina (alcune opening ed ending sono ormai storia dell’animazione giapponese), fondali particolari che riescono a gettare letteralmente chi guarda nel mezzo della vicenda e un crescendo della trama costruito ad arte non possono che meritare dieci e lode. Come spesso accade in molte serie con un simile numero d’episodi, la qualità dei disegni diviene maggiore proprio sul finale, in modo da regalare allo spettatore un impatto e un coinvolgimento emotivo notevole.
Amore, tristezza, morte, paura, allegria, rabbia, invidia, rancore, vendetta, gioia, ilarità, amicizia: in FMA c’è tutto questo e altro ancora.

In definitiva, un capolavoro assoluto a cui seguirà un lungometraggio imperdibile, e infine la seconda e più fedele serie Brotherhood da non perdere.
Epico (è il caso di dirlo) “Masterpiece”, ricco di citazioni e cenni storici, si rivela una meraviglia animata del nostro tempo.


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Un miscuglio di innumerevoli personaggi si combattono e si sostengono, ognuno con le proprie peculiari caratteristiche, con i propri obiettivi e con i propri ideali. Una grande storia, perfettamente coerente, il cui filo conduttore si dispiega dalla prima fino all'ultima puntata, chiudendo un cerchio (per usare una figura tanto vicina all'anime) e mettendo ogni tassello al suo posto.
Nulla, o quasi, viene lasciato indietro, lasciato inteso, lasciato al caso. Ogni particolare sembra far parte di un disegno più grande, di un meccanismo perfetto messosi in moto sin dal primo secondo della saga. Ed è proprio questo il principale punto di forza di FMA Brotherhood.
Brotherhood, ossia la fratellanza, è il cuore dell'anime e io credo che sia un titolo più che azzeccato. Edward e Alphonse, due fratelli uniti da un passato terribile e da un forte legame che li condurrà a sacrificarsi costantemente l'uno per l'altro in una strenua, quanto a volte paradossale, lotta per redimersi dei propri errori e allo stesso tempo per potervi porre rimedio.

E inutile dire di più sulla storia, perché una recensione di poche righe non è in grado di cogliere minimamente l'interezza e la complessità della trama di quest'anime, che, come detto in precedenza, annovera un numero quasi incalcolabile di personaggi più o meno secondari, tanti da far fatica a ricordarsene i volti e i nomi. Nemici e alleati si confondono, difficile persino distinguere i buoni dai cattivi, in quella che è un'incessante lotta per il potere e per la sopravvivenza.
La mia critica principale riguarda quello che rappresenta l'elemento fantastico, la particolarità e l'originalità di questa serie: l'alchimia. Inizialmente viene molto valorizzata, si esplicitano delle leggi ben precise e rigide che la riguardano, si parla spesso di "scambio equivalente", si definisce ciò che può e che non può fare ("l'alchimia non è un'arte onnipotente" viene continuamente ripetuto all'inizio dei primi episodi) e tutto questo conferisce spessore, fascino e prestigio alla serie, contribuisce a creare una credibilità di fondo e a gettare le basi di quella coerenza che tanto è necessaria negli anime che utilizzano elementi "fantastici" (per far sì che non siano campati per aria). Ebbene, se questa coerenza viene mantenuta all'inizio della serie e per un buon numero di episodi, essa va via via perdendosi e disgregandosi fino a giungere a un completo caos, nel quale l'alchimia assomiglia più a una specie di potere energetico illimitato (alla "Dragonball", per intenderci) che distrugge tutto. La cosa viene giustificata con l'escamotage della pietra filosofale, ma è davvero troppo poco per mandare all'aria tutte le lodevoli premesse iniziali.

I punti deboli dell'anime sono comunque in minoranza rispetto a quelli positivi, rendendo FMA Brotherhood uno dei migliori (se non il migliore in assoluto) del proprio genere. Altro merito importante: l'anime ha un numero congruo di puntate, abbastanza lungo da poter trattare l'intera storia senza porsi limitazioni e, allo stesso tempo, non infinito, con un finale vero - e non è una cosa scontata - seppure un poco forzato e "artificioso".
In sostanza, questo è un ottimo anime per gli amanti del genere, un po' meno per chi dopo il terzo pugno e la terza esplosione si stufa e preferirebbe che la storia andasse avanti. Comunque, da guardare.


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Avvertenza: questa non sarà una recensione obiettiva. Non può esserlo, perché fma ha un peso insostituibile nel mio cuore, è stato il mio primo manga serializzato, ha occupato cinque anni della mia vita accompagnando il mio processo di maturazione come lettrice di fumetti e come donna. Non vuole esserlo perché continua a essere in cima alle mie preferenze e non lo sarà per precisa volontà dell'autrice.

Bene, se siete scampati al diabete che queste righe piene di miele vi avranno provocato e persistete nella volontà di leggere il mio giudizio, fate pure ma non lamentatevi degli effetti collaterali. Io vi ho avvisato.

Dunque, Fullmetal Alchemist: serie shounen di ambientazione steampunk, realizzato dall’esordiente Hiromu Arakawa, edito in Giappone da Square Enix e in Italia da Planet Manga dal 2006, invogliata dal successo che ai tempi riscuoteva l’omonimo quanto alieno anime trasmesso su Mtv. Entrambe le case editrici avevano fiutato l’affare in tempo, perché il manga che in passato passò in sordina tanto da essere scambiato per un mecha (!) o un fantasy di stampo medioevale(!!!) adesso è sulla bocca di tutti, otaku e non. Insomma, il manga merita o no un simile successo? Da parte mia, il “sì!” più gagliardo che orecchio umano possa captare.

