Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Midori, la ragazza delle camelie, Saint Seiya Soul of Gold e Tenshi no tamago.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
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Oggi appuntamento libero, con gli anime Midori, la ragazza delle camelie, Saint Seiya Soul of Gold e Tenshi no tamago.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Recensione di AkiraSakura
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Nella filosofia orientale, sopratutto nel buddhismo, il tema riguardante la linea di demarcazione tra illusioni e realtà è dominante. Al di là della ruota dell'esistenza, che imprigiona le creature nell'eterno ciclo del Samsara, c'è l'assoluto, il quale allo stesso tempo è il nulla. La sofferenza prodotta dalla vita nel mondo dell'illusione è uno dei temi chiave degli insegnamenti del Buddha. Così come la liberazione dalla sofferenza derivante dalle illusioni create dalla nostra mente. Ora provate a immaginare una trasposizione horrorifica e malata di tale concezione, nella quale il vivere è pura angoscia. Una cosa nauseante. Macabra. Grottesca. Questa è l'idea che ha avuto Hiroshi Harada, il quale, da solo, per cinque anni, ha creato questo controverso film, "Midori/Shoujo Tsubaki", basandosi sul manga di Suehiro Marui, adattamento a fumetti di una "Kamishibai" (lett. "dramma su carta"), ovvero un racconto folkloristico giapponese tramandato in passato dai monaci buddhisti attraverso le "emakimono" (lett. "pergamene immagine"). Diciamolo subito: per l'elevata dose di violenza disturbante, psicologica, con incursioni nello splatter e nel macabro, "Midori" potrebbe scoraggiare parecchio alla visione. Oppure lo spettatore occasionale a digiuno di cultura orientale potrebbe snobbarlo come un semplice horror più malato del solito. Ergo non si tratta di una visione adatta a tutti, ma solamente a un certo target di pubblico di mente aperta, che magari ha già apprezzato il folkloristico "Mononoke" e certi lavori di David Lynch, come ad esempio "Eraserhead" e "The Elephant Man".
Midori è una sfortunata ragazza-archetipo di umili origini, la quale per sopravvivere è costretta a fare la schiava in un circo; ivi verrà maltrattata, sarà l'oggetto di cattiverie e abusi di vario tipo; la sua unica consolazione sarà l'amore dell'inquietante "mago della bottiglia" Masanitsu, sentimento che non mancherà di far scatenare la feroce invidia dei mostruosi feticci umani del circo. E' fin troppo chiaro, una delle metafore del film è la perdita dell'innocenza nel circo della vita/esistenza, tema che, inconsciamente, mi ha fatto associare l'opera all'ambiguo brano "Circus" contenuto nell'album "Lizard" dei King Crimson. Le musiche di J.A Seizer ("La rivoluzione di Utena") sono ineccepibili, fascinose e ataviche, allo stesso modo delle immagini che accompagnano: si pensi all'alchimia suono-immagini della memorabile sequenza finale del film, la quale traspone in modo molto suggestivo la metafora orientale del mondo delle illusioni.
Non è per nulla un semplice horror, "Midori". Al di là dei già discussi intenti metaforici e folkloristici, il film ha una sua poetica molto particolare, coadiuvata da raffinati disegni in pieno mood retrò; infatti, non a caso, l'opera viene spesso paragonata al capolavoro targato 1973 "Kanashimi no Belladonna". Ergo le tecniche d'animazione utilizzate si rifanno agli standard in voga negli anni '70: primi piani intensi e drammatici, pochi frame disegnati interamente a mano, effetto cartolina alla Dezaki, utilizzo delle inquadrature trasverse per accentuare il senso del claustrofobico e così via. Come accadeva in "Belladonna", la perizia registica si fonde con gli sperimentalismi low budget, tuttavia creando un prodotto unico nel suo genere, quanto mai angosciante, affascinante, violento e maledetto.
Midori è una sfortunata ragazza-archetipo di umili origini, la quale per sopravvivere è costretta a fare la schiava in un circo; ivi verrà maltrattata, sarà l'oggetto di cattiverie e abusi di vario tipo; la sua unica consolazione sarà l'amore dell'inquietante "mago della bottiglia" Masanitsu, sentimento che non mancherà di far scatenare la feroce invidia dei mostruosi feticci umani del circo. E' fin troppo chiaro, una delle metafore del film è la perdita dell'innocenza nel circo della vita/esistenza, tema che, inconsciamente, mi ha fatto associare l'opera all'ambiguo brano "Circus" contenuto nell'album "Lizard" dei King Crimson. Le musiche di J.A Seizer ("La rivoluzione di Utena") sono ineccepibili, fascinose e ataviche, allo stesso modo delle immagini che accompagnano: si pensi all'alchimia suono-immagini della memorabile sequenza finale del film, la quale traspone in modo molto suggestivo la metafora orientale del mondo delle illusioni.
