Tenshi no Tamago
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Mi immagino l'espressione degli spettatori all'uscita dal cinema dopo aver visto questo film, nel 1985, in un'epoca divenuta ormai nota, almeno per noi Europei, come l'era dell'edonismo e della esteriorità più sfrenata a scapito delle riflessioni ontologico metafisiche più intimistiche.
A parte le battute, anche io mi sono trovato disorientato ma anche e soprattutto affascinato. Mi è sembrato un affresco filosofico/religioso per immagini, situazioni, suoni e simboli.
È possibile definire "L'uovo dell'angelo" un capolavoro? Anticipo il mio giudizio finale: io ritengo che a suo modo lo sia e il voto per il coraggio sarebbe addirittura fuori scala. Raramente ho visto un regista provare a mettere "a nudo" così in senso allegorico/metaforico in una propria opera alcune considerazioni di fondo sull'esistenza umana e il suo rapporto con la fede in qualcosa di superiore all'uomo.
Bisogna premettere che non si tratta di un film di animazione da vedere come mera forma di intrattenimento: in questo caso si sconfina ampiamente in un manifesto onirico di uno stato d'animo e dei dilemmi più profondi legati all'esistenza umana come percepiti dal buon Mamoru Oshii.
Il talentuoso regista, autore di capolavori assoluti quali "Ghost in the Shell", ha dato sfoggio della sua visionarietà con un'opera fuori da ogni canone, sperimentale all'estremo, metaforica, ermetica, estetica. Richiede un minimo di conoscenza della sua weltanschauung di quel periodo e anche una grande capacità di concentrazione (per fortuna il film dura poco più di un'ora), per riuscire a cogliere i dettagli più o meno evidenti di tecnica e di rappresentazione dei contenuti con cui ha voluto trasmettere "qualcosa".
Qualcuno potrebbe obiettare: qualcosa!? Lo stesso regista ha sostenuto in un'intervista dell'epoca (il cui link è reperibile in una delle recensioni precedenti) che si tratta di un'opera per la quale lui stesso non sembra aver voluto attribuire un significato preciso e univoco sulla sua concezione dell'esistenza umana. Il suo obiettivo potrebbe essere definito come uno spunto affinché ciascun spettatore possa, a suo modo e in base alle sue convinzioni, attribuire una propria visione a quest'opera visionaria e criptica.
Ma Oshii a mio avviso un po' "bara", perché il film è infarcito di simboli, immagini e dialoghi attinenti alla religione cristiana (con particolare riguardo al diluvio universale, per il quale il protagonista adulto cita un passo significativo della Bibbia) e alle "difficoltà" di accettare con il razionalismo la fede in qualcosa di soprannaturale che giustifichi l'esistenza stessa della specie umana.
Va premesso che l'opera non ha una vera e propria trama, anzi non ne ha... In estrema sintesi si potrebbe riassumere che in un mondo quasi disabitato la cui atmosfera sembra post-apocalittica vagano gli unici due personaggi protagonisti. Un uomo adulto e una bambina che si incontrano in una città vuota e surreale reduce da qualche evento catastrofico che l'ha resa cupa, tetra, disabitata, inospitale, inquietante. Dell'identità dei personaggi non è dato a sapersi.
La bambina sembra vivere da sola nel mondo appena descritto e protegge con tutta la sua attenzione e amorevolezza un uovo, vagando senza una meta precisa, cercando e riempiendo ampolle di vetro con acqua, che poi porta in un luogo sicuro come in una specie di "rito". E quando raggiungerà tale luogo con l'uomo adulto, scopriremo che aveva riempito e raccolto una serie sterminata di ampolle tutte riposte lungo le pareti degli ambienti dove si rifugiava per dormire.
L'uomo adulto sembra una sorta di soldato o cacciatore solitario, perché porta con sé uno strano arnese che potrebbe sembrare un'arma a forma di croce. Dopo aver assistito all'atterraggio di una grande nave a forma di occhio e coperta di un numero sterminato di statue, trova la bambina e vaga con lei per capire cosa fa e perché porta con sé l'uovo e lo protegge a tutti i costi, chiedendole più volte cosa contiene.
In certi frangenti del film, ambientato in una città oscura, gotica e cupa, appaiono degli uomini tutti uguali, inespressivi ed esclusivamente dediti alla cattura di ombre di pesci "preistorici" che notano sulle superfici degli edifici, nelle strade. I pescatori non si curano di ciò che li circonda e distruggono tutto pur di cercare di arpionare le ombre dei pesci.
A mio avviso il backbone del film è rappresentato dall'interazione metaforica tra la bambina e l'uomo adulto e nel loro differente approccio con l'uovo.
È inutile nascondere che a me sono sembrati le due "anime" dell'io del regista.
La bambina rappresenta la parte che "crede" (o ha bisogno di credere) in "qualcosa" (religione, Dio?) e coerentemente segue dei riti che in qualche modo sono legati alla sua fede e alle idee in cui crede (la raccolta dell'acqua nelle ampolle e nella loro conservazione, la cura maniacale dell'uovo che dovrebbe rappresentare il mistero non spiegabile razionalmente e paragonabile a quello di qualsiasi religione); il suo sguardo e le sue azioni, come quelle dei bambini, sono ingenue, innocenti, trasparenti e dirette, ispirati alla ricerca della fiducia e della conferma di quello che pensa e fa, e nei pochi dialoghi scarni (ma pregni di significato) con l'uomo adulto chiede: "Tu chi sei?"
L'uomo adulto rappresenta la controparte ispirata al razionalismo empirico: il suo sguardo freddo e disincantato, da osservatore logico/analitico e non con il filtro di una convinzione o fede, lo si intuisce fin dall'inizio del film, quello in cui osserva impassibile l'atterraggio di una misteriosa nave volante a forma di occhio, che dalle inquadrature successive si dimostra essere coperta di un numero incalcolabile di statue e fischi di vapore (vagamente steampunk), che sembrano preannunciare l'avvento di qualcosa di importante o il richiamo per coloro che attendevano l'arrivo della medesima (ogni parallelismo con l'avvento del Messia nella religione ebraico-cristiana lo lascio alla sensibilità del lettore, se credente o semplicemente a conoscenza delle Sacre Scritture).
L'atteggiamento freddo e distaccato viene mantenuto anche nelle interazioni con la bambina: non significa tuttavia che sia cattivo o insensibile, anzi. Quando lei si addormenta, la ripone sul letto e le rimbocca le coperte in un atteggiamento di protezione; stesso atteggiamento nel loro peregrinare nella città cupa e gotica: la protegge e le infonde sicurezza, conquistando la sua fiducia.
L'animo razionale non è contro quello irrazionale e credente, lo rassicura e lo coccola, lo completa e lo aiuta... ma, alla fine, presenta il conto, perché è determinato a sfidare tutto ciò che si oppone alla sua sete di verità su tutto ciò che non sembra avere una spiegazione logica.
E il conto sarà molto "costoso", perché rompendo l'uovo mette la bambina di fronte alla scoperta che ciò in cui credeva era il nulla, il vuoto, il "senza senso", e ciò determina la disperazione di colei che aveva riposto fiducia nell'uovo e nel rito di ripetere l'attività senza apparente senso logico di raccogliere l'acqua (un riferimento ai riti "religiosi"?), tanto da perdere la fiducia in sé e in quello che faceva, e da annientarsi dopo essere precipitata volontariamente in un abisso, dove si fonde idealmente con la sé adulta e dalla cui morte nasceranno altre "uova" (altri fedeli? O altri simulacri vuoti per ingannare altre coscienze?).
Emblematiche le scene finali del film: l'uomo adulto, con lo stesso sguardo impassibile e imperturbabile, osserva la stessa nave volante a forma di occhio ripartire lasciando la Terra. Ma c'è un "quid novi" rispetto alla versione dell'atterraggio: tra le statue appare anche quella della bambina in posizione di preghiera con l'uovo (al pari di tutte le altre)... e, mentre la nave si allontana, l'inquadratura amplia il campo visivo allontanandosi progressivamente dalla superficie, facendo scoprire allo spettatore che la città in cui è ambientato il film è costruita sulla chiglia rovesciata di una immensa nave (che potrebbe assomigliare all'arca di biblica memoria e che potrebbe rappresentare la conseguenza del continuo chiedersi sul senso dell'esistenza e il conseguente "naufragio" o "fallimento").
È inutile richiamare l'attenzione anche alla scena in cui l'adulto che osserva la partenza in riva al mare viene avvolto dalle piume, che possano rappresentare l'uccisione della bambina/angelo e/o della colomba che, secondo la tradizione biblica, Noè aveva liberato per vedere se la Terra era tornata abitabile dopo il diluvio.
“La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l'universo, la Terra, il proprio corpo, di rifiutare l'insegnamento calato dall'alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede” (M. Hack). E l'uomo adulto incarna alla perfezione tale visione.
Ma la bambina, sebbene ormai un simulacro di pietra (il mistero della morte?), sembra aver ricevuto una chance di salvezza, partendo con la nave (verso la salvezza ultraterrena?); l'uomo adulto ahimè continuerà il suo percorso di "disperazione" nichilista come, per dirla alla F. Nietzsche, conseguenza proprio "del cristianesimo, della morale e del concetto di verità della filosofia".
Al buon regista M. Oshii, assai in crisi e in dubbio su tutto quanto aveva creduto, è probabilmente mancato in quegli anni l'ulteriore "step" per affrontare i suoi dubbi esistenziali: "Non date fede ai vecchi manoscritti, non credete una cosa perché il vostro popolo ci crede o perché ve l'hanno fatto credere dalla vostra infanzia. Ad ogni cosa applicate la vostra ragione; quando l’avrete analizzata, se pensate che sia buona per tutti e per ciascuno, allora credetela, vivetela, e aiutate il vostro prossimo a viverla a sua volta." (Buddha)
"Tenshi no Tamago" è un film "fuori dal coro", un'opera a mio avviso inclassificabile se non come "sperimentale", perché, al pari di un altro film visionario (ma anche superiore all'opera di Oshii - alludo a "2001: Odissea nello spazio" di S. Kubrick), rappresenta una delle più incredibili esperienze visive che abbia avuto modo di assistere nel mondo degli anime. Al pari di Kubrick, Oshii ha creato un'opera incredibilmente complessa, capace di indagare l'uomo, o meglio una parte della sua coscienza e i suoi dilemmi sulla vita.
"Tenshi no Tamago" a mio avviso entra di diritto nel novero di quelle opere che rappresentano un'esperienza artistica capace di sollecitare non solo i sensi dello spettatore per un'effimera immedesimazione del medesimo nel film o nei personaggi (in questo caso assai difficile... ma non impossibile), ma anche e soprattutto per colpire in profondità la sua coscienza.
Mi immagino l'espressione degli spettatori all'uscita dal cinema dopo aver visto questo film, nel 1985, in un'epoca divenuta ormai nota, almeno per noi Europei, come l'era dell'edonismo e della esteriorità più sfrenata a scapito delle riflessioni ontologico metafisiche più intimistiche.
A parte le battute, anche io mi sono trovato disorientato ma anche e soprattutto affascinato. Mi è sembrato un affresco filosofico/religioso per immagini, situazioni, suoni e simboli.
È possibile definire "L'uovo dell'angelo" un capolavoro? Anticipo il mio giudizio finale: io ritengo che a suo modo lo sia e il voto per il coraggio sarebbe addirittura fuori scala. Raramente ho visto un regista provare a mettere "a nudo" così in senso allegorico/metaforico in una propria opera alcune considerazioni di fondo sull'esistenza umana e il suo rapporto con la fede in qualcosa di superiore all'uomo.
Bisogna premettere che non si tratta di un film di animazione da vedere come mera forma di intrattenimento: in questo caso si sconfina ampiamente in un manifesto onirico di uno stato d'animo e dei dilemmi più profondi legati all'esistenza umana come percepiti dal buon Mamoru Oshii.
Il talentuoso regista, autore di capolavori assoluti quali "Ghost in the Shell", ha dato sfoggio della sua visionarietà con un'opera fuori da ogni canone, sperimentale all'estremo, metaforica, ermetica, estetica. Richiede un minimo di conoscenza della sua weltanschauung di quel periodo e anche una grande capacità di concentrazione (per fortuna il film dura poco più di un'ora), per riuscire a cogliere i dettagli più o meno evidenti di tecnica e di rappresentazione dei contenuti con cui ha voluto trasmettere "qualcosa".
Qualcuno potrebbe obiettare: qualcosa!? Lo stesso regista ha sostenuto in un'intervista dell'epoca (il cui link è reperibile in una delle recensioni precedenti) che si tratta di un'opera per la quale lui stesso non sembra aver voluto attribuire un significato preciso e univoco sulla sua concezione dell'esistenza umana. Il suo obiettivo potrebbe essere definito come uno spunto affinché ciascun spettatore possa, a suo modo e in base alle sue convinzioni, attribuire una propria visione a quest'opera visionaria e criptica.
Ma Oshii a mio avviso un po' "bara", perché il film è infarcito di simboli, immagini e dialoghi attinenti alla religione cristiana (con particolare riguardo al diluvio universale, per il quale il protagonista adulto cita un passo significativo della Bibbia) e alle "difficoltà" di accettare con il razionalismo la fede in qualcosa di soprannaturale che giustifichi l'esistenza stessa della specie umana.
Va premesso che l'opera non ha una vera e propria trama, anzi non ne ha... In estrema sintesi si potrebbe riassumere che in un mondo quasi disabitato la cui atmosfera sembra post-apocalittica vagano gli unici due personaggi protagonisti. Un uomo adulto e una bambina che si incontrano in una città vuota e surreale reduce da qualche evento catastrofico che l'ha resa cupa, tetra, disabitata, inospitale, inquietante. Dell'identità dei personaggi non è dato a sapersi.
La bambina sembra vivere da sola nel mondo appena descritto e protegge con tutta la sua attenzione e amorevolezza un uovo, vagando senza una meta precisa, cercando e riempiendo ampolle di vetro con acqua, che poi porta in un luogo sicuro come in una specie di "rito". E quando raggiungerà tale luogo con l'uomo adulto, scopriremo che aveva riempito e raccolto una serie sterminata di ampolle tutte riposte lungo le pareti degli ambienti dove si rifugiava per dormire.
L'uomo adulto sembra una sorta di soldato o cacciatore solitario, perché porta con sé uno strano arnese che potrebbe sembrare un'arma a forma di croce. Dopo aver assistito all'atterraggio di una grande nave a forma di occhio e coperta di un numero sterminato di statue, trova la bambina e vaga con lei per capire cosa fa e perché porta con sé l'uovo e lo protegge a tutti i costi, chiedendole più volte cosa contiene.
In certi frangenti del film, ambientato in una città oscura, gotica e cupa, appaiono degli uomini tutti uguali, inespressivi ed esclusivamente dediti alla cattura di ombre di pesci "preistorici" che notano sulle superfici degli edifici, nelle strade. I pescatori non si curano di ciò che li circonda e distruggono tutto pur di cercare di arpionare le ombre dei pesci.
A mio avviso il backbone del film è rappresentato dall'interazione metaforica tra la bambina e l'uomo adulto e nel loro differente approccio con l'uovo.
È inutile nascondere che a me sono sembrati le due "anime" dell'io del regista.
La bambina rappresenta la parte che "crede" (o ha bisogno di credere) in "qualcosa" (religione, Dio?) e coerentemente segue dei riti che in qualche modo sono legati alla sua fede e alle idee in cui crede (la raccolta dell'acqua nelle ampolle e nella loro conservazione, la cura maniacale dell'uovo che dovrebbe rappresentare il mistero non spiegabile razionalmente e paragonabile a quello di qualsiasi religione); il suo sguardo e le sue azioni, come quelle dei bambini, sono ingenue, innocenti, trasparenti e dirette, ispirati alla ricerca della fiducia e della conferma di quello che pensa e fa, e nei pochi dialoghi scarni (ma pregni di significato) con l'uomo adulto chiede: "Tu chi sei?"
L'uomo adulto rappresenta la controparte ispirata al razionalismo empirico: il suo sguardo freddo e disincantato, da osservatore logico/analitico e non con il filtro di una convinzione o fede, lo si intuisce fin dall'inizio del film, quello in cui osserva impassibile l'atterraggio di una misteriosa nave volante a forma di occhio, che dalle inquadrature successive si dimostra essere coperta di un numero incalcolabile di statue e fischi di vapore (vagamente steampunk), che sembrano preannunciare l'avvento di qualcosa di importante o il richiamo per coloro che attendevano l'arrivo della medesima (ogni parallelismo con l'avvento del Messia nella religione ebraico-cristiana lo lascio alla sensibilità del lettore, se credente o semplicemente a conoscenza delle Sacre Scritture).
L'atteggiamento freddo e distaccato viene mantenuto anche nelle interazioni con la bambina: non significa tuttavia che sia cattivo o insensibile, anzi. Quando lei si addormenta, la ripone sul letto e le rimbocca le coperte in un atteggiamento di protezione; stesso atteggiamento nel loro peregrinare nella città cupa e gotica: la protegge e le infonde sicurezza, conquistando la sua fiducia.
L'animo razionale non è contro quello irrazionale e credente, lo rassicura e lo coccola, lo completa e lo aiuta... ma, alla fine, presenta il conto, perché è determinato a sfidare tutto ciò che si oppone alla sua sete di verità su tutto ciò che non sembra avere una spiegazione logica.
E il conto sarà molto "costoso", perché rompendo l'uovo mette la bambina di fronte alla scoperta che ciò in cui credeva era il nulla, il vuoto, il "senza senso", e ciò determina la disperazione di colei che aveva riposto fiducia nell'uovo e nel rito di ripetere l'attività senza apparente senso logico di raccogliere l'acqua (un riferimento ai riti "religiosi"?), tanto da perdere la fiducia in sé e in quello che faceva, e da annientarsi dopo essere precipitata volontariamente in un abisso, dove si fonde idealmente con la sé adulta e dalla cui morte nasceranno altre "uova" (altri fedeli? O altri simulacri vuoti per ingannare altre coscienze?).
Emblematiche le scene finali del film: l'uomo adulto, con lo stesso sguardo impassibile e imperturbabile, osserva la stessa nave volante a forma di occhio ripartire lasciando la Terra. Ma c'è un "quid novi" rispetto alla versione dell'atterraggio: tra le statue appare anche quella della bambina in posizione di preghiera con l'uovo (al pari di tutte le altre)... e, mentre la nave si allontana, l'inquadratura amplia il campo visivo allontanandosi progressivamente dalla superficie, facendo scoprire allo spettatore che la città in cui è ambientato il film è costruita sulla chiglia rovesciata di una immensa nave (che potrebbe assomigliare all'arca di biblica memoria e che potrebbe rappresentare la conseguenza del continuo chiedersi sul senso dell'esistenza e il conseguente "naufragio" o "fallimento").
È inutile richiamare l'attenzione anche alla scena in cui l'adulto che osserva la partenza in riva al mare viene avvolto dalle piume, che possano rappresentare l'uccisione della bambina/angelo e/o della colomba che, secondo la tradizione biblica, Noè aveva liberato per vedere se la Terra era tornata abitabile dopo il diluvio.
“La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l'universo, la Terra, il proprio corpo, di rifiutare l'insegnamento calato dall'alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede” (M. Hack). E l'uomo adulto incarna alla perfezione tale visione.
Ma la bambina, sebbene ormai un simulacro di pietra (il mistero della morte?), sembra aver ricevuto una chance di salvezza, partendo con la nave (verso la salvezza ultraterrena?); l'uomo adulto ahimè continuerà il suo percorso di "disperazione" nichilista come, per dirla alla F. Nietzsche, conseguenza proprio "del cristianesimo, della morale e del concetto di verità della filosofia".
Al buon regista M. Oshii, assai in crisi e in dubbio su tutto quanto aveva creduto, è probabilmente mancato in quegli anni l'ulteriore "step" per affrontare i suoi dubbi esistenziali: "Non date fede ai vecchi manoscritti, non credete una cosa perché il vostro popolo ci crede o perché ve l'hanno fatto credere dalla vostra infanzia. Ad ogni cosa applicate la vostra ragione; quando l’avrete analizzata, se pensate che sia buona per tutti e per ciascuno, allora credetela, vivetela, e aiutate il vostro prossimo a viverla a sua volta." (Buddha)
"Tenshi no Tamago" è un film "fuori dal coro", un'opera a mio avviso inclassificabile se non come "sperimentale", perché, al pari di un altro film visionario (ma anche superiore all'opera di Oshii - alludo a "2001: Odissea nello spazio" di S. Kubrick), rappresenta una delle più incredibili esperienze visive che abbia avuto modo di assistere nel mondo degli anime. Al pari di Kubrick, Oshii ha creato un'opera incredibilmente complessa, capace di indagare l'uomo, o meglio una parte della sua coscienza e i suoi dilemmi sulla vita.
"Tenshi no Tamago" a mio avviso entra di diritto nel novero di quelle opere che rappresentano un'esperienza artistica capace di sollecitare non solo i sensi dello spettatore per un'effimera immedesimazione del medesimo nel film o nei personaggi (in questo caso assai difficile... ma non impossibile), ma anche e soprattutto per colpire in profondità la sua coscienza.
"Tenshi no Tamago" del 1985 è una vera e propria esperienza cinematografica che mescola in modo magistrale la fantasia, il surreale e la metafisica. La trama si sviluppa in modo non lineare e i personaggi sono avvolti in un'atmosfera misteriosa e spesso inquietante.
È difficile cercare di descrivere la trama, ma ciò che rende questo film così unico è il fatto che ogni spettatore può trovarvi un significato diverso. La storia può essere interpretata come una metafora sulla vita, sulla creazione e sulla distruzione, o addirittura come una critica alla società moderna.
È importante notare che i primi trenta minuti del film possono sembrare confusi e poco chiari, ma è proprio questo il punto. Il regista vuole che lo spettatore si immerga completamente in questo mondo cupo e misterioso, senza capire completamente cosa stia accadendo. Solo continuando a guardare il film, si potranno cogliere "tutti" i significati e le sfumature di questo mondo.
Non consiglierei questo film a un pubblico troppo giovane, poiché potrebbero non essere in grado di apprezzarne la complessità e il suo significato profondo, ma in realtà non ritengo che sia adatto agli adulti in generale, ma piuttosto un'esperienza molto intensa e non facile da digerire per chiunque, indipendentemente dall'età.
Tutto il film è ambiguo e aperto a molte letture diverse. Ogni spettatore può vedere qualcosa di diverso in quest'opera, a seconda della propria esperienza di vita e delle proprie convinzioni. In questo senso, "Tenshi no Tamago" è un'opera d'arte che si presta a molte interpretazioni, tutte valide e false contemporaneamente.
I dettagli dell'ambientazione sono curati fin nei minimi particolari e ogni inquadratura sembra un dipinto da ammirare. Ci sono molti dettagli nascosti e simbolici che possono sfuggire al primo sguardo, ma che contribuiscono a creare un'atmosfera magica e misteriosa.
In questo senso, "Tenshi no Tamago" è un film che si presta ad essere ammirato anche solo per la bellezza delle sue immagini e delle sue atmosfere, senza necessariamente concentrarsi sulla trama o sul significato della pellicola.
In conclusione, se sei alla ricerca di un'esperienza cinematografica unica e vuoi mettere alla prova la tua capacità di riflessione e contemplazione, "Tenshi no Tamago" potrebbe essere il film per te. Tuttavia, consiglio di guardarlo con una mente aperta e di non cercare di trovare un significato univoco, ma di lasciarsi trasportare dalle atmosfere e dalle immagini suggestive del film.
Il voto soggettivo per "Tenshi no Tamago" è di 8,5, perché personalmente ho trovato il film una bellissima esperienza metafisica con una suggestiva ambientazione, in cui ho trovato un significato personale. Tuttavia, devo ammettere che il voto oggettivo sarebbe di 6,5, perché ci sono alcune lacune nella narrazione, come la mancanza di sviluppo dei personaggi, e ci sono cinque-sei dialoghi in totale in tutto il film, potrei dire che è un film muto. Inoltre, il ritmo è davvero molto lento e, data la complessità, lo rende un film di nicchia, che non è adatto a un pubblico omogeneo, infatti, se non erro, appena uscito nel 1985, non lo ha visto nessuno ed è stato recuperato anni dopo. Per questo motivo, alla fine, darei una media di 7,5.
È difficile cercare di descrivere la trama, ma ciò che rende questo film così unico è il fatto che ogni spettatore può trovarvi un significato diverso. La storia può essere interpretata come una metafora sulla vita, sulla creazione e sulla distruzione, o addirittura come una critica alla società moderna.
È importante notare che i primi trenta minuti del film possono sembrare confusi e poco chiari, ma è proprio questo il punto. Il regista vuole che lo spettatore si immerga completamente in questo mondo cupo e misterioso, senza capire completamente cosa stia accadendo. Solo continuando a guardare il film, si potranno cogliere "tutti" i significati e le sfumature di questo mondo.
Non consiglierei questo film a un pubblico troppo giovane, poiché potrebbero non essere in grado di apprezzarne la complessità e il suo significato profondo, ma in realtà non ritengo che sia adatto agli adulti in generale, ma piuttosto un'esperienza molto intensa e non facile da digerire per chiunque, indipendentemente dall'età.
Tutto il film è ambiguo e aperto a molte letture diverse. Ogni spettatore può vedere qualcosa di diverso in quest'opera, a seconda della propria esperienza di vita e delle proprie convinzioni. In questo senso, "Tenshi no Tamago" è un'opera d'arte che si presta a molte interpretazioni, tutte valide e false contemporaneamente.
I dettagli dell'ambientazione sono curati fin nei minimi particolari e ogni inquadratura sembra un dipinto da ammirare. Ci sono molti dettagli nascosti e simbolici che possono sfuggire al primo sguardo, ma che contribuiscono a creare un'atmosfera magica e misteriosa.
In questo senso, "Tenshi no Tamago" è un film che si presta ad essere ammirato anche solo per la bellezza delle sue immagini e delle sue atmosfere, senza necessariamente concentrarsi sulla trama o sul significato della pellicola.
In conclusione, se sei alla ricerca di un'esperienza cinematografica unica e vuoi mettere alla prova la tua capacità di riflessione e contemplazione, "Tenshi no Tamago" potrebbe essere il film per te. Tuttavia, consiglio di guardarlo con una mente aperta e di non cercare di trovare un significato univoco, ma di lasciarsi trasportare dalle atmosfere e dalle immagini suggestive del film.
Il voto soggettivo per "Tenshi no Tamago" è di 8,5, perché personalmente ho trovato il film una bellissima esperienza metafisica con una suggestiva ambientazione, in cui ho trovato un significato personale. Tuttavia, devo ammettere che il voto oggettivo sarebbe di 6,5, perché ci sono alcune lacune nella narrazione, come la mancanza di sviluppo dei personaggi, e ci sono cinque-sei dialoghi in totale in tutto il film, potrei dire che è un film muto. Inoltre, il ritmo è davvero molto lento e, data la complessità, lo rende un film di nicchia, che non è adatto a un pubblico omogeneo, infatti, se non erro, appena uscito nel 1985, non lo ha visto nessuno ed è stato recuperato anni dopo. Per questo motivo, alla fine, darei una media di 7,5.
È un anime molto distaccato da quelli che siamo abituati a guardare. Una quasi non-storia, ambientata in un mondo desolato, distrutto da un probabile diluvio o da una probabile guerra nucleare. Questo è "Tenshi No Tamago", ovvero "L'uovo dell'angelo". Un caso unico e inquietante allo stesso tempo che mette parecchia angoscia e ansia nello spettatore, poiché tutto, a partire dai protagonisti e prima ancora dall'ambientazione, risulta vacuo, vuoto e "silenzioso"; la musica di sottofondo rafforza questo vuoto della trama e dei personaggi, i quali risultano inespressivi e impassibili, dei morti viventi che camminano senza una meta né un obiettivo. Una sorta di distopia. Ma non è tutto. L'ambientazione è tetra, oscura, decisamente ostile, con le sue tinte scure e i movimenti di certi elementi, tra cui soprattutto le ombre, che enfatizzano questa ostilità dell'ambientazione; non c'è spazio per la gioia, la speranza.
Altro elemento fondamentale è il richiamo ad episodi della Bibbia, sui quali la vicenda è impostata. La protagonista è una ragazzina, la quale porta con sé un uovo, credendo che sia l'uovo di un angelo, e lo porta sotto la veste, come a dire che è stata ingravidata da un angelo, e rimanda quindi alla questione dell'Immacolata Concezione, nella quale lei risulta essere un'allusione/metafora della Vergine che porta nel proprio grembo il Salvatore o Messia. Il ragazzo che la incontra può essere ipoteticamente accostato a un probabile Giuseppe, il quale accompagna la Vergine in questo "moderno" deserto distopico e il quale racconta alla ragazza del Diluvio Universale voluto da Dio, per punire gli uomini dei loro peccati... mentre la sua astronave può essere associata all'Arca di Noè?! Chi lo sa? La trama gioca molto su questi misteri delle Sacre Scritture, le quali per loro natura sono inaccessibili, se non ci si ferma a contemplarle nel modo giusto, e questo è il punto di forza della trama, nonché il climax dominante.
Un altro episodio citato è ad esempio quello di Giona, che visse nel ventre di una balena, o l'allusione al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: si vedono dei pescatori pronti a catturarli, pur invano, perché non sono altro che ombre create dalla nostra mente per via della fame?! Sicuramente l'autore ha voluto mettere in evidenza le incertezze, le improbabilità della vita, poiché l'origine di questa è basata su misteri a noi sconosciuti e appunto "inaccessibili". Ciò che ne risulta è un'inquietudine spaventosa, con la quale però egli invita lo spettatore/trice a mettersi a confronto, dentro di sé, al fine di poter avere un quadro più esaustivo, per poter rispondere a certe domande che da sempre attanagliano l'umanità.
