Koyomimonogatari
Qua si ritorna a uno stile grafico più semplice, dopo i picchi qualitativi raggiunti con "Kizumonogatari".
La stagione inizia, come spesso accade in questa serie, sbeffeggiando le previsioni dello spettatore e presentando un paio di brevi storie dove la parola d'ordine è: "Non tutto è come può sembrare".
Inoltre, si osservano i suoi protagonisti in situazioni più o meno quotidiane collocate in diversi archi temporali, ripercorrendo praticamente tutta la storia delle precedenti stagioni.
Ma è nel finale che viene lanciata la bomba che dà un peso totalmente diverso a questo tratto di storia e che porta estrema curiosità verso la stagione successiva. Probabilmente, per me è stato il finale più "peculiare" dell'intera serie, e questo ne alza nettamente il voto.
La stagione inizia, come spesso accade in questa serie, sbeffeggiando le previsioni dello spettatore e presentando un paio di brevi storie dove la parola d'ordine è: "Non tutto è come può sembrare".
Inoltre, si osservano i suoi protagonisti in situazioni più o meno quotidiane collocate in diversi archi temporali, ripercorrendo praticamente tutta la storia delle precedenti stagioni.
Ma è nel finale che viene lanciata la bomba che dà un peso totalmente diverso a questo tratto di storia e che porta estrema curiosità verso la stagione successiva. Probabilmente, per me è stato il finale più "peculiare" dell'intera serie, e questo ne alza nettamente il voto.
Nel 2016 lo studio Shaft dà alla luce “Koyomimonogatari”, serie di dodici episodi basata sul quattordicesimo volume della light novel “Monogatari”, scritta da Nisio Isin e illustrata da Vofan.
L’anime propone un’impostazione alquanto differente rispetto alle opere precedenti: le puntate di cui è composto, la cui durata varia dagli undici ai quindici minuti circa, presentano infatti storie brevi e autoconclusive. Nella maggior parte dei casi, si tratta di presunti racconti di anomalie di “seconda mano”, i quali, però, si rivelano costantemente nella norma. Ogni puntata, inoltre, si colloca in un mese diverso del nostro calendario, a partire dall’aprile di “Nekomonogatari” per arrivare a marzo dell’anno seguente.
Non so se le varie storie narrate si potranno rivelare fondamentali in un prossimo futuro, ma per ora sembrano non avere alcuna utilità ai fini della trama. Eppure, ho trovato “Koyomimonogatari” una serie davvero affascinante. I racconti di false anomalie, che all’inizio paiono senza senso, giunti nella parte finale dell’episodio riescono quasi sempre a colpire lo spettatore e a comunicargli un piccolo messaggio. Complici, come sempre, sono i consueti e particolari dialoghi, ricchi di ragionamenti singolari. Ad essi si accompagnano diverse simbologie, a volte facilmente intuibili e altre un po’ meno, che si nascondono dietro gli elementi della nostra vita quotidiana e trattano i temi più disparati. Ovviamente non tutte le mini-storie riescono appieno: un paio di episodi li ho trovati più deboli rispetto ad altri.
L’unica eccezione è costituita dalle ultime due puntate, collocate dopo “Tsukimonogatari” e quindi indispensabili per non pendersi nella grande trama tessuta da Nisio Isin. Riprendendo un po’ gli schemi delle opere antecedenti, il finale stupisce con i soliti colpi di scena e lascia letteralmente col fiato sospeso.
Per quanto riguarda i personaggi, non vi sono crescite o approfondimenti importanti per i comprimari conosciuti finora. Tuttavia, le diverse ragazze faranno a turno per assumere il ruolo di co-protagonista assieme al nostro Koyomi. Per quest’ultimo, invece, ci saranno continue sorprese che lo porteranno a riflettere e a cambiare il suo punto di vista non poche volte.
Il comparto tecnico si mantiene sempre sugli stessi livelli: bei disegni, buone animazioni e sfondi ben realizzati. Sempre ottimo il lavoro svolto dalle OST. In particolare, da segnalare la traccia ricorrente nel momento in cui Koyomi annuncia “E ora l’epilogo, o meglio, la battuta finale”, che incide profondamente sui misteri rivelati e i messaggi che ne scaturiscono. Per quel che riguarda le sigle, orecchiabile l’inedita ending; per le opening, invece, sarà un piacere riascoltare - e guardare - le vecchie sigle già proposte, le quali variano in base alla ragazza protagonista dell’episodio.
Tirando le somme, “Koyomimonogatari” non raggiunge lo stesso splendore delle altre stagioni. Tuttavia, la considero una serie davvero deliziosa, che con piccoli oggetti della vita di tutti i giorni porta a riflettere su temi altrettanto diffusi nella nostra quotidianità. Da non perdere, poi, lo strabiliante finale. Voto: 7,5.
L’anime propone un’impostazione alquanto differente rispetto alle opere precedenti: le puntate di cui è composto, la cui durata varia dagli undici ai quindici minuti circa, presentano infatti storie brevi e autoconclusive. Nella maggior parte dei casi, si tratta di presunti racconti di anomalie di “seconda mano”, i quali, però, si rivelano costantemente nella norma. Ogni puntata, inoltre, si colloca in un mese diverso del nostro calendario, a partire dall’aprile di “Nekomonogatari” per arrivare a marzo dell’anno seguente.
