Con una carriera da regista che conta quarantadue lungometraggi realizzati nell’arco di cinquant’anni, Obayashi Nobuhiko è uno dei più longevi e prolifici cineasti attualmente attivi in Giappone. Fra le sue realizzazioni compaiono alcuni fra i più inossidabili classici del cinema nipponico e il suo apporto sperimentale di stile e narrazione alla settima arte è stato di riferimento per le nuove generazioni di cineasti. Eppure fuori dal Giappone Obayashi è stato per molto tempo misconosciuto, almeno finché il suo primo lungometraggio, House, sfrenata fantasia horror psichedelica del 1977, non è finalmente arrivata sugli schermi internazionali a trent’anni dal suo debutto in patria.
Celebrato alla diciottesima edizione del Far East Film Festival con la consegna del Gelso d’Oro Obayasi ha presentato a Udine una retrospettiva con quattro dei suoi film più rappresentativi (House, School in the Crosshairs, Exchange Students e The Girl Who Leapt Through Time). Oltre alle proiezioni e alla premiazione nella serata del 25 aprile, il maestro Obayashi si è prestato a una serie di conferenze stampa e interviste. Per introdurre l’argomento, oggi vi presentiamo un excursus sulla sua multisfaccettata carriera, che prende in esame alcuni esempi della sua vasta filmografia e che va dai primi passi nel cinema sperimentale degli anni ‘60 fino ai giorni nostri.
Nato nel 1938 nella cittadina balneare di Onomichi, vicino a Hiroshima, figlio di un medico, Obayashi a soli sei anni già realizzava brevi animazioni disegnando su frammenti di pellicola 35mm. Dopo la guerra Obayashi trascorreva molte ore nei cinema a vedere quei film stranieri che erano stati messi al bando durante il conflitto e che ora inondavano le sale di tutto il Giappone: si trattava di western, noir, melodrammi, gialli francesi, film d’autore europei e grandi classici delle major hollywoodiane. Queste visioni incendiarono l’immaginazione del giovane Obayashi, il quale ha sempre dichiarato quanto quell’involontario miscuglio di stili, periodi e culture abbia influenzato il suo modo di fare cinema, e questo emerge dal montaggio convulso di House, un rigurgito di immagini apparentemente slegate con lo scopo di evocare un emozione, un sentimento, più che enunciare una poetica ben precisa.
A quindici anni Obayashi ebbe la possibilità di visitare il set ambientato nella sua città (Onomichi) di Viaggio a Tokyo (Tokyo Monogatari, 1953) di Ozu Yasujiro. Quest’episodio lo segnò profondamente e lo convinse sempre più a perseguire la strada del cinema così, dopo gli anni del liceo, in cui si era cimentato nella scrittura, nello studio del pianoforte e nel disegno, si trasferì a Tokyo nel 1956 dove si iscrisse alla Seijo University. Contravvenendo alle prescrizioni familiari di intraprendere una carriera in medicina, fu in questi anni che realizzò i suoi primi veri film sperimentali in 8mm, interpretati dalla sua fidanzata Kiyoko, che sarebbe diventata la sua futura moglie e produttrice.
Nel 1960 abbandonò l’università per concentrarsi sulla regia. Con i suoi colleghi registi sperimentali Iimura Takahiko e Tabakayashi Yoichi, contribuì al sorgere della scena cinematografica indipendente degli anni ‘60. Furono proprio lui e i suoi soci a coniare la definizione attraverso il collettivo Film Indipendents: fino ad allora in Giappone la regia era concepita o come un’impresa professionale nell’ambito delle società di produzione o come hobby per amatori che giravano in 8mm. Il lavoro di Obayashi si svolgeva completamente al di fuori dei circuiti degli studios e le sue prime proiezioni non si tennero nei cinema bensì nelle gallerie d’arte del quartiere di Shinjuku, centro della fiorente e politicamente impegnata scena artistica d’avanguardia, in cui ci si occupava anche di teatro sperimentale, fotografia, arti grafiche, pittura, arte concettuale e performance, con artisti del calibro di Akasegawa Genpei e Yoko Ono.
I film in 8mm di Obayashi sono un primo esempio di realismo magico e fantasy che caratterizzano i suoi film successivi e sono un concentrato di animazione, surrealismo, danza e gestualità da cinema muto. Un'altra peculiarità ricorrente è la preponderanza della colonna sonora spesso mutuata dalla musica classica occidentale, che dona alle scene un gusto decisamente romantico e melodrammatico. A questo periodo risalgono i corti: The girl in the Picture (E no Naka no Shojo, 1960), storia drammatica sul rimpianto e il ricordo; Onomichi (1963), rapido tour dal taglio documentaristico; Memento (Katami, 1963), insinuato da elementi horror, in cui una donna va con suo figlio sulla tomba del marito ed entrambi hanno delle visioni spaventose e surreali; Thursday (Mokuyobi, 1961), in cui una scampagnata nei boschi per un ragazzo e una donna si trasforma in un’avventura macabra. Le proiezioni facevano il tutto esaurito e presto ci fu l’avvento di cinema specializzati come lo Shinjuku Art Theater (in seguito Art Theater Guild) che iniziarono a proiettare corti sperimentali e lungometraggi di importazione, oltre a film di cineasti nipponici d’avanguardia come Oshima Nagisa.
Nel 1963 Obayashi passò dalla pellicola in 8mm a quella in 16mm per il suo corto The People Who Ate (Tabeta Hito, 1964), una commedia surreale su una cameriera che sviene dopo aver osservato il modo disgustoso in cui i suoi clienti mangiano, immaginandosi di ritrovarsi su un vassoio e di essere sezionata in porzioni da distribuire agli ospiti. I tre film successivi di Obayashi, Complexe (1964), Emotion (1966) e Confession (1968), evidenziarono un cambiamento radicale nello stile e nelle ambizioni del regista, in particolare Confession era uno sguardo privo di trama ma pieno di energia su un gruppo di giovani che se la spassano a Onomichi, ispirato ai film della Nouvelle Vague francese (in particolare a Jean Luc Godard), mentre Complexe venne presentato a un festival di cinema underground di Los Angeles.
Fu quest’ultimo film ad attirare l’attenzione di un produttore dell’agenzia pubblicitaria Dentsu, che invitò il regista a cimentarsi negli shorts televisivi, intuendo la sua grande capacità di comunicare idee precise in modo divertente e in un breve lasso di tempo. Obayashi divenne il primo cineasta sperimentale ad entrare nel mondo proibito della pubblicità. Ancora agli albori, l’industria degli spot pubblicitari stava incrementando velocemente per via della crescente popolarità dei programmi televisivi rispetto al cinema e per lo sviluppo economico galoppante degli anni ‘60. Le agenzie di commercials erano sempre le prime ad abbracciare le tecnologie più recenti e gli effetti speciali, e Obayashi insistette perché gli fosse concesso di girare gli spot oltreoceano con attori stranieri famosi, iniziando un trend che continua ancora oggi. Fu così che il regista realizzò migliaia di spot con i più famosi attori giapponesi e non, alcuni dei quali erano dei veri e propri film, come quello con Charles Bronson, quello con il celebre protagonista di Zatoichi, Kantsu Shintaro, e ancora Sofia Loren, Ringo Starr, Catherine Deneuve e Kirk Douglas.