A mio avviso, egli è riuscito nel suo intento, e ha mostrato una certa originalità nel trattare e rappresentare temi dalla natura delicata e sensibilie, non senza correre dei rischi, perché qualcuno potrebbe obiettare una sorta di rimando ad atti incestuosi o immorali come la pedofilia. Credo che l'autore abbia voluto mettere l'accento sulla questione del confronto tra fede e ragione: la fede ci chiede di credere senza farsi domande, la ragione ci impone di farci domande e di non prendere tutto per oro colato, e mettere sempre in discussione. Questo si nota dal fatto che la ragazza è disposta a credere a ciò che prova, nutre una speranza, mentre il ragazzo è disilluso. Poiché riguarda temi inerenti alla religione, le interpretazioni sono molteplici, quindi non ce n'è una definitiva e/o migliore o peggiore. Inoltre, ciò che crediamo riguarda solo noi stessi, non gli altri. È ciò che si associa a ciò che si crede, si prova, si sente a stabilire fino ad un certo punto ciò che siamo, dopodiché bisogna essere disposti a cercare di comprendere anche il punto di vista e la prospettiva del prossimo e della prossima, per potersi "eventualmente" arricchire. Può anche darsi che l'autore abbia deciso di porre l'accento sul fatto che la religione è sempre stata una delle principali cause di conflitto, astio, discriminazione, persecuzione dell'essere umano verso sé stesso e verso il prossimo, poiché riguarda qualcosa di apparentemente "irrazionale", frutto dell'emotività e del bisogno dell'essere umano di credere in qualcosa, per poter diventare quella cosa che, però, assume connotati, caratteristiche, proprietà, aspetti e particolarità "soggettive" in relazioni anche ai desideri, sogni, speranze, illusioni che ogni individuo nutre e proietta prima di tutto su sé stesso o viceversa sugli altri. Ciò si riflette nella trama, che risulta anche contraddistinta da un certo effetto di straniamento brechtiano e invita appunto lo spettatore a non immedesimarsi troppo, ma a distaccarsi, per non rimanere irretito dalla propria esperienza sensoriale. Si assiste a una sorta di annientamento dell'uomo stesso di tipo nietzschiano, weberiano e appunto brechtiano, il quale porta all'atarassia, la quale viene solo "apparentemente" spezzata soltanto dalla distruzione dell'uovo, in seguito a cui la ragazza rimane scioccata, perché ha capito che ormai la sua vita non ha uno scopo, e si getta nell'acqua per morire, vedendo sé stessa; anche qui la citazione dell'acqua come elemento di vita e di morte allo stesso tempo è un rimando anche a testi sacri come quelli del buddismo e di altre religioni.
Un film decisamente non adatto a tutti, soprattutto a menti labili, sconsigliato a chi non ha familiarità con concetti come disillusione, disincanto, creatio homini, deus ex humanitas e via dicendo. Comunque, ben presentato e illustrato in tutti gli aspetti, trama, musica, grafica e personaggi. Voto: 10
Altro elemento fondamentale è il richiamo ad episodi della Bibbia, sui quali la vicenda è impostata. La protagonista è una ragazzina, la quale porta con sé un uovo, credendo che sia l'uovo di un angelo, e lo porta sotto la veste, come a dire che è stata ingravidata da un angelo, e rimanda quindi alla questione dell'Immacolata Concezione, nella quale lei risulta essere un'allusione/metafora della Vergine che porta nel proprio grembo il Salvatore o Messia. Il ragazzo che la incontra può essere ipoteticamente accostato a un probabile Giuseppe, il quale accompagna la Vergine in questo "moderno" deserto distopico e il quale racconta alla ragazza del Diluvio Universale voluto da Dio, per punire gli uomini dei loro peccati... mentre la sua astronave può essere associata all'Arca di Noè?! Chi lo sa? La trama gioca molto su questi misteri delle Sacre Scritture, le quali per loro natura sono inaccessibili, se non ci si ferma a contemplarle nel modo giusto, e questo è il punto di forza della trama, nonché il climax dominante.
Un altro episodio citato è ad esempio quello di Giona, che visse nel ventre di una balena, o l'allusione al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: si vedono dei pescatori pronti a catturarli, pur invano, perché non sono altro che ombre create dalla nostra mente per via della fame?! Sicuramente l'autore ha voluto mettere in evidenza le incertezze, le improbabilità della vita, poiché l'origine di questa è basata su misteri a noi sconosciuti e appunto "inaccessibili". Ciò che ne risulta è un'inquietudine spaventosa, con la quale però egli invita lo spettatore/trice a mettersi a confronto, dentro di sé, al fine di poter avere un quadro più esaustivo, per poter rispondere a certe domande che da sempre attanagliano l'umanità.
A mio avviso, egli è riuscito nel suo intento, e ha mostrato una certa originalità nel trattare e rappresentare temi dalla natura delicata e sensibilie, non senza correre dei rischi, perché qualcuno potrebbe obiettare una sorta di rimando ad atti incestuosi o immorali come la pedofilia. Credo che l'autore abbia voluto mettere l'accento sulla questione del confronto tra fede e ragione: la fede ci chiede di credere senza farsi domande, la ragione ci impone di farci domande e di non prendere tutto per oro colato, e mettere sempre in discussione. Questo si nota dal fatto che la ragazza è disposta a credere a ciò che prova, nutre una speranza, mentre il ragazzo è disilluso. Poiché riguarda temi inerenti alla religione, le interpretazioni sono molteplici, quindi non ce n'è una definitiva e/o migliore o peggiore. Inoltre, ciò che crediamo riguarda solo noi stessi, non gli altri. È ciò che si associa a ciò che si crede, si prova, si sente a stabilire fino ad un certo punto ciò che siamo, dopodiché bisogna essere disposti a cercare di comprendere anche il punto di vista e la prospettiva del prossimo e della prossima, per potersi "eventualmente" arricchire. Può anche darsi che l'autore abbia deciso di porre l'accento sul fatto che la religione è sempre stata una delle principali cause di conflitto, astio, discriminazione, persecuzione dell'essere umano verso sé stesso e verso il prossimo, poiché riguarda qualcosa di apparentemente "irrazionale", frutto dell'emotività e del bisogno dell'essere umano di credere in qualcosa, per poter diventare quella cosa che, però, assume connotati, caratteristiche, proprietà, aspetti e particolarità "soggettive" in relazioni anche ai desideri, sogni, speranze, illusioni che ogni individuo nutre e proietta prima di tutto su sé stesso o viceversa sugli altri. Ciò si riflette nella trama, che risulta anche contraddistinta da un certo effetto di straniamento brechtiano e invita appunto lo spettatore a non immedesimarsi troppo, ma a distaccarsi, per non rimanere irretito dalla propria esperienza sensoriale. Si assiste a una sorta di annientamento dell'uomo stesso di tipo nietzschiano, weberiano e appunto brechtiano, il quale porta all'atarassia, la quale viene solo "apparentemente" spezzata soltanto dalla distruzione dell'uovo, in seguito a cui la ragazza rimane scioccata, perché ha capito che ormai la sua vita non ha uno scopo, e si getta nell'acqua per morire, vedendo sé stessa; anche qui la citazione dell'acqua come elemento di vita e di morte allo stesso tempo è un rimando anche a testi sacri come quelli del buddismo e di altre religioni.
Un film decisamente non adatto a tutti, soprattutto a menti labili, sconsigliato a chi non ha familiarità con concetti come disillusione, disincanto, creatio homini, deus ex humanitas e via dicendo. Comunque, ben presentato e illustrato in tutti gli aspetti, trama, musica, grafica e personaggi. Voto: 10
Spinto dalla mia grande curiosità di vedere e approfondire quei film (anime o no che siano) considerati "strani" (il mio regista è David Lynch, non a caso), non ho potuto resistere alla tentazione di vedere questo film.
Ovviamente, non sono un critico né voglio elevarmi a tale, quindi prendete con le pinze tutte le cose che scriverò, se mai le leggerete.
La trama di per sé è semplice: c'è una bimba che vuole proteggere un uovo e un uomo che vuole sapere cosa c'è in quell'uovo. Fine.
Se fosse così, e, come dichiarato dal regista stesso, lo è, allora sarebbe un film che non merita troppe attenzioni: ma dietro ogni cosa che all'apparenza sembra strana si nasconde qualcosa di davvero complesso o presunto tale.
È chiaramente un film che dovrebbe essere interpretato, una pellicola che, quando la finisci di vedere, ti lascia con l'amaro in bocca e, non vi nascondo, durante la visione non capivo quasi niente (e non sono tuttora sicuro di averlo capito, in realtà). Ma va bene così, perché il film volutamente non si vuole fare capire. È un qualcosa di talmente personale, che voler capire questo film equivale a bussare alla porta di Oshii per chiedergli come va la vita magari davanti a un caffè. Ed è proprio questo il motivo per cui voglio dare un voto così alto, perché adoro il fatto che lui abbia creato un qualcosa solo per sé stesso, fregandosene di un possibile flop (cosa che è avvenuta realmente) o di qualsiasi altra critica.
Per me questo film è la vera essenza dell'arte: esprimere sé stessi.
È un film che non consiglierei a nessuno, ma che al contempo descriverei come perfetto.
Ci sono molte interpretazioni per questo film, e io non sono sicuramente in grado di darvene qualcuna, e, come detto prima, reputo inutile provare a darla.
Perciò, voglio provare a descrivere le sensazioni che ho provato vedendo questo film.
Ho provato, per tutta la durata del film (ma proprio tutta, dalla scritta iniziale ai titoli di coda), un senso di ansia e angoscia che mi ha tenuto compagnia per molto tempo dopo il termine del film. Sebbene solitamente la figura della bambina rappresenti la castità e la purezza, ogni volta che la inquadrano mi dava un senso di pesantezza interiore, a tal punto che spesso sentivo il bisogno di distogliere lo sguardo, come se la volessi evitare. L'uomo, invece, mi dava un senso di sicurezza e di consapevolezza, nonostante, probabilmente, lui vivesse in uno stato di insicurezza e angoscia perenne.
Insomma, non conosco Oshii di persona e non credo lo conoscerò mai, ma con questo film, probabilmente, ci ho chiacchierato senza neanche rendermene conto davvero.
Ovviamente, non sono un critico né voglio elevarmi a tale, quindi prendete con le pinze tutte le cose che scriverò, se mai le leggerete.
La trama di per sé è semplice: c'è una bimba che vuole proteggere un uovo e un uomo che vuole sapere cosa c'è in quell'uovo. Fine.
Se fosse così, e, come dichiarato dal regista stesso, lo è, allora sarebbe un film che non merita troppe attenzioni: ma dietro ogni cosa che all'apparenza sembra strana si nasconde qualcosa di davvero complesso o presunto tale.
È chiaramente un film che dovrebbe essere interpretato, una pellicola che, quando la finisci di vedere, ti lascia con l'amaro in bocca e, non vi nascondo, durante la visione non capivo quasi niente (e non sono tuttora sicuro di averlo capito, in realtà). Ma va bene così, perché il film volutamente non si vuole fare capire. È un qualcosa di talmente personale, che voler capire questo film equivale a bussare alla porta di Oshii per chiedergli come va la vita magari davanti a un caffè. Ed è proprio questo il motivo per cui voglio dare un voto così alto, perché adoro il fatto che lui abbia creato un qualcosa solo per sé stesso, fregandosene di un possibile flop (cosa che è avvenuta realmente) o di qualsiasi altra critica.
Per me questo film è la vera essenza dell'arte: esprimere sé stessi.
È un film che non consiglierei a nessuno, ma che al contempo descriverei come perfetto.
Ci sono molte interpretazioni per questo film, e io non sono sicuramente in grado di darvene qualcuna, e, come detto prima, reputo inutile provare a darla.
Perciò, voglio provare a descrivere le sensazioni che ho provato vedendo questo film.
Ho provato, per tutta la durata del film (ma proprio tutta, dalla scritta iniziale ai titoli di coda), un senso di ansia e angoscia che mi ha tenuto compagnia per molto tempo dopo il termine del film. Sebbene solitamente la figura della bambina rappresenti la castità e la purezza, ogni volta che la inquadrano mi dava un senso di pesantezza interiore, a tal punto che spesso sentivo il bisogno di distogliere lo sguardo, come se la volessi evitare. L'uomo, invece, mi dava un senso di sicurezza e di consapevolezza, nonostante, probabilmente, lui vivesse in uno stato di insicurezza e angoscia perenne.
Insomma, non conosco Oshii di persona e non credo lo conoscerò mai, ma con questo film, probabilmente, ci ho chiacchierato senza neanche rendermene conto davvero.
Rivista ad un'età più avanzata, quest'opera famigerata e sottovalutata non può che dire di più e non può che dire altro.
Che sia una rappresentazione delle nozioni cristiane di Oshii o che sia una diatriba tra empirismo e fideismo, di certo l'Autore è riuscito, volente o nolente, a inserire talmente tanti piani di lettura, da rendere l'unitarietà un miraggio. Ricorrente è semplicemente il tema della distruzione e della (ri)nascita, su cui d'altronde si gioca tutto anche nella vita reale.
Come suggerito da Oshii in una intervista del 1985 (http://eigageijutsu.blogspot.com/2016/02/interview-with-mamoru-oshii-on-angels.html), questo mondo vagamente incomprensibile e astratto potrebbe esser tale non solo perché post-apocalittico e post-diluviale, ma anche perché essenzialmente frutto di un solo individuo, la ragazza, e quindi mancante di ogni restrizione nata dal raffronto con l'altro. In tal caso, il confronto che si viene a creare tra i due personaggi non sarebbe tanto un basilare scontro tra chi vuole sperare e credere e chi vuol toccare ed esperire, quanto l'evoluzione, la crescita e il canto del cigno di colei che, ultima discendente di un'umanità morta e sepolta (parzialmente viva in parte come ombra alla disperata caccia di altre ombre, in parte come entità pietrificata e immobile nel tempo), vive nella massima rappresentazione del mezzo che l'umanità stessa ha cercato di adoperare affinché potesse poi rinascere, senza rendersi conto che sarebbe stato - nella nuova nichilistica versione oshiiana - la propria tomba, ossia l'Arca. Arca è la sua dimora, Arca è il mondo stesso nella visione aerea finale, Arca potrebbe essere anche quella navicella che viene e poi va, ospitante i rimasugli di un genere umano oramai fossilizzato. In un ambiente e un'atmosfera umida, satura di quell'acqua che secoli prima aveva portato alla deriva l'umana specie per un capriccio della Divinità, la giovane ragazza (e il suo alter-ego) porta ai termini finali la ricerca per il significato dell'essere, che si cela nell'uovo, nell'angelo, nell'uccello. L'uovo, covato e amato, è in realtà vuoto; l'uccello, simbolo di un'umanità ancora attiva e speranzosa, estinto - di esso rimangono le piume svolazzanti; l'angelo, probabile collegamento ideale tra l'antico umano e la divinità del suo creatore, oramai scheletrizzato, da eoni. Quando la conoscenza della vacuità di tutto ciò, della fine del tempo, si esprime - quando, sostanzialmente, l'uovo viene aperto -, gli argini si rompono, l'antica acqua (prima ancora parzialmente "governata" e imbottigliata) si libera dai meandri della terra e inonda tutto - nuovamente e finalmente.
Eppure questa pulizia finale, questo gettar la spugna e riconoscere il vuoto (con una fantastica scena di metamorfosi temporale, in cui la bambina nella propria "caduta" [metaforica e non] incontra sé stessa adulta, grigia e dis-sperata) non è solo l'apocalisse di un post-apocalittico, ma anche un evento latore di possibilità. Dalle numerose uova (oramai palese simbolo di speranza) nate dall'agonia di morte della protagonista alle uova contenenti embrioni aviari, un po' meno comprensibili ma certamente legate anche al simbolo dell'albero che le sorregge (della conoscenza?) e che invadono tutto, persino l'immacolata Arca, sino alla fossilizzazione e perpetuazione infinita della speranza umana, rappresentata dalla neonata statua della giovinetta con uovo incorporato, si ha l'impressione che non tutto sia finito e che, in un certo senso, la disperazione finale genera sempre nuove speranze, in un circolo infinito e inarrestabile.
Che sia una rappresentazione delle nozioni cristiane di Oshii o che sia una diatriba tra empirismo e fideismo, di certo l'Autore è riuscito, volente o nolente, a inserire talmente tanti piani di lettura, da rendere l'unitarietà un miraggio. Ricorrente è semplicemente il tema della distruzione e della (ri)nascita, su cui d'altronde si gioca tutto anche nella vita reale.
Come suggerito da Oshii in una intervista del 1985 (http://eigageijutsu.blogspot.com/2016/02/interview-with-mamoru-oshii-on-angels.html), questo mondo vagamente incomprensibile e astratto potrebbe esser tale non solo perché post-apocalittico e post-diluviale, ma anche perché essenzialmente frutto di un solo individuo, la ragazza, e quindi mancante di ogni restrizione nata dal raffronto con l'altro. In tal caso, il confronto che si viene a creare tra i due personaggi non sarebbe tanto un basilare scontro tra chi vuole sperare e credere e chi vuol toccare ed esperire, quanto l'evoluzione, la crescita e il canto del cigno di colei che, ultima discendente di un'umanità morta e sepolta (parzialmente viva in parte come ombra alla disperata caccia di altre ombre, in parte come entità pietrificata e immobile nel tempo), vive nella massima rappresentazione del mezzo che l'umanità stessa ha cercato di adoperare affinché potesse poi rinascere, senza rendersi conto che sarebbe stato - nella nuova nichilistica versione oshiiana - la propria tomba, ossia l'Arca. Arca è la sua dimora, Arca è il mondo stesso nella visione aerea finale, Arca potrebbe essere anche quella navicella che viene e poi va, ospitante i rimasugli di un genere umano oramai fossilizzato. In un ambiente e un'atmosfera umida, satura di quell'acqua che secoli prima aveva portato alla deriva l'umana specie per un capriccio della Divinità, la giovane ragazza (e il suo alter-ego) porta ai termini finali la ricerca per il significato dell'essere, che si cela nell'uovo, nell'angelo, nell'uccello. L'uovo, covato e amato, è in realtà vuoto; l'uccello, simbolo di un'umanità ancora attiva e speranzosa, estinto - di esso rimangono le piume svolazzanti; l'angelo, probabile collegamento ideale tra l'antico umano e la divinità del suo creatore, oramai scheletrizzato, da eoni. Quando la conoscenza della vacuità di tutto ciò, della fine del tempo, si esprime - quando, sostanzialmente, l'uovo viene aperto -, gli argini si rompono, l'antica acqua (prima ancora parzialmente "governata" e imbottigliata) si libera dai meandri della terra e inonda tutto - nuovamente e finalmente.
Eppure questa pulizia finale, questo gettar la spugna e riconoscere il vuoto (con una fantastica scena di metamorfosi temporale, in cui la bambina nella propria "caduta" [metaforica e non] incontra sé stessa adulta, grigia e dis-sperata) non è solo l'apocalisse di un post-apocalittico, ma anche un evento latore di possibilità. Dalle numerose uova (oramai palese simbolo di speranza) nate dall'agonia di morte della protagonista alle uova contenenti embrioni aviari, un po' meno comprensibili ma certamente legate anche al simbolo dell'albero che le sorregge (della conoscenza?) e che invadono tutto, persino l'immacolata Arca, sino alla fossilizzazione e perpetuazione infinita della speranza umana, rappresentata dalla neonata statua della giovinetta con uovo incorporato, si ha l'impressione che non tutto sia finito e che, in un certo senso, la disperazione finale genera sempre nuove speranze, in un circolo infinito e inarrestabile.
È innegabile, lo Studio Deen ha fatto un lavoro straordinario nel realizzare questo film. In quegli anni, questo studio di animazione lavorava anche alla fortunata serie animata di "Lamù", icona popolarissima nel Giappone di quel decennio, e alla quale aveva lavorato lo stesso Mamoru Oshii precedentemente. Lo stesso Studio Deen avrebbe di lì a poco intrapreso la produzione di titoli quali "Maison Ikkoku" e "Ranma 1/2".
In "Tenshi no Tamago", il character design di Amano è supportato da una cura maniacale nella realizzazione dei fondali, delle espressioni e delle animazioni, queste ultime definite con gran precisione nonostante la generale lentezza, intrinseca alla natura di questo film. Per non parlare delle musiche, la cui registrazione coinvolse un'orchestra estremamente preparata. La colonna sonora è assai ispirata e suggestiva all'ascolto.
Da un punto di vista puramente rappresentativo questo film è inattaccabile, si nota pressoché immediatamente quanto fosse ingente il budget investito. Da questo punto di vista non ha nulla da invidiare alle pietre miliari Disney come "Bambi" e "Fantasia". Sicuramente per alcune persone può essere un film noioso, ma non credo che sia quello il problema più grave di questo lungometraggio.
Per come concepisco io l'arte, il primo grave errore commesso in questo film è che "Tenshi no Tamago" non è fatto per nessuno. Oshii non ha pensato a questo film come a un racconto né come a un messaggio da esprimere e trasmettere nei confronti di qualcuno. Sembra uno schizzo su tela fatto solo per il pittore stesso, disorientato, il quale cerca di ritrovare la propria strada e guarda sé stesso allo specchio, esercitandosi qua e là in riflessioni esistenziali assai acute e profonde, ma senza mettere insieme i pezzi in alcun modo, o meglio senza far convergere tali riflessioni in una ben definita direzione e conferire alla sua creazione un senso compiuto. Arte significa esprimersi, ed esprimersi significa stabilire un contatto con chi ti ascolta. Ma in questo film, Mamoru Oshii sta balbettando tra sé e sé.
Quel che viene rappresentato è in due parole un futuro distopico. Ma "1984" di Orwell era un'opera di denuncia, ed era dotata di un carattere ben definito. Oshii invece sembra, con "Tenshi no Tamago", sprofondare a più riprese nel puro nichilismo, nell'anti-arte. Infatti l'arte distrugge per costruire, mentre l'anti-arte distrugge per distruggere. Ecco il secondo grave errore che a mio avviso è stato commesso, nel proporre un film come questo agli spettatori. Tra le altre cose il ruolo dell'artista consiste, a mio modo di vedere, nello stimolare sanamente e costruttivamente l'immaginazione delle persone. Perché non importa in cosa si creda o non si creda, la nostra necessità è quella di creare un futuro nel quale possiamo soffrire di meno e vivere più felici. Persino Leopardi, il poeta del "pessimismo cosmico", afferma - nel suo celebre componimento intitolato "La Ginestra" - la necessità di associazione tra esseri umani per potersi riscattare dalla nostra condizione misera e precaria. Persino Schopenhauer, impropriamente definito filosofo pessimista sia dal mondo cristiano della sua epoca che da quello contemporaneo, non considerava affatto il suicidio come una soluzione per l'uomo.
Forse chi ha vissuto le stesse esperienze di Oshii può in qualche modo entrare in sintonia con gli stati d'animo espressi in questo suo lungometraggio, ma allo spettatore non passerà alcun messaggio che lo stimoli a superare queste condizioni interiori. Non tutti se ne accorgono, ma "Galaxy Express 999" di Leiji Matsumoto, altro titolo dai toni fortemente distopici, è una storia di formazione e di crescita nella sua estrema drammaticità, per ammissione esplicita dell'autore. È questo che manca a "Tenshi no Tamago".
Il messaggio che passa a visione terminata è il non-sense, il dramma di vivere, di morire e di rinascere, ma soprattutto l'inquietudine esistenziale. Non basta. Gli esseri umani non possono continuare a vivere fermandosi a questo.
Ma certo è che "L'uovo dell'angelo" non ha avuto successo, era inevitabile, ed è un bene che sia andata così.
In "Tenshi no Tamago", il character design di Amano è supportato da una cura maniacale nella realizzazione dei fondali, delle espressioni e delle animazioni, queste ultime definite con gran precisione nonostante la generale lentezza, intrinseca alla natura di questo film. Per non parlare delle musiche, la cui registrazione coinvolse un'orchestra estremamente preparata. La colonna sonora è assai ispirata e suggestiva all'ascolto.
Da un punto di vista puramente rappresentativo questo film è inattaccabile, si nota pressoché immediatamente quanto fosse ingente il budget investito. Da questo punto di vista non ha nulla da invidiare alle pietre miliari Disney come "Bambi" e "Fantasia". Sicuramente per alcune persone può essere un film noioso, ma non credo che sia quello il problema più grave di questo lungometraggio.
Per come concepisco io l'arte, il primo grave errore commesso in questo film è che "Tenshi no Tamago" non è fatto per nessuno. Oshii non ha pensato a questo film come a un racconto né come a un messaggio da esprimere e trasmettere nei confronti di qualcuno. Sembra uno schizzo su tela fatto solo per il pittore stesso, disorientato, il quale cerca di ritrovare la propria strada e guarda sé stesso allo specchio, esercitandosi qua e là in riflessioni esistenziali assai acute e profonde, ma senza mettere insieme i pezzi in alcun modo, o meglio senza far convergere tali riflessioni in una ben definita direzione e conferire alla sua creazione un senso compiuto. Arte significa esprimersi, ed esprimersi significa stabilire un contatto con chi ti ascolta. Ma in questo film, Mamoru Oshii sta balbettando tra sé e sé.
Quel che viene rappresentato è in due parole un futuro distopico. Ma "1984" di Orwell era un'opera di denuncia, ed era dotata di un carattere ben definito. Oshii invece sembra, con "Tenshi no Tamago", sprofondare a più riprese nel puro nichilismo, nell'anti-arte. Infatti l'arte distrugge per costruire, mentre l'anti-arte distrugge per distruggere. Ecco il secondo grave errore che a mio avviso è stato commesso, nel proporre un film come questo agli spettatori. Tra le altre cose il ruolo dell'artista consiste, a mio modo di vedere, nello stimolare sanamente e costruttivamente l'immaginazione delle persone. Perché non importa in cosa si creda o non si creda, la nostra necessità è quella di creare un futuro nel quale possiamo soffrire di meno e vivere più felici. Persino Leopardi, il poeta del "pessimismo cosmico", afferma - nel suo celebre componimento intitolato "La Ginestra" - la necessità di associazione tra esseri umani per potersi riscattare dalla nostra condizione misera e precaria. Persino Schopenhauer, impropriamente definito filosofo pessimista sia dal mondo cristiano della sua epoca che da quello contemporaneo, non considerava affatto il suicidio come una soluzione per l'uomo.
Forse chi ha vissuto le stesse esperienze di Oshii può in qualche modo entrare in sintonia con gli stati d'animo espressi in questo suo lungometraggio, ma allo spettatore non passerà alcun messaggio che lo stimoli a superare queste condizioni interiori. Non tutti se ne accorgono, ma "Galaxy Express 999" di Leiji Matsumoto, altro titolo dai toni fortemente distopici, è una storia di formazione e di crescita nella sua estrema drammaticità, per ammissione esplicita dell'autore. È questo che manca a "Tenshi no Tamago".
Il messaggio che passa a visione terminata è il non-sense, il dramma di vivere, di morire e di rinascere, ma soprattutto l'inquietudine esistenziale. Non basta. Gli esseri umani non possono continuare a vivere fermandosi a questo.
Ma certo è che "L'uovo dell'angelo" non ha avuto successo, era inevitabile, ed è un bene che sia andata così.
Settantadue minuti persi che non hanno lasciato nulla: il film non è altro che una paturnia personale incomunicabile. Non sto nemmeno a citare la trama, perché non c'è, come non hanno senso tutti i riferimenti biblici atti solo a rendere pretenziosa un'opera costruita sul nulla. Posso capire la voglia dello sceneggiatore di dare forma alle sue paturnie, capisco molto di meno chi lo ha prodotto. Sono contento che sia stato punito con un flop. Ci sono film che possono trasmettere qualcosa anche senza parole, ma qui neppure la musica o le immagini raccontano nulla di comprensibile al pubblico o perlomeno di emotivamente toccante. Non è inquietante, non è deprimente, non è commovente, non è nulla. A parte qualche scena graficamente buona, non si avverte null'altro che noia, quella e il disagio di chi ha creato questa cosa.
2,5 punti solo per lo sforzo grafico, 0 per tutto il resto.
2,5 punti solo per lo sforzo grafico, 0 per tutto il resto.
Attenzione: la recensione contiene spoiler
C'è chi ha fatto fatica a visionare questo piccolo gioiellino, perché ritenuto noioso. Io l'ho guardato due volte e aspetto solo di rivederlo per la terza volta.
Non posso fare una colpa a chi lo reputa pesante, in effetti "Tenshi no Tamago" è un'opera estremamente surreale e piena di simbolismi, i dialoghi sono assenti e il design è così particolare, da risultare ostico per alcuni. A me ha coinvolto davvero tanto, trasportandomi in un mondo tanto spaventoso quanto stupendo. Un mondo etereo, freddo e tremendamente desolante, a tal punto che dopo la mia prima visione quasi condividevo quel senso di smarrimento di identità, condiviso non solo dai protagonisti, ma dalla realtà stessa.
Do in parte ragione tuttavia all'idea di alcuni, secondo cui attribuire a quest'anime un significato criptico da interpretare costituisce un grosso errore. Quest'anime secondo me non vuol dirci proprio niente, e, se ci sono pochi messaggi da interpretare, non credo proprio abbiano da dirci chissà cosa. Nonostante ciò il mio voto sarà alto, a differenza di molti che a causa di questo aspetto lo hanno recensito con voti bassi, perché il senso di desolazione e smarrimento che Oshii durante un momento difficile della sua vita ha voluto trasmettere attraverso "Tenshi no Tamago" è stato perfetto, così come pochi sono riusciti a fare. Questa è un'opera unica, al di sopra, e di molto, di opere come "Odissea nello spazio", che più di tanto non mi ha detto.
E' molto importante leggere in proposito l'intervista fatta ad Oshii riguardo il film.
Sì, perché l'autore parla chiaro e tondo a riguardo del significato di quest'opera, che a detta sua non ha nessun significato nascosto. L'unico esistente, per sua ammissione, di "significato spirituale" riguarda il finale. Questa storia parla di un incontro con qualcuno che segna la nostra esistenza in maniera incisiva, rivoluzionando le nostre prospettive di vita, così, come dice Oshii, ha fatto Gesù con il suo messaggio. Il soldato cambia radicalmente le prospettive della bambina che, suicidandosi, mette fine a quel mondo, creato da lei stessa, rinascendo in una nuova forma esistenziale. Il finale non è così tragico come può sembrare. Oltre questo, credo sia assurdo voler a tutti i costi cercare di forzare interpretazioni nascoste, e a mio dire deforma il significato puro che questa meraviglia vuole davvero trasmetterci.
C'è chi ha fatto fatica a visionare questo piccolo gioiellino, perché ritenuto noioso. Io l'ho guardato due volte e aspetto solo di rivederlo per la terza volta.
