Siamo in un mondo in cui l'alchimia è considerata un tabù e portatrice di sventure, Yumia Liessfeldt, una giovane alchimista che ha perso la madre in un incidente quando era piccola, si unisce ad una coppia di un gruppo di ricerca, formato da Viktor von Duerer e sua sorella minore Isla, per scoprire la verità dietro la caduta di Aladass, un impero che un tempo prosperava grazie all'alchimia. La missione di Yumia la porterà ad attraversare un continente in rovina e, tra l'incertezza di confrontarsi con il proprio passato e i ricordi di una storia perduta, per trovare il proprio percorso e svelare i misteri che si celano dietro il cataclisma che ha distrutto Aladiss.
Gust, in costante coerenza con il pregresso della sua serie di turno, pare attraversare una fase di spasmodica ricerca di nuovi spunti di osservazione del mercato, del modo di stare a galla, non nascondendo una certa difficoltà nel trovare una quadra tra innovazione e tradizione. Il tutto viene ripresentato, di Atelier in Atelier, tramite un aggiornamento perenne alla formula, in maniera mai doma, possibilmente non staccandosi dalla filosofia della serie ma provando qualche nuovo ingrediente, con il rischio di bruciare qualcosa, proprio come avviene con le sempre carinissime protagoniste dinnanzi ad un calderone. Ryza ha salvato la serie, dice Junzo Hosoi, le forme più rotonde del solito di Ryza sono un segnale della crisi economica giapponese, dice lo stesso, ora non ci allarghiamo (le cosce), un “ci piaceva così” è più credibile, non sempre c’è bisogno di giustificare un buon design. Sono passati esattamente due anni dall’uscita di Atelier Ryza 3: Alchemist of the End & the Secret Key, ultimo atto delle avventure di Reisalin che in realtà non aveva convinto del tutto, tra una narrazione che faticava a decollare e un impianto esplorativo e di progressione francamente da rivedere. Se questo è il futuro della serie Atelier, tanto vale fermarsi al più riuscito Sophie 2, era il pensiero che aleggiava, non senza un po’ di rammarico, ma dall’altra parte c’era anche la consapevolezza che Gust si sarebbe rimboccata le maniche, come già aveva fatto con quello che ritengo ancora oggi uno dei picchi dell'azienda, Blue Reflection Second Light, prendendosi questa volta il tempo necessario abbandonando finalmente quella cadenza annuale della serie che, per quanto encomiabile, iniziava a diventare anacronistica. Tra le mie domande poste a Junzo Hosoi in occasione dell’uscita di Sophie 2 c’era anche questa: “a volte ci chiediamo cosa potrebbe fare Gust se avesse tre anni di tempo”, ne sono passati due, ma è già qualcosa, oggi possiamo constatare se questa cottura più lenta del solito ha portato effettivamente ad un risultato migliore.