Così come i primi cortometraggi sperimentali di Obayashi avevano attirato l’attenzione di un produttore, nello stesso modo trasversale la sua attività di regista pubblicitario lo condusse alla realizzazione del suo primo lungometraggio. Verso la metà degli anni ‘70 la maggior parte dei registi venivano reclutati fra i ranghi degli sceneggiatori e aiuto registi delle principali case di produzione, quasi nessuno aveva possibilità di dirigere senza prima aver fatto una lunga gavetta negli studios, ma è quello che accadde a OB (soprannome inventato da Kirk Douglas e rimasto perché più facile da pronunciare per gli stranieri). Dopo la rapida ascesa della televisione negli anni ‘70 l’industria cinematografica in Giappone aveva avuto un crollo e le case di produzione spesso dovevano fondersi tra loro, quando non dovevano chiudere i battenti per fallimento. Alcune si riciclarono nei generi più estremi, producendo film d’azione sanguinosi o porno softcore per uomini di mezza età, che sembravano gli unici rimasti a frequentare ancora le sale. Generalmente i giovani snobbavano il cinema nazionale preferendo i blockbuster d’importazione come L’esorcista (1973) e Lo squalo (1975).
Un giorno un produttore della Toho, parlando de Lo squalo a Obayashi, gli chiese se non fosse interessato a scrivere una sceneggiatura per un film del genere indirizzato a un pubblico di giovani. OB, come spesso faceva in queste circostanze, interpellò sua figlia decenne, Chigumi, sperando di trovare una soluzione creativa. Invece di suggerire qualcosa di scontato, tipo un film su un orso assassino o formiche killer, Chigumi consigliò al padre di fare un film su una casa che fagocitava le bambine, pensando alla vecchia casa dei nonni. Folgorato, OB portò avanti l’idea creando una storia che fu trasposta in copione dallo sceneggiatore Katsura Chiho. Con quello che sarebbe stato lo script di House (Hausu, 1977), si recò alla Toho ma tutti i registi allora sotto contratto si rifiutarono categoricamente di dirigere il progetto, affermando che House avrebbe stroncato la loro carriera. Il progetto venne accantonato per due anni, ma in quel mentre Obayashi non rimase con le mani in mano e si adoperò sfruttando la sua esperienza di pubblicitario e creando quella che oggi definiremmo una promozione incrociata fra media: ci furono manga, un romanzo, un vinile, sfilate di moda nei grandi magazzini e uno sceneggiato radiofonico, tutti a tema House. Quando la Toho si decise a produrre il film, House aveva già raggiunto un certo livello di notorietà. Fu così che l’outsider Obayashi ricevette le chiavi di uno dei più grandi studi di produzione cinematografica in Giappone, dove costruì la sua personale casa stregata.
OB sconvolse gli studi con i suoi metodi anticonvenzionali e con le sue intenzioni di creare un mondo deliberatamente esagerato. Il regista non considerò mai House come un horror ma piuttosto come un fantasy con un tema profondo incentrato sul gap generazionale nel Giappone moderno. Il film osserva da un lato gli adulti, che hanno vissuto gli anni della guerra, hanno sofferto e sono stati segnati da quell’esperienza, e dall’altro le ragazzine che, non toccate da tali orrori, non si rendono conto di quanto preziosa sia la pace. Infatti non resistono e vengono consumate dall’odio e dalla rabbia, residui della guerra rappresentati dalla spettrale zia rimasta sola dopo la morte del fidanzato aviatore. Un argomento difficile da digerire alla Toho, dove speravano in un film horror da botteghino, e l’insistenza di Obayashi nel voler inserire immagini della bomba atomica confuse ancora di più i produttori esecutivi.
Con il suo ritmo indiavolato e i suoi rutilanti effetti speciali, House conserva ancora oggi intatta un’eleganza gotica da favola horror, rafforzata dalla colonna sonora eclettica e da una debordante scenografia. Il ruolo dell’anziana zia fu affidato alla diva della Nikkatsu Minamida Yoko, che interpretava un personaggio molto più vecchio di lei, mentre le sette ragazze nei panni delle studentesse erano per lo più attrici dilettanti (se si esclude Ikegami Kimiko nei panni di Gorgeous). La storia è un bad trip adolescenziale che mescola scene da incubo, riferimenti ai classici dell’horror e provocazioni della controcultura, in un delirio di commedia, melodramma e musical dissimile da qualsivoglia film mai visto prima. Gli effetti speciali (un concentrato di tecniche analogiche e continue sperimentazioni visive) erano stati concepiti per conferire un senso di irrealtà e per omaggiare gli albori del cinema muto di Méliès.
Sconvolti dal risultato finale, i dirigenti della Toho relegarono il film nella seconda serata di un doppio spettacolo in cui la prima parte era un episodio di una celebre serie melodrammatica mainstream. Ma, come OB aveva immaginato, il pubblico giovanile si riversò a frotte nei cinema, saltando a piè pari il primo spettacolo per vedere House. Ben presto la Toho invertì la programmazione riabilitando House come attrazione principale. Da quel momento House si costruì una reputazione come film di culto influenzando giovani cineasti, come ad esempio Iguchi Noboru, regista di Machine Girl (Kataude Mashin Garu, 2008), e cambiando radicalmente il modo di concepire e realizzare i film in Giappone.
Il film successivo fu The Visitor in the Eye (Hitomi no Naka no Homonsha, 1977), adattamento del famoso manga Black Jack di Osamu Tezuka e prodotto dall’agenzia di talenti HoriPro che aveva aperto una divisione produttiva e intendeva promuovere la sua scuderia di idol. OB concepì il film come un melodramma fantasy che potesse essere apprezzato da coloro che ancora non conoscevano il personaggio e, nel contempo, introdusse elementi di parodia destinati ai fan del manga.
A metà strada tra un film personale e un film su commissione (interpretato dall’attore della Nikkatsu Shishido Jo nel ruolo di Black Jack), il film non coinvolse nessuno dei due tipi di pubblico e fu sostanzialmente un flop. Malgrado il fiasco, la HoriPro decise di produrre anche il film successivo di OB ma stavolta si ritornò a una formula collaudata che vedeva come protagonisti due degli idol più famosi dell’agenzia, Yamaguchi Momoe e Miura Tomokazu, una coppia di attori giovani e carini cresciuti sul grande schermo sin da quando erano teenager. Furimukeba Ai (Se ti volti è amore), del 1978, era una specie di remake dei loro film precedenti ma anche una sorta di meta-film sulla loro carriera e sul loro rapporto che sarebbe potuto sfociare in matrimonio e nel successivo ritiro dalle scene. Ancora una volta Obayashi concepì un prodotto commerciale come qualcosa di personale incorporando tutti questi elementi nella storia. Il film fu un grande successo e i due attori si sposarono davvero con conseguente ritiro nel 1980.