Non posso fare una colpa a chi lo reputa pesante, in effetti "Tenshi no Tamago" è un'opera estremamente surreale e piena di simbolismi, i dialoghi sono assenti e il design è così particolare, da risultare ostico per alcuni. A me ha coinvolto davvero tanto, trasportandomi in un mondo tanto spaventoso quanto stupendo. Un mondo etereo, freddo e tremendamente desolante, a tal punto che dopo la mia prima visione quasi condividevo quel senso di smarrimento di identità, condiviso non solo dai protagonisti, ma dalla realtà stessa.
Do in parte ragione tuttavia all'idea di alcuni, secondo cui attribuire a quest'anime un significato criptico da interpretare costituisce un grosso errore. Quest'anime secondo me non vuol dirci proprio niente, e, se ci sono pochi messaggi da interpretare, non credo proprio abbiano da dirci chissà cosa. Nonostante ciò il mio voto sarà alto, a differenza di molti che a causa di questo aspetto lo hanno recensito con voti bassi, perché il senso di desolazione e smarrimento che Oshii durante un momento difficile della sua vita ha voluto trasmettere attraverso "Tenshi no Tamago" è stato perfetto, così come pochi sono riusciti a fare. Questa è un'opera unica, al di sopra, e di molto, di opere come "Odissea nello spazio", che più di tanto non mi ha detto.
E' molto importante leggere in proposito l'intervista fatta ad Oshii riguardo il film.
Sì, perché l'autore parla chiaro e tondo a riguardo del significato di quest'opera, che a detta sua non ha nessun significato nascosto. L'unico esistente, per sua ammissione, di "significato spirituale" riguarda il finale. Questa storia parla di un incontro con qualcuno che segna la nostra esistenza in maniera incisiva, rivoluzionando le nostre prospettive di vita, così, come dice Oshii, ha fatto Gesù con il suo messaggio. Il soldato cambia radicalmente le prospettive della bambina che, suicidandosi, mette fine a quel mondo, creato da lei stessa, rinascendo in una nuova forma esistenziale. Il finale non è così tragico come può sembrare. Oltre questo, credo sia assurdo voler a tutti i costi cercare di forzare interpretazioni nascoste, e a mio dire deforma il significato puro che questa meraviglia vuole davvero trasmetterci.
Attenzione: la recensione contiene spoiler
“Tenshi no tamago” è un lungometraggio del 1985, realizzato dal genio di Mamoru Oshii e da Amano Yoshitaka (famoso per “Final Fantasy” e “Vampire Hunter D”).
Parlare di un film presuppone che se ne analizzi di solito la trama, in primis, cosa che per “Angel’s Egg” sarebbe riduttivo. La trama può passare in secondo piano, essendo, in questo caso, allegorica e quasi inesistente. L’attenzione dello spettatore punta più facilmente sulla suggestione grafica.
Nel libro “Stray Dog of Anime: The Films of Mamoru Oshii" Amano ammette che “è impossibile capire la storia. Per il pubblico è meglio guardare il film per le immagini più che per i contenuti".
Opinione non molto diversa dal regista stesso, che ha ammesso che neanche lui saprebbe dare un senso a ciò che ha filmato.
Il lungometraggio si apre con uno sfondo rosso che, già di suo, mette inquietudine. Rosso, rosso sangue, come se Oshii volesse rappresentare il mondo completamente avvolto dalla morte. E già la scritta che appare sullo schermo, come incipit, ci infonde lo stesso stato di ansia:
“Un remoto, tetro, pietrificato futuro, dove il cielo è perennemente oscurato da nubi. Due piccole mani di bambina che sembrano accarezzare qualcosa che non c’è. Una di esse diventa una mano d’uomo, che stritola qualcosa che non c’è. Un gigantesco uovo si staglia nel panorama, all’interno del quale si scorge un animale dalle fattezze di un volatile. Una fatiscente città, dove enormi ombre guizzano sui muri e sulle strade, inutilmente inseguite e bersagliate con arpioni da una folla di uomini che sembrano fantasmi. Una misteriosa bambina dai capelli bianchi che custodisce un uovo. Un’astronave qui atterra e ad attenderla vi è un soldato, armato di uno strano fucile”
In questo contesto di desolazione, incrociano le loro strade i due protagonisti: una bambina e una sorta di soldato che gira con un’arma a forma di croce cristiana.
E’ davvero impossibile fornire un’unica interpretazione alla lenta sequenza di immagini e allegorie che troviamo. Il risultato dell’unione tra queste metafore e un simbolismo oscuro è quello di un film visionario ed estremo, oltre che incredibilmente lento. Non c’è quindi da sorprendersi se, al momento dell’uscita, fu un flop totale.
Al di là dell’apparato tecnico che, come dicevamo, è ben curato nel dettaglio (le animazioni che si notano nei movimenti dei capelli e dei vestiti; le OST che aiutano a creare un’atmosfera onirica e quasi inquietante…), qualsiasi interpretazione viene data alle allegorie potrebbe essere giusta o sbagliata.
Andando con ordine: visti gli innumerevoli dettagli che si rifanno alla religione cristiana, presenti nel film, sono andata a cercare qualche informazione a riguardo. Effettivamente Oshii sembrava essersi appassionato a quest’ambito, pur avendolo poi abbandonato. Fatto interessante per cercare di capire meglio cosa volesse dirci qui.
Gli elementi cristiani presenti sono diversi: il fucile a forma di croce, l’albero della vita, l’arca di Noè, le citazioni al Vecchio Testamento, la cattedrale e persino i pesci, simboli del cristianesimo.
Prima di affrontare la tematica “pesci-pescatori”, pensiamo un attimo al rapporto tra bambina e soldato. Non sappiamo i loro nomi, non sappiamo chi siano, per quanto spesso se lo domandino a vicenda. I dialoghi sono pochissimi (saranno sì e no meno di cinque minuti in tutto). Tutto il loro rapporto gira attorno all’uovo. Lei lo protegge in maniera quasi materna (lo infila sotto il vestito, creando una finta pancia), lo protegge anche di notte, confida che dentro ci sia qualcosa di vivo e di prezioso, tanto da ammettere di sentire dei battiti di vita, quando lo accosta alle orecchie. Sembra rassicurata dalla sua sola presenza.
Lui, per contro, non ne è certo, chiede di continuo cosa ci sia all’interno dell’uovo. A lui la fede non basta, vuole le prove scientifiche che dentro ci sia davvero qualcosa.
Lei è simbolo di purezza, di fede, ha atteggiamenti religiosi, confida nella presenza di un’entità, pur non potendo provarne l’esistenza. Lui simboleggia l’umanità intera che non si può più affidare a ingenue speranze.
Verso la fine del film, la tentazione di conoscere diventa troppo forte e il soldato rompe il patto fatto con la bambina, distruggendo l’uovo e, con esso, la fiducia della piccola accompagnatrice.
Al suo risveglio, lei non potrà che trovare il suo uovo ormai distrutto, comprendendo che tutta la sua fede, la sua speranza e tutto ciò in cui aveva confidato non esiste, è stato un’illusione: l’uovo, infatti, è vuoto.
Trovando inaccettabile questa brutale verità, la bambina si getta in un baratro. Credo che anche il burrone sia una specie di metafora messa, non a caso, da Oshii. Lei si lancia in una corsa, finendo per cadere nel vuoto, in un posto senza più certezze, senza più appigli. Finendo per affogare.
Più ostica l’immagine della seconda bambina, identica a lei, che le viene incontro dall’acqua, baciandola... anche se, volendoci provare, notiamo che la protagonista, dopo il bacio svanisce, lasciando soltanto la sua sosia col vestito azzurro. Come a volerci dire che, dopo aver distrutto tutte le sue illusioni, di lei non è rimasto più niente, ma che all’ultimo ha generato un enorme numero di altre uova che, molto probabilmente, simboleggeranno la fede di altrettante persone come lei.
D’altronde, di altre persone come la bambina ne abbiamo a bizzeffe, basti pensare ai soldati che si vedono in diverse scene. Sono tutti uguali, tutti cercano di catturare delle ombre a forma di pesci, che si stagliano sui muri dei palazzi in rovina. Dicevamo appunto che il pesce è il simbolo del cristianesimo. Quindi perché non vederli come “Dio” stesso? E i pescatori/soldati, come tanti uomini che cercano di raggiungere quella fede, senza poterla effettivamente toccare, dal momento che è solo ombra?
Come da premessa, ovviamente, ogni interpretazione può essere giusta o sbagliata, ho letto di qualcuno che vede l’uovo come il simbolo della verginità della bambina che, una volta distrutta dal soldato, porta quest’ultima alla disperazione e al suicidio. Tutto può essere.
Una cosa è ovvia: non avremo mai una risposta vera e propria.
“Tenshi no tamago” è un lungometraggio del 1985, realizzato dal genio di Mamoru Oshii e da Amano Yoshitaka (famoso per “Final Fantasy” e “Vampire Hunter D”).
Parlare di un film presuppone che se ne analizzi di solito la trama, in primis, cosa che per “Angel’s Egg” sarebbe riduttivo. La trama può passare in secondo piano, essendo, in questo caso, allegorica e quasi inesistente. L’attenzione dello spettatore punta più facilmente sulla suggestione grafica.
Nel libro “Stray Dog of Anime: The Films of Mamoru Oshii" Amano ammette che “è impossibile capire la storia. Per il pubblico è meglio guardare il film per le immagini più che per i contenuti".
Opinione non molto diversa dal regista stesso, che ha ammesso che neanche lui saprebbe dare un senso a ciò che ha filmato.
Il lungometraggio si apre con uno sfondo rosso che, già di suo, mette inquietudine. Rosso, rosso sangue, come se Oshii volesse rappresentare il mondo completamente avvolto dalla morte. E già la scritta che appare sullo schermo, come incipit, ci infonde lo stesso stato di ansia:
“Un remoto, tetro, pietrificato futuro, dove il cielo è perennemente oscurato da nubi. Due piccole mani di bambina che sembrano accarezzare qualcosa che non c’è. Una di esse diventa una mano d’uomo, che stritola qualcosa che non c’è. Un gigantesco uovo si staglia nel panorama, all’interno del quale si scorge un animale dalle fattezze di un volatile. Una fatiscente città, dove enormi ombre guizzano sui muri e sulle strade, inutilmente inseguite e bersagliate con arpioni da una folla di uomini che sembrano fantasmi. Una misteriosa bambina dai capelli bianchi che custodisce un uovo. Un’astronave qui atterra e ad attenderla vi è un soldato, armato di uno strano fucile”
In questo contesto di desolazione, incrociano le loro strade i due protagonisti: una bambina e una sorta di soldato che gira con un’arma a forma di croce cristiana.
E’ davvero impossibile fornire un’unica interpretazione alla lenta sequenza di immagini e allegorie che troviamo. Il risultato dell’unione tra queste metafore e un simbolismo oscuro è quello di un film visionario ed estremo, oltre che incredibilmente lento. Non c’è quindi da sorprendersi se, al momento dell’uscita, fu un flop totale.
Al di là dell’apparato tecnico che, come dicevamo, è ben curato nel dettaglio (le animazioni che si notano nei movimenti dei capelli e dei vestiti; le OST che aiutano a creare un’atmosfera onirica e quasi inquietante…), qualsiasi interpretazione viene data alle allegorie potrebbe essere giusta o sbagliata.
Andando con ordine: visti gli innumerevoli dettagli che si rifanno alla religione cristiana, presenti nel film, sono andata a cercare qualche informazione a riguardo. Effettivamente Oshii sembrava essersi appassionato a quest’ambito, pur avendolo poi abbandonato. Fatto interessante per cercare di capire meglio cosa volesse dirci qui.
Gli elementi cristiani presenti sono diversi: il fucile a forma di croce, l’albero della vita, l’arca di Noè, le citazioni al Vecchio Testamento, la cattedrale e persino i pesci, simboli del cristianesimo.
Prima di affrontare la tematica “pesci-pescatori”, pensiamo un attimo al rapporto tra bambina e soldato. Non sappiamo i loro nomi, non sappiamo chi siano, per quanto spesso se lo domandino a vicenda. I dialoghi sono pochissimi (saranno sì e no meno di cinque minuti in tutto). Tutto il loro rapporto gira attorno all’uovo. Lei lo protegge in maniera quasi materna (lo infila sotto il vestito, creando una finta pancia), lo protegge anche di notte, confida che dentro ci sia qualcosa di vivo e di prezioso, tanto da ammettere di sentire dei battiti di vita, quando lo accosta alle orecchie. Sembra rassicurata dalla sua sola presenza.
Lui, per contro, non ne è certo, chiede di continuo cosa ci sia all’interno dell’uovo. A lui la fede non basta, vuole le prove scientifiche che dentro ci sia davvero qualcosa.
Lei è simbolo di purezza, di fede, ha atteggiamenti religiosi, confida nella presenza di un’entità, pur non potendo provarne l’esistenza. Lui simboleggia l’umanità intera che non si può più affidare a ingenue speranze.
Verso la fine del film, la tentazione di conoscere diventa troppo forte e il soldato rompe il patto fatto con la bambina, distruggendo l’uovo e, con esso, la fiducia della piccola accompagnatrice.
Al suo risveglio, lei non potrà che trovare il suo uovo ormai distrutto, comprendendo che tutta la sua fede, la sua speranza e tutto ciò in cui aveva confidato non esiste, è stato un’illusione: l’uovo, infatti, è vuoto.
Trovando inaccettabile questa brutale verità, la bambina si getta in un baratro. Credo che anche il burrone sia una specie di metafora messa, non a caso, da Oshii. Lei si lancia in una corsa, finendo per cadere nel vuoto, in un posto senza più certezze, senza più appigli. Finendo per affogare.
Più ostica l’immagine della seconda bambina, identica a lei, che le viene incontro dall’acqua, baciandola... anche se, volendoci provare, notiamo che la protagonista, dopo il bacio svanisce, lasciando soltanto la sua sosia col vestito azzurro. Come a volerci dire che, dopo aver distrutto tutte le sue illusioni, di lei non è rimasto più niente, ma che all’ultimo ha generato un enorme numero di altre uova che, molto probabilmente, simboleggeranno la fede di altrettante persone come lei.
D’altronde, di altre persone come la bambina ne abbiamo a bizzeffe, basti pensare ai soldati che si vedono in diverse scene. Sono tutti uguali, tutti cercano di catturare delle ombre a forma di pesci, che si stagliano sui muri dei palazzi in rovina. Dicevamo appunto che il pesce è il simbolo del cristianesimo. Quindi perché non vederli come “Dio” stesso? E i pescatori/soldati, come tanti uomini che cercano di raggiungere quella fede, senza poterla effettivamente toccare, dal momento che è solo ombra?
Come da premessa, ovviamente, ogni interpretazione può essere giusta o sbagliata, ho letto di qualcuno che vede l’uovo come il simbolo della verginità della bambina che, una volta distrutta dal soldato, porta quest’ultima alla disperazione e al suicidio. Tutto può essere.
Una cosa è ovvia: non avremo mai una risposta vera e propria.
Capelli bianchi, sguardo vuoto e imperscrutabile, la bambina senza nome fugge stringendo ai suoi seni un uovo. Il fruscio del vento, il volto dell’inquietudine sembra affacciarsi dalle finestre delle case abbandonate lungo una città in rovina, la bambina scappa, l’uovo è al caldo, lei lo accarezza. Un futuro tetro, un luogo ove il sole non osa addentrarsi, l’ombra di un’astronave si staglia in cielo; il motore del velivolo grida, ai suoi piedi un uomo armato di un fucile a forma di croce.
“Tenshi no Tamago” è un’opera dannatamente complessa. Mamoru Oshii racchiude in questo film tutto il suo estro, confezionando un prodotto tanto personale quanto introspettivo. Tra tutti è forse il lungometraggio che lo rappresenta meglio. C’è chi considera “L’uovo dell’angelo” un capolavoro allegorico e chi invece un mero esercizio di stile, personalmente lo collocherei a metà tra l’esistenzialismo di Bergman e il cinema muto di Fritz Lang, con evidenti rimandi all’Andrej Tarkovskij di “Solaris” e “Stalker”.
Tecnicamente siamo allo stato dell’arte. Il chara di Yoshitaka Amano è qualcosa di incredibile. L’opera è targata 1985 e visivamente l’impatto è tutt’oggi impressionante, la cura per i dettagli è maniacale e ogni scena è degna di un quadro. L’ambientazione distopica e tenebrosa si amalgama alla perfezione al graffiante tratto dei personaggi. Nonostante il film sia piuttosto statico e poco movimentato, risultano ottime anche le animazioni, intervallate da lunghi fermi immagine di chiaroscuri impreziositi da un’avanguardista regia di Oshii. Il comparto sonoro è da brividi: inquietanti cori biblici e drammatiche note di pianoforte scandiscono i passi della bambina.
L’ermetismo di “Tenshi no Tamago” è tutto nel suo criptico simbolismo. Così numerosi i riferimenti alla religione cristiana che risulta difficile coglierli tutti. L’arma cruciforme, l’arca, il diluvio universale, informi pescatori che come mossi da un’unica coscienza cercano disperatamente di afferrare delle gigantesche ombre di pesce. Ma non c’è mano che tocchi l’intangibile, e l’essere umano mai potrà afferrare certi misteri, proprio come i pescatori mai afferreranno quelle ombre. E qui si ritorna ai fotogrammi iniziali, in cui le mani della bambina stringono qualcosa di invisibile, per poi trasformarsi in mani da uomo e distruggere quel qualcosa. Dov’è Dio? Oshii sfoggia un nichilismo di zarathustriana memoria, e il fatto che si sia avvicinato al cristianesimo, per poi allontanarsene poco prima la realizzazione del film, è espresso con una decadenza tale, da portarci a un’unica inconfutabile risposta: Dio è morto. Questa pellicola non va vista, ma osservata, vissuta e interpretata. “L’uovo dell’angelo” è acqua. L’acqua prende forme diverse a seconda dell’oggetto che la contiene, cosi come “Tenshi no Tamago” prende forme diverse a seconda degli occhi di chi lo guarda.
La mia personalissima interpretazione è che l’uovo custodito dalla bambina rappresenti la sua verginità. La scena in cui l’uomo rompe l’uovo con il fucile mentre la fanciulla dorme, sta ad indicare la profanazione della purezza. La bambina quindi, vittima di stupro, si risveglia gridando, per poi suicidarsi gettandosi da un burrone.
“Tenshi no Tamago” è un unicum, un’opera la cui esegesi non può considerare fattori quali storia o caratterizzazione dei personaggi. Piuttosto bisogna soffermarsi sulla linea che intercorre tra significato e significante, rischiando anche di sovrainterpretare. Il sodalizio tra Oshii e Amano è un meraviglioso connubio di stili e idee. E, se vi stavate chiedendo a chi o cosa si fosse ispirato Hidetaka Miyazaki con il personaggio di Filianore in “Dark Souls 3: The Ringed City”, ora avete una risposta.
Voto: 8,5
“Tenshi no Tamago” è un’opera dannatamente complessa. Mamoru Oshii racchiude in questo film tutto il suo estro, confezionando un prodotto tanto personale quanto introspettivo. Tra tutti è forse il lungometraggio che lo rappresenta meglio. C’è chi considera “L’uovo dell’angelo” un capolavoro allegorico e chi invece un mero esercizio di stile, personalmente lo collocherei a metà tra l’esistenzialismo di Bergman e il cinema muto di Fritz Lang, con evidenti rimandi all’Andrej Tarkovskij di “Solaris” e “Stalker”.
Tecnicamente siamo allo stato dell’arte. Il chara di Yoshitaka Amano è qualcosa di incredibile. L’opera è targata 1985 e visivamente l’impatto è tutt’oggi impressionante, la cura per i dettagli è maniacale e ogni scena è degna di un quadro. L’ambientazione distopica e tenebrosa si amalgama alla perfezione al graffiante tratto dei personaggi. Nonostante il film sia piuttosto statico e poco movimentato, risultano ottime anche le animazioni, intervallate da lunghi fermi immagine di chiaroscuri impreziositi da un’avanguardista regia di Oshii. Il comparto sonoro è da brividi: inquietanti cori biblici e drammatiche note di pianoforte scandiscono i passi della bambina.
L’ermetismo di “Tenshi no Tamago” è tutto nel suo criptico simbolismo. Così numerosi i riferimenti alla religione cristiana che risulta difficile coglierli tutti. L’arma cruciforme, l’arca, il diluvio universale, informi pescatori che come mossi da un’unica coscienza cercano disperatamente di afferrare delle gigantesche ombre di pesce. Ma non c’è mano che tocchi l’intangibile, e l’essere umano mai potrà afferrare certi misteri, proprio come i pescatori mai afferreranno quelle ombre. E qui si ritorna ai fotogrammi iniziali, in cui le mani della bambina stringono qualcosa di invisibile, per poi trasformarsi in mani da uomo e distruggere quel qualcosa. Dov’è Dio? Oshii sfoggia un nichilismo di zarathustriana memoria, e il fatto che si sia avvicinato al cristianesimo, per poi allontanarsene poco prima la realizzazione del film, è espresso con una decadenza tale, da portarci a un’unica inconfutabile risposta: Dio è morto. Questa pellicola non va vista, ma osservata, vissuta e interpretata. “L’uovo dell’angelo” è acqua. L’acqua prende forme diverse a seconda dell’oggetto che la contiene, cosi come “Tenshi no Tamago” prende forme diverse a seconda degli occhi di chi lo guarda.
La mia personalissima interpretazione è che l’uovo custodito dalla bambina rappresenti la sua verginità. La scena in cui l’uomo rompe l’uovo con il fucile mentre la fanciulla dorme, sta ad indicare la profanazione della purezza. La bambina quindi, vittima di stupro, si risveglia gridando, per poi suicidarsi gettandosi da un burrone.
“Tenshi no Tamago” è un unicum, un’opera la cui esegesi non può considerare fattori quali storia o caratterizzazione dei personaggi. Piuttosto bisogna soffermarsi sulla linea che intercorre tra significato e significante, rischiando anche di sovrainterpretare. Il sodalizio tra Oshii e Amano è un meraviglioso connubio di stili e idee. E, se vi stavate chiedendo a chi o cosa si fosse ispirato Hidetaka Miyazaki con il personaggio di Filianore in “Dark Souls 3: The Ringed City”, ora avete una risposta.
Voto: 8,5
Questo lungometraggio di Oshii è un'opera molto controversa. Osannata a capolavoro da alcuni, tacciata di essere una visione noiosa e inutile da altri.
Per quanto mi riguarda, credo che "Tenshi no Tamago" sia un prodotto indiscutibile dal punto di vista tecnico, quanto fin troppo opinabile sul piano dei contenuti. Partendo dall'aspetto formale è infatti innegabile che - considerando anche l'epoca, il lontano 1985 - la qualità sia alta: le animazioni sono davvero poche, a causa del ritmo narrativo lentissimo, ma i disegni, i colori, le OST e la regia sono veramente apprezzabili.
Per quanto riguarda invece la sostanza, bisogna precisare che è arduo anche ricostruire quell'esiguo numero di eventi che accadono, visto che la connessione tra di essi non è logica, ma analogica. I personaggi sono due, una misteriosa bambina e un soldato dallo sguardo gelido, il tono pacato e un'arma che ricorda nella forma una croce. Anche i dialoghi si contano sulle dita di una mano e il finale è altrettanto evanescente e ambiguo. Il film è ricco di citazioni di diversa matrice e l'unico elemento che emerge chiaramente è una visione abbastanza pessimistica e sconsolata. Certamente, "Tenshi no Tamago" sa creare delle scene surreali e inquietanti, ma alla fine della visione sembra provocare un senso di delusione. Non lascia nulla, non crea degli spunti realmente interessanti, è inconsistente. Il ritmo fa subito comprendere che la visione non sarà basata sull'intrattenimento, ma il problema è che alla lunga rischia davvero di sconfinare nell'inerzia e nel suscitare noia nello spettatore. Le citazioni poi sono un'accozzaglia di simbologie legate senza un reale costrutto. Insomma, quest'opera pare volersi ergere a prodotto intellettuale senza in verità esserlo realmente. Le interpretazioni sono molteplici e nessuna esclude le altre; personalmente credo che non si possa interpretare qualcosa in cui non ci sono elementi per farlo, neanche quelli essenziali. "Tenshi no Tamago", che significa "l'uovo dell'angelo", riesce quindi ad essere una favola onirica, ma non filosofica, come qualcuno può credere.
Il voto è comunque ampiamente sufficiente per la compagine tecnica e per alcune scene che in effetti meriterebbero di essere viste da un appassionato di animazione.
Per quanto mi riguarda, credo che "Tenshi no Tamago" sia un prodotto indiscutibile dal punto di vista tecnico, quanto fin troppo opinabile sul piano dei contenuti. Partendo dall'aspetto formale è infatti innegabile che - considerando anche l'epoca, il lontano 1985 - la qualità sia alta: le animazioni sono davvero poche, a causa del ritmo narrativo lentissimo, ma i disegni, i colori, le OST e la regia sono veramente apprezzabili.
Per quanto riguarda invece la sostanza, bisogna precisare che è arduo anche ricostruire quell'esiguo numero di eventi che accadono, visto che la connessione tra di essi non è logica, ma analogica. I personaggi sono due, una misteriosa bambina e un soldato dallo sguardo gelido, il tono pacato e un'arma che ricorda nella forma una croce. Anche i dialoghi si contano sulle dita di una mano e il finale è altrettanto evanescente e ambiguo. Il film è ricco di citazioni di diversa matrice e l'unico elemento che emerge chiaramente è una visione abbastanza pessimistica e sconsolata. Certamente, "Tenshi no Tamago" sa creare delle scene surreali e inquietanti, ma alla fine della visione sembra provocare un senso di delusione. Non lascia nulla, non crea degli spunti realmente interessanti, è inconsistente. Il ritmo fa subito comprendere che la visione non sarà basata sull'intrattenimento, ma il problema è che alla lunga rischia davvero di sconfinare nell'inerzia e nel suscitare noia nello spettatore. Le citazioni poi sono un'accozzaglia di simbologie legate senza un reale costrutto. Insomma, quest'opera pare volersi ergere a prodotto intellettuale senza in verità esserlo realmente. Le interpretazioni sono molteplici e nessuna esclude le altre; personalmente credo che non si possa interpretare qualcosa in cui non ci sono elementi per farlo, neanche quelli essenziali. "Tenshi no Tamago", che significa "l'uovo dell'angelo", riesce quindi ad essere una favola onirica, ma non filosofica, come qualcuno può credere.
Il voto è comunque ampiamente sufficiente per la compagine tecnica e per alcune scene che in effetti meriterebbero di essere viste da un appassionato di animazione.
Alla domanda relativa al contenuto di questo lungometraggio, a quanto pare il regista Mamoru Oshii rispose che non lo sapeva nemmeno lui. Il character designer Yoshitaka Amano, d'altra parte, in un'intervista al New York Comic Con di qualche anno fa, ha voluto fornire degli indizi interessanti, affermando che una delle influenze di "Tenshi no Tamago" è un film drammatico del 1973 intitolato "El espíritu de la colmena" ("Lo spirito dell'alveare") ad opera del regista spagnolo Víctor Erice Aras. Riflettendoci, in effetti, tra i due film si possono individuare numerosi punti di contatto a livello di significato.
Amano ha dato anche un altro indizio, rivelando che al tempo della realizzazione del film d'animazione in esame, Mamoru Oshii stava attraversando un avvenimento molto spiacevole nella sua vita privata, che per rispetto non espliciterò in questa sede, ma che forse fa capire qualcosa di questo caotico incubo sotto forma di cartone animato, di questo terrificante grido di dolore.
Il lavoro tecnico effettuato in questo film mi lascia del tutto sorpreso: è un film di ben trent'anni fa, eppure la grafica sembra molto più accurata e più sottile della quasi totalità degli anime più recenti. Nemmeno negli altri anime che presentano Yoshitaka Amano al character design ho mai visto niente di simile. Parte di me capisce bene che può risultare in un certo qual modo attraente, ma dall'altra parte lo stile adottato in quest'opera mi trasmette un lontano senso di terrore. I due personaggi hanno degli strani occhi quasi assenti e privi di vita. In certe inquadrature la bambina sembra quasi avere il volto di una bambola di porcellana, anche perché indossa quella che sembra una camicia da notte in stile ottocentesco. Le animazioni sono ridotte al minimo, con diverse scene di totale immobilità, lunghe anche qualche minuto, tanto risulta flemmatico e statico il film nel suo insieme, ma sono contenuti qua e là pochi piccoli climax di movimento fluido piuttosto sorprendente per essere stato fatto nel 1985.
L'ambientazione dai toni gotici è del tutto surreale, con città e abitazioni intatte ma deserte.
Le musiche sono piuttosto eterogenee: a tratti sentiamo un pianoforte solista emettere melodie ermetiche e oniriche, a tratti si esplode in pomposi e drammatici cori che mi ricordano un po' il cinema biblico d'altri tempi.
Sul piano dei contenuti, io penso che in questo caso sia un errore tentare lo sforzo di leggere tanto a fondo. Tuttavia le informazioni fornite da Yoshitaka Amano mi illuminano riguardo alcuni punti essenziali: in questo film si assiste alla distruzione dell'innocenza di una bambina, interessata alla vita e piena di speranze per il futuro, dopo aver sostenuto il confronto con il mondo tormentato e disilluso di un adulto. Quando il guerriero vede davanti a sé quel che sembra l'oggetto dei suoi confusi ricordi, il suo volto si rattrista, quasi a voler dire: "Sarebbe meglio che tutto ciò fosse soltanto un brutto sogno, tutto questo dovrebbe essere cancellato".
Probabilmente ciò a cui assistiamo in questo film è anche esattamente uno "spirito dell'alveare", ovvero una volontà cieca ma inarrestabile che continua a perpetuare e riciclare la vita terrena, così come le api lavorano instancabili senza riflettere, spinte da una forza istintiva sconosciuta. Il modo in cui questo "spirito" viene rappresentato è molto disturbato e ricolmo di malessere, mi sembra.
Ma ritengo che il tema centrale del film sia quello introspettivo e psicologico: il mondo ingenuo, innocente e sognatore dell'infanzia contro la macchia - ma anche il distacco emotivo - dell'età adulta. Quel che rimane è un irrisolvibile punto interrogativo sull'esistenza stessa.