Non è per nulla un semplice horror, "Midori". Al di là dei già discussi intenti metaforici e folkloristici, il film ha una sua poetica molto particolare, coadiuvata da raffinati disegni in pieno mood retrò; infatti, non a caso, l'opera viene spesso paragonata al capolavoro targato 1973 "Kanashimi no Belladonna". Ergo le tecniche d'animazione utilizzate si rifanno agli standard in voga negli anni '70: primi piani intensi e drammatici, pochi frame disegnati interamente a mano, effetto cartolina alla Dezaki, utilizzo delle inquadrature trasverse per accentuare il senso del claustrofobico e così via. Come accadeva in "Belladonna", la perizia registica si fonde con gli sperimentalismi low budget, tuttavia creando un prodotto unico nel suo genere, quanto mai angosciante, affascinante, violento e maledetto.
Saint Seiya: Soul of Gold
6.0/10
Di "Saint Seiya", probabilmente, non ci libereremo mai. Del resto, è già da più di una decina d'anni che l'opera di Masami Kurumada sta vivendo una nuova giovinezza tramite infiniti spin off in forma cartacea e animata. Ogni volta, puntualmente, ci casco, ricercando le emozioni che questi guerrieri mitologici mi avevano dato durante l'adolescenza, e ogni volta, puntualmente, rimango deluso, trovando serie che di "Saint Seiya" hanno solo l'apparenza, ma a cui manca il fascino dell'ormai mitica (è proprio il caso di dirlo) serie anni '80.
Questa volta tocca a "Soul of Gold", una miniserie animata i cui protagonisti sono (ancora) i dodici Gold Saint. Protagonista ufficiale è Aiolia del Leone, ma i suoi capelli sono ancora castani e il disegno generale è simile a quello della serie classica, privo di personaggi effeminati e di confusione stilistica, quindi da ciò si evince che "Soul of Gold", pur avendo gli stessi protagonisti, non è la versione animata del manga "Episode G".
Le premesse da cui parte "Soul of Gold" appaiono ridicole e insensate, e tali rimangono per tutta la serie, tutto sommato: mentre Seiya e compagni sono nell'aldilà, impegnati a combattere contro Ade, i dodici Gold Saint vengono resuscitati in circostanze misteriose, dopo aver perso la vita sacrificandosi al Muro del Pianto, e si ritrovano fra le nevi di Asgard, impegnati in un'enigmatica missione che li porterà a scontrarsi contro un misterioso officiante, un dio malvagio e l' (ormai inflazionatissimo) albero Yggdrasil. Una storia talmente assurda che, paradossalmente, spinge lo spettatore a interessarsi alla serie per vedere come verrà giustificata, anche se poi, quando arriveranno le risposte, saranno confuse e poco soddisfacenti.
Di base, non v'è nulla di particolarmente diverso dalla saga di Asgard vista nella serie anni '80: l'ambientazione è la stessa, i personaggi sono più o meno gli stessi (compaiono Hilda, Freya, Siegried e persino gli altri God Warrior noti ai fan storici, anche se solo in brevissimi flashback), la struttura è la stessa ed è la stessa persino la sigla, visto che la opening della serie è un rifacimento della storica "Soldier Dream".
I nuovi avversari dei Gold Saint non si distinguono né per il design (non particolarmente ispirato salvo rarissime eccezioni) né per il carattere o il background, sebbene, come nella saga di Asgard classica, anche a loro siano concessi qua e là dei flashback che ne spiegano le motivazioni. Ci si prova, a caratterizzarli, ma risultano personaggi che scompaiono nell'anonimato, al punto che viene più facile preferir loro persino i generali marini della classica saga di Poseidone, che almeno avevano dalla loro poteri particolari legati alla mitologia o al loro luogo d'origine, che davano una piacevole nota di colore agli scontri che li vedevano protagonisti. Questi nuovi guerrieri di Asgard non hanno le storie struggenti dei loro predecessori, non hanno armature particolarmente belle, non hanno colpi particolarmente speciali, quindi difficilmente vien da fare il tifo per loro.
Non va granché meglio al lato "buono" della barricata, per colpa del problema che i Gold Saint si portano dietro da sempre, ma che in Giappone, galvanizzati dalle vendite dei loro modellini, non si riesce proprio a capire. C'è un motivo se nell'opera originale i protagonisti erano i Saint di bronzo, giovani e inesperti, e non quelli d'oro, adulti, fighi e implacabili, e questo risiede nel grandissimo margine di crescita che avevano Seiya e compagni, che all'inizio della serie sono ragazzotti egoisti e terminano la storia arrivando a maturare un eroismo che li porta a un passo dalla divinità.
I Gold Saint non possono avere questo percorso, essendo personaggi già adulti e "formati". Arroccati sul loro piedistallo dorato, forti del loro rango superiore, i Gold Saint sono impenetrabili e maestosi, ma è stato bellissimo, nella serie originale, vedere le loro dorate convinzioni crollare a causa degli inesperti colpi di giovani e passionali guerrieri di bronzo a cui poi si ritrovano legati in maniera indissolubile, diventando per loro saggi maestri, esempi, straordinari fratelli maggiori che condividevano con Seiya e compagni la loro saggezza solo in alcuni casi estremi.
Rendendoli protagonisti, tutto ciò si perde e, comprensibilmente, ciò che si ottiene è una serie di scontri in cui i Gold Saint 'sfigheggiano' e fanno la paternale ai loro avversari, rendendo le battaglie ripetitive e poco interessanti.