Abbandono i panni della fangirl e medito seriamente su cosa renda popolare questa serie, la risposta è semplice: è uno shounen a tutti gli effetti ma al tempo stesso non lo è. Partiamo dal soggetto: due bambini, Edward e Alphonse Elric, fratelli di sangue quanto opposti di carattere, assistono impotenti alla morte dell’adorata madre per malattia; disperati, studiano sulle carte del padre, geniale alchimista, un modo per resuscitarla e godere di nuovo del loro affetto nel disprezzo che si tratti di un’azione proibita. La trasmutazione alchemica fallisce, tuttavia per pegno Ed deve sacrificare una gamba e in seguito un braccio per recuperare l’anima del fratello e sigillarla in un’armatura. Tempo dopo Ed decide di entrare nell’esercito nazionale in qualità di alchimista di stato per scoprire qualcosa sulla mitica Pietra Filosofale, l’unico oggetto che possa far loro recuperare dei corpi e una vita “normale”.

Effettivamente il proemio non è niente di speciale: una quest che occupi lo spazio della serie, qualcosa di semplice e non troppo pesante che giustifichi l’inserimento a go-go di vicende auto-conclusive e combattimenti. Pure il protagonista, Ed, è più shounen che si può: carino ma non figo, bambinesco nei tratti e nell’atteggiamento, spaccone, irascibile e molto portato per il combattimento, scaltro quanto basta. Però già qualcosa dovrebbe far sospettare il lettore: il protagonista non è solo. A suo fianco, di parimenti importanza, il fratello Al: non bello (il suo corpo è un'armatura inespressiva e vagamente inquietante), pacato, maturo per la sua età, sensibile, intelligente ma un po' ingenuo, talentuoso ma non genio, combatte solo quando costretto; lui sì che stona in un contesto shounen.
Diamo un occhio ai comprimari. L’eroina? Carina, ma mascolina e decisamente violenta quando si tratta di “portare” affetto al suo preferito, appassionata lavoratrice, dedica parole dolci solo alle sue “creature” meccaniche. Il rivale? Non esiste, i nemici e/o gli avversari raramente giungono a scontro diretto con i nostri eroi, e ne hanno tutte le ragioni. Il maestro? Debole fisicamente quanto forte e d’animo, spietato eppure materno nei confronti dei suoi allievi. Gli alleati? Numerosi, ben caratterizzati e di vera utilità dentro e fuori ogni combattimento. Nessuno, buono o cattivo che sia, viene lasciato indietro nel corso della trama, perfino le semplici comparse vengono astutamente ripescate. I badass della situazione sono credibili e convinti del loro operato e dispongono dello spazio necessario per evolversi, mettersi in discussione e perché no, a volte pure cambiare schieramento.

Veniamo alla materia fondante degli shounen, i combattimenti. Se in altri manga servono a mascherare per interi volumi il nulla dei contenuti, in FMA trovano ben poche pagine in relazione a quelle riservate a dialoghi rivelatori e gag. Complici le possibilità strategiche garantite dallo stratagemma dell’alchimia le botte vere e proprie sono più uniche che rare e tuttavia vengono rese di immediata comprensione dal segno “quadrato” e poco elegante ma chiaro e personalissimo della Arakawa. Nella maggior parte dei casi si combatte non per chissà quali ideali ma secondo la antica quanto valida condizione “mors tua, vita mea”, solo se costretti dagli eventi. In più pure i “comuni mortali” trovano la loro utilità in combattimento, anche se, va detto, spesso ne subiscono le conseguenze.

Infine, la trama. La ricerca della Pietra Filosofale, argomento trito e ritrito in ambito letterario, non occupa che i primi ingannevoli volumi per dare l’occasione di raccontare a una storia di più ampio respiro, pianificata e senza falle, volta a coinvolgere indirettamente ogni personaggio dello stato di Amestris, la sua politica estera e interna e le sue origini storiche. Non ho problemi a dire che in alcuni volumi, per i temi trattati e la cruenza presente in alcune tavole, la serie punti alla definizione di seinen (cito, a proposito, il bellissimo volume 15, crudo quanto verace reportage di una guerra); e quando l’atmosfera tende a farsi pesante, ecco che ci pensa la verve umoristica dell’autrice a strappare una risata e scacciare la malinconia. Tutto questo in meno di 30 volumi e senza uno straccio di capitolo filler, fatta esclusione dei primi di presentazione dei personaggi. Encomiabile.

Per convincere i più incalliti negazionisti della validità di Fullmetal Alchemist, non so cosa altro aggiungere. Concludo con un paio di note di demerito che impediscono di assegnare un tondo 10:

1)la prima, imputabile all’autrice, è la piega dozzinale che prende la storia verso la conclusione: tutti quegli elementi tipicamente shounen prima assenti e che l’Arakawa aveva abituato a non far rimpiangere compaiono in massa negli ultimi volumi, dai power-up alle onde energetiche agli improbabili attacchi di “gruppo” alle miracolose resurrezioni, si ripresentano a danno di una vicenda altrimenti perfetta, niente di insostenibile comunque;

2)la seconda è imputabile all’edizione della Panini, una delle peggiori che abbia avuto occasione di vedere (possiedo la prima): copertine fragili con ingombranti loghi di Mtv, pagine che si reggono con lo sputo e con il tempo perdono inchiostro ingiallendosi, tavole a colori stampate (male) in bianco e nero eccetera. Ho dovuto ricomprare 3 volumi perché ormai erano diventati illeggibili, e ciò è inammissibile, soprattutto per una serie che si meriterebbe almeno una stampa di qualità.




Potete far sentire la vostra voce, oltre che nei commenti, anche con un mini sondaggio che durerà tre giorni!

Quale versione di Fullmetal Alchemist preferisci?