Per quanto dietro la realizzazione tecnica ci sia un buonissimo lavoro, sul piano sostanziale l'ho trovato decisamente insostenibile. Esprime una condizione di disagio del tutto inutile e dannosa.
L'autore sembra davvero voler gridare il proprio stato di malessere, chissà contro cosa; forse contro un forza creatrice che tra le righe egli sembra affermare, in fin dei conti, forse in maniera vagamente affine alla filosofia dei cristiani gnostici e a quella platonica, ma il suo grido non lascia niente che possa servire veramente alle persone, niente che possa arricchire interiormente: solo un mero esercizio espressivo di dolore e insoddisfazione.
Francamente, a me non importa del gran lavoro tecnico, se non è solidamente sostenuto da una effettiva sostanza. Esistono molti anime tecnicamente inferiori a questo, ma sostanzialmente anni luce superiori. Quella che in questo film potrebbe sembrare sostanza, in realtà a me pare solo un futile vuoto di sofferenza psicologica. Questa è la mia opinione.
Per questi motivi, personalmente, gli assegno un voto inferiore alla sufficienza.
Amano ha dato anche un altro indizio, rivelando che al tempo della realizzazione del film d'animazione in esame, Mamoru Oshii stava attraversando un avvenimento molto spiacevole nella sua vita privata, che per rispetto non espliciterò in questa sede, ma che forse fa capire qualcosa di questo caotico incubo sotto forma di cartone animato, di questo terrificante grido di dolore.
Il lavoro tecnico effettuato in questo film mi lascia del tutto sorpreso: è un film di ben trent'anni fa, eppure la grafica sembra molto più accurata e più sottile della quasi totalità degli anime più recenti. Nemmeno negli altri anime che presentano Yoshitaka Amano al character design ho mai visto niente di simile. Parte di me capisce bene che può risultare in un certo qual modo attraente, ma dall'altra parte lo stile adottato in quest'opera mi trasmette un lontano senso di terrore. I due personaggi hanno degli strani occhi quasi assenti e privi di vita. In certe inquadrature la bambina sembra quasi avere il volto di una bambola di porcellana, anche perché indossa quella che sembra una camicia da notte in stile ottocentesco. Le animazioni sono ridotte al minimo, con diverse scene di totale immobilità, lunghe anche qualche minuto, tanto risulta flemmatico e statico il film nel suo insieme, ma sono contenuti qua e là pochi piccoli climax di movimento fluido piuttosto sorprendente per essere stato fatto nel 1985.
L'ambientazione dai toni gotici è del tutto surreale, con città e abitazioni intatte ma deserte.
Le musiche sono piuttosto eterogenee: a tratti sentiamo un pianoforte solista emettere melodie ermetiche e oniriche, a tratti si esplode in pomposi e drammatici cori che mi ricordano un po' il cinema biblico d'altri tempi.
Sul piano dei contenuti, io penso che in questo caso sia un errore tentare lo sforzo di leggere tanto a fondo. Tuttavia le informazioni fornite da Yoshitaka Amano mi illuminano riguardo alcuni punti essenziali: in questo film si assiste alla distruzione dell'innocenza di una bambina, interessata alla vita e piena di speranze per il futuro, dopo aver sostenuto il confronto con il mondo tormentato e disilluso di un adulto. Quando il guerriero vede davanti a sé quel che sembra l'oggetto dei suoi confusi ricordi, il suo volto si rattrista, quasi a voler dire: "Sarebbe meglio che tutto ciò fosse soltanto un brutto sogno, tutto questo dovrebbe essere cancellato".
Probabilmente ciò a cui assistiamo in questo film è anche esattamente uno "spirito dell'alveare", ovvero una volontà cieca ma inarrestabile che continua a perpetuare e riciclare la vita terrena, così come le api lavorano instancabili senza riflettere, spinte da una forza istintiva sconosciuta. Il modo in cui questo "spirito" viene rappresentato è molto disturbato e ricolmo di malessere, mi sembra.
Ma ritengo che il tema centrale del film sia quello introspettivo e psicologico: il mondo ingenuo, innocente e sognatore dell'infanzia contro la macchia - ma anche il distacco emotivo - dell'età adulta. Quel che rimane è un irrisolvibile punto interrogativo sull'esistenza stessa.
Per quanto dietro la realizzazione tecnica ci sia un buonissimo lavoro, sul piano sostanziale l'ho trovato decisamente insostenibile. Esprime una condizione di disagio del tutto inutile e dannosa.
L'autore sembra davvero voler gridare il proprio stato di malessere, chissà contro cosa; forse contro un forza creatrice che tra le righe egli sembra affermare, in fin dei conti, forse in maniera vagamente affine alla filosofia dei cristiani gnostici e a quella platonica, ma il suo grido non lascia niente che possa servire veramente alle persone, niente che possa arricchire interiormente: solo un mero esercizio espressivo di dolore e insoddisfazione.
Francamente, a me non importa del gran lavoro tecnico, se non è solidamente sostenuto da una effettiva sostanza. Esistono molti anime tecnicamente inferiori a questo, ma sostanzialmente anni luce superiori. Quella che in questo film potrebbe sembrare sostanza, in realtà a me pare solo un futile vuoto di sofferenza psicologica. Questa è la mia opinione.
Per questi motivi, personalmente, gli assegno un voto inferiore alla sufficienza.
"Tenshi no Tamago", tradotto "L'uovo dell'angelo", è un lungometraggio prodotto nel 1985 della durata di circa settanta minuti, diretto da Mamoru Oshii. Da molti è considerato come uno dei più grandi capolavori dell'animazione, e non solo di quella giapponese.
In un mondo indefinito e sull'orlo del baratro, una bambina dai lunghi capelli bianchi custodisce e protegge un misterioso uovo, trattandolo come fosse il suo più grande tesoro. La piccola, per sopravvivere, è costretta ad addentrarsi in una città apparentemente morta; un giorno, in questo luogo incontra un uomo armato di uno strano fucile a forma di croce, che sembra interessato al contenuto dell'uovo. I due si ritrovano a viaggiare insieme, ma quando la bambina si addormenta, il cacciatore spinto dalla curiosità spacca l'uovo per vedere cosa si cela al suo interno, poi fugge. Una volta svegliatasi, la piccola parte all'inseguimento disperato dell'uomo, ma prima di raggiungerlo cade in un fiume e affoga.
"Tenshi no Tamago" è indubbiamente una delle opere più atipiche e particolari che mi sia mai capitato di visionare. Lunghissime sequenze prive di dialoghi e condite solamente da giochi di luce e inquietanti musiche di sottofondo riescono a creare un'atmosfera unica, opprimente e angosciante. Per come la vedo io, questo è indubbiamente il miglior pregio dell'opera, anche se la totale o quasi assenza di interazione fra i due protagonisti genera inevitabilmente la noia. Il ritmo è lento, la trama praticamente inesistente, i personaggi anonimi e privi di carattere. Tecnicamente un piccolo capolavoro, considerando ovviamente la data di produzione. Il comparto sonoro è eccellente, rasenta la perfezione. Le animazioni sono buone, il design dei personaggi quantomeno particolare. Lo scenario post-apocalittico è intrigante e arricchito da un grande numero di dettagli.
Di cosa parla, quindi, quest'opera tanto osannata? Cosa voleva dirci Oshii presentandoci un prodotto così particolare? Qui, le considerazioni possibili sono troppe. Il film permette una serie infinita di interpretazioni: analizzare ogni metafora, percepire e comprendere ogni simbolo, è praticamente impossibile.
Ciò che salta all'occhio più facilmente, e che quindi potrebbe essere identificata come tematica principale, è l'insignificanza, la piccolezza dell'uomo nei confronti di Dio. I rimandi alla religione cristiana sono molteplici: la spada a forma di croce, l'angelo, i pesci che i cacciatori cercano di arpionare, la citazione biblica che costituisce il 90% del totale dei dialoghi, e nella quale viene menzionata anche l'arca (di Noè). La bambina rappresenta la fede, essa infatti è convinta che all'interno dell'uovo vi sia qualcosa pur non avendo mai avuto la possibilità di vederlo con i propri occhi; l'uomo invece è convinto del contrario, si potrebbe dire che rappresenti la scienza, la voglia stessa di verificare e di sperimentare. Alla fine l'uovo si rivela, almeno apparentemente, vuoto. Quando la bambina annega nel fiume, genera una moltitudine di uova, simboli inequivocabili di tutti i dubbi e le incertezze del genere umano.
Alla fine l'uomo rimane solo su un pianeta distrutto e in fin di vita, segno che senza la fede anche la speranza di un mondo migliore viene meno. L'inquadratura finale rivela che in realtà il luogo dove è ambientata la vicenda è una sorta di arca rovesciata e ridotta in pezzi, e che probabilmente si trova in quello stato a causa della diffidenza del genere umano e del suo comportamento fine a sé stesso.
"Tenshi no Tamago" è un lungometraggio per il quale si potrebbero spendere molte parole, troppe ne servirebbero per darne un'idea precisa. Purtroppo siamo di fronte a un'opera che non lascia alcuna certezza, e ad alcuni spettatori potrebbe apparire come settanta minuti di nulla assoluto. Mi sento di consigliarne la visione solamente agli amanti del genere.
In un mondo indefinito e sull'orlo del baratro, una bambina dai lunghi capelli bianchi custodisce e protegge un misterioso uovo, trattandolo come fosse il suo più grande tesoro. La piccola, per sopravvivere, è costretta ad addentrarsi in una città apparentemente morta; un giorno, in questo luogo incontra un uomo armato di uno strano fucile a forma di croce, che sembra interessato al contenuto dell'uovo. I due si ritrovano a viaggiare insieme, ma quando la bambina si addormenta, il cacciatore spinto dalla curiosità spacca l'uovo per vedere cosa si cela al suo interno, poi fugge. Una volta svegliatasi, la piccola parte all'inseguimento disperato dell'uomo, ma prima di raggiungerlo cade in un fiume e affoga.
"Tenshi no Tamago" è indubbiamente una delle opere più atipiche e particolari che mi sia mai capitato di visionare. Lunghissime sequenze prive di dialoghi e condite solamente da giochi di luce e inquietanti musiche di sottofondo riescono a creare un'atmosfera unica, opprimente e angosciante. Per come la vedo io, questo è indubbiamente il miglior pregio dell'opera, anche se la totale o quasi assenza di interazione fra i due protagonisti genera inevitabilmente la noia. Il ritmo è lento, la trama praticamente inesistente, i personaggi anonimi e privi di carattere. Tecnicamente un piccolo capolavoro, considerando ovviamente la data di produzione. Il comparto sonoro è eccellente, rasenta la perfezione. Le animazioni sono buone, il design dei personaggi quantomeno particolare. Lo scenario post-apocalittico è intrigante e arricchito da un grande numero di dettagli.
Di cosa parla, quindi, quest'opera tanto osannata? Cosa voleva dirci Oshii presentandoci un prodotto così particolare? Qui, le considerazioni possibili sono troppe. Il film permette una serie infinita di interpretazioni: analizzare ogni metafora, percepire e comprendere ogni simbolo, è praticamente impossibile.
Ciò che salta all'occhio più facilmente, e che quindi potrebbe essere identificata come tematica principale, è l'insignificanza, la piccolezza dell'uomo nei confronti di Dio. I rimandi alla religione cristiana sono molteplici: la spada a forma di croce, l'angelo, i pesci che i cacciatori cercano di arpionare, la citazione biblica che costituisce il 90% del totale dei dialoghi, e nella quale viene menzionata anche l'arca (di Noè). La bambina rappresenta la fede, essa infatti è convinta che all'interno dell'uovo vi sia qualcosa pur non avendo mai avuto la possibilità di vederlo con i propri occhi; l'uomo invece è convinto del contrario, si potrebbe dire che rappresenti la scienza, la voglia stessa di verificare e di sperimentare. Alla fine l'uovo si rivela, almeno apparentemente, vuoto. Quando la bambina annega nel fiume, genera una moltitudine di uova, simboli inequivocabili di tutti i dubbi e le incertezze del genere umano.
Alla fine l'uomo rimane solo su un pianeta distrutto e in fin di vita, segno che senza la fede anche la speranza di un mondo migliore viene meno. L'inquadratura finale rivela che in realtà il luogo dove è ambientata la vicenda è una sorta di arca rovesciata e ridotta in pezzi, e che probabilmente si trova in quello stato a causa della diffidenza del genere umano e del suo comportamento fine a sé stesso.
"Tenshi no Tamago" è un lungometraggio per il quale si potrebbero spendere molte parole, troppe ne servirebbero per darne un'idea precisa. Purtroppo siamo di fronte a un'opera che non lascia alcuna certezza, e ad alcuni spettatori potrebbe apparire come settanta minuti di nulla assoluto. Mi sento di consigliarne la visione solamente agli amanti del genere.
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Prima di procedere con la recensione, è necessaria una premessa fondamentale: "Tenshi no Tamago" non è un'opera d'intrattenimento. Chi si appresta alla visione di questo film non deve quindi aspettarsi né pretendere quelle che sono le tradizionali modalità di narrazione nel campo dell'animazione cinematografica: una trama c'è, ma non procede attraverso i classici metodi della narrazione. I colpi di scena sono del tutto assenti (sebbene si possa dire che, dopo tutto, non si sappia mai cosa aspettarsi dal film), non c'è azione, né alcuna tensione a livello narrativo, e i ritmi della narrazione sono estremamente lenti e dilatati, al punto che più di una volta determinate scene rimangono "congelate" anche per diversi minuti, quasi come fossero dei quadri. Ed è proprio di quadri che si parla: perché in fondo "Tenshi no Tamago" assomiglia di più a una galleria d'arte che a un film come lo si intende generalmente.
La sceneggiatura partorita dalla mente di Mamoru Oshii (successivamente regista di "Ghost in the Shell") si avvale di splendide illustrazioni di Yoshitaka Amano (che molti probabilmente conoscono come character designer della serie di videogiochi di ruolo "Final Fantasy"), illustrazioni che diventano l'unico vero e proprio fulcro e filo conduttore della vicenda.
La scarna trama è riassumibile in poche righe: un soldato armato di un'arma cruciforme osserva un'astronave a forma di occhio calarsi nelle acque. Una bambina che custodisce un uovo viaggia attraverso un mondo apocalittico e decaduto. Statue di uomini si animano per dare la caccia a ombre di giganteschi pesci senza riuscire a catturarli. L'uomo e la bambina si incontrano, e il primo mostra un'enorme curiosità per il tesoro della seconda. Nonostante gli asti iniziali, i due iniziano a fidarsi l'uno dell'altra e a viaggiare insieme, senza alcun tipo di destinazione. Il soldato racconta la vicenda biblica del diluvio universale, e la bambina gli svela che, a suo parere, il proprio uovo racchiude in sé un "angelo" ("Tenshi no Tamago" significa, letteralmente, "l'uovo dell'angelo"). Vinto dalla curiosità, l'uomo lo distrugge e la bambina, per la disperazione, si suicida. Infine un nuovo diluvio universale ricopre il mondo, mentre l'astronave vista nella scena iniziale emerge dalle acque e si eleva al cielo.
Sebbene a una primissima visione possa non apparire chiara alcuna precisa architettura della narrazione, che sembra quasi procedere senza parvenza di nessi o senso logico, questa è dettagliatamente costruita in precise sequenze.
La vicenda si apre con la bambina senza nome (come è a sua volta innominato il soldato; la totale assenza di nomenclature contribuisce a connotare il carattere favolistico del film) che si desta in una struttura oscura priva di punti di riferimento, al di fuori di una scala che conduce a un'apertura inondata di luce; attraverso questo percorso, metafora della nascita, la protagonista femminile inizia il proprio viaggio attraverso un itinerario fortemente caratterizzato da una commistione di colori cupi e di architetture desolate.
Si possono fondamentale individuare con una certa precisione tre paesaggi che definiscono (seppur vagamente) i caratteri dell'ambientazione:
1) una sconfinata pianura desertica, in cui gli unici elementi sono giganteschi monoliti, che incutono una vago senso di indeterminatezza "preistorica";
2) un'oscura foresta nel cui mezzo un lago permette alla bambina di riempire una delle innumerevoli ampolle che questa "colleziona";
3) una città-fantasma dalle tinte barocche.
Al termine del film, per la precisione nella penultima scena, la bambina commette il suicidio. A destare interesse non è tanto l'atto in sé, quanto piuttosto la modalità con cui l'evento è narrato: la bimba si desta, analogamente alla prima scena in cui compare, e questa volta getta un urlo terrificante che spezza l'opprimente silenzio che permea la quasi totalità del film. Adesso quel viaggio che ella ha compiuto viene replicato al contrario: dalla città si passa alla foresta, e quindi alla desolata pianura. Infine, in prossimità di un dirupo, questa si getta nelle acque e muore. La storia della bambina inizia con la metafora della sua nascita e si chiude, specularmente, con l'immagine della sua morte.
A fare da cornice a questa vicenda ci sono altre due scene, in apertura e chiusura del film. In entrambe viene mostrato il soldato osservare una misteriosa astronave a forma di occhio, costellata di statue classicheggianti. Nella prima scena il velivolo scende dal cielo, immergendosi nelle acque. Nell'ultima, poco prima che la superficie del mondo sia ricoperta dalle conseguenze del diluvio universale, essa riemerge e ascende nuovamente al cielo; fra le sue statue (definite dagli stessi protagonisti come una sorta di "riproduzione dei ricordi di gente morta") appare adesso anche quella della defunta bambina che, in una composizione triangolare dai richiami religiosi, tiene in grembo l'uovo.
Come è apparso dalle righe precedenti, è evidente che il film è costruito nelle sue singole componenti con una certa precisione e simmetria. Una nota che potrebbe stonare è costituita dall'esuberante quantità di riferimenti religiosi e biblici, ormai diventata una vera e propria moda nel campo dell'animazione giapponese (basti pensare, tanto per citare l'esempio più lampante, a "Neon Genesis Evangelion"). Segue un elenco approssimativo dei riferimenti biblici presenti nel film:
- l'arma cruciforme tenuta (ma mai impugnata, se non nella significativa scena della rottura dell'uovo) dal soldato;
- il racconto del diluvio universale;
- l'immagine ricorrente del pesce;
- la sequenza finale in cui la statua della bambina con in grembo l'uovo ascende al cielo a bordo dell'astronave, richiamo all'iconografia più classica della Madonna (significativo, a tale proposito, il fatto che la protagonista femminile, essendo una bambina, è inevitabilmente una vergine);
- la stessa astronave, vista da molti come metafora dell'arca di Noè o di Dio.
Indispensabile a questo punto una contestualizzazione del film: l'anno 1985. Confrontato con molti prodotti giapponesi dell'epoca (sebbene non sia effettivamente possibile individuare una produzione dalle caratteristiche analoghe a quelle di "Tenshi no Tamago"), questo film è uno dei primissimi lavori a presentare una tale ricchezza e complessità dei riferimenti.
Questa recensione si è limitata a una grossolana descrizione delle singolari modalità narrative del film, e all'elenco e interpretazione di parte delle immagini e scene più evocative, senza individuare un vero e proprio "senso di fondo" o significato dell'intero film. Questo perché, nonostante determinate sequenze sembrino suggerire un'interpretazione univoca (che è quella riportata in queste righe) delle stesse, l'intero film nel suo complesso è difficilmente riconducibile a un'unica e insindacabile allegoria. Ci sono numerosi significati nichilisti, evidenti riferimenti a un'inevitabile distruzione totale, ma altrettanti simboli di speranza e di rinascita (interessante è il fatto che non solo l'uovo custodito dalla bambina è vuoto, ma che i due animali ricorrenti, l'uccello come figura positiva e il pesce come immagine negativa, si riproducano ambedue per mezzo delle uova - e le numerose uova che emergono dall'acqua in seguito al suicidio finale ricordano molto più uova di pesce che non di uccello). L'interpretazione finale, dunque, è quasi totalmente a discrezione dello spettatore.
Prima di procedere con la recensione, è necessaria una premessa fondamentale: "Tenshi no Tamago" non è un'opera d'intrattenimento. Chi si appresta alla visione di questo film non deve quindi aspettarsi né pretendere quelle che sono le tradizionali modalità di narrazione nel campo dell'animazione cinematografica: una trama c'è, ma non procede attraverso i classici metodi della narrazione. I colpi di scena sono del tutto assenti (sebbene si possa dire che, dopo tutto, non si sappia mai cosa aspettarsi dal film), non c'è azione, né alcuna tensione a livello narrativo, e i ritmi della narrazione sono estremamente lenti e dilatati, al punto che più di una volta determinate scene rimangono "congelate" anche per diversi minuti, quasi come fossero dei quadri. Ed è proprio di quadri che si parla: perché in fondo "Tenshi no Tamago" assomiglia di più a una galleria d'arte che a un film come lo si intende generalmente.
La sceneggiatura partorita dalla mente di Mamoru Oshii (successivamente regista di "Ghost in the Shell") si avvale di splendide illustrazioni di Yoshitaka Amano (che molti probabilmente conoscono come character designer della serie di videogiochi di ruolo "Final Fantasy"), illustrazioni che diventano l'unico vero e proprio fulcro e filo conduttore della vicenda.
La scarna trama è riassumibile in poche righe: un soldato armato di un'arma cruciforme osserva un'astronave a forma di occhio calarsi nelle acque. Una bambina che custodisce un uovo viaggia attraverso un mondo apocalittico e decaduto. Statue di uomini si animano per dare la caccia a ombre di giganteschi pesci senza riuscire a catturarli. L'uomo e la bambina si incontrano, e il primo mostra un'enorme curiosità per il tesoro della seconda. Nonostante gli asti iniziali, i due iniziano a fidarsi l'uno dell'altra e a viaggiare insieme, senza alcun tipo di destinazione. Il soldato racconta la vicenda biblica del diluvio universale, e la bambina gli svela che, a suo parere, il proprio uovo racchiude in sé un "angelo" ("Tenshi no Tamago" significa, letteralmente, "l'uovo dell'angelo"). Vinto dalla curiosità, l'uomo lo distrugge e la bambina, per la disperazione, si suicida. Infine un nuovo diluvio universale ricopre il mondo, mentre l'astronave vista nella scena iniziale emerge dalle acque e si eleva al cielo.
Sebbene a una primissima visione possa non apparire chiara alcuna precisa architettura della narrazione, che sembra quasi procedere senza parvenza di nessi o senso logico, questa è dettagliatamente costruita in precise sequenze.
La vicenda si apre con la bambina senza nome (come è a sua volta innominato il soldato; la totale assenza di nomenclature contribuisce a connotare il carattere favolistico del film) che si desta in una struttura oscura priva di punti di riferimento, al di fuori di una scala che conduce a un'apertura inondata di luce; attraverso questo percorso, metafora della nascita, la protagonista femminile inizia il proprio viaggio attraverso un itinerario fortemente caratterizzato da una commistione di colori cupi e di architetture desolate.
Si possono fondamentale individuare con una certa precisione tre paesaggi che definiscono (seppur vagamente) i caratteri dell'ambientazione:
1) una sconfinata pianura desertica, in cui gli unici elementi sono giganteschi monoliti, che incutono una vago senso di indeterminatezza "preistorica";
2) un'oscura foresta nel cui mezzo un lago permette alla bambina di riempire una delle innumerevoli ampolle che questa "colleziona";
3) una città-fantasma dalle tinte barocche.
Al termine del film, per la precisione nella penultima scena, la bambina commette il suicidio. A destare interesse non è tanto l'atto in sé, quanto piuttosto la modalità con cui l'evento è narrato: la bimba si desta, analogamente alla prima scena in cui compare, e questa volta getta un urlo terrificante che spezza l'opprimente silenzio che permea la quasi totalità del film. Adesso quel viaggio che ella ha compiuto viene replicato al contrario: dalla città si passa alla foresta, e quindi alla desolata pianura. Infine, in prossimità di un dirupo, questa si getta nelle acque e muore. La storia della bambina inizia con la metafora della sua nascita e si chiude, specularmente, con l'immagine della sua morte.
A fare da cornice a questa vicenda ci sono altre due scene, in apertura e chiusura del film. In entrambe viene mostrato il soldato osservare una misteriosa astronave a forma di occhio, costellata di statue classicheggianti. Nella prima scena il velivolo scende dal cielo, immergendosi nelle acque. Nell'ultima, poco prima che la superficie del mondo sia ricoperta dalle conseguenze del diluvio universale, essa riemerge e ascende nuovamente al cielo; fra le sue statue (definite dagli stessi protagonisti come una sorta di "riproduzione dei ricordi di gente morta") appare adesso anche quella della defunta bambina che, in una composizione triangolare dai richiami religiosi, tiene in grembo l'uovo.
Come è apparso dalle righe precedenti, è evidente che il film è costruito nelle sue singole componenti con una certa precisione e simmetria. Una nota che potrebbe stonare è costituita dall'esuberante quantità di riferimenti religiosi e biblici, ormai diventata una vera e propria moda nel campo dell'animazione giapponese (basti pensare, tanto per citare l'esempio più lampante, a "Neon Genesis Evangelion"). Segue un elenco approssimativo dei riferimenti biblici presenti nel film:
- l'arma cruciforme tenuta (ma mai impugnata, se non nella significativa scena della rottura dell'uovo) dal soldato;
- il racconto del diluvio universale;
- l'immagine ricorrente del pesce;
- la sequenza finale in cui la statua della bambina con in grembo l'uovo ascende al cielo a bordo dell'astronave, richiamo all'iconografia più classica della Madonna (significativo, a tale proposito, il fatto che la protagonista femminile, essendo una bambina, è inevitabilmente una vergine);
- la stessa astronave, vista da molti come metafora dell'arca di Noè o di Dio.
Indispensabile a questo punto una contestualizzazione del film: l'anno 1985. Confrontato con molti prodotti giapponesi dell'epoca (sebbene non sia effettivamente possibile individuare una produzione dalle caratteristiche analoghe a quelle di "Tenshi no Tamago"), questo film è uno dei primissimi lavori a presentare una tale ricchezza e complessità dei riferimenti.
Questa recensione si è limitata a una grossolana descrizione delle singolari modalità narrative del film, e all'elenco e interpretazione di parte delle immagini e scene più evocative, senza individuare un vero e proprio "senso di fondo" o significato dell'intero film. Questo perché, nonostante determinate sequenze sembrino suggerire un'interpretazione univoca (che è quella riportata in queste righe) delle stesse, l'intero film nel suo complesso è difficilmente riconducibile a un'unica e insindacabile allegoria. Ci sono numerosi significati nichilisti, evidenti riferimenti a un'inevitabile distruzione totale, ma altrettanti simboli di speranza e di rinascita (interessante è il fatto che non solo l'uovo custodito dalla bambina è vuoto, ma che i due animali ricorrenti, l'uccello come figura positiva e il pesce come immagine negativa, si riproducano ambedue per mezzo delle uova - e le numerose uova che emergono dall'acqua in seguito al suicidio finale ricordano molto più uova di pesce che non di uccello). L'interpretazione finale, dunque, è quasi totalmente a discrezione dello spettatore.
Poche volte mi è capitato in vita mia di procedere alla visione di un prodotto e rimanerne stupito dalla sua unicità. Quando dico prodotto non parlo solo di anime, ma anche di film, libri, musica ecc. Però le opere uniche, nella loro particolarità appunto, sono indirizzate a un pubblico particolare. Per particolare non intendo certo più colto o più istruito, bensì più audace e sicuramente curioso e disposto a provare cose nuove.
"Tenshi no Tamago" è un lungometraggio della durata di poco più di un'ora del 1985. La trama quanto mai singolare è ermetica e astratta nella sua complessità. Protagonisti della nostra vicenda sono una bambina dal colorito cadaverico e un uomo dall'indecifrabile quanto curioso aspetto. La giovane custodisce un misterioso uovo da cui non si separa mai, mentre l'uomo dal canto suo sembra interessato a quest'ultimo, anche se non ne conosce di preciso il contenuto.
Mi è davvero difficile parlare di un'opera tanto complessa quanto enigmatica. Secondo me l'unico modo per capire e respirare a pieni polmoni questo titolo è visionarlo. Potrei stare ore e ore a parlare degli incredibili elementi di matrice simbolista che ho colto, così come delle allegorie e similitudini, ma sono sicuro che voi non le condividerete. Il contenuto di quest'anime è talmente oscuro ed ermetico che non troverete mai nessuno che lo interpreterà come voi, e sta proprio in questo il punto di forza. Sotto l'aspetto tecnico si può parlare sicuramente di un lavoro eccezionale. L'atmosfera aberrante, surreale e metafisica è quanto mai perfetta e ci trasporta in un mondo singolare. L'assenza di luce e i giochi di chiaroscuri, creati dalla luna che si affaccia di quando in quando dalle nuvole che perennemente avvolgono il luogo della narrazione, sono incredibili. Come dicevo, per tutta la durata della narrazione viviamo una vera e propria esperienza mistica, entrando, come i personaggi, in un mondo che è al di là dello spazio e del tempo. Nello spazio non riusciamo a capire esattamente dove ci troviamo: la città è buia, apparentemente sperduta e senza confini. Il tempo è un altro concetto che ci sfugge. L'assenza di luce ci impedisce di renderci conto del passare dei minuti, dei giorni e delle ore. Il periodo in cui è ambientata la storia è quanto mai dubbioso, nessun elemento ci viene fornito, se non simboli e indizi sempre poco chiari. Qualche arma tecnologica qua e là, il design degli edifici in stile ottocentesco. Infine il fulcro stesso dell'anime è misterioso, l'uovo: cosa conterrà o cosa rappresenterà?
Per finire mi sento assolutamente di consigliare quest'anime, che secondo me dovrebbe essere visto da tutti almeno una volta nella vita. Mi rendo conto che a molti non piacerà, però è un'esperienza visiva, oltre che mistica e spirituale, che nessuno dovrebbe perdersi. In definitiva, un cult eterno ed etereo al tempo stesso.
"Tenshi no Tamago" è un lungometraggio della durata di poco più di un'ora del 1985. La trama quanto mai singolare è ermetica e astratta nella sua complessità. Protagonisti della nostra vicenda sono una bambina dal colorito cadaverico e un uomo dall'indecifrabile quanto curioso aspetto. La giovane custodisce un misterioso uovo da cui non si separa mai, mentre l'uomo dal canto suo sembra interessato a quest'ultimo, anche se non ne conosce di preciso il contenuto.