Alla morte di suo padre, fondatore di una delle principali case editrici giapponesi, Kadokawa Haruki ereditò la società iniziando una radicale serie di cambiamenti, allontanandosi dalla tradizionale linea editoriale letteraria/educativa in favore dell’intrattenimento popolare e creando una divisione cinematografica interna alla società. L’invito di Kadokawa rappresentò per Obayashi una ventata di aria fresca e quando i due anticonformisti si unirono per realizzare un film la cosa suscitò un certo clamore. Il primo esperimento fu The Adventures of Kosuke Kindaichi (Kindaichi Kosuke no Boken, 1979) adattava in chiave satirica e autoreferenziale una serie di cupi romanzi polizieschi scritti da Yokomizo Seishi. Nel suo meta-film Obayashi da un lato cita il serissimo The Inugami Family di Ichikawa Kon (tratto dallo stesso soggetto) dall’altro dipinge il protagonista, il detective privato Kindaichi, come un maldestro imbranato che, alla fine del film, viene incastrato, tradito e assassinato dal poliziotto Todoroki, che nel romanzo era considerato come una sorta di Watson per Sherlock Holmes. Il film fu un grandissimo successo ed fu caratterizzato dalle invenzioni visive di OB, da continui riferimenti ad altri film e da un cammeo di Mifune Toshiro. Il rapporto con Kadokawa ne uscì consolidato e i due proseguirono la loro collaborazione per altre cinque pellicole.
A cavallo tra i ‘70 e gli ‘80, Obayashi incarnò quella che sarebbe diventata una tendenza sempre più popolare in Giappone: i giovani cantanti e attori (idol) diventarono la forza trainante dell’industria dello spettacolo. Spesso quest’industria in espansione utilizzò gli stessi metodi promozionali inaugurati da Obayashi, come la saturazione mediatica e il marketing a piattaforme incrociate. Gli idol venivano scelti con cura e preparati ad hoc per diventare dei modelli ideali di giovani giapponesi. Anche le tradizionali case cinematografiche formavano i loro divi del cinema ma gli idol erano diversi, le loro canzoni e i loro film venivano confezionati appositamente per i fan. Kadokawa Haruki cavalcò il fenomeno degli idol movies producendo vagonate di film su misura per i vari attori/attrici di turno. Fu naturale per lui rivolgersi ad Obayashi per i titoli di punta, dopo che il suo House aveva aperto la strada ai film lolicon (complesso di Lolita) in cui le ragazzine venivano spesso rappresentate in modo provocatorio e sessualizzato.
Il primo idol movie fu School in the Crosshairs (Nerawareta Gakuen, 1981), trasposizione di un best seller di fantascienza con la famosa idol Yakushimaru Hiroko, stella della Kadokawa che negli anni a venire sarebbe diventata l’attrice simbolo degli idol movies, interpretando Sailor Suit and Machine Gun (Sera-fuku to Kikanju, 1981) di Somai Shinji, Legend of Eight Samurai (Satomi Hakken-den, 1983) di Fukasaku Kinji, e W's Tragedy (W no Higeki, 1984), di Sawai Shinichiro, tutti fra i maggiori successi degli anni ‘80.
In School in the Crosshairs, Yakushimaru veste i panni di Yuko, liceale che deve proteggere la scuola da un attacco extraterrestre sotto forma di una nuova studentessa che usa i suoi poteri psichici per trasformare il liceo in una base operativa conformista, ai limiti del fascismo, al fine di conquistare la terra. Il film è un fantasy infarcito di trucchi cinematografici ed effetti speciali in stile Obayashi, che stavolta sono supportati da un impianto narrativo più strutturato e da un personaggio centrale ben caratterizzato. La battaglia finale riesce a superare House nella sua sfrenata e allucinante inverosimiglianza. Fra le righe si può anche intravedere una critica al conformismo e una riflessione sulla libertà di pensiero, indirizzata soprattutto alla società nipponica e alla sua industria culturale. Nel film compare anche il figlio di Osamu Tezuka, Macoto (in seguito diventato a sua volta regista), nel ruolo del vendicativo nerd della classe.
Il film successivo per Kadokawa fu The Girl Who Leapt Through Time (Toki o Kakeru Shojo, 1983), idol movie venato di fantascienza, adattamento del romanzo di Yasutaka Tsutsui ambientato nella città natale di Obayashi, Onomichi. Ne venne fuori un film molto personale, malgrado fosse nato come regalo per la giovane diva Harada Tomoyo da parte di Kadokawa, che si era innamorato di lei durante i provini. OB dichiarò che il romanzo breve, anche se di fantascienza, era perfetto per una storia d’amore all’antica, inoltre l’ambientazione nei luoghi della sua giovinezza a Onomichi conferì al film un carattere fortemente nostalgico.
Il film è uno dei preferiti dallo stesso Obayashi e uno dei più personali, con la sua storia dolce amara sulla natura transitoria dell’amore e sui ricordi che mantengono vivo il passato, è pervaso da un’atmosfera onirica e da elementi fantastici espletati in effetti speciali più delicati e meno invadenti di quelli di House o di Crosshairs. Fu un successo al botteghino che decretò Harada come diva assoluta e il sodalizio con Kadokawa consentì a Obayashi di realizzare uno dei suoi progetti più personali, Lonely Heart (Sabishinbo, 1985), secondo lungometraggio ambientato nell'amata città di Onomichi. Dopo qualche anno The Girl Who Leapt Through Time fu trasposto in un manga e in un film di animazione (quest’ultimo, diretto da Mamoru Hosoda, è concepito come sequel del film di OB, con protagonista Makoto nipote di Kazuko), oltre ad altri adattamenti per il cinema e la tv, diventando un classico moderno della cultura giapponese, soprattutto grazie al taglio della storia impostato da Obayashi. Per Kadokawa, Obayashi ha diretto anche il film di animazione Kenya Boy (Shonen Kenya, 1984).
Nel 1982, prima di iniziare a lavorare a The Girl Who Leapt Through Time, Obayashi aveva aderito al progetto di una casa di produzione indipendente, la leggendaria Art Theater Guild (ATG), nata dalle ceneri del vecchio Shinjuku Art Theater nel quale erano stati proiettati i suoi primi corti in 8mm. Unendosi ad altri registi anticonformisti per dare libero sfogo alle loro visioni artistiche senza interferenze commerciali, la ATG produsse alcuni tra i classici più famosi degli anni ‘80. Ideologicamente rappresentava l’esatto opposto della Kadokawa, ma non deve sorprendere che un artista poliedrico e anticonvenzionale come Obayashi lavorasse per entrambe le società contemporaneamente.
La prima pellicola di OB per la ATG fu Exchange Students (Tenkosei, 1982) che completa la cosiddetta “trilogia di Onomichi”.
Da questa premessa si sviluppa una gender comedy di vedute molto larghe con Kazuo che si vede costretto a tirare fuori il suo lato femminile e Kazumi che svolge come può il suo ruolo da maschiaccio. Exchange Students è considerato uno dei migliori film di Obayashi e la sua fama è ampiamente meritata: è divertente, nostalgico, sentimentale, tagliente e adatto a tutti i tipi di pubblico. Vista l’intramontabile popolarità del film, OB ne fece un remake, Switching – Goodbye Me (Tenkosei – Sayonara Anata) nel 2007.
Per l’ATG Obayashi girò anche The Deserted City (Haishi, 1984) e Bound for the Fields, the Mountains and the Seacoasts (Noyuki Yamayuki Umibeyuki, 1986), ambientato durante la guerra, segue le vicende di un gruppo di ragazzi in conflitto con gli anziani per evitare che una loro amica venga venduta come prostituta. In questo film OB rievoca i classici del cinema nipponico, come l’opera di Ozu Yasujiro, e critica la corsa al riarmo del Giappone.