Fortunatamente, si è colta la propizia occasione di approfondire i rapporti interpersonali fra di loro, di risolvere alcune questioni che inevitabilmente l'averli tutti e dodici vivi dalla stessa parte dopo i fatti della serie storica si portava dietro, di ricondurre sulla retta via quei guerrieri che nella serie vi si erano allontanati. Sono questi piccoli momenti in cui a parlare sono gli uomini e non i guerrieri la cosa più interessante di "Soul of Gold", che finisce per farsi apprezzare maggiormente per scene inaspettatamente toccanti o comiche sparse qua e là piuttosto che per i suoi noiosi scontri o per la sua storia confusa.
A "Soul of Gold" non mancano le forzature, le assurdità e le contraddizioni con la serie originale, ma è una serie dall'intento dichiaratamente commerciale, creata esclusivamente per vendere nuovi modellini - che dare l'armatura divina solo ai Bronze Saint era uno spreco, quando c'erano dodici nuovi modellini serviti su un piatto d'argento. Le armature divine d'oro non sono male, ma risultano abbastanza campate in aria, lontane dal legame sacrale e toccante che aveva portato alla creazione delle God Cloth originali nella serie storica.
A differenza di molti altri spin off cartacei e animati, che per questo sono stati criticati, qui il disegno e lo stile cercano di allinearsi quanto più possibile a quello della serie animata storica: niente tutine attillate, gemme che si trasformano in armature, capelli tinti di rosso, artifizi vari da shoujo manga. Non è una serie particolarmente dinamica, così come il manga che l'ha ispirata, ma ogni tanto ha i suoi momenti anche durante gli scontri, grazie anche a una buona colonna sonora dai ritmi epici quando servono. In sala di doppiaggio sono stati richiamati i doppiatori storici, ma l'età avanza e si sente, e l'effetto non sempre è bellissimo, specialmente quando i personaggi sono ancora giovani, bellocci e prestanti, ma la voce è anzianotta.
Buona la nuova versione di "Soldier Dream", sigla molto bella di cui si era sentita la mancanza nel "Saint Seiya Omega" di un paio di anni fa (che furbi, avevano già questo in mente, ecco perché lì non fu usata), mentre la sigla di chiusura è carina ma dimenticabile.
"Soul of Gold" è una serie abbastanza dimenticabile, che vive di luce (dorata) riflessa ma non propone granché di interessante, salvo un lungo spot per dei nuovi modellini. Ha avuto, ogni tanto, i suoi momenti e le va dato merito di aver usato personaggi storici senza snaturarli troppo, ma anzi riuscendo a interessare i fan con buoni spunti per la loro caratterizzazione, purtroppo intervallati da scontri abbastanza noiosi. Un "Saint Seiya" (in teoria, Seiya non c'è) classico in molti aspetti, ma tutto sommato superfluo.
Questa volta tocca a "Soul of Gold", una miniserie animata i cui protagonisti sono (ancora) i dodici Gold Saint. Protagonista ufficiale è Aiolia del Leone, ma i suoi capelli sono ancora castani e il disegno generale è simile a quello della serie classica, privo di personaggi effeminati e di confusione stilistica, quindi da ciò si evince che "Soul of Gold", pur avendo gli stessi protagonisti, non è la versione animata del manga "Episode G".
Le premesse da cui parte "Soul of Gold" appaiono ridicole e insensate, e tali rimangono per tutta la serie, tutto sommato: mentre Seiya e compagni sono nell'aldilà, impegnati a combattere contro Ade, i dodici Gold Saint vengono resuscitati in circostanze misteriose, dopo aver perso la vita sacrificandosi al Muro del Pianto, e si ritrovano fra le nevi di Asgard, impegnati in un'enigmatica missione che li porterà a scontrarsi contro un misterioso officiante, un dio malvagio e l' (ormai inflazionatissimo) albero Yggdrasil. Una storia talmente assurda che, paradossalmente, spinge lo spettatore a interessarsi alla serie per vedere come verrà giustificata, anche se poi, quando arriveranno le risposte, saranno confuse e poco soddisfacenti.
Di base, non v'è nulla di particolarmente diverso dalla saga di Asgard vista nella serie anni '80: l'ambientazione è la stessa, i personaggi sono più o meno gli stessi (compaiono Hilda, Freya, Siegried e persino gli altri God Warrior noti ai fan storici, anche se solo in brevissimi flashback), la struttura è la stessa ed è la stessa persino la sigla, visto che la opening della serie è un rifacimento della storica "Soldier Dream".
I nuovi avversari dei Gold Saint non si distinguono né per il design (non particolarmente ispirato salvo rarissime eccezioni) né per il carattere o il background, sebbene, come nella saga di Asgard classica, anche a loro siano concessi qua e là dei flashback che ne spiegano le motivazioni. Ci si prova, a caratterizzarli, ma risultano personaggi che scompaiono nell'anonimato, al punto che viene più facile preferir loro persino i generali marini della classica saga di Poseidone, che almeno avevano dalla loro poteri particolari legati alla mitologia o al loro luogo d'origine, che davano una piacevole nota di colore agli scontri che li vedevano protagonisti. Questi nuovi guerrieri di Asgard non hanno le storie struggenti dei loro predecessori, non hanno armature particolarmente belle, non hanno colpi particolarmente speciali, quindi difficilmente vien da fare il tifo per loro.