Mi è davvero difficile parlare di un'opera tanto complessa quanto enigmatica. Secondo me l'unico modo per capire e respirare a pieni polmoni questo titolo è visionarlo. Potrei stare ore e ore a parlare degli incredibili elementi di matrice simbolista che ho colto, così come delle allegorie e similitudini, ma sono sicuro che voi non le condividerete. Il contenuto di quest'anime è talmente oscuro ed ermetico che non troverete mai nessuno che lo interpreterà come voi, e sta proprio in questo il punto di forza. Sotto l'aspetto tecnico si può parlare sicuramente di un lavoro eccezionale. L'atmosfera aberrante, surreale e metafisica è quanto mai perfetta e ci trasporta in un mondo singolare. L'assenza di luce e i giochi di chiaroscuri, creati dalla luna che si affaccia di quando in quando dalle nuvole che perennemente avvolgono il luogo della narrazione, sono incredibili. Come dicevo, per tutta la durata della narrazione viviamo una vera e propria esperienza mistica, entrando, come i personaggi, in un mondo che è al di là dello spazio e del tempo. Nello spazio non riusciamo a capire esattamente dove ci troviamo: la città è buia, apparentemente sperduta e senza confini. Il tempo è un altro concetto che ci sfugge. L'assenza di luce ci impedisce di renderci conto del passare dei minuti, dei giorni e delle ore. Il periodo in cui è ambientata la storia è quanto mai dubbioso, nessun elemento ci viene fornito, se non simboli e indizi sempre poco chiari. Qualche arma tecnologica qua e là, il design degli edifici in stile ottocentesco. Infine il fulcro stesso dell'anime è misterioso, l'uovo: cosa conterrà o cosa rappresenterà?
Per finire mi sento assolutamente di consigliare quest'anime, che secondo me dovrebbe essere visto da tutti almeno una volta nella vita. Mi rendo conto che a molti non piacerà, però è un'esperienza visiva, oltre che mistica e spirituale, che nessuno dovrebbe perdersi. In definitiva, un cult eterno ed etereo al tempo stesso.
È quantomeno ostico recensire quest'opera, tale è la sua bellezza e avvenenza. "Tenshi no Tamago" (letteralmente, "L'uovo dell'angelo"), è un lungometraggio animato diretto da Mamoru Oshii, nel quale il maestro dà brillantemente e ingegnosamente sfoggio della sua mirabile e splendida poetica. Ci troviamo di fronte forse ad uno dei soggetti maggiormente atipici e criptici che l'animazione nipponica ci ha saputo donare, la cui estetica è per molti versi paragonabile a "2001: Odissea nello spazio" di Stanley Kubrick. Ci si imbatte molte volte in un confronto del genere, e non a torto; i film in questione sono quanto mai affini, se non altro registicamente. Personalmente, penso che questo lungometraggio potrebbe convincere una volta per tutte delle potenzialità artistiche degli anime, se solo, ahimè, fosse più conosciuto, anche nel solo pubblico di appassionati. In realtà non mi stupisco di una cosa del genere; più di una volta ho potuto constatare quanto al pubblico non piaccia per nulla pensare, e preferisca invece prodotti di poco o addirittura nullo valore.
Dal mio personalissimo punto di vista, questo è forse il prodotto che apprezzo maggiormente in questo ambito, assieme a "Neon Genesis Evangelion" e "Ghost in the Shell" (quest'ultimo diretto, guarda un po', da Oshii stesso). Con sommo rammarico devo constatare che questo film è stato accolto con indifferenza, tant'è che il suo nome ormai si può considerare più che dimenticato dai più.
Il lungometraggio è assai particolare, colmo di persistenti simboli, metafore, allegorie, e di certo non è univocamente interpretabile. D'altronde si sa, molte delle migliori opere in circolazione costruiscono un rapporto attivo con lo spettatore e il suo modo di pensare - e ne ho già menzionata una, e senta, chi ha orecchie per udire -, lo interpellano, lo stuzzicano affinché egli, da sé, plasmi il senso dell'opera stessa. Non va sottovalutata la sola estetica del lungometraggio, il quale divaga in poemi simbolici, in silenzi assordanti, e quanti più ossimori possibili da additare. Mi piace definirlo, in una parola, "poesia dell'oblio". I colori che dominano, scuri e tetri, le atmosfere che ne fanno da padrone, e i toni corali che si possono udire per tutta la visione, sono di una raffinatezza estetica armoniosa e carica di grazia leggiadra. Senz'altro da menzionare sono le animazioni e i disegni, di grande impatto e particolarmente evocativi.
I cori sacri, tetri, onirici, coadiuvano a dare vita a un'atmosfera surreale, tra sogno e realtà, immaginazione e concretezza. L'ambiente alienante, straniante e, a tratti, angosciante, dell'intero lungometraggio, ruota attorno alle figure principali: un guerriero dai capelli argentati (l'Anticristo?) e dalla peculiare arma a forma di croce, e una bambina candida e fragile, che custodisce un uovo, nel quale ella confida esserci una creatura, una verità, dal flebile sospiro. "Chi sei tu?", è una delle esclamazioni più frequenti, tra i loro discorsi, che altrimenti sarebbero formati da reciproche incomprensioni e divergenze di pensiero. E proprio questo è l'aspetto che padroneggia sull'intero film. Chi ha ragione riguardo all'uovo? La bambina, innocente e pura, la quale confida in un sogno, fanciullesco e infantile, oppure l'adulto, nel suo freddo scetticismo, nella sua glaciale razionalità adulta? Fede o ragione? Tale domanda non è fuori luogo, vista la dose di simbologia cristiana presente nel film; pesci, pescatori, fontane, acqua, arche, croci, stimmate, uccelli, diluvi universali, sono immagini ricorrenti e cariche di forte impatto, evocative come il resto del lungometraggio.
Mi soffermo un po' sulla simbologia dei pescatori. Essi inseguono ombre, ideali fasulli, finte speranze, come l'Uomo moderno, e distruggono per questi ideali tutto ciò che sta intorno.
La sequenza finale è l'aspetto che più mi ha sorpreso di tutto il film. Il tutto si svolge, silenziosamente, in un piccolo granello d'esistenza; la ricerca dell'Uomo non è che un piccolo, ingenuo, punto nel tenebroso, buio, scuro abisso del Cosmo. Chissà, magari anche noi, che tanto ci angosciamo, viviamo in quella che può essere semplice muffa di un'arca rovesciata e marcia..
Ci sarebbe molto, moltissimo da dire su "Tenshi no Tamago". Ma interpello anch'io, come il lungometraggio, lo spirito di ricerca del singolo spettatore, e, pertanto, non sento la necessità di dire nient'altro, delle numerose interpretazioni possibili.
Invito pertanto altrove a informarsi sugli aspetti simbolici del film. Non lasciatevi sfuggire, sul vostro cammino, questo capolavoro.
Dal mio personalissimo punto di vista, questo è forse il prodotto che apprezzo maggiormente in questo ambito, assieme a "Neon Genesis Evangelion" e "Ghost in the Shell" (quest'ultimo diretto, guarda un po', da Oshii stesso). Con sommo rammarico devo constatare che questo film è stato accolto con indifferenza, tant'è che il suo nome ormai si può considerare più che dimenticato dai più.
Il lungometraggio è assai particolare, colmo di persistenti simboli, metafore, allegorie, e di certo non è univocamente interpretabile. D'altronde si sa, molte delle migliori opere in circolazione costruiscono un rapporto attivo con lo spettatore e il suo modo di pensare - e ne ho già menzionata una, e senta, chi ha orecchie per udire -, lo interpellano, lo stuzzicano affinché egli, da sé, plasmi il senso dell'opera stessa. Non va sottovalutata la sola estetica del lungometraggio, il quale divaga in poemi simbolici, in silenzi assordanti, e quanti più ossimori possibili da additare. Mi piace definirlo, in una parola, "poesia dell'oblio". I colori che dominano, scuri e tetri, le atmosfere che ne fanno da padrone, e i toni corali che si possono udire per tutta la visione, sono di una raffinatezza estetica armoniosa e carica di grazia leggiadra. Senz'altro da menzionare sono le animazioni e i disegni, di grande impatto e particolarmente evocativi.
I cori sacri, tetri, onirici, coadiuvano a dare vita a un'atmosfera surreale, tra sogno e realtà, immaginazione e concretezza. L'ambiente alienante, straniante e, a tratti, angosciante, dell'intero lungometraggio, ruota attorno alle figure principali: un guerriero dai capelli argentati (l'Anticristo?) e dalla peculiare arma a forma di croce, e una bambina candida e fragile, che custodisce un uovo, nel quale ella confida esserci una creatura, una verità, dal flebile sospiro. "Chi sei tu?", è una delle esclamazioni più frequenti, tra i loro discorsi, che altrimenti sarebbero formati da reciproche incomprensioni e divergenze di pensiero. E proprio questo è l'aspetto che padroneggia sull'intero film. Chi ha ragione riguardo all'uovo? La bambina, innocente e pura, la quale confida in un sogno, fanciullesco e infantile, oppure l'adulto, nel suo freddo scetticismo, nella sua glaciale razionalità adulta? Fede o ragione? Tale domanda non è fuori luogo, vista la dose di simbologia cristiana presente nel film; pesci, pescatori, fontane, acqua, arche, croci, stimmate, uccelli, diluvi universali, sono immagini ricorrenti e cariche di forte impatto, evocative come il resto del lungometraggio.
Mi soffermo un po' sulla simbologia dei pescatori. Essi inseguono ombre, ideali fasulli, finte speranze, come l'Uomo moderno, e distruggono per questi ideali tutto ciò che sta intorno.
La sequenza finale è l'aspetto che più mi ha sorpreso di tutto il film. Il tutto si svolge, silenziosamente, in un piccolo granello d'esistenza; la ricerca dell'Uomo non è che un piccolo, ingenuo, punto nel tenebroso, buio, scuro abisso del Cosmo. Chissà, magari anche noi, che tanto ci angosciamo, viviamo in quella che può essere semplice muffa di un'arca rovesciata e marcia..
Ci sarebbe molto, moltissimo da dire su "Tenshi no Tamago". Ma interpello anch'io, come il lungometraggio, lo spirito di ricerca del singolo spettatore, e, pertanto, non sento la necessità di dire nient'altro, delle numerose interpretazioni possibili.
Invito pertanto altrove a informarsi sugli aspetti simbolici del film. Non lasciatevi sfuggire, sul vostro cammino, questo capolavoro.
"Tenshi No Tamago" è uno dei primi film di Oshii, il famoso regista degli splendidi film di "Patlabor" e, naturalmente, di "Ghost in the Shell". Questo film del 1985 è davvero una perla a livello artistico, immensamente diverso da qualunque altro film e dotato di uno stile metafisico, che lo rende quasi un capolavoro assoluto.
I ritmi sono i più bassi mai visti in un anime e perfettamente adatti al suo stile ricercato, che ricorda graficamente alcune opere d'arte di De Chirico, e ovviamente riporta alla mente le atmosfere surreali e deliranti di "2001 Odessa nello spazio", capolavoro eterno e leggendario di Kubrick.
La trama è talmente sofisticata e raffinata da trarre in inganno chi non riesce a leggerne i soavi messaggi. L'inizio vede una bambina sperduta in un mondo astratto, dall'aspetto sia affascinante che sinistro, e caratterizzato dall'assenza totale di altri esseri umani, all'infuori di un misterioso ragazzo. La bambina custodisce gelosamente un misterioso uovo, che sembra la rappresentazione di un messaggio divino, e il ragazzo lascia chiaramente intendere l'importanza dell'uovo a livello narrativo, durante i pochi e brevissimi dialoghi.
Il vero punto forte di "Tenshi No Tamago" è la sceneggiatura estremamente ricercata e assolutamente unica, che lascia lo spettatore in balia di un'infinità di scene curatissime, dall'impatto visivo straordinario. La regia è sicuramente buona, anche se esageratamente lenta, tanto che in alcune scene i ritmi compassati restituiscono una sensazione di staticità alquanto snervante e tediosa.
Dal punto di vista tecnico, "Tenshi No Tamago" non è un capolavoro, ma una vera e propria opera d'arte! Lo stile adottato è eccezionale, ricercatissimo e assolutamente in grado di reggere tuttora il peso dei suoi ventinove anni. Il character design è eccelso e si può apprezzare una cura incredibile per i capelli della bambina, che godono di riflessi dinamici eccellenti e una cura unica per ogni singola ciocca. Il ragazzo è altrettanto ben definito, ma non raggiunge la cura estrema che i designer hanno riposto nella bambina. I fondali hanno uno stile artistico monumentale, ricercatissimo e ovviamente dettagliato, grazie anche a un'illuminazione dinamica, che qui è protagonista, e aggiunge un tocco di maestria, assente in tantissimi altri film. Le animazioni sono buone, ma ormai decisamente superate. Diversamente dalla maggior parte di qualunque film, serie e OAV, "Tenshi No Tamago" è eccelso anche per il sonoro, che è letteralmente parte integrante della sceneggiatura, tanto da rendere impossibile immaginare quest'anime privo delle sue OST, che sembrano senzienti.
Concludo consigliando questo capolavoro soltanto a chi ha dei gusti raffinati e ne riesce a cogliere l'enorme valore artistico.
I ritmi sono i più bassi mai visti in un anime e perfettamente adatti al suo stile ricercato, che ricorda graficamente alcune opere d'arte di De Chirico, e ovviamente riporta alla mente le atmosfere surreali e deliranti di "2001 Odessa nello spazio", capolavoro eterno e leggendario di Kubrick.
La trama è talmente sofisticata e raffinata da trarre in inganno chi non riesce a leggerne i soavi messaggi. L'inizio vede una bambina sperduta in un mondo astratto, dall'aspetto sia affascinante che sinistro, e caratterizzato dall'assenza totale di altri esseri umani, all'infuori di un misterioso ragazzo. La bambina custodisce gelosamente un misterioso uovo, che sembra la rappresentazione di un messaggio divino, e il ragazzo lascia chiaramente intendere l'importanza dell'uovo a livello narrativo, durante i pochi e brevissimi dialoghi.
Il vero punto forte di "Tenshi No Tamago" è la sceneggiatura estremamente ricercata e assolutamente unica, che lascia lo spettatore in balia di un'infinità di scene curatissime, dall'impatto visivo straordinario. La regia è sicuramente buona, anche se esageratamente lenta, tanto che in alcune scene i ritmi compassati restituiscono una sensazione di staticità alquanto snervante e tediosa.
Dal punto di vista tecnico, "Tenshi No Tamago" non è un capolavoro, ma una vera e propria opera d'arte! Lo stile adottato è eccezionale, ricercatissimo e assolutamente in grado di reggere tuttora il peso dei suoi ventinove anni. Il character design è eccelso e si può apprezzare una cura incredibile per i capelli della bambina, che godono di riflessi dinamici eccellenti e una cura unica per ogni singola ciocca. Il ragazzo è altrettanto ben definito, ma non raggiunge la cura estrema che i designer hanno riposto nella bambina. I fondali hanno uno stile artistico monumentale, ricercatissimo e ovviamente dettagliato, grazie anche a un'illuminazione dinamica, che qui è protagonista, e aggiunge un tocco di maestria, assente in tantissimi altri film. Le animazioni sono buone, ma ormai decisamente superate. Diversamente dalla maggior parte di qualunque film, serie e OAV, "Tenshi No Tamago" è eccelso anche per il sonoro, che è letteralmente parte integrante della sceneggiatura, tanto da rendere impossibile immaginare quest'anime privo delle sue OST, che sembrano senzienti.
Concludo consigliando questo capolavoro soltanto a chi ha dei gusti raffinati e ne riesce a cogliere l'enorme valore artistico.
Attenzione: la recensione contiene spoiler
Credo che un capolavoro come quello di cui parlerò oggi possa tranquillamente essere oggetto di una tesi di laurea o anche di una o più monografie dedicate ad hoc. Sì, perché Tenshi no Tamago, titolo traducibile come "L'uovo dell'angelo", è talmente ricco di significati e denso di spunti di riflessione che se ne potrebbe parlare per ore interminabili. Scritto e diretto nel 1985 da una delle massime autorità nel campo dell'animazione giapponese, e cioè da Mamoru Oshii, autore tra le altre cose della trasposizione cinematografica di Ghost in the Shell e della sceneggiatura alla base di una splendida pellicola quale è Jin-Roh - Uomini e lupi, il film in questione dura a malapena un'ora e dieci minuti, ma pur con la sua breve durata lascia un segno indelebile nella mente dello spettatore. Potremmo considerare Tenshi no Tamago come il 2001: Odissea nello spazio dell'animazione del Sol Levante, in quanto le sue atmosfere, i suoi enigmi, la presenza di pochissimi criptici dialoghi ricordano abbastanza il capolavoro fantascientifico girato da Stanley Kubrick e scritto da Arthur C. Clarke. Eppure, nonostante questo, "L'uovo dell'angelo" ha un'identità tutta sua, una personalità talmente unica e singolare che è piuttosto difficile riassumere la sua trama, motivo per cui ho deciso di raccontarla quasi per intero. Ma non scoraggiatevi: parlarne prima di averlo visto e discuterne dopo averlo fatto sono due mondi a sé stanti.
Due mani pallide appartenenti alla stessa persona si muovono l'una verso l'altra; dopodiché si tramutano nella mano dalla carnagione più scura di qualcun'altro (una singolare introduzione a coloro che saranno i due e unici protagonisti). All'interno di un uovo, forse gigantesco, si muove il feto di un uccello. Una colossale nave sferica ricoperta da inquietanti statue giunge dal cielo sotto gli occhi di un soldato con in spalla un enorme fucile dall'aspetto organico. All'interno di un castello non meglio specificato un'eterea bambina dai lunghi capelli bianchi si sveglia: accanto a lei, poggiato sul letto, giace un uovo bianco. Si conclude così il prologo di Tenshi no Tamago. Seguiamo quindi gli spostamenti della bambina, chiedendoci se sia lei l'angelo o la creatura contenuta nell'uovo che porta sempre con sé. Lungo il suo cammino riempirà un'ampolla con dell'acqua, vagherà nelle strade di una città fantasma piena di edifici in stile rococò, si imbatterà in carri armati viventi fino a incontrare il soldato del prologo, le cui mani sono inspiegabilmente fasciate (che abbia delle stigmate? Non ci è dato saperlo). Entrambi parlano pochissimo e si chiedono a vicenda le loro rispettive identità, ma la domanda rimane senza risposta, così come il quesito inerente il contenuto dell'uovo. I due cominciano a camminare l'uno vicino all'altra, assistendo alla caccia ai pesci giganti da parte di mesti e grigi pescatori armati di canne e lance; ma i pesci non esistono e gli uomini inseguono delle mere chimere d'ombra. Intanto il soldato e la bambina giungono in una sorta di museo di storia naturale, colmo di scheletri di animali enormi e di una serie infinita di ampolle d'acqua, ormai quasi pietrificate. Qui il soldato menziona il passo biblico del Diluvio Universale, seppur con connotati più oscuri e drammatici, e si chiede se lui, il fantomatico angelo, la bambina e l'uovo non facciano tutti parte di un sogno. Scioccante lo scheletro alato col teschio umano rinvenuto poco dopo dai due. Nella notte, una volta addormentatasi la bambina, il soldato frantuma l'uovo in mille pezzi (cancellando per sempre la possibilità di scoprire cosa ci fosse al suo interno...). Una volta svegliatasi, lo shock per la bambina è così grande che fugge via senza meta; nel frattempo tutta la città gotica è sommersa dalle acque. Proprio quando sta per raggiungere il soldato, la piccola precipita in un baratro d'acqua, diventando estemporaneamente adulta e annegando. Dopodiché la ritroviamo nella gigantesca nave sferica che, stavolta, emerge dal mare sotto lo sguardo sempre vigile, ma estremamente malinconico, del soldato: la bambina e il suo uovo (ma non era stato distrutto?) sono ora una statua di pietra. Tutt'intorno, sulla terra, sono apparse diverse uova simili a quella vista all'inizio del film. L'inquadratura si allontana sempre più dal soldato, finché non vediamo a grande distanza un mondo immerso quasi interamente nell'oscurità.
A rendere Tenshi no Tamago tanto speciale sono le atmosfere evocative e inquietanti, l'ermetismo del suo svolgersi, la serie di dubbi che sorgono nella mente di chi guarda: è tutto reale? E se sì, cosa è successo? C'è una guerra in corso? Cos'è quello scheletro alato dal volto umano? Cosa c'è dentro l'uovo? Chi sono veramente il soldato e la bambina? Domande che però non trovano risposta. Naturalmente sulla rete imperversano migliaia di teorie, ma ho deciso di non leggerle per scrivere la presente recensione, donde risultarne influenzato. A mio avviso, il bello di un'opera come "L'uovo dell'angelo" è che si presta benissimo a una pletora di interpretazioni diverse e affascinanti ciascuna a modo suo, e personalmente ho apprezzato il film proprio per questo: per la sua straordinaria capacità di avvincere lo spettatore, inducendolo a pensare senza troppi giri di parole e trascinandolo in un mondo cupo e misterioso. A condire il tutto è una delle colonne sonore più belle mai udite in un prodotto d'animazione: il compositore Yoshihiro Kanno ci delizia con composizioni per pianoforte ma anche e soprattutto orchestrali e corali che si ispirano agli stili compositivi di grandi autori del Novecento come Erik Satie (la vena malinconica ed espressionista del pianoforte), Maurice Ravel e György Ligeti (i cori eterei e angoscianti) e infine Dmitrij Shostakovič (gli archi "stridenti"). In ultimo, ma non per questo meno importanti, il raffinato e curato character design di Yoshitaka Amano e le eccellenti animazioni dello Studio DEEN ci spingono ad ammirare più di una volta la ricercatezza visiva del film. Insomma, per la profondità dei contenuti nascosti e per la peculiarità della sua arte, Tenshi no Tamago è una perla di assoluta bellezza nel vasto mare dell'animazione internazionale.
Credo che un capolavoro come quello di cui parlerò oggi possa tranquillamente essere oggetto di una tesi di laurea o anche di una o più monografie dedicate ad hoc. Sì, perché Tenshi no Tamago, titolo traducibile come "L'uovo dell'angelo", è talmente ricco di significati e denso di spunti di riflessione che se ne potrebbe parlare per ore interminabili. Scritto e diretto nel 1985 da una delle massime autorità nel campo dell'animazione giapponese, e cioè da Mamoru Oshii, autore tra le altre cose della trasposizione cinematografica di Ghost in the Shell e della sceneggiatura alla base di una splendida pellicola quale è Jin-Roh - Uomini e lupi, il film in questione dura a malapena un'ora e dieci minuti, ma pur con la sua breve durata lascia un segno indelebile nella mente dello spettatore. Potremmo considerare Tenshi no Tamago come il 2001: Odissea nello spazio dell'animazione del Sol Levante, in quanto le sue atmosfere, i suoi enigmi, la presenza di pochissimi criptici dialoghi ricordano abbastanza il capolavoro fantascientifico girato da Stanley Kubrick e scritto da Arthur C. Clarke. Eppure, nonostante questo, "L'uovo dell'angelo" ha un'identità tutta sua, una personalità talmente unica e singolare che è piuttosto difficile riassumere la sua trama, motivo per cui ho deciso di raccontarla quasi per intero. Ma non scoraggiatevi: parlarne prima di averlo visto e discuterne dopo averlo fatto sono due mondi a sé stanti.
Due mani pallide appartenenti alla stessa persona si muovono l'una verso l'altra; dopodiché si tramutano nella mano dalla carnagione più scura di qualcun'altro (una singolare introduzione a coloro che saranno i due e unici protagonisti). All'interno di un uovo, forse gigantesco, si muove il feto di un uccello. Una colossale nave sferica ricoperta da inquietanti statue giunge dal cielo sotto gli occhi di un soldato con in spalla un enorme fucile dall'aspetto organico. All'interno di un castello non meglio specificato un'eterea bambina dai lunghi capelli bianchi si sveglia: accanto a lei, poggiato sul letto, giace un uovo bianco. Si conclude così il prologo di Tenshi no Tamago. Seguiamo quindi gli spostamenti della bambina, chiedendoci se sia lei l'angelo o la creatura contenuta nell'uovo che porta sempre con sé. Lungo il suo cammino riempirà un'ampolla con dell'acqua, vagherà nelle strade di una città fantasma piena di edifici in stile rococò, si imbatterà in carri armati viventi fino a incontrare il soldato del prologo, le cui mani sono inspiegabilmente fasciate (che abbia delle stigmate? Non ci è dato saperlo). Entrambi parlano pochissimo e si chiedono a vicenda le loro rispettive identità, ma la domanda rimane senza risposta, così come il quesito inerente il contenuto dell'uovo. I due cominciano a camminare l'uno vicino all'altra, assistendo alla caccia ai pesci giganti da parte di mesti e grigi pescatori armati di canne e lance; ma i pesci non esistono e gli uomini inseguono delle mere chimere d'ombra. Intanto il soldato e la bambina giungono in una sorta di museo di storia naturale, colmo di scheletri di animali enormi e di una serie infinita di ampolle d'acqua, ormai quasi pietrificate. Qui il soldato menziona il passo biblico del Diluvio Universale, seppur con connotati più oscuri e drammatici, e si chiede se lui, il fantomatico angelo, la bambina e l'uovo non facciano tutti parte di un sogno. Scioccante lo scheletro alato col teschio umano rinvenuto poco dopo dai due. Nella notte, una volta addormentatasi la bambina, il soldato frantuma l'uovo in mille pezzi (cancellando per sempre la possibilità di scoprire cosa ci fosse al suo interno...). Una volta svegliatasi, lo shock per la bambina è così grande che fugge via senza meta; nel frattempo tutta la città gotica è sommersa dalle acque. Proprio quando sta per raggiungere il soldato, la piccola precipita in un baratro d'acqua, diventando estemporaneamente adulta e annegando. Dopodiché la ritroviamo nella gigantesca nave sferica che, stavolta, emerge dal mare sotto lo sguardo sempre vigile, ma estremamente malinconico, del soldato: la bambina e il suo uovo (ma non era stato distrutto?) sono ora una statua di pietra. Tutt'intorno, sulla terra, sono apparse diverse uova simili a quella vista all'inizio del film. L'inquadratura si allontana sempre più dal soldato, finché non vediamo a grande distanza un mondo immerso quasi interamente nell'oscurità.
A rendere Tenshi no Tamago tanto speciale sono le atmosfere evocative e inquietanti, l'ermetismo del suo svolgersi, la serie di dubbi che sorgono nella mente di chi guarda: è tutto reale? E se sì, cosa è successo? C'è una guerra in corso? Cos'è quello scheletro alato dal volto umano? Cosa c'è dentro l'uovo? Chi sono veramente il soldato e la bambina? Domande che però non trovano risposta. Naturalmente sulla rete imperversano migliaia di teorie, ma ho deciso di non leggerle per scrivere la presente recensione, donde risultarne influenzato. A mio avviso, il bello di un'opera come "L'uovo dell'angelo" è che si presta benissimo a una pletora di interpretazioni diverse e affascinanti ciascuna a modo suo, e personalmente ho apprezzato il film proprio per questo: per la sua straordinaria capacità di avvincere lo spettatore, inducendolo a pensare senza troppi giri di parole e trascinandolo in un mondo cupo e misterioso. A condire il tutto è una delle colonne sonore più belle mai udite in un prodotto d'animazione: il compositore Yoshihiro Kanno ci delizia con composizioni per pianoforte ma anche e soprattutto orchestrali e corali che si ispirano agli stili compositivi di grandi autori del Novecento come Erik Satie (la vena malinconica ed espressionista del pianoforte), Maurice Ravel e György Ligeti (i cori eterei e angoscianti) e infine Dmitrij Shostakovič (gli archi "stridenti"). In ultimo, ma non per questo meno importanti, il raffinato e curato character design di Yoshitaka Amano e le eccellenti animazioni dello Studio DEEN ci spingono ad ammirare più di una volta la ricercatezza visiva del film. Insomma, per la profondità dei contenuti nascosti e per la peculiarità della sua arte, Tenshi no Tamago è una perla di assoluta bellezza nel vasto mare dell'animazione internazionale.
"Tenshi no Tamago" è un capolavoro visionario dell'animazione non solo giapponese, ma internazionale. Tuttavia, il fatto che il grande pubblico continui a omaggiare Miyazaki e a ignorare il genio di Oshii non può che darmi fastidio, in quanto le opere di Oshii sono superiori sia in profondità concettuale che dal punto di vista tecnico, come ad esempio si nota in "Tenshi no Tamago". Purtroppo al grande pubblico non piace molto pensare, e questo spiega perché questo titolo così pregiato sia caduto nel dimenticatoio.
Questa opera è pura arte, e molto giustamente qualcuno l'ha paragonata a "2001: Odissea nello spazio" di Kubrick. Infatti, con questo titolo "Tenshi no Tamago" condivide l'ermetismo, l'uso della simbologia, le inquadrature affascinanti e la colonna sonora evanescente.
In uno scenario post-apocalittico una bambina custodisce con premura un uovo. Per cercare cibo è costretta ad andare in città e qui incontra un soldato con un fucile a forma di croce che sembra interessato a questo uovo. La bambina è convinta che nell'uovo ci sia un essere in vita, forse un angelo, e dice al soldato che è in grado di sentirne i movimenti. Tuttavia il soldato afferma che in realtà quello che sta sentendo è il vento. La bambina quindi si basa sulla fede nell'affrontare l'ignoto che è rappresentato dall'uovo, mentre il soldato sulla ragione e sul metodo scientifico. Quando la bambina si addormenta, il soldato le ruba l'uovo e lo rompe, scoprendo che in realtà è vuoto. Quando l'indomani la bambina trova i cocci del suo uovo sparsi per il pavimento, si butta giù da un burrone in preda alla disperazione e diventa adulta, seminando ulteriori uova che affiorano sulla superficie dell'acqua.