Nella seconda metà degli anni ‘80 Obayashi era un regista molto richiesto, aveva ormai smesso di fare shorts, e nel 1987 realizzò un controverso adattamento da una serie manga del celebre autore Umezu Kazuo, The Drifting Classroom (Hyoryu Kyoshitsu, 1974). Ambientò la sua personale versione in un liceo di Kobe e scelse l’ex idolo delle teen ager Troy Donahue per il ruolo di Taggart.
Per molto tempo i puristi dell’opera di Umezu hanno disconosciuto il film, ma OB è orgoglioso della sua opera, che è diventata una leggenda per gli appassionati di fantascienza e di horror giapponesi degli anni ‘80. La trama del manga seguiva le orme di un gruppo di liceali trasportati in una dimensione parallela popolata da mostri e creature misteriose, Obayashi incentra la sua storia sull’elemento umano e sulle reazioni individuali dei personaggi di fronte alle difficoltà. Gli effetti speciali e la colonna sonora di Joe Hisaishi (collaboratore di Miyazaki Hayao e Kitano Takeshi) donano alle scene un'ulteriore carica emotiva.
Con Beijing Watermelon (Pekin no Siuca, 1989) Obayashi collaborò con decine di attori cinesi in uno dei primi film nipponici ad abbattere la barriera culturale sorta con la guerra.
Nella carriera di Obayashi una costante è rappresentata dal riadattamento di serie tv (circa una dozzina) per il grande schermo, fra i quali si possono citare: Chizuko’s Younger Sister (Futari, 1991), dramma realistico con inserti soprannaturali; Haruka, Nostalgia (Haruka, Nosutarujie, 1992), vicenda sentimentale di amore perduto; Doctor Blockhead (Manuke Sensei, 2000), remake di uno dei suoi primissimi corti.
Nei primi anni ‘90 Obayashi cominciò a ricevere i primi riconoscimenti importanti, in particolare il Japan Academy Award per la miglior regia con The Rocking Horsemen (Seishun Dendekedekedeke, 1992), film nostalgico su un gruppo di giovani che negli anni ‘60 decidono di formare una band di Surf Rock, con protagonista un giovanissimo Asano Tadanobu. OB mescola temi a lui cari come la gioventù perduta, il ricordo, il rimpianto e le peculiarità locali insieme a una ricca componente musicale. Venne premiato anche per Samurai Kids (Mizu no Tabibito, 1993), divertente saga familiare che anticipa i film carichi di effetti speciali di Miike Takashi, incentrata su un samurai in miniatura alto una manciata di centimetri (Yamazaki Tsutomu). Trasportato nel mondo moderno su un fiume inquinato, viene scoperto, debole e sofferente, da uno scolaro. I comici e maldestri sforzi del ragazzo per proteggere il samurai dai pericoli (come gli animali domestici) sono bilanciati dalle preoccupazioni per il degrado ambientale.
Completamente all’opposto rispetto all’intrattenimento di Samurai Kids si trova Sada (1998), versione di Obayashi di una storia vera, quella della famigerata assassina Abe Sada, già in precedenza messa in scena dallo scandaloso e sessualmente esplicito L’Impero dei Sensi di Oshima Nagisa (Ai no Corrida, 1976).
Concentrando la storia sulla giovinezza di Sada e sulla sua successiva vita da prostituta, anziché sulla relazione fatale, Obayashi mette la sua impronta su una delle storie più famose del Giappone, affrontandola da una prospettiva insolita e inserendo effetti speciali, attori che rompono la "quarta parete" e si rivolgono direttamente al pubblico, e altri espedienti volti a creare empatia per uno dei più calunniati personaggi della storia del cinema nipponico. Il film ricevette il premio Fipresci al Festival di Berlino nel 1998.
Nei primi anni 2000 i film di Obayashi non ricevettero grandi tributi ed elogi da parte della critica, ma il cineasta ebbe una rinascita creativa e nuove motivazioni a partire dal 2013, dopo il terremoto e lo tsunami del Tohoku del 3 marzo 2011. Uno dei migliori film di Obayashi di questo periodo è The Reason (Riyu, 2004).
Fra thriller e dramma umano, con una linea temporale volutamente disgregata e tanti protagonisti, The Reason è uno dei film più realistici di Obayashi.
I film successivi al marzo 2011, seguono la linea di The Reason sul piano della struttura narrativa articolata e della ricchezza del cast, sono descritti da Obayashi come “saggi cinematografici”, e incorporano caratteristiche sia drammatiche che documentaristiche, riuscendo a raccontare diverse storie complesse lungo sessant’anni di storia del dopoguerra.
Casting Blossoms to the Sky (Koro Sora no Mana – Nagaoka Hanabi Monogatari, 2012) si presenta come una raffica di dialoghi sovrapposti, decine di protagonisti e continui sbalzi spazio temporali, collegando i bombardamenti di Nagaoka con Pearl Arbor e con il terremoto di Kobe del 1995. Personaggi passati presenti e futuri si incrociano nella moderna Nagaoka, mentre la città si prepara a ripristinare l’annuale spettacolo di fuochi d’artificio dopo l’inattività del periodo bellico. Il film dura tre ore ma sfoggia un'energia e una vivacità straordinarie.
Il successivo Seven Weeks (No no Nanananoka, 2014) segue una struttura simile ma racconta una vicenda più personale e vagamente autobiografica.
E’ la storia di una grande famiglia che si riunisce dopo la morte del patriarca, noto medico di una città del nord del Giappone. Il film segna un ritorno di elementi sovrannaturali e fantasy in modo più marcato rispetto alle recenti produzioni, e in un certo senso chiude un cerchio cominciato con la sua opera prima House.
Durante la lavorazione di queste due ultime opere OB ha trovato il tempo di dirigere un video musicale sperimentale di un’ora con la famosa idol band al femminile AKB48, intitolato So Long.
Attualmente sta preparando la sua ultima fatica filmica che sarà girata nell’estate 2016 e che riprende una delle sue prime sceneggiature, il suo ambizioso “classico giapponese” Hanagatami, scritto a quattro mani con lo sceneggiatore di House, Katsura Chiho.
Obayashi Nobuhiko, il regista che si definisce “creatore di film”, sempre a cavallo tra sperimentazioni d’avanguardia e film di largo consumo, è ancora innamoratissimo della sua cinepresa e della sua capacità di creare magia. La maggior parte dei cineasti suoi coetanei sono andati in pensione da tempo, ma lui non sembra volersi fermare e continua imperterrito il suo incredibile e trasversale viaggio attraverso il cinema.
Celebrato alla diciottesima edizione del Far East Film Festival con la consegna del Gelso d’Oro Obayasi ha presentato a Udine una retrospettiva con quattro dei suoi film più rappresentativi (House, School in the Crosshairs, Exchange Students e The Girl Who Leapt Through Time). Oltre alle proiezioni e alla premiazione nella serata del 25 aprile, il maestro Obayashi si è prestato a una serie di conferenze stampa e interviste. Per introdurre l’argomento, oggi vi presentiamo un excursus sulla sua multisfaccettata carriera, che prende in esame alcuni esempi della sua vasta filmografia e che va dai primi passi nel cinema sperimentale degli anni ‘60 fino ai giorni nostri.
