La regione del Tohoku era poco conosciuta ai turisti stranieri ma aveva tratti di costa immortalati in numerose stampe e una florida economia basata su pesca e agricoltura.
Poi è arrivato l'11 marzo 2011. Un terremoto di magnitudo 9 con epicentro in mare aperto ha provocato uno tsunami che ha ucciso oltre 18.000 persone lungo la costa. Il terremoto prima e le massicce inondazioni poi, hanno messo fuori uso l'energia per i sistemi di raffreddamento della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Tre dei sei reattori presenti nella centrale hanno avuto fusioni parziali. Le conseguenti radiazioni si sono riversate nell'aria e l'acqua altamente contaminata è finita nel Pacifico.
Dopo più di 6 anni, la situazione è migliorata sotto certi aspetti ma è ben lungi dall'essere non solo risolta, ma definita. Tepco, governo e comunità scientifica procedono a tentoni mentre i pescatori e gli agricoltori della zona cercano di sopravvivere.
 

Alla stampa che si reca a visitare ciò che resta dell'impianto di Fukushima Daiichi quello che appare è surreale. In superficie, la centrale nucleare ha subito un importante lifting dal disastro del 2011. Dentro e sottoterra, rimane una palude, in cui regnano paura e ignoto.
Lo scorso mese un nuovo ed elegante edificio per uffici è comparso ad accogliere i giornalisti. Qui lavorano 1000 dipendenti dell'unità di smantellamento della Tokyo Electric Power Co. Un cartello avvisa che giochi come Pokemon Go sono vietati. Poco lontano, in un altro edificio, sono collocati una caffetteria e un minimarket; è facile dimenticare che ci si trova in una zona contaminata, in cui l'accesso è limitato.
I visitatori non devono più indossare tute ignifughe e maschere con filtro al carbone o coperture per scarpe in plastica a meno che non si rechino nelle zone più contaminate. È sufficiente l'attrezzatura per le zone a bassa dose di radiazioni: un casco, doppi calzini, guanti di cotone, mascherina chirurgica, occhiali e un giubbetto con dosimetro personale.
 

I detriti altamente contaminati e i veicoli danneggiati sono spariti. I tubi di plastica sono stati riparati con nastro adesivo e il quadro elettrico esterno in cui i ratti erano entrati provocando un blackout sono stati sostituiti con un'attrezzatura adeguata.
È stata costruita una copertura sopra il reattore 3, il cui tetto era stato spazzato via dallo tsunami: ora il groviglio di travi, cemento e cavi è al riparo dalle intemperie.
Una tacca su un vicino deposito di rifiuti segna l'altezza dello tsunami: 17 metri.
Ma quello che più colpisce i visitatori sono i 900 enormi serbatoi costruiti per immagazzinare un volume sempre crescente di acqua radioattiva. Perché questo è uno dei punti su cui si dibatte di più: cosa fare di tutta quest'acqua contaminata.
 

I reattori della centrale sono stati danneggiati irreparabilmente, ma per evitare il loro surriscaldamento, deve essere costantemente pompata al loro interno dell'acqua di raffreddamento. Quell'acqua raccoglie la radioattività presente, quindi fuoriesce dalle camere di contenimento danneggiate e si raccoglie negli scantinati, dove aumenta ancora di volume, perché si mescola con l'acqua sotterranea che è penetrata attraverso le crepe negli edifici del reattore.
Dopo essere stata raccolta, viene trattata per essere purificata: mediamente 210 tonnellate vengono riutilizzate come acqua di raffreddamento e le restanti 150 tonnellate vengono inviate allo stoccaggio del serbatoio. Quindi mediamente ogni giorno la quantità di acqua radioattiva a Fukushima cresce di 150 tonnellate. Se piove molto, l'afflusso delle acque sotterranee aumenta in modo significativo e così le 150 tonnellate diventano ancora di più.
 

Per ridurre questo circolo, la Tepco ha scavato dozzine di pozzi per pompare l'acqua freatica prima che raggiunga gli edifici del reattore e ha costruito un "muro di ghiaccio" sotterraneo mediante il congelamento parziale del terreno attorno ai reattori, ma il provvedimento sembra di discutibile efficacia.
Gli esperti scientifici che consigliano il governo hanno sollecitato un graduale rilascio di quest'acqua nell'Oceano Pacifico. Il trattamento decontaminante infatti rimuove tutti gli elementi radioattivi ad eccezione del trizio, che secondo loro è sicuro in piccole quantità. Ma perché si spinge per questa soluzione? Perché, se dovesse arrivare un altro terremoto devastante e i 900 serbatoi si rompessero, il loro contenuto potrebbe fuoriuscire in modo incontrollato e sarebbe la devastazione più completa. Ma i pescatori della zona si oppongono a questa soluzione.
 