Non so se le varie storie narrate si potranno rivelare fondamentali in un prossimo futuro, ma per ora sembrano non avere alcuna utilità ai fini della trama. Eppure, ho trovato “Koyomimonogatari” una serie davvero affascinante. I racconti di false anomalie, che all’inizio paiono senza senso, giunti nella parte finale dell’episodio riescono quasi sempre a colpire lo spettatore e a comunicargli un piccolo messaggio. Complici, come sempre, sono i consueti e particolari dialoghi, ricchi di ragionamenti singolari. Ad essi si accompagnano diverse simbologie, a volte facilmente intuibili e altre un po’ meno, che si nascondono dietro gli elementi della nostra vita quotidiana e trattano i temi più disparati. Ovviamente non tutte le mini-storie riescono appieno: un paio di episodi li ho trovati più deboli rispetto ad altri.
L’unica eccezione è costituita dalle ultime due puntate, collocate dopo “Tsukimonogatari” e quindi indispensabili per non pendersi nella grande trama tessuta da Nisio Isin. Riprendendo un po’ gli schemi delle opere antecedenti, il finale stupisce con i soliti colpi di scena e lascia letteralmente col fiato sospeso.
Per quanto riguarda i personaggi, non vi sono crescite o approfondimenti importanti per i comprimari conosciuti finora. Tuttavia, le diverse ragazze faranno a turno per assumere il ruolo di co-protagonista assieme al nostro Koyomi. Per quest’ultimo, invece, ci saranno continue sorprese che lo porteranno a riflettere e a cambiare il suo punto di vista non poche volte.
Il comparto tecnico si mantiene sempre sugli stessi livelli: bei disegni, buone animazioni e sfondi ben realizzati. Sempre ottimo il lavoro svolto dalle OST. In particolare, da segnalare la traccia ricorrente nel momento in cui Koyomi annuncia “E ora l’epilogo, o meglio, la battuta finale”, che incide profondamente sui misteri rivelati e i messaggi che ne scaturiscono. Per quel che riguarda le sigle, orecchiabile l’inedita ending; per le opening, invece, sarà un piacere riascoltare - e guardare - le vecchie sigle già proposte, le quali variano in base alla ragazza protagonista dell’episodio.
Tirando le somme, “Koyomimonogatari” non raggiunge lo stesso splendore delle altre stagioni. Tuttavia, la considero una serie davvero deliziosa, che con piccoli oggetti della vita di tutti i giorni porta a riflettere su temi altrettanto diffusi nella nostra quotidianità. Da non perdere, poi, lo strabiliante finale. Voto: 7,5.
Ormai ho perso il conto di tutte le serie di “Monogatari”, e devo ammettere che ogni volta sono state capaci di stupire e meravigliare quasi come la prima. In questa occasione, non posso che rinnovare la mia approvazione nei confronti di una serie originale, che lascia da parte tutti i vari stereotipi del genere, li usa a modo suo e li sconvolge al tempo stesso. Un’intricata sequenza di dialoghi psichedelici, che assorbono lo spettatore e lo catapultano in un mondo tutto particolare.
Tuttavia, devo anche puntualizzare che questi dodici episodi (della durata di dodici/quattordici minuti circa) colpiscono leggermente meno rispetto alle opere precedenti, e in seguito vi mostrerò anche il motivo.
“Koyomimonogatari” è una storia che descrive all’incirca una durata di tempo di un anno, quello stesso anno in cui Koyomi, protagonista assoluto della serie, ha dovuto affrontare tutti i vari pericoli visionati nelle serie passate. Una sorta di calendario, che rimette un po’ in ordine le vicende trascorse e ci mostra tali disavventure da un punto di vista assolutamente particolare, ovvero quello privato del protagonista.
Tuttavia non ci verranno riproposte avventure già viste, sebbene le citazioni siano ben presenti; man mano Koyomi si ritrova ad affrontare un caso dopo l’altro, chiedendo aiuto alle amiche che l’hanno sostenuto durante tutto quel periodo: Hanekawa, Senjougahara e Kanbaru in primis. Difficoltà di minor rilievo rispetto a quelle a cui ci ha abituato, ma allo stesso tempo interessanti e intriganti.
Ogni puntata ci mostra nuovamente una delle tante fanciulle che si è in qualche modo interessata a Koyomi, facendole proporre un mistero, prontamente risolto dal protagonista (o meglio, da colei a cui avrebbe chiesto consiglio).
Se da un lato la storia attira e non annoia per nulla, dall’altro perde quella forza espressiva e quella dinamicità che avevano entusiasmato in passato. Le varie puntate possiedono un finale autoconclusivo, che smorza leggermente i toni del racconto generale. Di fatto questa è una storia che ci è già stata raccontata, e con essa pure i vari protagonisti...