Gli esordi
Nato nel 1938 nella cittadina balneare di Onomichi, vicino a Hiroshima, figlio di un medico, Obayashi a soli sei anni già realizzava brevi animazioni disegnando su frammenti di pellicola 35mm. Dopo la guerra Obayashi trascorreva molte ore nei cinema a vedere quei film stranieri che erano stati messi al bando durante il conflitto e che ora inondavano le sale di tutto il Giappone: si trattava di western, noir, melodrammi, gialli francesi, film d’autore europei e grandi classici delle major hollywoodiane. Queste visioni incendiarono l’immaginazione del giovane Obayashi, il quale ha sempre dichiarato quanto quell’involontario miscuglio di stili, periodi e culture abbia influenzato il suo modo di fare cinema, e questo emerge dal montaggio convulso di House, un rigurgito di immagini apparentemente slegate con lo scopo di evocare un emozione, un sentimento, più che enunciare una poetica ben precisa.
A quindici anni Obayashi ebbe la possibilità di visitare il set ambientato nella sua città (Onomichi) di Viaggio a Tokyo (Tokyo Monogatari, 1953) di Ozu Yasujiro. Quest’episodio lo segnò profondamente e lo convinse sempre più a perseguire la strada del cinema così, dopo gli anni del liceo, in cui si era cimentato nella scrittura, nello studio del pianoforte e nel disegno, si trasferì a Tokyo nel 1956 dove si iscrisse alla Seijo University. Contravvenendo alle prescrizioni familiari di intraprendere una carriera in medicina, fu in questi anni che realizzò i suoi primi veri film sperimentali in 8mm, interpretati dalla sua fidanzata Kiyoko, che sarebbe diventata la sua futura moglie e produttrice.
Nel 1960 abbandonò l’università per concentrarsi sulla regia. Con i suoi colleghi registi sperimentali Iimura Takahiko e Tabakayashi Yoichi, contribuì al sorgere della scena cinematografica indipendente degli anni ‘60. Furono proprio lui e i suoi soci a coniare la definizione attraverso il collettivo Film Indipendents: fino ad allora in Giappone la regia era concepita o come un’impresa professionale nell’ambito delle società di produzione o come hobby per amatori che giravano in 8mm. Il lavoro di Obayashi si svolgeva completamente al di fuori dei circuiti degli studios e le sue prime proiezioni non si tennero nei cinema bensì nelle gallerie d’arte del quartiere di Shinjuku, centro della fiorente e politicamente impegnata scena artistica d’avanguardia, in cui ci si occupava anche di teatro sperimentale, fotografia, arti grafiche, pittura, arte concettuale e performance, con artisti del calibro di Akasegawa Genpei e Yoko Ono.
I film in 8mm di Obayashi sono un primo esempio di realismo magico e fantasy che caratterizzano i suoi film successivi e sono un concentrato di animazione, surrealismo, danza e gestualità da cinema muto. Un'altra peculiarità ricorrente è la preponderanza della colonna sonora spesso mutuata dalla musica classica occidentale, che dona alle scene un gusto decisamente romantico e melodrammatico. A questo periodo risalgono i corti: The girl in the Picture (E no Naka no Shojo, 1960), storia drammatica sul rimpianto e il ricordo; Onomichi (1963), rapido tour dal taglio documentaristico; Memento (Katami, 1963), insinuato da elementi horror, in cui una donna va con suo figlio sulla tomba del marito ed entrambi hanno delle visioni spaventose e surreali; Thursday (Mokuyobi, 1961), in cui una scampagnata nei boschi per un ragazzo e una donna si trasforma in un’avventura macabra. Le proiezioni facevano il tutto esaurito e presto ci fu l’avvento di cinema specializzati come lo Shinjuku Art Theater (in seguito Art Theater Guild) che iniziarono a proiettare corti sperimentali e lungometraggi di importazione, oltre a film di cineasti nipponici d’avanguardia come Oshima Nagisa.
Nel 1963 Obayashi passò dalla pellicola in 8mm a quella in 16mm per il suo corto The People Who Ate (Tabeta Hito, 1964), una commedia surreale su una cameriera che sviene dopo aver osservato il modo disgustoso in cui i suoi clienti mangiano, immaginandosi di ritrovarsi su un vassoio e di essere sezionata in porzioni da distribuire agli ospiti. I tre film successivi di Obayashi, Complexe (1964), Emotion (1966) e Confession (1968), evidenziarono un cambiamento radicale nello stile e nelle ambizioni del regista, in particolare Confession era uno sguardo privo di trama ma pieno di energia su un gruppo di giovani che se la spassano a Onomichi, ispirato ai film della Nouvelle Vague francese (in particolare a Jean Luc Godard), mentre Complexe venne presentato a un festival di cinema underground di Los Angeles.
Gli shorts pubblicitari
Fu quest’ultimo film ad attirare l’attenzione di un produttore dell’agenzia pubblicitaria Dentsu, che invitò il regista a cimentarsi negli shorts televisivi, intuendo la sua grande capacità di comunicare idee precise in modo divertente e in un breve lasso di tempo. Obayashi divenne il primo cineasta sperimentale ad entrare nel mondo proibito della pubblicità. Ancora agli albori, l’industria degli spot pubblicitari stava incrementando velocemente per via della crescente popolarità dei programmi televisivi rispetto al cinema e per lo sviluppo economico galoppante degli anni ‘60. Le agenzie di commercials erano sempre le prime ad abbracciare le tecnologie più recenti e gli effetti speciali, e Obayashi insistette perché gli fosse concesso di girare gli spot oltreoceano con attori stranieri famosi, iniziando un trend che continua ancora oggi. Fu così che il regista realizzò migliaia di spot con i più famosi attori giapponesi e non, alcuni dei quali erano dei veri e propri film, come quello con Charles Bronson, quello con il celebre protagonista di Zatoichi, Kantsu Shintaro, e ancora Sofia Loren, Ringo Starr, Catherine Deneuve e Kirk Douglas.
Così come i primi cortometraggi sperimentali di Obayashi avevano attirato l’attenzione di un produttore, nello stesso modo trasversale la sua attività di regista pubblicitario lo condusse alla realizzazione del suo primo lungometraggio. Verso la metà degli anni ‘70 la maggior parte dei registi venivano reclutati fra i ranghi degli sceneggiatori e aiuto registi delle principali case di produzione, quasi nessuno aveva possibilità di dirigere senza prima aver fatto una lunga gavetta negli studios, ma è quello che accadde a OB (soprannome inventato da Kirk Douglas e rimasto perché più facile da pronunciare per gli stranieri). Dopo la rapida ascesa della televisione negli anni ‘70 l’industria cinematografica in Giappone aveva avuto un crollo e le case di produzione spesso dovevano fondersi tra loro, quando non dovevano chiudere i battenti per fallimento. Alcune si riciclarono nei generi più estremi, producendo film d’azione sanguinosi o porno softcore per uomini di mezza età, che sembravano gli unici rimasti a frequentare ancora le sale. Generalmente i giovani snobbavano il cinema nazionale preferendo i blockbuster d’importazione come L’esorcista (1973) e Lo squalo (1975).