Non va granché meglio al lato "buono" della barricata, per colpa del problema che i Gold Saint si portano dietro da sempre, ma che in Giappone, galvanizzati dalle vendite dei loro modellini, non si riesce proprio a capire. C'è un motivo se nell'opera originale i protagonisti erano i Saint di bronzo, giovani e inesperti, e non quelli d'oro, adulti, fighi e implacabili, e questo risiede nel grandissimo margine di crescita che avevano Seiya e compagni, che all'inizio della serie sono ragazzotti egoisti e terminano la storia arrivando a maturare un eroismo che li porta a un passo dalla divinità.
I Gold Saint non possono avere questo percorso, essendo personaggi già adulti e "formati". Arroccati sul loro piedistallo dorato, forti del loro rango superiore, i Gold Saint sono impenetrabili e maestosi, ma è stato bellissimo, nella serie originale, vedere le loro dorate convinzioni crollare a causa degli inesperti colpi di giovani e passionali guerrieri di bronzo a cui poi si ritrovano legati in maniera indissolubile, diventando per loro saggi maestri, esempi, straordinari fratelli maggiori che condividevano con Seiya e compagni la loro saggezza solo in alcuni casi estremi.
Rendendoli protagonisti, tutto ciò si perde e, comprensibilmente, ciò che si ottiene è una serie di scontri in cui i Gold Saint 'sfigheggiano' e fanno la paternale ai loro avversari, rendendo le battaglie ripetitive e poco interessanti.
Fortunatamente, si è colta la propizia occasione di approfondire i rapporti interpersonali fra di loro, di risolvere alcune questioni che inevitabilmente l'averli tutti e dodici vivi dalla stessa parte dopo i fatti della serie storica si portava dietro, di ricondurre sulla retta via quei guerrieri che nella serie vi si erano allontanati. Sono questi piccoli momenti in cui a parlare sono gli uomini e non i guerrieri la cosa più interessante di "Soul of Gold", che finisce per farsi apprezzare maggiormente per scene inaspettatamente toccanti o comiche sparse qua e là piuttosto che per i suoi noiosi scontri o per la sua storia confusa.
A "Soul of Gold" non mancano le forzature, le assurdità e le contraddizioni con la serie originale, ma è una serie dall'intento dichiaratamente commerciale, creata esclusivamente per vendere nuovi modellini - che dare l'armatura divina solo ai Bronze Saint era uno spreco, quando c'erano dodici nuovi modellini serviti su un piatto d'argento. Le armature divine d'oro non sono male, ma risultano abbastanza campate in aria, lontane dal legame sacrale e toccante che aveva portato alla creazione delle God Cloth originali nella serie storica.
A differenza di molti altri spin off cartacei e animati, che per questo sono stati criticati, qui il disegno e lo stile cercano di allinearsi quanto più possibile a quello della serie animata storica: niente tutine attillate, gemme che si trasformano in armature, capelli tinti di rosso, artifizi vari da shoujo manga. Non è una serie particolarmente dinamica, così come il manga che l'ha ispirata, ma ogni tanto ha i suoi momenti anche durante gli scontri, grazie anche a una buona colonna sonora dai ritmi epici quando servono. In sala di doppiaggio sono stati richiamati i doppiatori storici, ma l'età avanza e si sente, e l'effetto non sempre è bellissimo, specialmente quando i personaggi sono ancora giovani, bellocci e prestanti, ma la voce è anzianotta.
Buona la nuova versione di "Soldier Dream", sigla molto bella di cui si era sentita la mancanza nel "Saint Seiya Omega" di un paio di anni fa (che furbi, avevano già questo in mente, ecco perché lì non fu usata), mentre la sigla di chiusura è carina ma dimenticabile.
"Soul of Gold" è una serie abbastanza dimenticabile, che vive di luce (dorata) riflessa ma non propone granché di interessante, salvo un lungo spot per dei nuovi modellini. Ha avuto, ogni tanto, i suoi momenti e le va dato merito di aver usato personaggi storici senza snaturarli troppo, ma anzi riuscendo a interessare i fan con buoni spunti per la loro caratterizzazione, purtroppo intervallati da scontri abbastanza noiosi. Un "Saint Seiya" (in teoria, Seiya non c'è) classico in molti aspetti, ma tutto sommato superfluo.
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Tenshi no Tamago
4.0/10
Recensione di Shiryu of Dragon
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Alla domanda relativa al contenuto di questo lungometraggio, a quanto pare il regista Mamoru Oshii rispose che non lo sapeva nemmeno lui. Il character designer Yoshitaka Amano, d'altra parte, in un'intervista al New York Comic Con di qualche anno fa, ha voluto fornire degli indizi interessanti, affermando che una delle influenze di "Tenshi no Tamago" è un film drammatico del 1973 intitolato "El espíritu de la colmena" ("Lo spirito dell'alveare") ad opera del regista spagnolo Víctor Erice Aras. Riflettendoci, in effetti, tra i due film si possono individuare numerosi punti di contatto a livello di significato.
