Stiamo vivendo un periodo in cui l'intrattenimento sembra proprio schiavo della nostalgia. Al cinema come in televisione o in streaming ormai è un fiorire di remake, reboot, prequel o sequel di franchise anni 80 o 90, alcuni molto famosi, altri meno, tutti con un unico denominatore: essere stati amati o comunque popolari nel periodo in cui chi ha oggi più di 35 anni era un ragazzino.
Il colosso dell'intrattenimento streaming, Netflix, è uno dei portabandiera di questo genere di intrattenimento e, date le sue enormi potenzialità economiche, si può permettere il lusso di avere le licenze dei titoli più famosi e reinventarle/sfruttarle nel medium più adatto. Ecco quindi che l'animazione torna a farla da padrona anche con i capisaldi del cinema di intrattenimento made in USA. D'altronde non è niente di nuovo sul fronte del puro intrattenimento casalingo, infatti negli anni 80 era possibile vedere le serie animate di franchise popolarissimi come Rambo o Star Trek. Oggi si può fare ancora meglio sulla scia dei vari accordi che la grande N rossa ha stipulato con diversi e importanti studi di animazione giapponesi. Unire la qualità e l'esperienza nipponica con il prodotto popolare e di cassetta americano, anche questa non è una novità, ma riproporlo nel 2024, con un pubblico diverso e anche più esigente, può essere davvero una sfida.
Ed eccoci quindi a Terminator Zero, serie di 8 episodi disponibili sul portale streaming a pagamento dal 29 agosto, che cerca di portare nuova linfa a un franchise che, personalmente, avrei visto bene chiudere con il secondo film del 1991. Questo non perchè la storia portata inizialmente sullo schermo da James Cameron, regista che sa perfettamente come creare dei super blockbuster, non avesse potenziale, ma perchè questo poi è stato letteralmente sciupato dai successivi 4 film che, tra salti temporali, reboot e reset della storia, hanno completamente perso il bandolo della matassa. Una perdita di interesse che ha purtroppo trascinato con sè anche una serie televisiva (Terminator: The Sarah Connor Chronicles del 2008) che a me piaceva tanto e che purtroppo, dopo un iniziale successo, è finita nel dimenticatoio e cancellata.




Come rinverdire quindi i fasti di un franchise che con il primo film del 1984 e il suo seguito diretto del '91, hanno fatto la storia del cinema, portando Arnold  Schwarzenegger e James Cameron nell'empireo di Hollywood e restando nell'immaginario collettivo per la musica iconica e gli effetti speciale all'avanguardia per l'epoca?

La serie animata affronta tutte queste sfide con un mix di novità, senza scordarsi però l'effetto nostalgia (su cui campa tutto questo genere di operazioni) e quanto ha reso appunto popolari queste pellicole. Per avvicinarsi al nuovo pubblico della Generazione Z prova a modernizzare l'estetica del mondo di Terminator ispirandosi a ciò che ora è più popolare sotto la bandiera a stelle e strisce, ovvero agli anime.  





La storia stessa abbandona i lidi americani e, dalle familiari strade di Los Angeles, si giunge alla foschia illuminata al neon della Tokyo degli anni '90. La decisione del creatore e showrunner della serie Mattson Tomlin rivitalizza il nucleo stesso della serie anziché limitarsi a rinnovarne lo scenario. Il timone della regia è tutto giapponese, affidato all'esperto  Masashi Kudo, per anni character design e a volte direttore delle animazioni per il franchise di Bleach, insieme a buona parte del lavoro di animazioni che viene affidato al rodato studio Production I.G.

"La nostra serie è leggermente diversa da qualsiasi altra cosa sia stata fatta per questo franchise, va in una direzione leggermente diversa, e quindi speriamo che i vecchi fan saranno ricettivi alle sfide che stiamo affrontando" ha detto Kudo in un'intervista all'Anime NYC di quest'anno.

Ed è vero, la serie riporta in vita Skynet e i suoi minacciosi scagnozzi metallici ma senza i personaggi che di solito associamo a questa storia, niente Connor o Reese o Sarah, niente cyborg con occhiali da sole e le fattezze rassicuranti dell'ex governatore della California. Terminator Zero infonde nuova vita al franchise rimanendo incentrato sul concetto di famiglia ma ponendo allo spettatore una riflessione piuttosto interessante: dopo tutto vale così tanto la pena di salvare l'umanità? 
 