Il primo lungometraggio: House
Un giorno un produttore della Toho, parlando de Lo squalo a Obayashi, gli chiese se non fosse interessato a scrivere una sceneggiatura per un film del genere indirizzato a un pubblico di giovani. OB, come spesso faceva in queste circostanze, interpellò sua figlia decenne, Chigumi, sperando di trovare una soluzione creativa. Invece di suggerire qualcosa di scontato, tipo un film su un orso assassino o formiche killer, Chigumi consigliò al padre di fare un film su una casa che fagocitava le bambine, pensando alla vecchia casa dei nonni. Folgorato, OB portò avanti l’idea creando una storia che fu trasposta in copione dallo sceneggiatore Katsura Chiho. Con quello che sarebbe stato lo script di House (Hausu, 1977), si recò alla Toho ma tutti i registi allora sotto contratto si rifiutarono categoricamente di dirigere il progetto, affermando che House avrebbe stroncato la loro carriera. Il progetto venne accantonato per due anni, ma in quel mentre Obayashi non rimase con le mani in mano e si adoperò sfruttando la sua esperienza di pubblicitario e creando quella che oggi definiremmo una promozione incrociata fra media: ci furono manga, un romanzo, un vinile, sfilate di moda nei grandi magazzini e uno sceneggiato radiofonico, tutti a tema House. Quando la Toho si decise a produrre il film, House aveva già raggiunto un certo livello di notorietà. Fu così che l’outsider Obayashi ricevette le chiavi di uno dei più grandi studi di produzione cinematografica in Giappone, dove costruì la sua personale casa stregata.
OB sconvolse gli studi con i suoi metodi anticonvenzionali e con le sue intenzioni di creare un mondo deliberatamente esagerato. Il regista non considerò mai House come un horror ma piuttosto come un fantasy con un tema profondo incentrato sul gap generazionale nel Giappone moderno. Il film osserva da un lato gli adulti, che hanno vissuto gli anni della guerra, hanno sofferto e sono stati segnati da quell’esperienza, e dall’altro le ragazzine che, non toccate da tali orrori, non si rendono conto di quanto preziosa sia la pace. Infatti non resistono e vengono consumate dall’odio e dalla rabbia, residui della guerra rappresentati dalla spettrale zia rimasta sola dopo la morte del fidanzato aviatore. Un argomento difficile da digerire alla Toho, dove speravano in un film horror da botteghino, e l’insistenza di Obayashi nel voler inserire immagini della bomba atomica confuse ancora di più i produttori esecutivi.
Con il suo ritmo indiavolato e i suoi rutilanti effetti speciali, House conserva ancora oggi intatta un’eleganza gotica da favola horror, rafforzata dalla colonna sonora eclettica e da una debordante scenografia. Il ruolo dell’anziana zia fu affidato alla diva della Nikkatsu Minamida Yoko, che interpretava un personaggio molto più vecchio di lei, mentre le sette ragazze nei panni delle studentesse erano per lo più attrici dilettanti (se si esclude Ikegami Kimiko nei panni di Gorgeous). La storia è un bad trip adolescenziale che mescola scene da incubo, riferimenti ai classici dell’horror e provocazioni della controcultura, in un delirio di commedia, melodramma e musical dissimile da qualsivoglia film mai visto prima. Gli effetti speciali (un concentrato di tecniche analogiche e continue sperimentazioni visive) erano stati concepiti per conferire un senso di irrealtà e per omaggiare gli albori del cinema muto di Méliès.
Sconvolti dal risultato finale, i dirigenti della Toho relegarono il film nella seconda serata di un doppio spettacolo in cui la prima parte era un episodio di una celebre serie melodrammatica mainstream. Ma, come OB aveva immaginato, il pubblico giovanile si riversò a frotte nei cinema, saltando a piè pari il primo spettacolo per vedere House. Ben presto la Toho invertì la programmazione riabilitando House come attrazione principale. Da quel momento House si costruì una reputazione come film di culto influenzando giovani cineasti, come ad esempio Iguchi Noboru, regista di Machine Girl (Kataude Mashin Garu, 2008), e cambiando radicalmente il modo di concepire e realizzare i film in Giappone.
I film della HoriPro
Il film successivo fu The Visitor in the Eye (Hitomi no Naka no Homonsha, 1977), adattamento del famoso manga Black Jack di Osamu Tezuka e prodotto dall’agenzia di talenti HoriPro che aveva aperto una divisione produttiva e intendeva promuovere la sua scuderia di idol. OB concepì il film come un melodramma fantasy che potesse essere apprezzato da coloro che ancora non conoscevano il personaggio e, nel contempo, introdusse elementi di parodia destinati ai fan del manga.
A metà strada tra un film personale e un film su commissione (interpretato dall’attore della Nikkatsu Shishido Jo nel ruolo di Black Jack), il film non coinvolse nessuno dei due tipi di pubblico e fu sostanzialmente un flop. Malgrado il fiasco, la HoriPro decise di produrre anche il film successivo di OB ma stavolta si ritornò a una formula collaudata che vedeva come protagonisti due degli idol più famosi dell’agenzia, Yamaguchi Momoe e Miura Tomokazu, una coppia di attori giovani e carini cresciuti sul grande schermo sin da quando erano teenager. Furimukeba Ai (Se ti volti è amore), del 1978, era una specie di remake dei loro film precedenti ma anche una sorta di meta-film sulla loro carriera e sul loro rapporto che sarebbe potuto sfociare in matrimonio e nel successivo ritiro dalle scene. Ancora una volta Obayashi concepì un prodotto commerciale come qualcosa di personale incorporando tutti questi elementi nella storia. Il film fu un grande successo e i due attori si sposarono davvero con conseguente ritiro nel 1980.
Gli idol movies della Kadokawa
Alla morte di suo padre, fondatore di una delle principali case editrici giapponesi, Kadokawa Haruki ereditò la società iniziando una radicale serie di cambiamenti, allontanandosi dalla tradizionale linea editoriale letteraria/educativa in favore dell’intrattenimento popolare e creando una divisione cinematografica interna alla società. L’invito di Kadokawa rappresentò per Obayashi una ventata di aria fresca e quando i due anticonformisti si unirono per realizzare un film la cosa suscitò un certo clamore. Il primo esperimento fu The Adventures of Kosuke Kindaichi (Kindaichi Kosuke no Boken, 1979) adattava in chiave satirica e autoreferenziale una serie di cupi romanzi polizieschi scritti da Yokomizo Seishi. Nel suo meta-film Obayashi da un lato cita il serissimo The Inugami Family di Ichikawa Kon (tratto dallo stesso soggetto) dall’altro dipinge il protagonista, il detective privato Kindaichi, come un maldestro imbranato che, alla fine del film, viene incastrato, tradito e assassinato dal poliziotto Todoroki, che nel romanzo era considerato come una sorta di Watson per Sherlock Holmes. Il film fu un grandissimo successo ed fu caratterizzato dalle invenzioni visive di OB, da continui riferimenti ad altri film e da un cammeo di Mifune Toshiro. Il rapporto con Kadokawa ne uscì consolidato e i due proseguirono la loro collaborazione per altre cinque pellicole.
A cavallo tra i ‘70 e gli ‘80, Obayashi incarnò quella che sarebbe diventata una tendenza sempre più popolare in Giappone: i giovani cantanti e attori (idol) diventarono la forza trainante dell’industria dello spettacolo. Spesso quest’industria in espansione utilizzò gli stessi metodi promozionali inaugurati da Obayashi, come la saturazione mediatica e il marketing a piattaforme incrociate. Gli idol venivano scelti con cura e preparati ad hoc per diventare dei modelli ideali di giovani giapponesi. Anche le tradizionali case cinematografiche formavano i loro divi del cinema ma gli idol erano diversi, le loro canzoni e i loro film venivano confezionati appositamente per i fan. Kadokawa Haruki cavalcò il fenomeno degli idol movies producendo vagonate di film su misura per i vari attori/attrici di turno. Fu naturale per lui rivolgersi ad Obayashi per i titoli di punta, dopo che il suo House aveva aperto la strada ai film lolicon (complesso di Lolita) in cui le ragazzine venivano spesso rappresentate in modo provocatorio e sessualizzato.