Amano ha dato anche un altro indizio, rivelando che al tempo della realizzazione del film d'animazione in esame, Mamoru Oshii stava attraversando un avvenimento molto spiacevole nella sua vita privata, che per rispetto non espliciterò in questa sede, ma che forse fa capire qualcosa di questo caotico incubo sotto forma di cartone animato, di questo terrificante grido di dolore.
Il lavoro tecnico effettuato in questo film mi lascia del tutto sorpreso: è un film di ben trent'anni fa, eppure la grafica sembra molto più accurata e più sottile della quasi totalità degli anime più recenti. Nemmeno negli altri anime che presentano Yoshitaka Amano al character design ho mai visto niente di simile. Parte di me capisce bene che può risultare in un certo qual modo attraente, ma dall'altra parte lo stile adottato in quest'opera mi trasmette un lontano senso di terrore. I due personaggi hanno degli strani occhi quasi assenti e privi di vita. In certe inquadrature la bambina sembra quasi avere il volto di una bambola di porcellana, anche perché indossa quella che sembra una camicia da notte in stile ottocentesco. Le animazioni sono ridotte al minimo, con diverse scene di totale immobilità, lunghe anche qualche minuto, tanto risulta flemmatico e statico il film nel suo insieme, ma sono contenuti qua e là pochi piccoli climax di movimento fluido piuttosto sorprendente per essere stato fatto nel 1985.
L'ambientazione dai toni gotici è del tutto surreale, con città e abitazioni intatte ma deserte.
Le musiche sono piuttosto eterogenee: a tratti sentiamo un pianoforte solista emettere melodie ermetiche e oniriche, a tratti si esplode in pomposi e drammatici cori che mi ricordano un po' il cinema biblico d'altri tempi.
Sul piano dei contenuti, io penso che in questo caso sia un errore tentare lo sforzo di leggere tanto a fondo. Tuttavia le informazioni fornite da Yoshitaka Amano mi illuminano riguardo alcuni punti essenziali: in questo film si assiste alla distruzione dell'innocenza di una bambina, interessata alla vita e piena di speranze per il futuro, dopo aver sostenuto il confronto con il mondo tormentato e disilluso di un adulto. Quando il guerriero vede davanti a sé quel che sembra l'oggetto dei suoi confusi ricordi, il suo volto si rattrista, quasi a voler dire: "Sarebbe meglio che tutto ciò fosse soltanto un brutto sogno, tutto questo dovrebbe essere cancellato".
Probabilmente ciò a cui assistiamo in questo film è anche esattamente uno "spirito dell'alveare", ovvero una volontà cieca ma inarrestabile che continua a perpetuare e riciclare la vita terrena, così come le api lavorano instancabili senza riflettere, spinte da una forza istintiva sconosciuta. Il modo in cui questo "spirito" viene rappresentato è molto disturbato e ricolmo di malessere, mi sembra.
Ma ritengo che il tema centrale del film sia quello introspettivo e psicologico: il mondo ingenuo, innocente e sognatore dell'infanzia contro la macchia - ma anche il distacco emotivo - dell'età adulta. Quel che rimane è un irrisolvibile punto interrogativo sull'esistenza stessa.
Per quanto dietro la realizzazione tecnica ci sia un buonissimo lavoro, sul piano sostanziale l'ho trovato decisamente insostenibile. Esprime una condizione di disagio del tutto inutile e dannosa.
L'autore sembra davvero voler gridare il proprio stato di malessere, chissà contro cosa; forse contro un forza creatrice che tra le righe egli sembra affermare, in fin dei conti, forse in maniera vagamente affine alla filosofia dei cristiani gnostici e a quella platonica, ma il suo grido non lascia niente che possa servire veramente alle persone, niente che possa arricchire interiormente: solo un mero esercizio espressivo di dolore e insoddisfazione.
Francamente, a me non importa del gran lavoro tecnico, se non è solidamente sostenuto da una effettiva sostanza. Esistono molti anime tecnicamente inferiori a questo, ma sostanzialmente anni luce superiori. Quella che in questo film potrebbe sembrare sostanza, in realtà a me pare solo un futile vuoto di sofferenza psicologica. Questa è la mia opinione.
Per questi motivi, personalmente, gli assegno un voto inferiore alla sufficienza.
Amano ha dato anche un altro indizio, rivelando che al tempo della realizzazione del film d'animazione in esame, Mamoru Oshii stava attraversando un avvenimento molto spiacevole nella sua vita privata, che per rispetto non espliciterò in questa sede, ma che forse fa capire qualcosa di questo caotico incubo sotto forma di cartone animato, di questo terrificante grido di dolore.