Ma allora qual è il motivo per proporci una serie di tal genere? Personalmente l’ho considerata come una grande opera di riordino generale, che serve a tirare le somme di quanto visto finora e, perché no, dare una bella spinta verso possibili rivolgimenti futuri. Un riassunto che ridistribuisce tutti gli eventi in un ordine cronologico che era essenzialmente mancato in tutte le varie serie. Un lavoro, forse, meno entusiasmante, ma sicuramente interessante. Piccole storie di “avventura quotidiana”, che, per la maggior parte dei casi, si risolvono con un nulla di fatto, ma che offrono comunque la possibilità di far crescere i vari personaggi proposti, anche se di poco.
Sul comparto tecnico si punta relativamente poco: l’impostazione di base è la solita. Squadra che vince, non si cambia, e la Shaft questo lo sa molto bene, visto che ci tiene molto a preservare il suo stile piuttosto particolare.
Buono il doppiaggio e anche la colonna sonora, per i quali, d’altra parte, mi preoccupavo ben poco.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è stata la scelta, a mio avviso molto azzeccata, di ridurre a metà la durata classica dell’episodio. Come già detto, è quasi un’opera di ricapitolazione, costituita da dodici puntate autoconclusive. Metterle da venticinque minuti avrebbe sicuramente appesantito la trama e rallentato ancor di più i ritmi (già di per sé molto blandi).
Le puntate passano, l’intensità cresce e il finale distrugge, letteralmente. Sono bastati solamente dieci minuti per poter riaccendere quella scintilla che pareva essersi leggermente spenta, grazie a uno sviluppo assolutamente inaspettato. E ora cosa accadrà? Non lo so, assolutamente. Ma di una cosa sono sicuro: non vedo l’ora di poter assistere alla prossima serie “Monogatari”.
Voto finale: 7 più
Tuttavia, devo anche puntualizzare che questi dodici episodi (della durata di dodici/quattordici minuti circa) colpiscono leggermente meno rispetto alle opere precedenti, e in seguito vi mostrerò anche il motivo.
“Koyomimonogatari” è una storia che descrive all’incirca una durata di tempo di un anno, quello stesso anno in cui Koyomi, protagonista assoluto della serie, ha dovuto affrontare tutti i vari pericoli visionati nelle serie passate. Una sorta di calendario, che rimette un po’ in ordine le vicende trascorse e ci mostra tali disavventure da un punto di vista assolutamente particolare, ovvero quello privato del protagonista.
Tuttavia non ci verranno riproposte avventure già viste, sebbene le citazioni siano ben presenti; man mano Koyomi si ritrova ad affrontare un caso dopo l’altro, chiedendo aiuto alle amiche che l’hanno sostenuto durante tutto quel periodo: Hanekawa, Senjougahara e Kanbaru in primis. Difficoltà di minor rilievo rispetto a quelle a cui ci ha abituato, ma allo stesso tempo interessanti e intriganti.
Ogni puntata ci mostra nuovamente una delle tante fanciulle che si è in qualche modo interessata a Koyomi, facendole proporre un mistero, prontamente risolto dal protagonista (o meglio, da colei a cui avrebbe chiesto consiglio).
Se da un lato la storia attira e non annoia per nulla, dall’altro perde quella forza espressiva e quella dinamicità che avevano entusiasmato in passato. Le varie puntate possiedono un finale autoconclusivo, che smorza leggermente i toni del racconto generale. Di fatto questa è una storia che ci è già stata raccontata, e con essa pure i vari protagonisti...
Ma allora qual è il motivo per proporci una serie di tal genere? Personalmente l’ho considerata come una grande opera di riordino generale, che serve a tirare le somme di quanto visto finora e, perché no, dare una bella spinta verso possibili rivolgimenti futuri. Un riassunto che ridistribuisce tutti gli eventi in un ordine cronologico che era essenzialmente mancato in tutte le varie serie. Un lavoro, forse, meno entusiasmante, ma sicuramente interessante. Piccole storie di “avventura quotidiana”, che, per la maggior parte dei casi, si risolvono con un nulla di fatto, ma che offrono comunque la possibilità di far crescere i vari personaggi proposti, anche se di poco.
Sul comparto tecnico si punta relativamente poco: l’impostazione di base è la solita. Squadra che vince, non si cambia, e la Shaft questo lo sa molto bene, visto che ci tiene molto a preservare il suo stile piuttosto particolare.
Buono il doppiaggio e anche la colonna sonora, per i quali, d’altra parte, mi preoccupavo ben poco.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è stata la scelta, a mio avviso molto azzeccata, di ridurre a metà la durata classica dell’episodio. Come già detto, è quasi un’opera di ricapitolazione, costituita da dodici puntate autoconclusive. Metterle da venticinque minuti avrebbe sicuramente appesantito la trama e rallentato ancor di più i ritmi (già di per sé molto blandi).
Le puntate passano, l’intensità cresce e il finale distrugge, letteralmente. Sono bastati solamente dieci minuti per poter riaccendere quella scintilla che pareva essersi leggermente spenta, grazie a uno sviluppo assolutamente inaspettato. E ora cosa accadrà? Non lo so, assolutamente. Ma di una cosa sono sicuro: non vedo l’ora di poter assistere alla prossima serie “Monogatari”.
Voto finale: 7 più