Il primo idol movie fu School in the Crosshairs (Nerawareta Gakuen, 1981), trasposizione di un best seller di fantascienza con la famosa idol Yakushimaru Hiroko, stella della Kadokawa che negli anni a venire sarebbe diventata l’attrice simbolo degli idol movies, interpretando Sailor Suit and Machine Gun (Sera-fuku to Kikanju, 1981) di Somai Shinji, Legend of Eight Samurai (Satomi Hakken-den, 1983) di Fukasaku Kinji, e W's Tragedy (W no Higeki, 1984), di Sawai Shinichiro, tutti fra i maggiori successi degli anni ‘80.
In School in the Crosshairs, Yakushimaru veste i panni di Yuko, liceale che deve proteggere la scuola da un attacco extraterrestre sotto forma di una nuova studentessa che usa i suoi poteri psichici per trasformare il liceo in una base operativa conformista, ai limiti del fascismo, al fine di conquistare la terra. Il film è un fantasy infarcito di trucchi cinematografici ed effetti speciali in stile Obayashi, che stavolta sono supportati da un impianto narrativo più strutturato e da un personaggio centrale ben caratterizzato. La battaglia finale riesce a superare House nella sua sfrenata e allucinante inverosimiglianza. Fra le righe si può anche intravedere una critica al conformismo e una riflessione sulla libertà di pensiero, indirizzata soprattutto alla società nipponica e alla sua industria culturale. Nel film compare anche il figlio di Osamu Tezuka, Macoto (in seguito diventato a sua volta regista), nel ruolo del vendicativo nerd della classe.
Il film successivo per Kadokawa fu The Girl Who Leapt Through Time (Toki o Kakeru Shojo, 1983), idol movie venato di fantascienza, adattamento del romanzo di Yasutaka Tsutsui ambientato nella città natale di Obayashi, Onomichi. Ne venne fuori un film molto personale, malgrado fosse nato come regalo per la giovane diva Harada Tomoyo da parte di Kadokawa, che si era innamorato di lei durante i provini. OB dichiarò che il romanzo breve, anche se di fantascienza, era perfetto per una storia d’amore all’antica, inoltre l’ambientazione nei luoghi della sua giovinezza a Onomichi conferì al film un carattere fortemente nostalgico.
Il film narra le avventure di Kazuko, una studentessa esemplare che, mentre sta pulendo il laboratorio di chimica del liceo, ha un incidente e si risveglia con la capacità di spostarsi nel tempo. Riesce a rivivere il passato ed è in grado di prevedere un terremoto e un incendio. Ma le cose si complicano quando scopre che il suo compagno, Fukamachi, non solo può modificare il tempo, ma è uno scienziato venuto dal futuro per salvare l’ecosistema del suo mondo che sta morendo.
Il film è uno dei preferiti dallo stesso Obayashi e uno dei più personali, con la sua storia dolce amara sulla natura transitoria dell’amore e sui ricordi che mantengono vivo il passato, è pervaso da un’atmosfera onirica e da elementi fantastici espletati in effetti speciali più delicati e meno invadenti di quelli di House o di Crosshairs. Fu un successo al botteghino che decretò Harada come diva assoluta e il sodalizio con Kadokawa consentì a Obayashi di realizzare uno dei suoi progetti più personali, Lonely Heart (Sabishinbo, 1985), secondo lungometraggio ambientato nell'amata città di Onomichi. Dopo qualche anno The Girl Who Leapt Through Time fu trasposto in un manga e in un film di animazione (quest’ultimo, diretto da Mamoru Hosoda, è concepito come sequel del film di OB, con protagonista Makoto nipote di Kazuko), oltre ad altri adattamenti per il cinema e la tv, diventando un classico moderno della cultura giapponese, soprattutto grazie al taglio della storia impostato da Obayashi. Per Kadokawa, Obayashi ha diretto anche il film di animazione Kenya Boy (Shonen Kenya, 1984).
L’Art Theater Guild
Nel 1982, prima di iniziare a lavorare a The Girl Who Leapt Through Time, Obayashi aveva aderito al progetto di una casa di produzione indipendente, la leggendaria Art Theater Guild (ATG), nata dalle ceneri del vecchio Shinjuku Art Theater nel quale erano stati proiettati i suoi primi corti in 8mm. Unendosi ad altri registi anticonformisti per dare libero sfogo alle loro visioni artistiche senza interferenze commerciali, la ATG produsse alcuni tra i classici più famosi degli anni ‘80. Ideologicamente rappresentava l’esatto opposto della Kadokawa, ma non deve sorprendere che un artista poliedrico e anticonvenzionale come Obayashi lavorasse per entrambe le società contemporaneamente.
La prima pellicola di OB per la ATG fu Exchange Students (Tenkosei, 1982) che completa la cosiddetta “trilogia di Onomichi”.
Sempre ambientato in un liceo, è la storia di uno scambio di corpi che non si sottrae a un certo tipo di curiosità sessuale che gli adolescenti proverebbero se si trovassero improvvisamente nei panni di un rappresentante del sesso opposto.
Kazuo (Omi Toshinori) e Kazumi (Kobayashi Satomi) cadendo insieme da una scalinata si ritrovano l’uno nel corpo dell’altro. Kazuo è affascinato dal seno mentre Kazumi non riesce a capacitarsi di avere qualcosa in più nelle mutande. I due decidono di fare del loro meglio per gestire la complicata situazione.
Da questa premessa si sviluppa una gender comedy di vedute molto larghe con Kazuo che si vede costretto a tirare fuori il suo lato femminile e Kazumi che svolge come può il suo ruolo da maschiaccio. Exchange Students è considerato uno dei migliori film di Obayashi e la sua fama è ampiamente meritata: è divertente, nostalgico, sentimentale, tagliente e adatto a tutti i tipi di pubblico. Vista l’intramontabile popolarità del film, OB ne fece un remake, Switching – Goodbye Me (Tenkosei – Sayonara Anata) nel 2007.
Per l’ATG Obayashi girò anche The Deserted City (Haishi, 1984) e Bound for the Fields, the Mountains and the Seacoasts (Noyuki Yamayuki Umibeyuki, 1986), ambientato durante la guerra, segue le vicende di un gruppo di ragazzi in conflitto con gli anziani per evitare che una loro amica venga venduta come prostituta. In questo film OB rievoca i classici del cinema nipponico, come l’opera di Ozu Yasujiro, e critica la corsa al riarmo del Giappone.
Gli anni Ottanta e Novanta
Nella seconda metà degli anni ‘80 Obayashi era un regista molto richiesto, aveva ormai smesso di fare shorts, e nel 1987 realizzò un controverso adattamento da una serie manga del celebre autore Umezu Kazuo, The Drifting Classroom (Hyoryu Kyoshitsu, 1974). Ambientò la sua personale versione in un liceo di Kobe e scelse l’ex idolo delle teen ager Troy Donahue per il ruolo di Taggart.
