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Onigiri ai friarielli

Episodi visti: 24/24 --- Voto 6
Non so bene perché ma mi sono approcciato a Blue Miburo aspettandomi una storia cruda e matura, ambientata nel turbolento periodo finale dello shogunato, e focalizzata sull’ascesa e la caduta di un gruppo di giovani samurai. Le mie aspettative, però, si sono rivelate in parte infondate. Tralasciando il periodo storico, la serie adotta toni decisamente più leggeri con piccoli sprazzi di situazioni drammatiche. Siamo di fronte ad una trama e a personaggi di un classico shonen, ma che prova, a modo suo, ad esprimere anche dei concetti più profondi.

La trama si svolge nel 1863 in Giappone, a pochi anni dalla caduta dell’ultima era dello shogunato. Ci troviamo a Kyo – futura Kyoto, che all’epoca era la capitale giapponese – e narra le vicende di un ragazzo orfano, di nome Nio, che entra a far parte di un gruppo di ronin con lo scopo iniziale di proteggere lo shogun arrivato da Edo (l’attuale Tokyo). Nio è un ragazzo brillante e acuto per la sua età, ma ciò che lo distingue davvero è la sua enorme generosità. Sceglie di seguire il gruppo di ronin perché spinto da un forte senso di giustizia e la consapevolezza di poter eliminare, o quanto meno smussare la criminalità a Kyo. Con una forte determinazione riesce a convincere in qualche modo i “Lupi di Mibu” a seguire i propri nobili ideali e a lottare insieme per un futuro di pace e giustizia per i più deboli. Il gruppo di ronin non gode certo di un’ottima reputazione. Del resto non sono proprio ben visti dalla popolazione di Kyo e vengono spesso additati come dei lavativi e farabutti. Nonostante questo, mentre il gruppo è impegnato ad aiutare la popolazione, si ritrova coinvolto nel conflitto tra progressisti e conservatori, determinati dal contesto storico.

Queste sono, a grandi linee, le premesse che Blue Miburo porta avanti e non senza incongruenze. È certamente lodevole da parte di Nio avere degli obiettivi così nobili, ma come riesce a convincere il gruppo di ronin - che per definizione sono dei samurai disonorati, decaduti e al limite della criminalità - risulta banale e molto semplicistico. Ci si sarebbe potuti arrivare con un approccio più realistico e con una dinamica più complessa capace di valorizzare meglio il gruppo che rappresentano. Nio è un ragazzo umile e generoso che dà sempre la priorità nell’aiutare il prossimo, chiunque esso sia. Si impegna tantissimo per riuscire negli allenamenti e i suoi tratti distintivi sono l’onestà, l’empatia e il costante pensiero di aiutare i più deboli. Tutte caratteristiche del canonico protagonista shonen. Non è difficile notare somiglianze con Naruto, non solo nei valori ma anche con lo stesso modo di fare. Quindi la sua caratterizzazione manca di originalità e carisma. Al contrario i vari componenti dei Lupi di Mibu hanno ricevuto una caratterizzazione più ricercata e con una maggiore varietà. Troviamo il carismatico, quello enigmatico, il classico personaggio calmo e tranquillo ma che poi risulta il più spietato di tutti ecc… Tuttavia, anche qui si avverte una certa incoerenza. La fama negativa che li circonda viene solo accennata, e nella pratica la narrazione tende a smentirla con troppa leggerezza. Alcune delle loro azioni sembrano confermare la loro pericolosità, ma la serie preferisce concentrarsi quasi esclusivamente sulla loro “riabilitazione morale”, creando così un po’ di confusione sull’identità e il ruolo effettivo di questi personaggi.

Un’altra grande occasione mancata riguarda il contesto storico, un’epoca molto affascinante e sempre poco esplorata. Parliamo infatti degli ultimi anni dello shogunato Tokugawa; un periodo turbolento, segnato da profondi cambiamenti sociali, politici e culturali, che poteva sicuramente offrire spunti narrativi di grande valore. Negli ultimi anni sono uscite opere come la serie Tv “Shogun” e il videogioco “Assassin’s Creed Shadow”, che raccontano altri periodi storici dello shogunato, approfondendo molto di più il contesto sociale che veniva scaturito dall’avvento degli stranieri in terra giapponese. Le circostanze in Blue Miburo sono le medesime, ma oltre ad essere un pretesto per i vari antagonisti e per una frangia della popolazione, non vengono utilizzate per costruire un contesto più coerente dove percepire meglio la tensione del rinnovamento del paese, che nella realtà avverrà da lì a pochi anni. Quest’aria di cambiamento viene appena accennata dalle due fazioni in conflitto, divise in coloro che sostengono il progresso portato dall’esterno, e coloro che invece si battono per difendere le tradizioni giapponesi. Secondo il mio parere, questi due poli opposti avrebbero meritato uno sviluppo diverso. Sarebbe stato interessante vedere come questi ideali potessero influenzare le scelte dei personaggi o riflettersi nei loro percorsi personali, magari adottando toni leggermente più maturi, senza però tradire lo spirito semplicistico della serie. Un equilibrio difficile, certo, ma che avrebbe potuto donare al contempo una profondità in più, rendendolo interessante anche sul piano tematico.

Uno degli aspetti che ho apprezzato maggiormente, invece, è stato l’approfondimento dei personaggi secondari del gruppo e dei vari nemici che si susseguono. Approfondire il background di un determinato personaggio porta a capire meglio le motivazioni che hanno le proprie azioni. Anche questo approccio ricorda molto quello usato in Naruto, dove la narrazione si sofferma sui singoli individui, rivelando le storie personali in modo che lo spettatore possa entrare in empatia con loro. L’umanizzazione dei villain e il modo in cui le loro storie vengono intrecciate con quelle principali contribuiscono a dare maggiore spessore al personaggio stesso.

Dal punto di vista tecnico, Blue Miburo si presenta con un livello abbastanza accettabile. Non un capolavoro da parte dello studio Maho Film certo, ma neanche un lavoro inguardabile. Il design dei personaggi risulta abbastanza semplice, ma comunque curato, così come gli sfondi e gli ambienti che riescono a ricreare un’atmosfera adatta alla storia. La vera nota dolente, però, sono le animazioni che risultano davvero troppo limitate e statiche. Anche durante gli scontri, che in un anime d’azione come questo dovrebbero essere il punto di forza, non migliorano di certo. Infatti troviamo animazioni troppo ripetitive e spesso c’è un uso eccessivo del “cut to black” che porta subito a termine lo scontro. Al contrario ho trovato davvero all’altezza tutto il comparto sonoro, dove le musiche originali di Yuki Hayashi regalano la giusta atmosfera alla serie e al periodo storico stesso. Ben contestualizzata sia nei momenti di gioia che in quelli più drammatici. Anche durate gli scontri le musiche sono ben coordinate così come ben adattate nelle scene di slice of life.

Blue Miburo si presenta come un buon anime, che purtroppo non riesce a esprimere appieno il suo potenziale, ma che con qualche accortezza in più poteva sicuramente essere più apprezzato dal pubblico e magari ottenere un richiamo maggiore. Non mancherà certo l’occasione di riscatto, dato che è stata annunciata una seconda stagione, con la speranza che questa possa concentrarsi di più sulla narrazione dell’interessante contesto storico e apportare qualche miglioramento sul punto di vista tecnico. Le premesse ci sono tutte, ma andrebbero sfruttate al meglio per far risaltare il prodotto. Con l’evoluzione che sta attraversando il mondo dell’animazione giapponese, questo è sicuramente possibile, a patto che vengano rispettati i diritti di chi lavora dietro le quinte.