L'ignoto è quindi fuori dalla portata dell'uomo e questa consapevolezza del fatto che in realtà "l'uovo è vuoto" consiste nel passaggio all'età adulta, ovvero alla caduta delle illusioni e al contatto diretto con la "vuota" realtà. Questa storia è quindi molto simile al mito di Urashima-Taro, che ispirerà molti altri anime, come ad esempio "Beautiful Dreamer" dello stesso Oshii o "Cowboy Bebop". Urashima è un pescatore che, dopo aver salvato una tartaruga molestata da alcuni ragazzotti sulla riva di un fiume, viene scortato da essa sott'acqua nel palazzo del dragone, in cui viene servito e riverito e vive in uno stato di beatitudine eterna. Tuttavia egli sente nostalgia del suo mondo e chiede alla regina dell'acqua di poter salire in superficie per poter rivedere i suoi cari. La regina, dopo aver approvato, gli dona una scatola magica e consiglia al pescatore di aprirla in caso di difficoltà. Una volta in superficie, Urashima si accorge che sono passati trecento anni e che nessuno si ricorda più di lui e la sua famiglia è scomparsa. In preda alla disperazione apre la scatola, da cui esce una polvere magica che lo uccide.
Sia nel racconto di Urashima-taro che in "Tenshi no Tamago" l'acqua è sempre presente, e in qualche modo suggerisce uno stato embrionale dei protagonisti, che, presa coscienza, diventano improvvisamente adulti e spariscono.
"Tenshi no Tamago" è pieno di simbologia religiosa, anche se è facile capire dalla famosa scena dei pescatori che Oshii voglia comunicarci che la fede (cristiana?) non è altro che un'illusione che ci fa distruggere a vicenda, così come i pescatori distruggono i muri dei palazzi con i loro arpioni, credendo di poter infilzare le ombre dei pesci che scorrono libere e incuranti della loro frenesia.
Questa opera è pura arte, e molto giustamente qualcuno l'ha paragonata a "2001: Odissea nello spazio" di Kubrick. Infatti, con questo titolo "Tenshi no Tamago" condivide l'ermetismo, l'uso della simbologia, le inquadrature affascinanti e la colonna sonora evanescente.
In uno scenario post-apocalittico una bambina custodisce con premura un uovo. Per cercare cibo è costretta ad andare in città e qui incontra un soldato con un fucile a forma di croce che sembra interessato a questo uovo. La bambina è convinta che nell'uovo ci sia un essere in vita, forse un angelo, e dice al soldato che è in grado di sentirne i movimenti. Tuttavia il soldato afferma che in realtà quello che sta sentendo è il vento. La bambina quindi si basa sulla fede nell'affrontare l'ignoto che è rappresentato dall'uovo, mentre il soldato sulla ragione e sul metodo scientifico. Quando la bambina si addormenta, il soldato le ruba l'uovo e lo rompe, scoprendo che in realtà è vuoto. Quando l'indomani la bambina trova i cocci del suo uovo sparsi per il pavimento, si butta giù da un burrone in preda alla disperazione e diventa adulta, seminando ulteriori uova che affiorano sulla superficie dell'acqua.
L'ignoto è quindi fuori dalla portata dell'uomo e questa consapevolezza del fatto che in realtà "l'uovo è vuoto" consiste nel passaggio all'età adulta, ovvero alla caduta delle illusioni e al contatto diretto con la "vuota" realtà. Questa storia è quindi molto simile al mito di Urashima-Taro, che ispirerà molti altri anime, come ad esempio "Beautiful Dreamer" dello stesso Oshii o "Cowboy Bebop". Urashima è un pescatore che, dopo aver salvato una tartaruga molestata da alcuni ragazzotti sulla riva di un fiume, viene scortato da essa sott'acqua nel palazzo del dragone, in cui viene servito e riverito e vive in uno stato di beatitudine eterna. Tuttavia egli sente nostalgia del suo mondo e chiede alla regina dell'acqua di poter salire in superficie per poter rivedere i suoi cari. La regina, dopo aver approvato, gli dona una scatola magica e consiglia al pescatore di aprirla in caso di difficoltà. Una volta in superficie, Urashima si accorge che sono passati trecento anni e che nessuno si ricorda più di lui e la sua famiglia è scomparsa. In preda alla disperazione apre la scatola, da cui esce una polvere magica che lo uccide.
Sia nel racconto di Urashima-taro che in "Tenshi no Tamago" l'acqua è sempre presente, e in qualche modo suggerisce uno stato embrionale dei protagonisti, che, presa coscienza, diventano improvvisamente adulti e spariscono.
"Tenshi no Tamago" è pieno di simbologia religiosa, anche se è facile capire dalla famosa scena dei pescatori che Oshii voglia comunicarci che la fede (cristiana?) non è altro che un'illusione che ci fa distruggere a vicenda, così come i pescatori distruggono i muri dei palazzi con i loro arpioni, credendo di poter infilzare le ombre dei pesci che scorrono libere e incuranti della loro frenesia.
"Tenshi no Tamago", "L'Uovo dell'Angelo", è un lungometraggio diretto dal geniale Mamoru Oshii nell'ormai lontano 1985.
Della trama si può raccontare veramente poco, se non che si tratta di una specie di viaggio-fuga di una bambina con il suo uovo, ultimo baluardo di una stirpe estinta, e di un uomo con una missione antica e dimenticata che vuol scoprire cosa contiene l'uovo. Già, altro non si può dire della trama visto che queste sono le uniche certezze che i pochissimi dialoghi fanno intendere. Il resto è lasciato tutto ad appannaggio e a interpretazione personale dell'utente finale, al quale sono trasmesse scene oniriche altamente ambigue e con chiari riferimenti a simboli del diluvio universale.
Graficamente il lungometraggio è eccelso per gli anni che si porta sulle spalle, ha animazioni fluide e sinuose, cambi di scene e inquadrature "intrippose", vertiginosamente lontane, per contrasto, con elementi vicini. Queste atmosfere oniriche lo rendono suggestivo, evocativo, trasudante e ricolmo di simbolismo religioso, sa incutere soggezione e timore; è trasognante, magico e incantatore. Contiene prelibate allusioni: è una delizia, una goduria per la vista, per l'udito e per la mente, un'esperienza surreale e multi-sensoriale.
In "Tenshi no Tamago" Oshii gioca con immagini ossimoriche (una bambina vecchia e spenta, gravida di un uovo), le loro ombreggiature e l'evocazione di sentimenti contrastanti: un uomo porta la sua croce, anch'esso con sguardo vacuo, assente, estraniato e stralunato; nei suoi occhi color pece non v'è traccia di luce.
Sa avere un'atmosfera oppressiva, cupa, gotica e ipnotica, essere malato e distorto come le pieghe della mente umana portata in uno stato di trance; è un essere-non essere, uno sperimentalismo basato su apparizioni e flussi di coscienza dell'utente, un accostamento sonoro-immagini molto incisivo. Claustrofobico: ci mostra le paure inconsce in chiave appartenente all'imperscrutabile reame dei sogni in un'ambientazione decadente, nichilista e tetra. Certe scene ricordano i dipinti cupi e terrorizzanti di Salvador Dalì e Sigmund Freud applicherebbe sicuramente le sue interpretazioni dei sogni.
Non trovo miglior modo di esprimere le mie emozioni se non con il flusso di coscienza che la mia mente ha partorito mentre visionavo quest'opera.
Un battito di una creatura atavica, ancestrale, risuona nel mondo a cui appartiene(?): si sta risvegliando. Nostalgia, tristezza, una strana impassibilità e immobilità che paiono anormali, fuori luogo o appartenenti a un'altra dimensione; una solitudine penetrante, un malessere esistenziale, insensibili e tetri contrasti, parossistici sorrisi con uno sguardo vacuo e spento; ambienti e scene usuali rese cupe e offuscate. La paura dell'ignoto e l'avidità delle inquadrature si celano nell'ombra dei posti più oscuri e bui; labirinto mentale in cui si vaga senza meta, frastornati e impauriti da un decadente incantatore e ipnotizzatore.
Pulsante e pregna inquietudine, perverso sollazzo; oscuro e trucemente metaforico; scruta con caparbietà nei nostri timori più intimi e celati, risvegliandoli e rievocandoli. Imprevedibile distillato di sensualità, effimera caducità, nella quale sono nascoste le più tenebrose creature nei risvolti del buio; insicurezza, timidezza e possesso; instillare germi del dubbio. Sensualità, protezione e frenesia; rincorrere in modo sfrenato le proprie ambizioni, cupidigia e ingordigia; aria di santità, alone di purezza. Decadente psichedelico e scheletrici fossili preistorici; affranta perdizione e annebbiamento dello sguardo; confusione e oblio eterno.
Anguste ambientazioni, tetri passaggi stretti e sinistre intercapedini; un diluvio universale, un'arca enorme arenata; la naturalezza e le pose di un bambino sopito, l'istintiva paternità. Il dilagare dell'oscurità, paura di annegare soffocati; furto, pesantezza del proprio dovere, espiazione: un essere affranto; visione distorta, offuscata e opaca della realtà. Tormento, sgomento e agghiacciante timore per il peccato commesso, condanna; lunghi brividi mentre la regina degli esseri dannati si dispera in un pianto senza lacrime per la perdita del figlio che covava.
Sprofonda negli oscuri abissi, la strega, dai quali manca il respiro, ci si affanna e in preda al più totale panico, mentre i polmoni bruciano e non si riesce a riaffiorare alla superficie, nessuno ci salva dalla morte certa. L'esalazione dell'ultimo respiro e poi... il suo mondo in lutto accoglie i suoi lasciti cullandoli e proteggendoli dai lupi famelici. Il prescelto dopo aver compiuto il suo nefasto dovere, percorre il suo sentiero, la sua vita mentre la notte oscura e tenebrosa con i suoi abitanti che ammanta, volge al termine. E il dio, dagli abissi, fa ritorno al suo paradiso, estraniandosi con distacco e freddezza dal mondo.
Per quanto ipotizzo possa consistere la trama di fondo, io posso interpretare si tratti della discesa di un dio corazzato di statue in posa da preghiera che cerca di mostrare all'umanità una delle molteplici verità. Come ben si capirà al termine della visione anche il suo ennesimo angelo tornerà a far parte di dio dopo aver fatto germinare sulla terra altre uova. Uova che realizzo possano essere intese come la speranza, come dei valori da cullare e da proteggere dalle creature di questo mondo ergendosi verso l'alto.
Proprio così, perché l'uomo qua rappresentato non fa che essere un vuoto simulacro privato di tutti i sentimenti che possedeva. Ora solo la bramosia, l'incessante seguire le proprie pulsioni la fanno da padrone in un mondo completamente conquistato dalla scienza. Quello che era l'uomo e quelle che erano le sue aspirazioni, la sua missione sono solo ricordi sopiti e caduti nell'oblio di una leggenda. Il mondo al quale ora appartiene è interamente offuscato dalle tenebre della conoscenza, che fa credere all'uomo di essere scioccamente superiore e in grado di sapere tutto.
C'è la presenza del dubbio dopo aver finalmente conosciuto la bambina-angelo lungo tutta una notte, al termine della quale l'uomo cederà al proprio errore, manifestando ancora il suo peccato originale e peccando contro Dio. Ne consegue il diluvio universale.
In questa visione allora le inquadrature strane e vertiginose potrebbero essere metafora sia di Dio che segue amorevolmente la propria figlia, sia dell'uomo alla continua ricerca e osservazione di una condizione, di una realtà, di una verità che la sua gretta e deprecabile concezione del mondo mai potrà permettergli di concepire.
Questa è un'opera molto particolare, che merita di essere vista solo in specifici momenti della propria vita, quando si è abbastanza maturi o quando ci si è interrogati a fondo e più volte su questioni esistenziali, trovandovi ognuno a suo modo, delle risposte o presunte tali.
L'unica controindicazione è che il film può risultare vuoto, lento, monotono, incomprensibile o insensato se non si riesce a entrarci in sintonia, ma se ci si riesce, ognuno di voi troverà una propria verità in questo viaggio nell'oscurità.
Voto: 10.
Della trama si può raccontare veramente poco, se non che si tratta di una specie di viaggio-fuga di una bambina con il suo uovo, ultimo baluardo di una stirpe estinta, e di un uomo con una missione antica e dimenticata che vuol scoprire cosa contiene l'uovo. Già, altro non si può dire della trama visto che queste sono le uniche certezze che i pochissimi dialoghi fanno intendere. Il resto è lasciato tutto ad appannaggio e a interpretazione personale dell'utente finale, al quale sono trasmesse scene oniriche altamente ambigue e con chiari riferimenti a simboli del diluvio universale.
Graficamente il lungometraggio è eccelso per gli anni che si porta sulle spalle, ha animazioni fluide e sinuose, cambi di scene e inquadrature "intrippose", vertiginosamente lontane, per contrasto, con elementi vicini. Queste atmosfere oniriche lo rendono suggestivo, evocativo, trasudante e ricolmo di simbolismo religioso, sa incutere soggezione e timore; è trasognante, magico e incantatore. Contiene prelibate allusioni: è una delizia, una goduria per la vista, per l'udito e per la mente, un'esperienza surreale e multi-sensoriale.
In "Tenshi no Tamago" Oshii gioca con immagini ossimoriche (una bambina vecchia e spenta, gravida di un uovo), le loro ombreggiature e l'evocazione di sentimenti contrastanti: un uomo porta la sua croce, anch'esso con sguardo vacuo, assente, estraniato e stralunato; nei suoi occhi color pece non v'è traccia di luce.
Sa avere un'atmosfera oppressiva, cupa, gotica e ipnotica, essere malato e distorto come le pieghe della mente umana portata in uno stato di trance; è un essere-non essere, uno sperimentalismo basato su apparizioni e flussi di coscienza dell'utente, un accostamento sonoro-immagini molto incisivo. Claustrofobico: ci mostra le paure inconsce in chiave appartenente all'imperscrutabile reame dei sogni in un'ambientazione decadente, nichilista e tetra. Certe scene ricordano i dipinti cupi e terrorizzanti di Salvador Dalì e Sigmund Freud applicherebbe sicuramente le sue interpretazioni dei sogni.
Non trovo miglior modo di esprimere le mie emozioni se non con il flusso di coscienza che la mia mente ha partorito mentre visionavo quest'opera.
Un battito di una creatura atavica, ancestrale, risuona nel mondo a cui appartiene(?): si sta risvegliando. Nostalgia, tristezza, una strana impassibilità e immobilità che paiono anormali, fuori luogo o appartenenti a un'altra dimensione; una solitudine penetrante, un malessere esistenziale, insensibili e tetri contrasti, parossistici sorrisi con uno sguardo vacuo e spento; ambienti e scene usuali rese cupe e offuscate. La paura dell'ignoto e l'avidità delle inquadrature si celano nell'ombra dei posti più oscuri e bui; labirinto mentale in cui si vaga senza meta, frastornati e impauriti da un decadente incantatore e ipnotizzatore.
Pulsante e pregna inquietudine, perverso sollazzo; oscuro e trucemente metaforico; scruta con caparbietà nei nostri timori più intimi e celati, risvegliandoli e rievocandoli. Imprevedibile distillato di sensualità, effimera caducità, nella quale sono nascoste le più tenebrose creature nei risvolti del buio; insicurezza, timidezza e possesso; instillare germi del dubbio. Sensualità, protezione e frenesia; rincorrere in modo sfrenato le proprie ambizioni, cupidigia e ingordigia; aria di santità, alone di purezza. Decadente psichedelico e scheletrici fossili preistorici; affranta perdizione e annebbiamento dello sguardo; confusione e oblio eterno.
Anguste ambientazioni, tetri passaggi stretti e sinistre intercapedini; un diluvio universale, un'arca enorme arenata; la naturalezza e le pose di un bambino sopito, l'istintiva paternità. Il dilagare dell'oscurità, paura di annegare soffocati; furto, pesantezza del proprio dovere, espiazione: un essere affranto; visione distorta, offuscata e opaca della realtà. Tormento, sgomento e agghiacciante timore per il peccato commesso, condanna; lunghi brividi mentre la regina degli esseri dannati si dispera in un pianto senza lacrime per la perdita del figlio che covava.
Sprofonda negli oscuri abissi, la strega, dai quali manca il respiro, ci si affanna e in preda al più totale panico, mentre i polmoni bruciano e non si riesce a riaffiorare alla superficie, nessuno ci salva dalla morte certa. L'esalazione dell'ultimo respiro e poi... il suo mondo in lutto accoglie i suoi lasciti cullandoli e proteggendoli dai lupi famelici. Il prescelto dopo aver compiuto il suo nefasto dovere, percorre il suo sentiero, la sua vita mentre la notte oscura e tenebrosa con i suoi abitanti che ammanta, volge al termine. E il dio, dagli abissi, fa ritorno al suo paradiso, estraniandosi con distacco e freddezza dal mondo.
Per quanto ipotizzo possa consistere la trama di fondo, io posso interpretare si tratti della discesa di un dio corazzato di statue in posa da preghiera che cerca di mostrare all'umanità una delle molteplici verità. Come ben si capirà al termine della visione anche il suo ennesimo angelo tornerà a far parte di dio dopo aver fatto germinare sulla terra altre uova. Uova che realizzo possano essere intese come la speranza, come dei valori da cullare e da proteggere dalle creature di questo mondo ergendosi verso l'alto.
Proprio così, perché l'uomo qua rappresentato non fa che essere un vuoto simulacro privato di tutti i sentimenti che possedeva. Ora solo la bramosia, l'incessante seguire le proprie pulsioni la fanno da padrone in un mondo completamente conquistato dalla scienza. Quello che era l'uomo e quelle che erano le sue aspirazioni, la sua missione sono solo ricordi sopiti e caduti nell'oblio di una leggenda. Il mondo al quale ora appartiene è interamente offuscato dalle tenebre della conoscenza, che fa credere all'uomo di essere scioccamente superiore e in grado di sapere tutto.
C'è la presenza del dubbio dopo aver finalmente conosciuto la bambina-angelo lungo tutta una notte, al termine della quale l'uomo cederà al proprio errore, manifestando ancora il suo peccato originale e peccando contro Dio. Ne consegue il diluvio universale.
In questa visione allora le inquadrature strane e vertiginose potrebbero essere metafora sia di Dio che segue amorevolmente la propria figlia, sia dell'uomo alla continua ricerca e osservazione di una condizione, di una realtà, di una verità che la sua gretta e deprecabile concezione del mondo mai potrà permettergli di concepire.
Questa è un'opera molto particolare, che merita di essere vista solo in specifici momenti della propria vita, quando si è abbastanza maturi o quando ci si è interrogati a fondo e più volte su questioni esistenziali, trovandovi ognuno a suo modo, delle risposte o presunte tali.
L'unica controindicazione è che il film può risultare vuoto, lento, monotono, incomprensibile o insensato se non si riesce a entrarci in sintonia, ma se ci si riesce, ognuno di voi troverà una propria verità in questo viaggio nell'oscurità.
Voto: 10.
Tenshi no tamago o Angel's egg è un film d'animazione dell'intramontabile Momoru Oishii. È un film che si basa principalmente su atmosfere di una cupezza disarmante, di toni neri e così scuri che le due figure principali (la bambina e il guerriero) appaiono ai nostri occhi come esseri perduti in un Inferno senza colore.
È una città scheletrica quella che attraversano: è un mondo che sembra l'ombra di se stesso. È come come un grande, immenso scheletro senza vita: non a caso i colori predominanti sono il nero e il bianco che sembrano cozzare tra di loro. Il bianco quasi accecante dei capelli della bambina, il nero che si trova ovunque e sembra inglobare completamente nelle proprie spire i due personaggi principali.
Le musiche, gli sfondi, i colori, i rumori e i suoni sono ciò che fanno di Tenshi no tamago un prodotto di nicchia, adatto a chi si prefigge, come me, di entrare all'interno di un mondo fatto d'oscurità dove i dialoghi sono ridotto all'essenziale e nei silenzi esistono le risposte da cercare.
È una fiaba nera, ermetica, ricca di simbolismi religiosi: la narrazione è lenta, volta spesso ad esserlo ancora di più in momenti importanti dove le scene vengono ulteriormente rallentate e dove è possibile per noi entrare realmente, fino in fondo, negli scenari tenebrosi su cui si fonda questo eccelso prodotto.
La trama è inesistente, ma questa fiaba nera è ugualmente complessa come una fitta ragnatela tessuta da chi ha scritto la storia in questione: storia che narra di vita, di morte, dell'essenza di un mondo che in realtà appare come morto. Le scene sono un susseguirsi di tenebre che attanagliano e inglobano totalmente i due protagonisti, sospesi in un sogno e in atmosfere colme di silenzi, domande che restano senza alcuna risposta e musiche malinconiche che ci accompagnano in questo lungo e onirico viaggio all'interno di un incubo.
Di base Tenshi no tamago è la storia di una bambina che protegge un uovo e di un guerriero deciso a sottrarlo, questo prezioso uovo che sembra contenere la verità sul mondo putrefatto e scuro e scheletrico che li attornia. E proprio in questo punto della trama ho pensato al famosissimo Vaso di Pandora (apro e chiudo la parentesi). Inizialmente la bambina fuggirà continuando a custodire ancor più gelosamente il suo prezioso uovo, trattenuto tra le braccia come se fosse un vero gioiello. Eppure successivamente la bambina si lascerà avvicinare dall'uomo, che inizierà a camminare al suo fianco, ma che rimarrà comunque attratto dall'uovo misterioso che lei protegge tanto tenacemente.
Che cosa contiene l'uovo? Perché la bambina lo protegge come se fosse la cosa più preziosa per lei? Perché il guerriero lo brama in questo modo? E che cosa rappresentano questi due personaggi senza nome?
Il finale di Tenshi no tamago, come d'altronde il resto dell'opera, è a discrezione dello spettatore. La verità su ciò che vuole spiegare questo capolavoro di Oishii e su ciò che si nasconde tra le atmosfere e le scene è però negli occhi di chi guarda.
Un film d'animazione incantatore, sospeso tra il sogno e l'incubo, condito di atmosfere angoscianti, cupe, tenebrose, e di due protagonisti che risaltano come degli spiriti nel mondo morto e scheletrico che li circonda in una morsa stretta e buia.
Onirico, misterioso, simbolista, con i dialoghi ridotti all'osso e sfondi che sembrano dei dipinti veri e propri. Tutto questo e molto di più, ma lo consiglio a chi vuole inabissarsi realmente in un sogno e in un incubo, fino a tentare di carpirne l'angosciante e buia bellezza.
È una città scheletrica quella che attraversano: è un mondo che sembra l'ombra di se stesso. È come come un grande, immenso scheletro senza vita: non a caso i colori predominanti sono il nero e il bianco che sembrano cozzare tra di loro. Il bianco quasi accecante dei capelli della bambina, il nero che si trova ovunque e sembra inglobare completamente nelle proprie spire i due personaggi principali.
Le musiche, gli sfondi, i colori, i rumori e i suoni sono ciò che fanno di Tenshi no tamago un prodotto di nicchia, adatto a chi si prefigge, come me, di entrare all'interno di un mondo fatto d'oscurità dove i dialoghi sono ridotto all'essenziale e nei silenzi esistono le risposte da cercare.
È una fiaba nera, ermetica, ricca di simbolismi religiosi: la narrazione è lenta, volta spesso ad esserlo ancora di più in momenti importanti dove le scene vengono ulteriormente rallentate e dove è possibile per noi entrare realmente, fino in fondo, negli scenari tenebrosi su cui si fonda questo eccelso prodotto.
La trama è inesistente, ma questa fiaba nera è ugualmente complessa come una fitta ragnatela tessuta da chi ha scritto la storia in questione: storia che narra di vita, di morte, dell'essenza di un mondo che in realtà appare come morto. Le scene sono un susseguirsi di tenebre che attanagliano e inglobano totalmente i due protagonisti, sospesi in un sogno e in atmosfere colme di silenzi, domande che restano senza alcuna risposta e musiche malinconiche che ci accompagnano in questo lungo e onirico viaggio all'interno di un incubo.
Di base Tenshi no tamago è la storia di una bambina che protegge un uovo e di un guerriero deciso a sottrarlo, questo prezioso uovo che sembra contenere la verità sul mondo putrefatto e scuro e scheletrico che li attornia. E proprio in questo punto della trama ho pensato al famosissimo Vaso di Pandora (apro e chiudo la parentesi). Inizialmente la bambina fuggirà continuando a custodire ancor più gelosamente il suo prezioso uovo, trattenuto tra le braccia come se fosse un vero gioiello. Eppure successivamente la bambina si lascerà avvicinare dall'uomo, che inizierà a camminare al suo fianco, ma che rimarrà comunque attratto dall'uovo misterioso che lei protegge tanto tenacemente.
Che cosa contiene l'uovo? Perché la bambina lo protegge come se fosse la cosa più preziosa per lei? Perché il guerriero lo brama in questo modo? E che cosa rappresentano questi due personaggi senza nome?
Il finale di Tenshi no tamago, come d'altronde il resto dell'opera, è a discrezione dello spettatore. La verità su ciò che vuole spiegare questo capolavoro di Oishii e su ciò che si nasconde tra le atmosfere e le scene è però negli occhi di chi guarda.
Un film d'animazione incantatore, sospeso tra il sogno e l'incubo, condito di atmosfere angoscianti, cupe, tenebrose, e di due protagonisti che risaltano come degli spiriti nel mondo morto e scheletrico che li circonda in una morsa stretta e buia.
Onirico, misterioso, simbolista, con i dialoghi ridotti all'osso e sfondi che sembrano dei dipinti veri e propri. Tutto questo e molto di più, ma lo consiglio a chi vuole inabissarsi realmente in un sogno e in un incubo, fino a tentare di carpirne l'angosciante e buia bellezza.
10 anni prima di Ghost in the Shell, Mamoru Oshii realizzò Tenshi no Tamago, l'uovo degli angeli, lungometraggio di 70 minuti.
Film ricco di significato secondo alcuni, film vuoto e fiacco secondo me.
Pretendere di trovarsi di fronte un film dal ritmo serrato e avvincente quando si parla di Oshii è impossibile, ma qui si rasenta il confine con la noia pura.
Il compito della narrazione è affidato quasi completamente alla musica e alle immagini, mentre i personaggi rimarranno in un silenzio quasi perenne.
La storia si svolge in una sorta di città morta, i cui soli abitanti sono dei pescatori che vanno a caccia delle ombre delle loro prede che compaiono sui muri e sulle strade.
Probabilmente dovrebbe rimandare ad un senso di disperazione e impotenza degli umani... probabilmente, anche perché nulla è certo in questo film.
I dialoghi si limitano ad un: "Chi sei tu?" Ripetuto un numero assurdo di volte; l'unica volta che si spingono in un discorso più lungo cadono anche in errore.
Il ragazzo infatti cita il passo biblico del diluvio universale facendo intendere che Noè mandò due volte la colomba a cercare la terra mentre invece il primo uccello fu un corvo. Potrà considerarsi una piccolezza da niente, ma io non la considero tale.
Per quanto riguarda la storia non si può nemmeno affermare che ne abbia una, il tutto è lasciato a discrezione dello spettatore che può decidere che significato dare e quale interpretazione usare.
Dal punto puramente stilistico si potrebbe meritare facilmente la lode, ambientazioni cupe nello stile di Oshii e disegni che più che tali sono veri e propri dipinti.
Tutto ciò però non basta per renderlo un prodotto sufficiente, il messaggio che porta l'opera è talmente criptico e celato che probabilmente non esiste nemmeno.
In 10 anni di tempo il pessimismo e le atmosfere cupe di Oshii sono rimaste pressoché immutate, ma è migliorato molto sotto l'aspetto contenutistico riuscendo ad offrire un prodotto comprensibile anche ai più, e non solo a chi lo ha diretto.
Film ricco di significato secondo alcuni, film vuoto e fiacco secondo me.
Pretendere di trovarsi di fronte un film dal ritmo serrato e avvincente quando si parla di Oshii è impossibile, ma qui si rasenta il confine con la noia pura.
Il compito della narrazione è affidato quasi completamente alla musica e alle immagini, mentre i personaggi rimarranno in un silenzio quasi perenne.
La storia si svolge in una sorta di città morta, i cui soli abitanti sono dei pescatori che vanno a caccia delle ombre delle loro prede che compaiono sui muri e sulle strade.
Probabilmente dovrebbe rimandare ad un senso di disperazione e impotenza degli umani... probabilmente, anche perché nulla è certo in questo film.
I dialoghi si limitano ad un: "Chi sei tu?" Ripetuto un numero assurdo di volte; l'unica volta che si spingono in un discorso più lungo cadono anche in errore.
Il ragazzo infatti cita il passo biblico del diluvio universale facendo intendere che Noè mandò due volte la colomba a cercare la terra mentre invece il primo uccello fu un corvo. Potrà considerarsi una piccolezza da niente, ma io non la considero tale.
Per quanto riguarda la storia non si può nemmeno affermare che ne abbia una, il tutto è lasciato a discrezione dello spettatore che può decidere che significato dare e quale interpretazione usare.
Dal punto puramente stilistico si potrebbe meritare facilmente la lode, ambientazioni cupe nello stile di Oshii e disegni che più che tali sono veri e propri dipinti.
Tutto ciò però non basta per renderlo un prodotto sufficiente, il messaggio che porta l'opera è talmente criptico e celato che probabilmente non esiste nemmeno.
In 10 anni di tempo il pessimismo e le atmosfere cupe di Oshii sono rimaste pressoché immutate, ma è migliorato molto sotto l'aspetto contenutistico riuscendo ad offrire un prodotto comprensibile anche ai più, e non solo a chi lo ha diretto.
Un titolo perso tra i meandri degli anni '80 e trascurato dalla scarsa sensibilità che il grande pubblico dimostra puntualmente verso le opere di grande valore che richiedono una certa delicatezza per essere colte.
Tale è “Tenshi no Tamago”, lungometraggio del 1985 che, secondo la mia opinione, posso affermare essere senza alcun dubbio la miglior opera d'animazione cinematografica mai realizzata.
Una dolce poesia surrealista, un'onirica allegoria che danza tra un criptico esistenzialismo ed una zelante religiosità, il tutto all'interno del più profondo simbolismo; sicuramente l'opera animata più ardita mai realizzata dalla produzione nipponica.
E proprio questo osare, fonte del suo stesso merito, fu (e sarà) anche la natural causa dell'impossibilità di sfondare sul mercato di questo raffinato gioiello.