Per molto tempo i puristi dell’opera di Umezu hanno disconosciuto il film, ma OB è orgoglioso della sua opera, che è diventata una leggenda per gli appassionati di fantascienza e di horror giapponesi degli anni ‘80. La trama del manga seguiva le orme di un gruppo di liceali trasportati in una dimensione parallela popolata da mostri e creature misteriose, Obayashi incentra la sua storia sull’elemento umano e sulle reazioni individuali dei personaggi di fronte alle difficoltà. Gli effetti speciali e la colonna sonora di Joe Hisaishi (collaboratore di Miyazaki Hayao e Kitano Takeshi) donano alle scene un'ulteriore carica emotiva.
Con Beijing Watermelon (Pekin no Siuca, 1989) Obayashi collaborò con decine di attori cinesi in uno dei primi film nipponici ad abbattere la barriera culturale sorta con la guerra.
Ispirato a una storia vera, il film parla di un fruttivendolo che diventa amico di un gruppo di studenti cinesi in scambio nella sua piccola città giapponese. All’inizio ha un atteggiamento distaccato ma poi, scoprendo che gli studenti non hanno nulla di fresco da mangiare, finisce per vendere loro frutta e verdura a prezzi stracciati e per proteggerli diventa una specie di padre surrogato.
Nella carriera di Obayashi una costante è rappresentata dal riadattamento di serie tv (circa una dozzina) per il grande schermo, fra i quali si possono citare: Chizuko’s Younger Sister (Futari, 1991), dramma realistico con inserti soprannaturali; Haruka, Nostalgia (Haruka, Nosutarujie, 1992), vicenda sentimentale di amore perduto; Doctor Blockhead (Manuke Sensei, 2000), remake di uno dei suoi primissimi corti.
Nei primi anni ‘90 Obayashi cominciò a ricevere i primi riconoscimenti importanti, in particolare il Japan Academy Award per la miglior regia con The Rocking Horsemen (Seishun Dendekedekedeke, 1992), film nostalgico su un gruppo di giovani che negli anni ‘60 decidono di formare una band di Surf Rock, con protagonista un giovanissimo Asano Tadanobu. OB mescola temi a lui cari come la gioventù perduta, il ricordo, il rimpianto e le peculiarità locali insieme a una ricca componente musicale. Venne premiato anche per Samurai Kids (Mizu no Tabibito, 1993), divertente saga familiare che anticipa i film carichi di effetti speciali di Miike Takashi, incentrata su un samurai in miniatura alto una manciata di centimetri (Yamazaki Tsutomu). Trasportato nel mondo moderno su un fiume inquinato, viene scoperto, debole e sofferente, da uno scolaro. I comici e maldestri sforzi del ragazzo per proteggere il samurai dai pericoli (come gli animali domestici) sono bilanciati dalle preoccupazioni per il degrado ambientale.
Completamente all’opposto rispetto all’intrattenimento di Samurai Kids si trova Sada (1998), versione di Obayashi di una storia vera, quella della famigerata assassina Abe Sada, già in precedenza messa in scena dallo scandaloso e sessualmente esplicito L’Impero dei Sensi di Oshima Nagisa (Ai no Corrida, 1976).
Obayashi allestisce un racconto intenso e privo di scene di nudo sulla donna che si innamorò follemente di un commerciante e finì per strangolarlo e recidergli il pene dopo una relazione di tre mesi, nel 1936.
Concentrando la storia sulla giovinezza di Sada e sulla sua successiva vita da prostituta, anziché sulla relazione fatale, Obayashi mette la sua impronta su una delle storie più famose del Giappone, affrontandola da una prospettiva insolita e inserendo effetti speciali, attori che rompono la "quarta parete" e si rivolgono direttamente al pubblico, e altri espedienti volti a creare empatia per uno dei più calunniati personaggi della storia del cinema nipponico. Il film ricevette il premio Fipresci al Festival di Berlino nel 1998.
Gli anni 2000
Nei primi anni 2000 i film di Obayashi non ricevettero grandi tributi ed elogi da parte della critica, ma il cineasta ebbe una rinascita creativa e nuove motivazioni a partire dal 2013, dopo il terremoto e lo tsunami del Tohoku del 3 marzo 2011. Uno dei migliori film di Obayashi di questo periodo è The Reason (Riyu, 2004).
Tratto da un romanzo giallo di successo, il film narra la complicata storia di una serie di strani omicidi avvenuti in un condominio nella stessa notte e l’incapacità dei detective di risolvere il caso.
Fra thriller e dramma umano, con una linea temporale volutamente disgregata e tanti protagonisti, The Reason è uno dei film più realistici di Obayashi.
I film successivi al marzo 2011, seguono la linea di The Reason sul piano della struttura narrativa articolata e della ricchezza del cast, sono descritti da Obayashi come “saggi cinematografici”, e incorporano caratteristiche sia drammatiche che documentaristiche, riuscendo a raccontare diverse storie complesse lungo sessant’anni di storia del dopoguerra.
Casting Blossoms to the Sky (Koro Sora no Mana – Nagaoka Hanabi Monogatari, 2012) si presenta come una raffica di dialoghi sovrapposti, decine di protagonisti e continui sbalzi spazio temporali, collegando i bombardamenti di Nagaoka con Pearl Arbor e con il terremoto di Kobe del 1995. Personaggi passati presenti e futuri si incrociano nella moderna Nagaoka, mentre la città si prepara a ripristinare l’annuale spettacolo di fuochi d’artificio dopo l’inattività del periodo bellico. Il film dura tre ore ma sfoggia un'energia e una vivacità straordinarie.
Il successivo Seven Weeks (No no Nanananoka, 2014) segue una struttura simile ma racconta una vicenda più personale e vagamente autobiografica.
E’ la storia di una grande famiglia che si riunisce dopo la morte del patriarca, noto medico di una città del nord del Giappone. Il film segna un ritorno di elementi sovrannaturali e fantasy in modo più marcato rispetto alle recenti produzioni, e in un certo senso chiude un cerchio cominciato con la sua opera prima House.
Durante la lavorazione di queste due ultime opere OB ha trovato il tempo di dirigere un video musicale sperimentale di un’ora con la famosa idol band al femminile AKB48, intitolato So Long.
Attualmente sta preparando la sua ultima fatica filmica che sarà girata nell’estate 2016 e che riprende una delle sue prime sceneggiature, il suo ambizioso “classico giapponese” Hanagatami, scritto a quattro mani con lo sceneggiatore di House, Katsura Chiho.
Obayashi Nobuhiko, il regista che si definisce “creatore di film”, sempre a cavallo tra sperimentazioni d’avanguardia e film di largo consumo, è ancora innamoratissimo della sua cinepresa e della sua capacità di creare magia. La maggior parte dei cineasti suoi coetanei sono andati in pensione da tempo, ma lui non sembra volersi fermare e continua imperterrito il suo incredibile e trasversale viaggio attraverso il cinema.
FEFF 18: Obayashi Nobuhiko - consegna del premio Gelso d'Oro alla carriera
Fonti consultate:
Bibliografia: Beyond Godzilla – Alternative Futures and Fantasies in Japanese Cinema, a cura di Mark Shilling, CEC Udine, 2016
Sitografia: Midnight Eye – Visions of Japanese Cinema
Sicuramente un contenuto di estremo valore.
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