Secondo loro, l'acqua che dovrebbe essere immessa nell'Oceano, per quanto ripulita, ha un'immagine sporca per i consumatori. Nonostante i ripetuti test dimostrino che la maggior parte dei tipi di pesce catturati nelle acque intorno a Fukushima siano sicuri da mangiare, gli acquirenti rimangono titubanti.
I pescatori temono che ogni rilascio di acqua decontaminata sarebbe l'ennesimo duro colpo per la loro ancora fragile ripresa. "Le persone eviterebbero di nuovo di comprare il pesce di Fukushima non appena verrà rilasciata l'acqua" ha detto Fumio Haga, un pescatore di rete a strascico di Iwaki, una città lungo la costa a circa 50 chilometri dalla centrale nucleare.
E così i serbatoi rimangono.
 

Per i pescatori della zona l'autunno è un periodo molto intenso di lavoro; prima del 2011 uscivano in mare tutti i giorni. Ora solo circa la metà dei 1.000 pescatori della regione escono e lo fanno solo due volte alla settimana, a causa della riduzione della domanda.
Questo nonostante il loro pescato sia analizzato e venduto solo se risulta sicuro (e c'è un apposito adesivo collocato sulla confezione a certificarlo). 15 mesi dopo lo tsunami erano solo tre le specie che avevano ottenuto il bollino, ad oggi sono arrivate a 100. Yoshiharu Nemoto, ricercatore senior presso il laboratorio di Onahama ha detto che il requisito richiesto per ottenere la certificazione è il più severo al mondo: nel pescato deve essere rilevato meno della metà del livello di cesio radioattivo consentito dallo standard nazionale giapponese e un dodicesimo del limite USA o UE.
 

Ma tutto questo non arriva al consumatore.
Quasi la metà dei giapponesi non conosce l'esistenza di questo test e tende invece a focalizzarsi su informazioni allarmanti sui possibili impatti sulla salute in casi estremi piuttosto che sugli standard di sicurezza.
Pur essendo in aumento le persone che comprano prodotti alimentari provenienti dalla zona di Fukushima, rimangono comunque 1 su 5 e la pesca è ridotta all'8% rispetto al periodo pre 2011.
Naoya Sekiya, esperto dell'Università di Tokyo in materia di informazioni sui disastri e di psicologia sociale, ha affermato che l'acqua della centrale nucleare non dovrebbe essere immessa nell'oceano fino a quando le persone non saranno ben informate sui fatti e psicologicamente pronte.
 

"Un rilascio dell'acqua basato solo sulla sicurezza scientifica, senza affrontare le preoccupazioni del pubblico, non può essere tollerato in una società democratica" ha affermato l'esperto "Farlo quando le persone sono impreparate non farebbe che peggiorare le cose." Insieme a Kikuko Tatsumi, rappresentante del gruppo di difesa dei consumatori, si stanno confrontando con rappresentanti del governo per capire come procedere, ma intanto il tempo passa e non si è arrivati a capo di niente.
E questa situazione di stallo potrebbe alimentare ulteriormente l'idea sbagliata del pubblico, cioè che se continuano a non immettere l'acqua nell'oceano, allora è vero che è pericolosa.
 

La Tepco ha dichiarato di non avere in progetto un piano per uno sversamento immediato dell'acqua e che può continuare a immagazzinarla senza problemi fino al 2020. La compagnia è convinta che dovrebbe essere il governo a prendere una decisione, perché le persone non si fidano più della Tepco.
Una proposta alternativa potrebbe essere quella di spostare i serbatoi in un'area di stoccaggio intermedio e aspettare a rilasciare l'acqua nell'oceano fino al 2023, quando il trizio presente sarà ridotto della metà.
Intanto gli enormi fusti restano lì, a ricordare la vera sfida che aspetta il paese: arrivare a scoprire quello che ancora giace sul fondo degli edifici dei tre reattori, la cui struttura ha subito diversi crolli e in cui l'esatta posizione del combustile fuso resta ancora in gran parte sconosciuta. I robot telecomandati ne hanno fornito una visione parziale ed incompleta, prima di smettere di funzionare a causa dell'elevata radioattività presente.

Fonti consultate:
TheJapanTimes1
TheJapanTimes2