Ci troviamo infatti a studiare un'opera non solo totalmente aperta e chiaramente priva di un'interpretazione univoca, ma anche tanto serrata da non lasciar cogliere alcunché all'osservatore disattento, eventualità altrimenti possibile per opere altrettanto profonde ma meno ermetiche (chiaramente inteso in un'accezione relativa del termine) quali possono considerarsi “Neon Genesis Evangelion” o “La Rivoluzione di Utena”. Se quest'ultimi due titoli si lasciano infatti sfuggire alle volte delle informazioni, “Tenshi no Tamago” non rileverà nulla a chi nulla cercherà.
E d'altronde ben si capisce donde ne venga tale opera ambiziosa, se non dal più grande regista (a mio avviso) dell'animazione orientale, Mamoru Oshii e dall'altrettanto brillante ed eccentrico Yoshitaka Amano, futuro illustratore della saga di “Final Fantasy” e altre splendide opere.
Nel 1985 il giovane Oshii, che aveva già dato prova di grandi capacità nella serie “Urusei Yatsura”, trasformando un'opera quanto mai divertente nata dalla notevole penna della mangaka Rumiko Takahashi (allora ancora originale) in qualcosa di superiore (trovando così il disappunto del pubblico) e osando persino porre in essere il secondo lungometraggio della sopra citata serie, “Lamù – The Beautiful Dreamer”, scavandosi così la fossa presso la suddetta mangaka e presso la totalità del pubblico più conservatore riguardo alla spensieratezza del tema, ebbene questo giovane innovatore si trova a poter gestire per la prima volta un progetto autonomamente, con i pieni poteri e senza alcun limite impostogli: abbiamo così quest'opera e ciò fa ben comprendere il perché di questo eccesso di gusto di nicchia, se mi concedete il termine.
L'opera. Delle mani, le mani di una bambina, anzi no, quelle scure di un uomo. Uno sfondo surrealista, un mondo onirico vuoto e silenzioso, dai colori bizzarri e dalle forme sconosciute, così si apre il lungometraggio. Un uomo dai capelli bianchi e dal volto apatico scruta lo sconfinato orizzonte, che però non dà l'idea di libertà.
Una bambina si sveglia, si alza e va ad osservare il tramonto dalla sua curiosa abitazione, in lontananza la città che, unica volta, appare calda in questi colori.
Tento di scrivere ciò che è stato reso magistralmente dalla regia, dalla fotografia, dai tagli delle inquadrature, dall'evocativa musica ma maggiormente dagli imperanti silenzi, dallo splendido disegno di un giovane Yoshitaka Amano, il più adatto per un titolo del genere e soprattutto dalla permeante poesia di ogni singola scena.
Siamo dinnanzi all'eccellenza tecnica manuale - soprattutto contestualizzata ai tempi - e scenica, con un lavoro superbo da parte della regia.
Vediamo così una bambina, candida e delicata, muoversi in quest'ambientazione cupa e opprimente, un mondo urbano grigio e silenzioso, decadente ed inquietante, popolato da poche figure e tanti misteri.
Ma i due silenziosi protagonisti, ad enfatizzare la già alienante atmosfera, parlano per domande, quasi fossero su un palco e si interrogassero singolarmente sui più profondi dubbi esistenziali (primo fra tutti quello esposto dalla splendida domanda iniziata dalla bambina ed infine, ultima riga dei dialoghi, posta dall'uomo a lei: “Chi sei tu?”) e, eccetto rari casi, non paiono comprendersi.
E l'uovo. Il prezioso gioiello della piccola, l'oggetto dell'ambizione del soldato, la chiave della conoscenza o forse il più effimero dei sogni, o ancora la condizione di spensieratezza dell'infanzia, alla quale la giovinetta resta salda senza porsi dilemma alcuno, ma che tuttavia rode l'uomo, che si risolverà così di romperlo per vedere cosa ci sia all'interno, o forse per liberare la bambina dai suoi vincoli fittizi e condurla così al crudele mondo reale.
Anch'esso, il soldato, appare così una figura dubbia, posto alternativamente tra il Redentore e l'Anticristo, il cui agire getta la bambina nella più profonda disperazione, sebbene a lui solo ella avesse donato la propria fiducia.
Ed è proprio la fiducia che viene tradita e, per tutta conseguenza, si ha la perdita dell'innocenza, quella dote che si corrompe inevitabilmente e, soprattutto, irrimediabilmente.
In conseguenza a ciò ella gli corre contro, nella fuga di lui, il quale ha assolto al suo compito o forse ha soddisfatto il proprio desiderio di conoscenza. Ma quale sarà lo scopo di questa fuga?
Un divario incolmabile separa ormai i due e la piccola cade, forse travolta dal peso della sua incapacità di raggiungerlo e addolorata dalla perdita dell'uovo, la perdita della condizione beata della fanciullezza e precipita in un nero abisso.
Ecco così la metamorfosi, il procedimento inverso a ciò che sarà di Motoko in “Ghost in the Shell”, il passaggio alla maturità, nonché la moltiplicazione delle uova, simbolo forse della moltiplicazione dei dubbi e delle incertezze, che ora però le sfuggono di dosso emergendo in superficie.
Tali sono solo alcune delle interpretazioni che si possono attribuire ad alcune delle sequenze, ma anche qui sta alla sensibilità di ognuno accettarle.
Non aprirò nemmeno una minima analisi sulla simbologia religiosa, dai pesci alle stigmate, dalla croce all'arca, nonché alle esplicite citazioni del Vecchio Testamento e del mito del diluvio universale. Tuttavia ancora altri temi meriterebbero di essere sviscerati ma non oserò cimentarmi nella loro trattazione.
Abbiamo con “Tenshi no Tamago” l'opera aperta definitiva, lo sperimentalismo portato agli estremi limiti, in un gioco di surrealismo e religiosità, criptici messaggi e oniriche atmosfere, il tutto in un'ambientazione massimamente alienante.
Il fine ultimo di quest'opera è per me, ribadisco, che ognuno colga ciò che la sua sensibilità gli permette. Sicuramente sia il regista che il direttore artistico scrivendone il soggetto hanno posto molte delle proprie convinzioni in questo lavoro (considerando anche la conversione di Oshii al cristianesimo e il successivo abbandono della fede precedentemente alla realizzazione del film), tuttavia comprendere interamente ciò che loro hanno visto in questo progetto è, oltre che impossibile, infruttuoso e lontano da ciò che, ritengo, avessero inteso i due come fine ultimo del film.
Come appare chiaro da quanto finora affermato, si tratta di un'opera complessa, probabilmente la più complicata tra i titoli di Oshii e, conseguentemente, tra tutti i titoli nipponici mai realizzati.
La sua visione è quindi consigliata soltanto ad un pubblico ristretto e raffinato (badate bene che non è mia intenzione insultare chi non ha apprezzato tale titolo), che possa cogliere coscienziosamente quelli che possono essere i pregi e i difetti reali dell'opera in questione, senza farsi scoraggiare da banalità quali la lentezza tipica dello stile del regista (qualità per altro gestita alla perfezione nel film, senza mai rendere le scene più lunghe del necessario ma, contemporaneamente, senza mai far distendere la tensione, come d'altronde Oshii fa sempre nelle sue opere), l'eccessivo ermetismo o l'assenza di una trama e, conseguentemente, di un intreccio.
Possa dunque ad ognuno questo capolavoro lasciare qualcosa e, auguro a tutti, possa rendervi partecipi della stessa beltà che mi ha totalmente rapito.
Tale è “Tenshi no Tamago”, lungometraggio del 1985 che, secondo la mia opinione, posso affermare essere senza alcun dubbio la miglior opera d'animazione cinematografica mai realizzata.
Una dolce poesia surrealista, un'onirica allegoria che danza tra un criptico esistenzialismo ed una zelante religiosità, il tutto all'interno del più profondo simbolismo; sicuramente l'opera animata più ardita mai realizzata dalla produzione nipponica.
E proprio questo osare, fonte del suo stesso merito, fu (e sarà) anche la natural causa dell'impossibilità di sfondare sul mercato di questo raffinato gioiello.
Ci troviamo infatti a studiare un'opera non solo totalmente aperta e chiaramente priva di un'interpretazione univoca, ma anche tanto serrata da non lasciar cogliere alcunché all'osservatore disattento, eventualità altrimenti possibile per opere altrettanto profonde ma meno ermetiche (chiaramente inteso in un'accezione relativa del termine) quali possono considerarsi “Neon Genesis Evangelion” o “La Rivoluzione di Utena”. Se quest'ultimi due titoli si lasciano infatti sfuggire alle volte delle informazioni, “Tenshi no Tamago” non rileverà nulla a chi nulla cercherà.
E d'altronde ben si capisce donde ne venga tale opera ambiziosa, se non dal più grande regista (a mio avviso) dell'animazione orientale, Mamoru Oshii e dall'altrettanto brillante ed eccentrico Yoshitaka Amano, futuro illustratore della saga di “Final Fantasy” e altre splendide opere.
Nel 1985 il giovane Oshii, che aveva già dato prova di grandi capacità nella serie “Urusei Yatsura”, trasformando un'opera quanto mai divertente nata dalla notevole penna della mangaka Rumiko Takahashi (allora ancora originale) in qualcosa di superiore (trovando così il disappunto del pubblico) e osando persino porre in essere il secondo lungometraggio della sopra citata serie, “Lamù – The Beautiful Dreamer”, scavandosi così la fossa presso la suddetta mangaka e presso la totalità del pubblico più conservatore riguardo alla spensieratezza del tema, ebbene questo giovane innovatore si trova a poter gestire per la prima volta un progetto autonomamente, con i pieni poteri e senza alcun limite impostogli: abbiamo così quest'opera e ciò fa ben comprendere il perché di questo eccesso di gusto di nicchia, se mi concedete il termine.
L'opera. Delle mani, le mani di una bambina, anzi no, quelle scure di un uomo. Uno sfondo surrealista, un mondo onirico vuoto e silenzioso, dai colori bizzarri e dalle forme sconosciute, così si apre il lungometraggio. Un uomo dai capelli bianchi e dal volto apatico scruta lo sconfinato orizzonte, che però non dà l'idea di libertà.
Una bambina si sveglia, si alza e va ad osservare il tramonto dalla sua curiosa abitazione, in lontananza la città che, unica volta, appare calda in questi colori.
Tento di scrivere ciò che è stato reso magistralmente dalla regia, dalla fotografia, dai tagli delle inquadrature, dall'evocativa musica ma maggiormente dagli imperanti silenzi, dallo splendido disegno di un giovane Yoshitaka Amano, il più adatto per un titolo del genere e soprattutto dalla permeante poesia di ogni singola scena.
Siamo dinnanzi all'eccellenza tecnica manuale - soprattutto contestualizzata ai tempi - e scenica, con un lavoro superbo da parte della regia.
Vediamo così una bambina, candida e delicata, muoversi in quest'ambientazione cupa e opprimente, un mondo urbano grigio e silenzioso, decadente ed inquietante, popolato da poche figure e tanti misteri.
Ma i due silenziosi protagonisti, ad enfatizzare la già alienante atmosfera, parlano per domande, quasi fossero su un palco e si interrogassero singolarmente sui più profondi dubbi esistenziali (primo fra tutti quello esposto dalla splendida domanda iniziata dalla bambina ed infine, ultima riga dei dialoghi, posta dall'uomo a lei: “Chi sei tu?”) e, eccetto rari casi, non paiono comprendersi.
E l'uovo. Il prezioso gioiello della piccola, l'oggetto dell'ambizione del soldato, la chiave della conoscenza o forse il più effimero dei sogni, o ancora la condizione di spensieratezza dell'infanzia, alla quale la giovinetta resta salda senza porsi dilemma alcuno, ma che tuttavia rode l'uomo, che si risolverà così di romperlo per vedere cosa ci sia all'interno, o forse per liberare la bambina dai suoi vincoli fittizi e condurla così al crudele mondo reale.
Anch'esso, il soldato, appare così una figura dubbia, posto alternativamente tra il Redentore e l'Anticristo, il cui agire getta la bambina nella più profonda disperazione, sebbene a lui solo ella avesse donato la propria fiducia.
Ed è proprio la fiducia che viene tradita e, per tutta conseguenza, si ha la perdita dell'innocenza, quella dote che si corrompe inevitabilmente e, soprattutto, irrimediabilmente.
In conseguenza a ciò ella gli corre contro, nella fuga di lui, il quale ha assolto al suo compito o forse ha soddisfatto il proprio desiderio di conoscenza. Ma quale sarà lo scopo di questa fuga?
Un divario incolmabile separa ormai i due e la piccola cade, forse travolta dal peso della sua incapacità di raggiungerlo e addolorata dalla perdita dell'uovo, la perdita della condizione beata della fanciullezza e precipita in un nero abisso.
Ecco così la metamorfosi, il procedimento inverso a ciò che sarà di Motoko in “Ghost in the Shell”, il passaggio alla maturità, nonché la moltiplicazione delle uova, simbolo forse della moltiplicazione dei dubbi e delle incertezze, che ora però le sfuggono di dosso emergendo in superficie.
Tali sono solo alcune delle interpretazioni che si possono attribuire ad alcune delle sequenze, ma anche qui sta alla sensibilità di ognuno accettarle.
Non aprirò nemmeno una minima analisi sulla simbologia religiosa, dai pesci alle stigmate, dalla croce all'arca, nonché alle esplicite citazioni del Vecchio Testamento e del mito del diluvio universale. Tuttavia ancora altri temi meriterebbero di essere sviscerati ma non oserò cimentarmi nella loro trattazione.
Abbiamo con “Tenshi no Tamago” l'opera aperta definitiva, lo sperimentalismo portato agli estremi limiti, in un gioco di surrealismo e religiosità, criptici messaggi e oniriche atmosfere, il tutto in un'ambientazione massimamente alienante.
Il fine ultimo di quest'opera è per me, ribadisco, che ognuno colga ciò che la sua sensibilità gli permette. Sicuramente sia il regista che il direttore artistico scrivendone il soggetto hanno posto molte delle proprie convinzioni in questo lavoro (considerando anche la conversione di Oshii al cristianesimo e il successivo abbandono della fede precedentemente alla realizzazione del film), tuttavia comprendere interamente ciò che loro hanno visto in questo progetto è, oltre che impossibile, infruttuoso e lontano da ciò che, ritengo, avessero inteso i due come fine ultimo del film.
Come appare chiaro da quanto finora affermato, si tratta di un'opera complessa, probabilmente la più complicata tra i titoli di Oshii e, conseguentemente, tra tutti i titoli nipponici mai realizzati.
La sua visione è quindi consigliata soltanto ad un pubblico ristretto e raffinato (badate bene che non è mia intenzione insultare chi non ha apprezzato tale titolo), che possa cogliere coscienziosamente quelli che possono essere i pregi e i difetti reali dell'opera in questione, senza farsi scoraggiare da banalità quali la lentezza tipica dello stile del regista (qualità per altro gestita alla perfezione nel film, senza mai rendere le scene più lunghe del necessario ma, contemporaneamente, senza mai far distendere la tensione, come d'altronde Oshii fa sempre nelle sue opere), l'eccessivo ermetismo o l'assenza di una trama e, conseguentemente, di un intreccio.
Possa dunque ad ognuno questo capolavoro lasciare qualcosa e, auguro a tutti, possa rendervi partecipi della stessa beltà che mi ha totalmente rapito.
Un film per tutti e per nessuno.
"Tenshi no Tamago", che tradotto significa "L'uovo dell'angelo", è un lungometraggio partorito dalla feconda unione dei due geni di Mamoru Oshii e Yoshitaka Amano. Tale perla è da ritenersi "sine dubio" uno dei film d'animazione maggiormente sperimentali e atipici mai creati, sia considerando la foggia estetica sia andando a guardare la sfera narrativa e concettuale: un vero e proprio "unicum" nell'ambito della cinematografia nipponica. Purtroppo la sua uscita nelle sale è stata accolta con freddezza dal pubblico e presto il suo nome è svanito dalle scene, obliato nei meandri del tempo, per rimanere noto e apprezzato solo da pochissimi appassionati.
Si tratta di un film molto particolare, caratterizzato da continui intrecci di allegorie, simboli e metafore, tanto che il compito di districarne il senso appare significativamente difficoltoso. In realtà si tratta di un lungometraggio a cui non si può dare un'unica interpretazione, è la sensibilità dello spettatore a fare da padrona e a plasmarne il senso.
"Tenshi no Tamago" è, in primo luogo, un'affascinante esperienza estetica di grande caratura e raffinatezza, una poesia di immagini, di suoni, ma soprattutto di silenzi, capace di grande suggestione. Sin dagli esordi ci immerge in scenari cupi e opprimenti, i fondali appaiono quasi dipinti e vividi, tanta è la loro accuratezza. Le animazioni si rivelano eleganti e aggraziate, studiate nel dettaglio: si noti ad esempio il fluire dei capelli della bambina, questi vengono disegnati uno per uno e l'effetto si palesa tremendamente realistico. Le musiche, composte da cori eterei, quasi sacri, concretizzano un'atmosfera onirica, ai limiti tra sogno e realtà.
In tale contesto, alienante e stordente, si muoveranno le uniche due figure presenti: una bambina, custode dell'uovo titolare del film, e un uomo in viaggio, armato di un fucile a forma di croce e le cui mani sono segnate dalle stimmate.
La scena si divide precipuamente tra gli ambienti all'interno dell'arca e la fatiscente e inquietante città morta sulle rive del mare.
Un'esegesi completa di ogni sequenza richiederebbe troppo spazio e apparirebbe quantomeno fuori luogo in questa sede. Sembra quindi doveroso, all'estensore di questa recensione, trattare solo alcuni simbolismi cardine, per offrire un piccolo assaggio dei possibili significati del film, che si giostrano in un sottofondo concettuale variamente assortito, tra esistenzialismo, nichilismo e religiosità.
In primis si può scovare agevolmente un sostanzioso numero di riferimenti alle religioni cristiana ed ebraica: i pesci e i pescatori, il fucile a forma di croce, l'angelo, l'albero della vita, la cattedrale gotica, l'arca. Non ritengo che in questa sede siano stati posti in essere per mero gusto esotico e trastullo estetico, sia andando a considerare l'importanza di alcuni passi biblici recitati in alcune sequenze, sia alla luce del fatto che poco tempo prima di realizzare il film Oshii si era interessato al cristianesimo, per poi abbandonarlo. Una premessa importante, viste le tematiche in questione.
Ma andiamo al punto fondamentale, il fulcro dell'opera è costituito dal rapporto tra le due allegorie della bambina e dell'uomo, e nella loro relazione con l'uovo. I dialoghi sono ridotti all'osso, e spesso sembra che le due figure siano incapaci di comunicare tra loro. Il loro rapporto e atteggiamento con l'uovo è antitetico e configgente. La bambina infatti confida ciecamente che in esso vi sia custodito un tesoro prezioso e di inestimabile valore, che esso nasconda una verità rassicurante, tanto che crede di sentire dei rumori provenire dall'interno. Si tratta di un atteggiamento quasi "religioso", che si fonda sulla fede, su un'intima e innocente convinzione personale. Al contrario l'uomo, il guerriero, è in preda al dubbio, anela la conoscenza non bastandogli la parola della bambina, incarna uno spirito quasi filosofico, scientifico (ancora, la bambina potrebbe simboleggiare la purezza e ingenuità dell'infanzia, mentre l'uomo l'età adulta che ne tradisce le ingenue speranze). Egli non sa resistere alla tentazione della conoscenza e viene meno al suo patto, tradendo l'innocente fiducia della ragazzina, rompe il fragile scrigno per denudare la verità e vederla con i suoi occhi, finendo tuttavia per rivelare che esso è vuoto. Al suo risveglio (forse una metafora del disincanto, del destarsi da un sogno) la piccola si troverà innanzi all'empia scena, comprendendo che tutto ciò in cui fino a quel momento aveva creduto e confidato era solamente un prodotto della sua mente, un'illusione. L'intero mondo in cui credeva si basava su false convinzioni che aveva costruito lei stessa in base alle sue speranze, l'uovo infatti è vuoto. Incapace di accettare una simile verità si lancia in una disperata e futile corsa verso il nulla, verso un baratro (simbolo della mancanza di ogni certezza, di ogni appiglio), per poi cadere da un precipizio e affogare in un corso d'acqua. Stupenda e intrisa di lirismo è l'immagine che vede l'avvicinarsi della bambina al riflesso della "lei" adulta generatosi sulla superficie dell'acqua: le due si fondono e danno vita a un'innumerevole quantità di nuove uova, di altri dubbi di cui il mondo adulto e disilluso è triste annunciatore.
Altre due sequenze, tra le innumerevoli allegorie di quest'opera, sono a mio avviso da ricordare, sempre per ricondursi al tema nichilistico: quella dei pescatori, cui abbiamo già fatto riferimento, e quella finale.
I pescatori sono raffigurati come degli uomini grigi e inespressivi, tutti identici tra loro tanto da non poterli distinguere. Sono una massa uniforme che si produce in una continua, insensata e quanto mai distruttiva caccia a delle ineffabili ombre a forma di pesce, che tuttavia non possono sperare di catturare con i loro arpioni. Gli uomini infine sono uguali, cadono nel medesimo errore di credere in mendaci ideali, di dedicare la loro vita alla rincorsa di ombre, di sogni e chimere che non esistono, come ad esempio il senso dell'esistenza oppure di Dio, e altri falsi idoli comuni alla stirpe di Adamo. La verità è che non esiste alcuna divinità (simboleggiata dal pesce anche nel rosone della cattedrale), essa è solo un'ombra cui l'uomo non può fare a meno di dare la caccia, ma che non può afferrare.
La scena conclusiva, infine, fa trasparire un forte senso di insignificanza delle vicende e dei dolori umani, che scorrono inutilmente, meno rilevanti di un pezzetto di muffa e muschio sulla chiglia di una nave. L'imbracazione, rovesciata, sembra un'arca che è naufragata, portando l'umanità alla deriva di un oceano nero e denso come la pece. Una conclusione cupa e sconfortante, di rara suggestione.
"Tenshi no Tamago", che tradotto significa "L'uovo dell'angelo", è un lungometraggio partorito dalla feconda unione dei due geni di Mamoru Oshii e Yoshitaka Amano. Tale perla è da ritenersi "sine dubio" uno dei film d'animazione maggiormente sperimentali e atipici mai creati, sia considerando la foggia estetica sia andando a guardare la sfera narrativa e concettuale: un vero e proprio "unicum" nell'ambito della cinematografia nipponica. Purtroppo la sua uscita nelle sale è stata accolta con freddezza dal pubblico e presto il suo nome è svanito dalle scene, obliato nei meandri del tempo, per rimanere noto e apprezzato solo da pochissimi appassionati.
Si tratta di un film molto particolare, caratterizzato da continui intrecci di allegorie, simboli e metafore, tanto che il compito di districarne il senso appare significativamente difficoltoso. In realtà si tratta di un lungometraggio a cui non si può dare un'unica interpretazione, è la sensibilità dello spettatore a fare da padrona e a plasmarne il senso.
"Tenshi no Tamago" è, in primo luogo, un'affascinante esperienza estetica di grande caratura e raffinatezza, una poesia di immagini, di suoni, ma soprattutto di silenzi, capace di grande suggestione. Sin dagli esordi ci immerge in scenari cupi e opprimenti, i fondali appaiono quasi dipinti e vividi, tanta è la loro accuratezza. Le animazioni si rivelano eleganti e aggraziate, studiate nel dettaglio: si noti ad esempio il fluire dei capelli della bambina, questi vengono disegnati uno per uno e l'effetto si palesa tremendamente realistico. Le musiche, composte da cori eterei, quasi sacri, concretizzano un'atmosfera onirica, ai limiti tra sogno e realtà.
In tale contesto, alienante e stordente, si muoveranno le uniche due figure presenti: una bambina, custode dell'uovo titolare del film, e un uomo in viaggio, armato di un fucile a forma di croce e le cui mani sono segnate dalle stimmate.
La scena si divide precipuamente tra gli ambienti all'interno dell'arca e la fatiscente e inquietante città morta sulle rive del mare.
Un'esegesi completa di ogni sequenza richiederebbe troppo spazio e apparirebbe quantomeno fuori luogo in questa sede. Sembra quindi doveroso, all'estensore di questa recensione, trattare solo alcuni simbolismi cardine, per offrire un piccolo assaggio dei possibili significati del film, che si giostrano in un sottofondo concettuale variamente assortito, tra esistenzialismo, nichilismo e religiosità.
In primis si può scovare agevolmente un sostanzioso numero di riferimenti alle religioni cristiana ed ebraica: i pesci e i pescatori, il fucile a forma di croce, l'angelo, l'albero della vita, la cattedrale gotica, l'arca. Non ritengo che in questa sede siano stati posti in essere per mero gusto esotico e trastullo estetico, sia andando a considerare l'importanza di alcuni passi biblici recitati in alcune sequenze, sia alla luce del fatto che poco tempo prima di realizzare il film Oshii si era interessato al cristianesimo, per poi abbandonarlo. Una premessa importante, viste le tematiche in questione.
Ma andiamo al punto fondamentale, il fulcro dell'opera è costituito dal rapporto tra le due allegorie della bambina e dell'uomo, e nella loro relazione con l'uovo. I dialoghi sono ridotti all'osso, e spesso sembra che le due figure siano incapaci di comunicare tra loro. Il loro rapporto e atteggiamento con l'uovo è antitetico e configgente. La bambina infatti confida ciecamente che in esso vi sia custodito un tesoro prezioso e di inestimabile valore, che esso nasconda una verità rassicurante, tanto che crede di sentire dei rumori provenire dall'interno. Si tratta di un atteggiamento quasi "religioso", che si fonda sulla fede, su un'intima e innocente convinzione personale. Al contrario l'uomo, il guerriero, è in preda al dubbio, anela la conoscenza non bastandogli la parola della bambina, incarna uno spirito quasi filosofico, scientifico (ancora, la bambina potrebbe simboleggiare la purezza e ingenuità dell'infanzia, mentre l'uomo l'età adulta che ne tradisce le ingenue speranze). Egli non sa resistere alla tentazione della conoscenza e viene meno al suo patto, tradendo l'innocente fiducia della ragazzina, rompe il fragile scrigno per denudare la verità e vederla con i suoi occhi, finendo tuttavia per rivelare che esso è vuoto. Al suo risveglio (forse una metafora del disincanto, del destarsi da un sogno) la piccola si troverà innanzi all'empia scena, comprendendo che tutto ciò in cui fino a quel momento aveva creduto e confidato era solamente un prodotto della sua mente, un'illusione. L'intero mondo in cui credeva si basava su false convinzioni che aveva costruito lei stessa in base alle sue speranze, l'uovo infatti è vuoto. Incapace di accettare una simile verità si lancia in una disperata e futile corsa verso il nulla, verso un baratro (simbolo della mancanza di ogni certezza, di ogni appiglio), per poi cadere da un precipizio e affogare in un corso d'acqua. Stupenda e intrisa di lirismo è l'immagine che vede l'avvicinarsi della bambina al riflesso della "lei" adulta generatosi sulla superficie dell'acqua: le due si fondono e danno vita a un'innumerevole quantità di nuove uova, di altri dubbi di cui il mondo adulto e disilluso è triste annunciatore.
Altre due sequenze, tra le innumerevoli allegorie di quest'opera, sono a mio avviso da ricordare, sempre per ricondursi al tema nichilistico: quella dei pescatori, cui abbiamo già fatto riferimento, e quella finale.
I pescatori sono raffigurati come degli uomini grigi e inespressivi, tutti identici tra loro tanto da non poterli distinguere. Sono una massa uniforme che si produce in una continua, insensata e quanto mai distruttiva caccia a delle ineffabili ombre a forma di pesce, che tuttavia non possono sperare di catturare con i loro arpioni. Gli uomini infine sono uguali, cadono nel medesimo errore di credere in mendaci ideali, di dedicare la loro vita alla rincorsa di ombre, di sogni e chimere che non esistono, come ad esempio il senso dell'esistenza oppure di Dio, e altri falsi idoli comuni alla stirpe di Adamo. La verità è che non esiste alcuna divinità (simboleggiata dal pesce anche nel rosone della cattedrale), essa è solo un'ombra cui l'uomo non può fare a meno di dare la caccia, ma che non può afferrare.
La scena conclusiva, infine, fa trasparire un forte senso di insignificanza delle vicende e dei dolori umani, che scorrono inutilmente, meno rilevanti di un pezzetto di muffa e muschio sulla chiglia di una nave. L'imbracazione, rovesciata, sembra un'arca che è naufragata, portando l'umanità alla deriva di un oceano nero e denso come la pece. Una conclusione cupa e sconfortante, di rara suggestione.
Tenshi no Tamago è espressione della personalità ermetica di Oshii, di una voglia di raccontare fatta di pochi, pochissimi elementi che affiorano da un indefinito humus di senso. È narrazione per sottrazione, ed invita ogni spettatore a decifrare il suo contenuto. Personalmente, credo che Tenshi no Tamago riassuma in sé il rapporto tra scienza e fede, tra la sete di conoscenza e ciò che è inspiegabile: per il guerriero, l'uovo è vuoto. Per la sua piccola custode, è lo scrigno di qualcosa di prezioso che è stato ucciso o rubato. Ciò che per il guerriero è un sogno dimenticato (il mito di Noè, qui, ma si tratta di una sostituibile metafora) cela di fatto la verità finale, una verità lontana ed inafferrabile, non umana. Sfiduciando il reale, l'opera di Oshii reca tracce di un nichilismo che probabilmente riflette la sua personalissima idea del mondo. Si può non condividere, ma il modo in cui è raccontata è intriso di un fascino misterioso.
Sul piano più strettamente tecnico, considerando l'anno di produzione, non esiterei a definire Tenshi no Tamago un autentico gioiello. L'animazione manuale raggiunge livelli qualitativi eccezionali, ma è il matrimonio tra il concetto di Oshii e l'universo immaginario di Yoshitaka Amano ad elevare artisticamente l'intera opera. I forti contrasti di luci ed ombre, uniti a cromatismi spesso surreali, danno l'impressione di trovarsi all'interno di un sogno; scenografie estremamente dettagliate colmano il gap comunicativo derivante dalla quasi assenza del parlato, invitando ad uno scrutinio e ad un'osservazione quasi esasperati.
In definitiva, apprezzare Tenshi no Tamago richiede una disposizione mentale completamente diversa da quella di qualsiasi altro anime. Poche altre opere riescono a conservare un'aura criptica analoga senza perdere per strada il loro significato, ed in questo senso, 70 minuti di Oshii valgono centinaia e centinaia di ore d'animazione moderna.