Il lavoro tecnico effettuato in questo film mi lascia del tutto sorpreso: è un film di ben trent'anni fa, eppure la grafica sembra molto più accurata e più sottile della quasi totalità degli anime più recenti. Nemmeno negli altri anime che presentano Yoshitaka Amano al character design ho mai visto niente di simile. Parte di me capisce bene che può risultare in un certo qual modo attraente, ma dall'altra parte lo stile adottato in quest'opera mi trasmette un lontano senso di terrore. I due personaggi hanno degli strani occhi quasi assenti e privi di vita. In certe inquadrature la bambina sembra quasi avere il volto di una bambola di porcellana, anche perché indossa quella che sembra una camicia da notte in stile ottocentesco. Le animazioni sono ridotte al minimo, con diverse scene di totale immobilità, lunghe anche qualche minuto, tanto risulta flemmatico e statico il film nel suo insieme, ma sono contenuti qua e là pochi piccoli climax di movimento fluido piuttosto sorprendente per essere stato fatto nel 1985.
L'ambientazione dai toni gotici è del tutto surreale, con città e abitazioni intatte ma deserte.
Le musiche sono piuttosto eterogenee: a tratti sentiamo un pianoforte solista emettere melodie ermetiche e oniriche, a tratti si esplode in pomposi e drammatici cori che mi ricordano un po' il cinema biblico d'altri tempi.
Sul piano dei contenuti, io penso che in questo caso sia un errore tentare lo sforzo di leggere tanto a fondo. Tuttavia le informazioni fornite da Yoshitaka Amano mi illuminano riguardo alcuni punti essenziali: in questo film si assiste alla distruzione dell'innocenza di una bambina, interessata alla vita e piena di speranze per il futuro, dopo aver sostenuto il confronto con il mondo tormentato e disilluso di un adulto. Quando il guerriero vede davanti a sé quel che sembra l'oggetto dei suoi confusi ricordi, il suo volto si rattrista, quasi a voler dire: "Sarebbe meglio che tutto ciò fosse soltanto un brutto sogno, tutto questo dovrebbe essere cancellato".
Probabilmente ciò a cui assistiamo in questo film è anche esattamente uno "spirito dell'alveare", ovvero una volontà cieca ma inarrestabile che continua a perpetuare e riciclare la vita terrena, così come le api lavorano instancabili senza riflettere, spinte da una forza istintiva sconosciuta. Il modo in cui questo "spirito" viene rappresentato è molto disturbato e ricolmo di malessere, mi sembra.
Ma ritengo che il tema centrale del film sia quello introspettivo e psicologico: il mondo ingenuo, innocente e sognatore dell'infanzia contro la macchia - ma anche il distacco emotivo - dell'età adulta. Quel che rimane è un irrisolvibile punto interrogativo sull'esistenza stessa.
Per quanto dietro la realizzazione tecnica ci sia un buonissimo lavoro, sul piano sostanziale l'ho trovato decisamente insostenibile. Esprime una condizione di disagio del tutto inutile e dannosa.
L'autore sembra davvero voler gridare il proprio stato di malessere, chissà contro cosa; forse contro un forza creatrice che tra le righe egli sembra affermare, in fin dei conti, forse in maniera vagamente affine alla filosofia dei cristiani gnostici e a quella platonica, ma il suo grido non lascia niente che possa servire veramente alle persone, niente che possa arricchire interiormente: solo un mero esercizio espressivo di dolore e insoddisfazione.
Francamente, a me non importa del gran lavoro tecnico, se non è solidamente sostenuto da una effettiva sostanza. Esistono molti anime tecnicamente inferiori a questo, ma sostanzialmente anni luce superiori. Quella che in questo film potrebbe sembrare sostanza, in realtà a me pare solo un futile vuoto di sofferenza psicologica. Questa è la mia opinione.
Per questi motivi, personalmente, gli assegno un voto inferiore alla sufficienza.
Su midori, per quanto ne apprezzi il risultato, onestamente non sono così entusiasta, anzi mi ha un pò annoiato, oltre a non avermi fatto nè schifo nè paura.
Su tenshi no tamago il mio giudizio non è troppo diverso, la sua particolarità lo rende esposto a prese di posizione di questo tipo. Io ci avevo intravisto un dualismo fede/speranza/religione-tecnica, comunque l'ho visto un pò di tempo fa e non ne ho le idee chiarissime.
la recensione di Shiryu comunque mi piace a prescindere dal voto e dalle considerazioni portate
...
(
Tuttavia... Tenshi no Tamago l'ho visto solo una volta non proprio recentemente. E' indubbio che devo rivederlo, appena ne avrò tempo e occasione, per poterlo giudicare e cogliere quei particolari che a prima visione è impossibile notare. Io non gli do al momento nessun voto (son riuscita sempre a dare un voto, magari approssimativo, ma potevo darlo). Così come Innocence è l'unico a cui do il 10 (9 ne ho dati ma di 10 questo è l'unico), diametricalmente TnT è l'unico a cui non sono stata capace di dare un voto. Per il semplice fatto che è così ermetico da spiazzare totalmente la mia capacità di giudizio. Innocence e Tenshi no Tamago entrambi figli di Oshii... ho proprio feeling con lui ^^
Comunque la recensione è buona, analizza l'opera come piace a me dando info utili e interessanti soprattutto nella prefazione, tranne qualche sbavatura nel finale. Ed è scontato che la massa respinga opere simili. C'è gente che con Oshii si addormenta, figuriamoci con un film come questo.