La serie segue un soldato della resistenza a Skynet che viene spedito indietro nel tempo per cambiare il destino dell'umanità. Arriva nel 1997 per proteggere uno scienziato, Malcolm Lee, che sta lavorando ad un nuovo sistema d'Intelligenza Artificiale creato per competere contro Skynet che si sta per scagliare contro il genere umano. Mentre Malcom naviga il mare della complessità morale della sua creazione, diventa il bersaglio di un instancabile sicario venuto dal futuro che cambierà per sempre la vita dei suoi tre figli.


La serie parte insomma da un classico iper sfruttato: il salto nel tempo di una soldatessa con alcuni legami che scopriremo essere poi nel passato che deve raggiungere, ovvero il giorno prima che Skynet acquisisca consapevolezza di sé e lanci guerra all'umanità. Qui Malcolm Lee è tormentato da anni da visioni di un futuro apocalittico e ha dedicato la sua vita a prevenire Skynet e l'inevitabile giorno del giudizio. Ha creato un'IA di nome Kokoro  che, come il suo significato giapponese, si divide in tre forme colorate, che rappresentano mente, corpo e spirito. Ma a differenza della missione di Skynet di distruggere l'umanità, vedendola come una minaccia per se stessa, Kokoro, che è stata creata per salvarla, sta decidendo se essere o meno l'arma salvifica per cui è sta creata.

 



Il cuore pulsante della narrazione diventa quindi una conversazione inquietante e lungimirante che ci riporta alla nostra stretta attualità fatta di timore e paura verso una IA sempre più preponderante nella vita di tutti i giorni. In terminator Zero è già così avanzata da potersi porre dilemmi morali e mettere sotto scacco, se solo lo volesse, un'umanità in cui trova davvero pochi spunti di effettiva e meritoria salvezza.

Questa scelta narrativa è sicuramente molto interessante ma purtroppo viene in parte sprecata da una sceneggiatura dalla scrittura piuttosto lenta, soprattutto nella prima parte, e molto americana nello svolgimento da show medio di intrattenimento. Nonostante l'assenza di Sarah o John Connor, Tomlin si accontenta di una narrazione che si svolge come un film di Terminator standard, non riuscendo a fornire una svolta inventiva a una formula prevedibile fino alla seconda metà, fallendo, a mio avviso, nel suo ambizioso traguardo di voler emulare un titolo davvero rivoluzionario come The Animatrix .

 


Dal punto di vista puramente estetico questo titolo  rimane allineato per i toni violenti alle sue controparti cinematografiche ma esibendo uno stile visivo sorprendente, che ci riporta a godere efficacemente degli inquietanti design cibernetici di Stan Winston e Cameron, questa volta inseriti in un paesaggio cinematografico 2D. Non solo, un cenno a parte merita l'ottimo lavoro svolto sui fondali, in grado di catapultare lo spettatore negli orrori raccapriccianti del futuro comandato da SkyNet ma anche di ricreare il mondo pre cellulari e social del Giappone degli anni '90. 

 



Un appunto negativo dal punto di vista tecnico mi è stato fatto notare da una mia amica che ha lavorato nel campo dell'animazione (Eva Villa), ovvero l'uso errato del rim. Questo effetto si concentra principalmente sul creare un sottile bordo luminoso lungo i contorni dei personaggi, aggiungendo una dimensione di profondità e separazione tra il soggetto e lo sfondo. Qui è stato usato in maniera errata, si nota, ottenendo un effetto disturbante con linee violacee che circondano i vari protagonisti come fosse un'aura. Molto probabilmente errori non corretti dal fatto che non c'è stato il tempo materiale per farlo ma che denota anche in questo caso come queste produzioni, anche se ricche di risorse, sono ancora lontane dal top dell'animazione giapponese.


 


 

Terminator Zero, insomma, risulta un interessante esperimento sulla strada che stanno percorrendo diverse produzioni americane, ovvero quello di cercare di calcare la strada dell'animazione giapponese. Dal punto di vista visivo la serie, pur con alcuni errori evidenti (come la luce intorno ai personaggi), è comunque uno spettacolo più che apprezzabile, riportando anche i vecchi fan alle atmosfere angosciose degli storici film del franchise. Peccato per la sceneggiatura e alcune scelte registiche tipiche da prodotto medio dell'animazione made in USA che stridono con la parte visiva e per la scelta di farne solo 8 episodi. Certi personaggi e alcune scelte narrative meritavano forse un pò più di spazio per entrare nel cuore degli spettatori.
La serie non ha doppiaggio in italiano.