Sul piano più strettamente tecnico, considerando l'anno di produzione, non esiterei a definire Tenshi no Tamago un autentico gioiello. L'animazione manuale raggiunge livelli qualitativi eccezionali, ma è il matrimonio tra il concetto di Oshii e l'universo immaginario di Yoshitaka Amano ad elevare artisticamente l'intera opera. I forti contrasti di luci ed ombre, uniti a cromatismi spesso surreali, danno l'impressione di trovarsi all'interno di un sogno; scenografie estremamente dettagliate colmano il gap comunicativo derivante dalla quasi assenza del parlato, invitando ad uno scrutinio e ad un'osservazione quasi esasperati.
In definitiva, apprezzare Tenshi no Tamago richiede una disposizione mentale completamente diversa da quella di qualsiasi altro anime. Poche altre opere riescono a conservare un'aura criptica analoga senza perdere per strada il loro significato, ed in questo senso, 70 minuti di Oshii valgono centinaia e centinaia di ore d'animazione moderna.
Tenshi no Tamago - L'uovo dell'angelo.
Cos'è questo film? Cosa rappresenta? Qual è la sua ragion d'essere? Queste e molte altre sono le domande che il film pone allo spettatore, durante e soprattutto dopo la sua visione. E, cosa ancor più strana, probabilmente a nessuna di queste riuscirete a dare una spiegazione definitiva, l'unico che sarebbe capace è forse Mamoru Oshii, il regista del suddetto, nonché di altri capolavori assoluti dell'animazione che a distanza di anni vengono ancora ricordati chiaramente, come Ghost in the Shell.
Ma questo Angel's Egg (titolo inglese), del 1985, non ha nulla a che vedere con le sue precedenti e future opere.
Anzi, direi che non ha nulla a che vedere con qualsiasi altro film d'animazione che sia stato concepito, lo paragonerei solo a quel colosso che porta il nome "2001: Odissea nello spazio", in termini di profondità e messaggio.
Parlando dell'aspetto "concreto", il film vede inizialmente una bambina dai lunghi capelli bianchi prendere con sé un uovo (non si capisce ancora se l'abbia deposto lei - probabile - o l'abbia trovato chissà dove) e partire per un viaggio verso nonsisaddove e nonsisaperqualefine. Dopo un po' incontrerà un ragazzo che le farà compagnia nel suo vagabondare, ma non è certamente più vivace della ragazzina protagonista! Ah ecco, dimenticavo: il film è praticamente muto, salvo una decina di frasi raccolte in un punto preciso che sono però di vitale importanza per la storia (?), da tenere bene a mente per tutto il film se si vuol cercare di collegare degli eventi che all'apparenza sembra non abbiano il minimo senso logico.
L'ambientazione? Sembra apocalittica, quasi un sogno/incubo, non ne ho mai vista una di simile caratterizzazione e atmosfera (onirica), si passa da vicoli cittadini abbandonati e semidistrutti a lande desolate, palazzi in rovina (notare sempre l'elemento negativo della descrizione), qualche albero e fonte d'acqua qui e là.
Ad arricchire tutta quell'atmosfera onirica e astratta contribuisce non poco una scarna ma efficacissima colonna sonora, della quale alcuni pezzi ridanno a certi presenti nello stesso "2001: Odissea nello spazio", così come qualche altro riferimento figurativo. Insomma queste musiche, questi sottofondi lirici danno al tutto un senso di misticismo e di mistero da far davvero accapponare la pelle.
Parlando dal punto di vista grafico invece, anche qui il film fa la sua porca figura, con dei disegni - che riservano una cura maniacale per i dettagli - e delle colorazioni perfettamente saturate e adeguate alle circostanze, giochi di chiaroscuro sempre azzeccati, animazioni che per l'epoca fan gridare al miracolo, anche se in tutto il film non assistiamo di certo a molte scene movimentate - ricordo un fermo immagine a film inoltrato, tutt'altro che "gratuito" -. E ad accompagnare tutto questo non poteva non esserci una regia di primissimo livello e del miglior Oshii, che ci regala delle inquadrature formidabili che prese a sé stanti potrebbero essere accostate a dei quadri veri e propri, per l'espressività che emanano.
Cosa rimane a visione ultimata? Tutto e niente.
Con tutti gli argomenti che l'anime - mi fa un brutto effetto denominarlo così, poiché l'opera trascende questo stesso concetto - va a toccare, o a cui spinge a riflettere, ci si potrebbe scrivere non un libro ma un enciclopedia intera, e Dio solo sa - e indirettamente anche questo è un tema trattato - se basterebbe, poiché infinite sono le possibili interpretazioni di questo film che azzarderei a definire "sacro", per alcuni in effetti potrebbero essere anche troppe, e per questo non apprezzarlo appieno.
Considerazioni personali? Il film tratta della nascita e della morte, della ragion d'essere di una forma di vita, della piccolezza di questo mondo al cospetto di Dio, della vita che genera la morte e viceversa, della nostra ignoranza riguardo l'immensità e la complessità del mondo intero, della voglia di scoprire tutti i misteri dell'universo... e tanto altro ancora, di cui niente è completamente attendibile, l'importante è lasciare la mente aperta e goderci tutto quello che il film riesce a trasmetterci. Tutte riflessioni che sbocciano l'una dopo l'altra, quasi a catena, e in diversi momenti del film, ma la maggior parte ovviamente si concentra nel finale.
Ricapitolando: Regia: 10, Colonna sonora: 10, Storia: 10, Profondità: 10, Complessità: 10, Disegni: 10, Regia: 10, Personaggi (?).
Beh, tenendo conto che non ho arrotondato nessuno di questi parametri ma che sono tutti pieni e meritati, direi che il massimo dei voti viene da se.
Tenshi no Tamago è a mio avviso il miglior film autoconclusivo d'animazione che sia mai stato ideato, e migliore anche in generale sul fronte "live", paragonabile solo a quel mostro sacro dell'odissea di Kubrick.
È un film che va vissuto col cuore, non visto con gli occhi. Quindi è da vivere, rivivere e rivivere ancora queste specie di sogno, l'importante è lasciarsi trascinare e sprofondare in esso, cercando di assorbirne tutte le peculiarità.
Ermetico, onirico, divino, apocalitico, misterioso, poetico, trascendente, surreale, fantastico, paranormale, inquietante... e passatemi qualche altro termine.
Consigliato a pochi...anzi a pochissimi.
Cos'è questo film? Cosa rappresenta? Qual è la sua ragion d'essere? Queste e molte altre sono le domande che il film pone allo spettatore, durante e soprattutto dopo la sua visione. E, cosa ancor più strana, probabilmente a nessuna di queste riuscirete a dare una spiegazione definitiva, l'unico che sarebbe capace è forse Mamoru Oshii, il regista del suddetto, nonché di altri capolavori assoluti dell'animazione che a distanza di anni vengono ancora ricordati chiaramente, come Ghost in the Shell.
Ma questo Angel's Egg (titolo inglese), del 1985, non ha nulla a che vedere con le sue precedenti e future opere.
Anzi, direi che non ha nulla a che vedere con qualsiasi altro film d'animazione che sia stato concepito, lo paragonerei solo a quel colosso che porta il nome "2001: Odissea nello spazio", in termini di profondità e messaggio.
Parlando dell'aspetto "concreto", il film vede inizialmente una bambina dai lunghi capelli bianchi prendere con sé un uovo (non si capisce ancora se l'abbia deposto lei - probabile - o l'abbia trovato chissà dove) e partire per un viaggio verso nonsisaddove e nonsisaperqualefine. Dopo un po' incontrerà un ragazzo che le farà compagnia nel suo vagabondare, ma non è certamente più vivace della ragazzina protagonista! Ah ecco, dimenticavo: il film è praticamente muto, salvo una decina di frasi raccolte in un punto preciso che sono però di vitale importanza per la storia (?), da tenere bene a mente per tutto il film se si vuol cercare di collegare degli eventi che all'apparenza sembra non abbiano il minimo senso logico.
L'ambientazione? Sembra apocalittica, quasi un sogno/incubo, non ne ho mai vista una di simile caratterizzazione e atmosfera (onirica), si passa da vicoli cittadini abbandonati e semidistrutti a lande desolate, palazzi in rovina (notare sempre l'elemento negativo della descrizione), qualche albero e fonte d'acqua qui e là.
Ad arricchire tutta quell'atmosfera onirica e astratta contribuisce non poco una scarna ma efficacissima colonna sonora, della quale alcuni pezzi ridanno a certi presenti nello stesso "2001: Odissea nello spazio", così come qualche altro riferimento figurativo. Insomma queste musiche, questi sottofondi lirici danno al tutto un senso di misticismo e di mistero da far davvero accapponare la pelle.
Parlando dal punto di vista grafico invece, anche qui il film fa la sua porca figura, con dei disegni - che riservano una cura maniacale per i dettagli - e delle colorazioni perfettamente saturate e adeguate alle circostanze, giochi di chiaroscuro sempre azzeccati, animazioni che per l'epoca fan gridare al miracolo, anche se in tutto il film non assistiamo di certo a molte scene movimentate - ricordo un fermo immagine a film inoltrato, tutt'altro che "gratuito" -. E ad accompagnare tutto questo non poteva non esserci una regia di primissimo livello e del miglior Oshii, che ci regala delle inquadrature formidabili che prese a sé stanti potrebbero essere accostate a dei quadri veri e propri, per l'espressività che emanano.
Cosa rimane a visione ultimata? Tutto e niente.
Con tutti gli argomenti che l'anime - mi fa un brutto effetto denominarlo così, poiché l'opera trascende questo stesso concetto - va a toccare, o a cui spinge a riflettere, ci si potrebbe scrivere non un libro ma un enciclopedia intera, e Dio solo sa - e indirettamente anche questo è un tema trattato - se basterebbe, poiché infinite sono le possibili interpretazioni di questo film che azzarderei a definire "sacro", per alcuni in effetti potrebbero essere anche troppe, e per questo non apprezzarlo appieno.
Considerazioni personali? Il film tratta della nascita e della morte, della ragion d'essere di una forma di vita, della piccolezza di questo mondo al cospetto di Dio, della vita che genera la morte e viceversa, della nostra ignoranza riguardo l'immensità e la complessità del mondo intero, della voglia di scoprire tutti i misteri dell'universo... e tanto altro ancora, di cui niente è completamente attendibile, l'importante è lasciare la mente aperta e goderci tutto quello che il film riesce a trasmetterci. Tutte riflessioni che sbocciano l'una dopo l'altra, quasi a catena, e in diversi momenti del film, ma la maggior parte ovviamente si concentra nel finale.
Ricapitolando: Regia: 10, Colonna sonora: 10, Storia: 10, Profondità: 10, Complessità: 10, Disegni: 10, Regia: 10, Personaggi (?).
Beh, tenendo conto che non ho arrotondato nessuno di questi parametri ma che sono tutti pieni e meritati, direi che il massimo dei voti viene da se.
Tenshi no Tamago è a mio avviso il miglior film autoconclusivo d'animazione che sia mai stato ideato, e migliore anche in generale sul fronte "live", paragonabile solo a quel mostro sacro dell'odissea di Kubrick.
È un film che va vissuto col cuore, non visto con gli occhi. Quindi è da vivere, rivivere e rivivere ancora queste specie di sogno, l'importante è lasciarsi trascinare e sprofondare in esso, cercando di assorbirne tutte le peculiarità.
Ermetico, onirico, divino, apocalitico, misterioso, poetico, trascendente, surreale, fantastico, paranormale, inquietante... e passatemi qualche altro termine.
Consigliato a pochi...anzi a pochissimi.
La vita, la morte e l'essenza del mondo che si riflettono sull'uomo e su dio vengono realizzate artisticamente qui, in un caleidoscopio di cupe emozioni e distaccamenti, dove tutto è lugubre, dove sembra che la morte stessa sia la principale forma di vita, un pò come accade nella saga Inferno dell'Hades Chapter dei Cavalieri dello zodiaco, solo che in questo caso tutto viene visto in maniera molto più profonda e così umanamente reale.
Inoltre abbiamo sempre una sensazione di perfetto equilibrio tra i tre elementi che girano attorno al significato funereo che qui ne viene dato, dove il significato dell'uovo dovrebbe rappresentare, a mio avviso, una speranza di una nuova vita, la speranza di un futuro migliore, l'unica via di scampo alla crudeltà umana di questi ultimi tempi.
Una bambina che inizialmente fugge da un soldato dotato di un'arma che ricorda molto i classici trascorsi dei Templari, dove tutte le scorribande e le conquiste si facevano nel nome di un dio che non ha mai voluto guerre in suo nome, dove non ha mai chiesto olocausti, dove gli innocenti devono essere tutelati al pari degli oppressori, proprio perchè dio è misericordioso.
In questi significati tra passato, presente e futuro si snoda la difesa di ciò che sarà, dove il soldato è interessato al contenuto dell'uovo ma per nulla al contenente, ciò è dato dalla bramosia e ingordigia di potere, solo per il fatto di possedere un mezzo coercitivo si pensa di essere potenti al punto di poter dettare la propria volontà a chiunque, e di porsi di conseguenza superiori a dio e al mondo.
In questa storia si capisce quanto l'uomo sia stupido dinanzi all'effimero, quanto sia stupida la sua inutile bramosia, la sua voglia di riscatto con ogni forma per la sua arroganza e prevalenza sul debole e possibilmente, se vi riesce, sul più forte.
L'uomo è sempre stato stolto per natura, fin dai tempi antichi, perchè sono molte di più le volte in cui dimentica di essere un umano pieno di umanità e pratica la bestialità in un corpo umano sia fuori che dentro di esso, paragonandosi ad un'entità, arriva a pensare che l'entità non è visibile perchè ha paura di lui: quanto può essere terribilmente risibile tale vocazione.
L'attitudine all'errore non viene mai generata da semplici sbagli, ma da questa libertà che dio, a volte, mal ripone sulla sua immagine e somiglianza, e non basterebbero centinaia di apocalissi per rimettere le cose a posto come forse potrebbe intendere dio stesso, quindi l'autore mostra un senso di "unica via" da tutto questo: riscoprire ciò che si è volutamente intenzionati a perdere, difendere ciò che si è vanamente attaccato in precedenza, solo così si può tentare un cammino verso una speranza, non una libertà, perchè un uomo da solo non è mai sufficiente a cambiare il destino di tanti uomini, perchè solo dio e il mondo, se la natura ci dà ancora una mano nonostante i nostri maltrattamenti, possono fare ciò.
E' un vero peccato che un'opera simile non sia giunta in italia, credo che avrebbe generato molta curiosità e un bel pò di commenti, visto che sono argomenti, a mio avviso, che attirano molto l'interesse dei ragazzi.
Inoltre abbiamo sempre una sensazione di perfetto equilibrio tra i tre elementi che girano attorno al significato funereo che qui ne viene dato, dove il significato dell'uovo dovrebbe rappresentare, a mio avviso, una speranza di una nuova vita, la speranza di un futuro migliore, l'unica via di scampo alla crudeltà umana di questi ultimi tempi.
Una bambina che inizialmente fugge da un soldato dotato di un'arma che ricorda molto i classici trascorsi dei Templari, dove tutte le scorribande e le conquiste si facevano nel nome di un dio che non ha mai voluto guerre in suo nome, dove non ha mai chiesto olocausti, dove gli innocenti devono essere tutelati al pari degli oppressori, proprio perchè dio è misericordioso.
In questi significati tra passato, presente e futuro si snoda la difesa di ciò che sarà, dove il soldato è interessato al contenuto dell'uovo ma per nulla al contenente, ciò è dato dalla bramosia e ingordigia di potere, solo per il fatto di possedere un mezzo coercitivo si pensa di essere potenti al punto di poter dettare la propria volontà a chiunque, e di porsi di conseguenza superiori a dio e al mondo.
In questa storia si capisce quanto l'uomo sia stupido dinanzi all'effimero, quanto sia stupida la sua inutile bramosia, la sua voglia di riscatto con ogni forma per la sua arroganza e prevalenza sul debole e possibilmente, se vi riesce, sul più forte.
L'uomo è sempre stato stolto per natura, fin dai tempi antichi, perchè sono molte di più le volte in cui dimentica di essere un umano pieno di umanità e pratica la bestialità in un corpo umano sia fuori che dentro di esso, paragonandosi ad un'entità, arriva a pensare che l'entità non è visibile perchè ha paura di lui: quanto può essere terribilmente risibile tale vocazione.
L'attitudine all'errore non viene mai generata da semplici sbagli, ma da questa libertà che dio, a volte, mal ripone sulla sua immagine e somiglianza, e non basterebbero centinaia di apocalissi per rimettere le cose a posto come forse potrebbe intendere dio stesso, quindi l'autore mostra un senso di "unica via" da tutto questo: riscoprire ciò che si è volutamente intenzionati a perdere, difendere ciò che si è vanamente attaccato in precedenza, solo così si può tentare un cammino verso una speranza, non una libertà, perchè un uomo da solo non è mai sufficiente a cambiare il destino di tanti uomini, perchè solo dio e il mondo, se la natura ci dà ancora una mano nonostante i nostri maltrattamenti, possono fare ciò.
E' un vero peccato che un'opera simile non sia giunta in italia, credo che avrebbe generato molta curiosità e un bel pò di commenti, visto che sono argomenti, a mio avviso, che attirano molto l'interesse dei ragazzi.
In realtà il voto è più per il regista che per il film.
Mamoru Oshii ha realizzato questo anime a suo tempo in completa autonomia. Ne ha diretto la regia e rifinito al sceneggiatura; voci di corridoio narrano che la trama sia del tutto sua e devo dire che ci credo non poco.
Abbiamo una storia difficile, una trama complicata e un modo di raccontarla ancora più complesso. Io ho apprezzato l'insieme con quel suo sapore surreale e contorto difficile da digerire.
Mi sono piaciuti i protagonisti e le ambientazioni minimali e apocalittiche.
Ho apprezzato i disegni e il modo duro cocn cui l'animazione si evolve nel corso della visione.
Mi sono piaciute le critiche che muove il film, le cose che dà da pensare e i suoi simbolismi crudi e graffianti.
Ma l'insieme che ne esce è un opera grezza che va apprezzata per la sua difficoltà, non per la realizzazione o lo scopo.
In molte parti l'anime non colpisce, stordisce più che altro, e sembra non portare a niente. La regia spinge a fondo ma rallenta in molti punti, impedendo a chi la vede di potersi gratificare o apprezzare le atmosfere.
Consigliato a chi ama Mamoru Oshii.
Sconsigliato a tutti gli altri.
Mamoru Oshii ha realizzato questo anime a suo tempo in completa autonomia. Ne ha diretto la regia e rifinito al sceneggiatura; voci di corridoio narrano che la trama sia del tutto sua e devo dire che ci credo non poco.
Abbiamo una storia difficile, una trama complicata e un modo di raccontarla ancora più complesso. Io ho apprezzato l'insieme con quel suo sapore surreale e contorto difficile da digerire.
Mi sono piaciuti i protagonisti e le ambientazioni minimali e apocalittiche.
Ho apprezzato i disegni e il modo duro cocn cui l'animazione si evolve nel corso della visione.
Mi sono piaciute le critiche che muove il film, le cose che dà da pensare e i suoi simbolismi crudi e graffianti.
Ma l'insieme che ne esce è un opera grezza che va apprezzata per la sua difficoltà, non per la realizzazione o lo scopo.
In molte parti l'anime non colpisce, stordisce più che altro, e sembra non portare a niente. La regia spinge a fondo ma rallenta in molti punti, impedendo a chi la vede di potersi gratificare o apprezzare le atmosfere.
Consigliato a chi ama Mamoru Oshii.
Sconsigliato a tutti gli altri.
Beh, e adesso che vi scrivo? È difficile.
La prima opera di Oshii è terribilmente problematica, e sicuramente neanche una visione iper-concentrata aiuta a decifrarne appieno (ma forse nemmeno un poco) il significato ultimo dell’opera. Assolutamente sublimi alcune scene e praticamente geniale il taglio delle inquadrature, così come splendida la fotografia e la cura di disegni, animazioni, colori e fondali (è dell’85!). Musiche dal tono molto nostalgico e sconsolato ma che non incidono prepotentemente, contribuendo all’aura sognante e sospesa di tutto il film.
I problemi – se così si possono definire – , stanno proprio nella parte registica e nella sceneggiatura. I dialoghi sono paragonabili a quelli di Blame!, cioè quasi zero. Ma se lì Killy non aveva con chi parlare, in Tenshi no Tamago gli interminabili silenzi sono interrotti solo da brevi domande senza risposta, da aforismi e dal racconto biblico del diluvio. Affascinante ma inconcludente ai fini della comprensione dello spettatore. C’è da dire che Oshii c’è andato giù pesante con il suo peculiare stile, forse proprio perché al suo primo film. La regia è terribilmente lenta, e a tratti si ha la sensazione che le scene si siano congelate, con inquadrature immobili insistite anche per interi minuti. Così 1 ora di film viene dilatata all’inverosimile, il ché appesantisce davvero la visione. Difatti in alcuni frangenti gli occhi vi si chiudono da soli (voglio dire, io adoro Oshii, ma a volte esagera). Sembra quasi che questo film lo abbia fatto più per il piacere di realizzarlo così com’è, invece che per chi guarda. Così l’opera appare come una fusione di simbolismo e surrealismo, tra una città liberty goticheggiante in cui statue di pescatori vanno a caccia di ombre giganti di pesci scomparsi, e un mondo di antiche rovine dove l’acqua è l’elemento onnipresente, e dove scrosci e gorgoglii accompagnano ogni scena. Proprio la chiave simbolica dell’acqua e dei recipienti tondi onnipresenti è forse la più comprensibile con quella dell’uovo, ma tutto il resto rimane avvolto in un mantello di lirismo onirico che lascia poco spazio a parole. Infatti – se non vi addormentate – il miglior modo di goderselo è semplicemente guardare senza stare lì a capire trama o che altro. Sicuramente bello, affascinante, incantato, profondo, sognante, ma troppo di maniera.
La prima opera di Oshii è terribilmente problematica, e sicuramente neanche una visione iper-concentrata aiuta a decifrarne appieno (ma forse nemmeno un poco) il significato ultimo dell’opera. Assolutamente sublimi alcune scene e praticamente geniale il taglio delle inquadrature, così come splendida la fotografia e la cura di disegni, animazioni, colori e fondali (è dell’85!). Musiche dal tono molto nostalgico e sconsolato ma che non incidono prepotentemente, contribuendo all’aura sognante e sospesa di tutto il film.
I problemi – se così si possono definire – , stanno proprio nella parte registica e nella sceneggiatura. I dialoghi sono paragonabili a quelli di Blame!, cioè quasi zero. Ma se lì Killy non aveva con chi parlare, in Tenshi no Tamago gli interminabili silenzi sono interrotti solo da brevi domande senza risposta, da aforismi e dal racconto biblico del diluvio. Affascinante ma inconcludente ai fini della comprensione dello spettatore. C’è da dire che Oshii c’è andato giù pesante con il suo peculiare stile, forse proprio perché al suo primo film. La regia è terribilmente lenta, e a tratti si ha la sensazione che le scene si siano congelate, con inquadrature immobili insistite anche per interi minuti. Così 1 ora di film viene dilatata all’inverosimile, il ché appesantisce davvero la visione. Difatti in alcuni frangenti gli occhi vi si chiudono da soli (voglio dire, io adoro Oshii, ma a volte esagera). Sembra quasi che questo film lo abbia fatto più per il piacere di realizzarlo così com’è, invece che per chi guarda. Così l’opera appare come una fusione di simbolismo e surrealismo, tra una città liberty goticheggiante in cui statue di pescatori vanno a caccia di ombre giganti di pesci scomparsi, e un mondo di antiche rovine dove l’acqua è l’elemento onnipresente, e dove scrosci e gorgoglii accompagnano ogni scena. Proprio la chiave simbolica dell’acqua e dei recipienti tondi onnipresenti è forse la più comprensibile con quella dell’uovo, ma tutto il resto rimane avvolto in un mantello di lirismo onirico che lascia poco spazio a parole. Infatti – se non vi addormentate – il miglior modo di goderselo è semplicemente guardare senza stare lì a capire trama o che altro. Sicuramente bello, affascinante, incantato, profondo, sognante, ma troppo di maniera.
Opera prima di Mamoru Oshii.
Questo lungometraggio ha lo scopo di guidare lo spettatore in un mondo surreale alla Salvador Dalì (famoso pittore Spagnolo, nonché una delle massime icone del surrealismo), condito con animazioni a tutt'oggi più che sufficienti e musiche, benché anonime, utili a dare l'atmosfera giusta.
Di negativo invece, a mio parere, c'è solo il fatto che, essendo Oshii alle prime armi, abbia in alcuni momenti calcato un po' troppo la mano: infatti, in determinate situazioni gli eventi risultano eccessivamente lenti (mi riferisco alla scena che precede la distruzione dell'uovo da parte del protagonista, assieme alla scena finale), comunque nulla di serio.
In verità sento di poter consigliare quest'opera solo ai fan di Oshii e agli amanti del surrealismo.
Per pochi eletti.
PS: Se invece amate il surrealismo, consiglierei (se riuscite a reperirlo da qualche parte) la visione di Destino: opera di Dalì, fatta su commissione della Disney (si parla dell'ormai lontano 1946).
Mi pare duri soltanto sei minuti, ma vi assicuro che è un vero e proprio quadro di Dali in movimento!
Vedrete che la linea di pensiero usata da Oshii è stata presa probabilmente da quest'opera.
Anche questo da vedere.
Buona visione.
Questo lungometraggio ha lo scopo di guidare lo spettatore in un mondo surreale alla Salvador Dalì (famoso pittore Spagnolo, nonché una delle massime icone del surrealismo), condito con animazioni a tutt'oggi più che sufficienti e musiche, benché anonime, utili a dare l'atmosfera giusta.
Di negativo invece, a mio parere, c'è solo il fatto che, essendo Oshii alle prime armi, abbia in alcuni momenti calcato un po' troppo la mano: infatti, in determinate situazioni gli eventi risultano eccessivamente lenti (mi riferisco alla scena che precede la distruzione dell'uovo da parte del protagonista, assieme alla scena finale), comunque nulla di serio.
In verità sento di poter consigliare quest'opera solo ai fan di Oshii e agli amanti del surrealismo.
Per pochi eletti.
PS: Se invece amate il surrealismo, consiglierei (se riuscite a reperirlo da qualche parte) la visione di Destino: opera di Dalì, fatta su commissione della Disney (si parla dell'ormai lontano 1946).
Mi pare duri soltanto sei minuti, ma vi assicuro che è un vero e proprio quadro di Dali in movimento!
Vedrete che la linea di pensiero usata da Oshii è stata presa probabilmente da quest'opera.
Anche questo da vedere.
Buona visione.
Lento, surreale, oscuro, sospeso tra il sogno e la leggenda, basato sul fascino magnetico delle bellissime e dettagliate immagini - solo, a tratti, un po' contorto e involuto.
Questo film non procede tanto per animazioni, quanto per quadri (nel senso letterale), i personaggi non si caratterizzano per i dialoghi (scarsissimi) ma per i loro gesti; l'azione è praticamente ridotta al minimo (tra l'altro rispetta la famosa unità temporale) per lasciare posto alla riflessione, alla divagazione onirica, all'attesa e al sonno vero e proprio.
Nonostante l'estrema lentezza dello svolgimento, la cripticità dei simboli e del loro impiego, è difficile non rimanere catturati dalla bellezza delle immagini e dall'atmosfera di mistero e di sogno.
Un must.
Questo film non procede tanto per animazioni, quanto per quadri (nel senso letterale), i personaggi non si caratterizzano per i dialoghi (scarsissimi) ma per i loro gesti; l'azione è praticamente ridotta al minimo (tra l'altro rispetta la famosa unità temporale) per lasciare posto alla riflessione, alla divagazione onirica, all'attesa e al sonno vero e proprio.
Nonostante l'estrema lentezza dello svolgimento, la cripticità dei simboli e del loro impiego, è difficile non rimanere catturati dalla bellezza delle immagini e dall'atmosfera di mistero e di sogno.
Un must.
Secondo me è splendido perchè rappresenta il disperato tentativo dell'umanità di trovare un senso nell'esistenza. Pur di farlo si è disposti a sottrarre la cosa più preziosa dell'unica entità con la quale si ha un rapporto.
L'uovo sottratto all'Angelo è la fiducia sottratta alla purezza.
I lavori surreali come questo sono sempre difficili e quasi sempre aria fritta.
Oshii è un genio, quest'opera è poesia e insegna che ciò che veramente conta è interagire con l'altro ed amarlo, non derubarlo per una curiosità o un possesso. Questi portano piuttosto alla distruzione, nel film alla fine di questo mondo.
L'uovo sottratto all'Angelo è la fiducia sottratta alla purezza.
I lavori surreali come questo sono sempre difficili e quasi sempre aria fritta.
Oshii è un genio, quest'opera è poesia e insegna che ciò che veramente conta è interagire con l'altro ed amarlo, non derubarlo per una curiosità o un possesso. Questi portano piuttosto alla distruzione, nel film alla fine di questo mondo.
In un mondo oscuro,deserto e surreale una bambina conduce un'esistenza solitaria proteggendo un uovo misterioso.Incontrerà un enigmatico guerriero armato di un fucile a forma di croce che mostrerà fin da subito un particolare interesse per l'uovo...
Dopo aver visto insieme alcuni strani particolari del mondo che li circonda,il guerrierò inizierà a fare degli inquietanti discorsi...
Ideato,scritto e diretto da Mamoru Oshii,in collaborazione con il disegnatore Yoshitaka Amano e il compositore Yoshihiro Kanno,il film è una visione ultima del mondo e di Dio,ma è soprattutto un poema sulla solitudine.
Indubbiamente il miglior film d'animazione di tutti i tempi.
Dopo aver visto insieme alcuni strani particolari del mondo che li circonda,il guerrierò inizierà a fare degli inquietanti discorsi...
Ideato,scritto e diretto da Mamoru Oshii,in collaborazione con il disegnatore Yoshitaka Amano e il compositore Yoshihiro Kanno,il film è una visione ultima del mondo e di Dio,ma è soprattutto un poema sulla solitudine.
Indubbiamente il miglior film d'animazione di tutti i tempi.