Piccolo OT... ieri ho recuperato Midori-Ko su VVVVID. Beh che dire... gli do un 7 perché la parte tecnica è davvero singolare e d'effetto, ma la trama (sempre che ci sia perché credo che in un opera simile sia meglio lasciarla perdere) man mano si perde e alla fine resta un "non pervenuta". Insomma, Midori-Ko è un'altra opera ermetica, ma non credo che al momento ce ne siano che battano TnT su questo piano.
Questo anche lo definiresti soltanto pessimismo e malessere o mero esercizio espressivo di dolore e insoddisfazione che esprime una condizione di disagio del tutto inutile e dannosa?
Perché forse qualcuno di noi ha delle risposte alle domande poste dal film?
Ma quante poesie, romanzi, film o opere in generale dobbiamo buttare solo perché esprimono dubbi esistenziali o visioni pessimistiche?
Tu cosa pensi in proposito, che la fede e la religione ci salverà tutti?
Odio dover andare a vedere altri voti, ma ok, parliamone...
Comunque ho letto la recensione di Midori delle camelie e, avendo apprezzato tantissimo Mononoke, direi che fa al caso mio e cercherò di recuperarlo. Complimenti per l'ottima recensione. E per quanto riguarda Kanashimi no Belladonna è già nell'harddisk che attende di essere visto.
Molti autori trasmettono la propria sofferenza nelle proprie opere. La sofferenza non è mai fine a se stessa, soprattutto se si esprime il cosiddetto "male di vivere" (trattato ampiamente da scrittori e poeti). Perciò è presente almeno una forma embrionale di significato: la descrizione dello stato di sofferenza e ciò dilania l'animo umano.
Subentra poi il crepuscolo degli idoli e una nuova forma di misticismo, più disincantato, più "adulto", meno emozionale. Scompaiono gli uomini che hanno la caccia alle illusioni preistoriche e compare una ragzzza adulta, dispensatrice di un'ipotetica salvezza umana. Sullo sfondo, un mondo a forma di arca.
Diciamo che qualcosina c'è.
Tenshi no Tamago è troppo criptico per i miei gusti ma soprattutto mi ha annoiata a morte e ammetto di averlo mandato avanti in molte parti.
Spolliciatemi pure, che ci posso fare XD
Non è esattamente così. La definizione che più si avvicina è "estinzione": estinzione del dolore (dukkha), delle passioni (raga, dvesha) e dell'ignoranza (avidyā). Il Nibbāna è è il "nulla relativo a questo mondo", ossia "non ha nulla a che fare con un mondo soggetto all'impermanenza e al divenire". Che cosa rimane? L'assoluta libertà e la pace.
Detto questo, ci sono due punti su cui NON posso essere d'accordo:
Sul piano dei contenuti, io penso che in questo caso sia un errore tentare lo sforzo di leggere tanto a fondo.
Al contrario, a me sembra evidente che Tenshi no Tamago sia fatto proprio per suscitare interrogativi e tentativi di comprensione. In un'opera così criptica e simbolica (i pescatori che cercano di afferrare le ombre, l'arca con le statue presente a inizio e fine film, ecc.) e con pochi dialoghi, come ci si può fermarsi alla superficie di quel che si vede? Mi sembra chiaro che sia richiesto uno sforzo interpretativo da parte dello spettatore.
Il secondo punto riguarda la mancanza, secondo il recensore, di una sostanza del film, bollato come "futile vuoto di sofferenza psicologica".
A parte che, come dicono Zelgadis e Rygar, anche solo esporre uno stato di malessere verso la vita non è cosa disprezzabile in sé (ma qua si va su pareri personali, può piacere come no, ed è legittimo), mi sembra che di sostanza ce ne sia.
Già solo il conflitto tra l'innocenza e la speranza della bambina e la disillusione-ragione del soldato, segnalato anche dal recensore, è un elemento importante. Con il distruggersi delle speranze fanciullesche, la bambina compie una fuga disperata che può concludersi solo con la morte oppure con la crescita e l'accettazione di un mondo disilluso (ma si può anche pensare che l'annegamento rappresenti la morte del sé bambino a cui subentra l'adulto e che quindi racchiuda entrambe le possibilità insieme).
Andando a un livello di interpretazione più profondo (e più mio), mi sembra che TnT rappresenti l'impossibilità nel mondo attuale di una religione o un'ideologia capaci di sostenere l'uomo e dargli speranza. Queste si riducono in un cercare di afferrare delle ombre, senza possibilità di successo, o in una speranza che è facilmente frangibile (quella dell'uovo). Allo stesso tempo però la ragione, la verità forse, rappresentata dall'uomo-soldato, è solo capace di frantumare le speranze e la fede, senza tuttavia poter dare una ragione di vita in grado di sostenere l'uomo, ridotto a vagare senza una meta precisa.
