Come abbiamo comunicato sul sito, mentre molti di voi lo avevano già sperimentato in prima persona, per un periodo di circa 24 ore tra venerdì e sabato 8 febbraio il PlayStation Network di PS5 e PS4 è stato fuori servizio, rendendo impossibile fare praticamente qualsiasi cosa diversa dal giocare ad un videogame posseduto su disco.

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Nonostante il ritorno alla mente dell'attacco hacker subito dalla Sony nel 2011 con blocco di tutti i servizi per ben 23 giorni (ce ne fu un altro nel 2023 con richiesta di riscatto alla compagnia, ma senza disservizi per gli utenti), le funzionalità del PSN sono state completamente ripristinate in un periodo tutto sommato accettabile, seppur con diverse giuste lamentele dai gamer che aspettavano il weekend per provare la beta di Monster Hunter Wilds (che Capcom ha prorogato nella sua durata) o semplicemente per staccare la spina dopo una settimana di impegni. Sony ha quindi offerto delle rapide scuse e comunicato il risarcimento del danno regalando cinque giorni di PlayStation Plus a tutti gli abbonati, dimenticandosi completamente di tutti i non abbonati che, nonostante fossero nel pieno possesso di una copia digitale di un gioco single player, non hanno potuto giocarci.

Ma quindi tutto è bene quel che finisce bene? Eh no, per lo meno non secondo il mio modo di vedere le cose.

Sony e PlayStation avranno anche tutto l'interesse a proteggere la propria immagine di fronte agli azionisti, ma gli utenti, che ricordiamolo sono i veri destinatari e clienti delle compagnie videoludiche, hanno tutto il diritto di sapere cosa sia successo e perché i servizi siano andati offline per 24 ore. Non è possibile che risolvere il tutto parlando di un "problema operativo" e rimborsando solo una parte degli interessati dal problema, così come non è concepibile che durante il blocco non arrivasse nessun messaggio da parte della casa di Tokio, che comunque non è nuova a questi comportamenti (il già menzionato attacco del 2011 avvenne tra il 17 e il 19 aprile ma le notizie ufficiali arrivarono solo il 4 maggio). La solidità e l'affidabilità della sicurezza informatica è fondamentale per un colosso che vive di questo e nel quale confidano milioni di persone in tutto il mondo, ma è allo stesso tempo fondamentale una comunicazione tempestiva e chiara qualora si presentassero problemi, anche per evitare la fuga di fake news

Parto da quanto sopra per allargare la riflessione ad un altro concetto, seguitemi.

Mi sembra estremamente sbagliato che il possesso di un titolo in forma digitale sia così diverso dall'aver acquistato, allo stesso prezzo, lo stesso gioco su disco. La necessità di verificare continuamente (il controllo periodicamente all'interno della stessa sessione) che l'utente che stia giocando sia il proprietario del codice, cosa che di fatto obbliga ad una connessione costante ad internet (a patto che il PSN sia pienamente operativo, ovviamente), è qualcosa di eccessivamente penalizzante e che spinge in maniera insistente a dare ragione a quelle polemiche riguardo al possesso sempre più labile di giochi che, però, vengono pagati a prezzo pienissimo, non potendo neanche sperare in copie usate. Chiaramente quanto detto non riguarda strettamente solo PlayStation quanto più il concetto di "always online" che può e deve avere un senso, ma solo in determinati contesti e possibilmente tenendo fuori da questi tutti i giochi che non richiedono una connessione per essere goduti.

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Dove sto cercando di arrivare? Semplicemente al pensiero che i videogiocatori, in generale, dovrebbero godere di maggior considerazione. Lo sappiamo anche noi che le copie in digitale sono un risparmio per i produttori (anche se non è assolutamente vero che non interessano più al pubblico), ma allora non penalizzate chi non può avere una connessione sempre attiva, altrimenti torneremo al fisico (ah, ma le console future potrebbero non avere più il lettore) e non considerate utenti di serie B quelli che non sono abbonati ai vostri servizi. Sempre più spesso ho la percezione che la maggior parte delle decisioni siano prese senza tenere assolutamente conto delle volontà degli utilizzatori finali, nella distorta convinzione che qualsiasi cosa accada questi penderanno dalle scelte degli amministratori della compagnia di turno. Qualcuno, ai piani alti di Electronic Arts, è ancora davvero convinto che se Dragon Age: The Veilguard fosse stato un live service allora avrebbe avuto successo. Come se gli innumerevoli flop e gli ancora più roboanti fallimenti, non fossero stati un monito abbastanza importante in tal senso.

Insomma, abbiamo capito come stanno le cose e se da un lato le soluzioni appaiono anche banali, dall'altro non c'è nessuna garanzia che vengano messe in pratica, perché ultimamente pare non esserci alcuna intenzione di programmare in maniera razionale. Il nostro mondo è in continua evoluzione, ma questo cambiamento non può essere imposto dall'alto, deve partire dal basso e fare in modo di tornare ad invogliare le persone a fidarsi e spendere tempo e soldi in questo meraviglioso hobby. Quindi sta a noi, giocatori e stampa, farci sentire sia alzando la voce, sia soprattutto votando con il nostro portafogli, facendo capire dove gira il mercato e come vogliamo che vengano fatte le cose. Prima o poi saranno obbligati ad ascoltare.
 

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