Una simile antonimia, senza possibilità di uscita e portatrice di una visione pessimistica e disincantata della vita può non piacere, e in quel caso il basso voto può essere legittimo, ma dire che non c'è sostanza è un'altra cosa e non mi sembra questo il caso.
Quando Oshii ha creato TnT non si trovava solamente nel bel mezzo di un periodo difficile della sua vita, ma si era appena avvicinato al Cristianesimo (religione che poi avrebbe abbandonato). E ' un film molto personale, che tocca corde delicatissime, ognuno gli attribuisce significati differenti.
Mi ci ritrovo completamente! Un anime, (ma soprattutto un manga) davvero molto particolare e forte, come tutte le opere di Maruo. Non dico "fortemente consigliato" solo perché chiaramente non è un'opera per tutti.
Complimenti anche agli altri due recensori!
Eh, ma si sa: quando viene pubblicata una recensione negativa di un'opera famosa, i suoi estimatori (me compreso, ovviamente) la devono difendere a spada tratta, neanche qualcuno stesse insidiando la virtù della loro ragazza
Scherzi a parte mi ero dimenticato di dire che la recensione di AkiraSakura mi ha invogliato a mettere Midori tra le opere da vedere. Sembra decisamente interessante...
Non sono d'accordo con la recensione di Soul Of Gold troppo critica a mio parere per un progetto nato unicamente per vendere nuovi Myth! L'unica critica che gli faccio io è di correre troppo in tutti i sensi, avrebbero dovuta farla almeno di 26 episodi in modo da approfondire scontri, dialoghi ed avversari, davvero un peccato perchè essendo un progetto stracommerciale poteva venir fuori comunque una ottima serie, invece è solo la solita discreta serie only for fan, quale solo io quindi come intrattenimento mi è piaciuta!
Sulla recensione, Al contrario di Shiryu, trovo l'ambientazione del film datata. Se il regista avesse mantenuto più elementi "urbani e riconoscibili", lo spettatore l'avrebbe considerato più vicino a se, provando maggiore empatia (Monogatari).
Seppur il voto cozzi drasticamente con lo scritto, la recensione è ben scritta.
Non è il massimo dire "io penso che in questo caso sia un errore tentare lo sforzo di leggere tanto a fondo", e poi fare un'analisi dei punti considerati salienti utilizzando le opinioni di un altro.
Per poi tornare all'inizio dove a quanto pare il regista Mamoru Oshii rispose che non lo sapeva nemmeno lui. Questo cosa significa? Che Amano ne sa di più o che quello era il suo punto di vista emerso durante la produzione dell'opera?
Tenshi no tamago è qualcosa che supera la parola capolavoro! È l'opera definitiva di Oshii.
Leggere una simile recensione, e vedere quel voto, mu deprime più del sentimento che ha provato tizio nel vedere il film.
Lasciamo perdere....
Il senso è che quel disagio è inutile e dannoso per lo spettatore, naturalmente parlo per me.
Te lo spiego, nonostante le offese ingiustificate.
Cosa c'entra Leopardi?
Io sono ateo, e mi pare che a credere in una religione fosse proprio Oshii ai tempi di questo film, quindi non capisco bene perché mi chiedi se io sia un rigido religioso.
Non sono avverso ai dubbi esistenziali e alle visioni pessimistiche per quello che sono, quel che non apprezzo è quando pare che l'unico effetto sullo spettatore voglia essere quello dello sterile tormento che si ritorce su sè stesso, senza dare una minima scintilla verso la serenità. Se poi lo spettatore gode nel farsi del male, allora alzo le mani, ma io mi sottraggo da un tale masochismo.
Spesso i ciechi vedono molto di più di coloro che hanno la vista, sai?
Coloro che hanno l'uso degli occhi anzi, sono alle volte affetti da una cecità psicologica che li rende molto fragili alla lettura di certe recensioni.
Non sono d'accordo.
La sofferenza non è fine a sè stessa quando in essa stessa è data la possibilità di allentarla.
Quando la sofferenza produce solo tormento che non può essere calmato, produce altra sofferenza ed è quindi, per definizione, fine a sè stessa.
Grazie!
Sì, una visione disincantata della vita, e ci sto dentro. Ma finché si tratta di questo, personalmente non avevo bisogno che fosse questo film a dirmelo. E poi? Il film si fossilizza lì, e dietro quella visione disincantata ci sono i castelli infranti nella vita di Oshii, il quale in questo film non sta comunicando al suo pubblico ma si sta solo guardando allo specchio. La mia impressione è questa, e la trovo una cosa un po' sterile.
Le "opinioni di un altro", in realtà sono informazioni di un character designer che lavorò direttamente al film. Quel che ho voluto dire, e qui potevo spiegarmi meglio, è che quando si ha a che fare con un prodotto così poco accessibile nel suo linguaggio è meglio documentarsi invece di interpretarlo per mezzo di puri voli pindarici ad libitum, quelli che volgarmente chiameremmo "sxxxe mentali".
Capisco cosa vuoi dire, ma le opere artistiche sono in primo luogo dei messaggi. E' facile interpretarli a piacimento, ma il regista cosa voleva dire quando li ha scritti? A me interessa questo, preferisco mantenere il contatto con la realtà.
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