Innanzitutto, si assiste ad un cambio di paradigma per quel che riguarda la nuova protagonista, diversa da chi l’ha preceduta. Ha un’aria più adulta, la nostra Yumia, con questa frangia a metà quasi a non far trapelare troppo le emozioni, neo sotto l’occhio, vistosi tacchi a spillo che non sono solo orpello di abbigliamento ma assumono la funzione di strumento di lotta e mobilità; niente più “sugoi”, e “subarashii” per ogni cosa che le capita davanti, la lunga scia del modello moe avviata con Rorona sembra qui accantonato, nella ricerca di un corrispettivo che guarda di più alla prima epoca PS2 (Lilie), o alla più recente Valeria, co-protagonista del gioco mobile Resleriana. Paragoni comunque un po’ forzati, poiché Yumia è una novità assoluta non tanto nell’estetica, quanto nel modo in cui il suo ruolo viene plasmato nel mondo di gioco. Fin dalle sue origini del 1997, la serie Atelier ha sempre trattato quello dell’alchimista come un mestiere, a metà tra l’artigiano, il farmaceutico e l’operaio, che sovente include al suo interno altre branche come archeologia e la gemmologia; un mestiere indubbiamente speciale e non alla portata di tutti, vuoi per attitudine naturale, talento o altro, ma comunque un mestiere. In alcuni capitoli della serie, come nella trilogia di Salburg o nei due Mana Khemia, l’alchimia è una disciplina abbastanza diffusa e ben nota alla popolazione, trasmessa di maestro ad allievo o addirittura insegnata in accademie specializzate, in altre, come in Atelier Ayesha, è una conoscenza quasi scomparsa e prerogativa di pochissime persone. A prescindere, però, da quanto sia diffusa o meno nei vari mondi, l’alchimia è sempre stata vista in maniera positiva, quale aiuto concreto alle persone e risolutrice di problemi più o meno rilevanti. Per cui, la figura dell’alchimista, che da apprendista alle prime armi fa crescere pian piano il suo sgangherato Atelier, diventa nella sua comunità una piccola eroina, ma non inteso come l’eroe di una storia fantasy, bensì, semplicemente, come una persona che ha migliorato la condizione di chi le sta attorno, fino ad assumere quasi il ruolo di una idol della sua città, ammirata e benvoluta da tutti, questa cosa è molto visibile in particolare nel corso della serie Arland.
Ebbene, Atelier Yumia descrive uno scenario totalmente diverso, in questo mondo l’alchimia è una disciplina proibita e causa di sventura, avendo portato in passato alla rovina un intero impero, di conseguenza, la protagonista viene trattata con diffidenza, in alcuni casi timore, da parte di chi oggi popola queste terre in rovina, e dovrà faticare non poco per guadagnare la loro fiducia. Tale virata narrativa trova ulteriore conferma con l’inserimento, anche questo abbastanza inusuale per la serie, di un carismatico gruppo di veri e propri villain, la cui natura è indissolubilmente legata all’alchimia intesa come una scienza malvagia, con gli alchimisti visti e narrati oralmente come figure arroganti ed egoiste che giocano a fare esperimenti senza curarsi delle conseguenze. Può emergere il dubbio chiedendosi se questa ricercata "maturazione" della narrativa, su di un titolo diverso, verrebbe trattata come la norma e non come una novità, rischiando di storcere il giudizio o l'identità stessa della serie Atelier e di ciò l'ha contraddistinta per oltre venticinque anni, ma fortunatamente, al di là dei gusti personali e del proprio attaccamento alla formula, siamo dinnanzi ad una produzione rispettosa nei confronti del nome che porta, pur mossa da un sentimento di cambiamento.
È interessante notare come Atelier Yumia, nonostante rappresenti il primo capitolo di, si presume, una nuova sotto-saga, si muova nei territori del coming-of-age slegandolo da quell’aderenza all’Atelier inteso come luogo di studio e di formazione, con una protagonista che pare già una novella Lara Croft, sensuale nelle movenze e armata di fucile per le sue escursioni. L'attributo scenico dell’avventura archeologica, già in parte esplorato nella mai troppo lodata trilogia del crepuscolo, trova nel modello open world un naturale alleato, rincorso forse anche per l’esplosione di Genshin Impact e derivati, ma in realtà già accarezzato da un primo tentativo attuato con Atelier Firis (2016); un apparentamento dovuto in particolar modo alla voglia da parte di Gust di alzare l’asticella produttiva, senza aver timore di confrontarsi con i propri limiti tecnici. La meticolosa cura nella realizzazione scenografica, con regioni che si distinguono per fauna, flora e conformazione con una notevole propensione alla verticalità, potrebbe essere già di per sé un buon punto di partenza per un eventuale e più rifinito sequel, nonostante si può incorrere nell'impressione, scalando ed esplorando queste rovine, tra meccanismi, enigmi e nebbie da diradare, di essere immersi in un impianto open world, per quanto indubbiamente migliore di quello di Ryza 3, a tratti un po’ soffocante, con tutti questi punti interrogativi da cancellare dalla mappa, e che rischia poco per volta col dominare buona parte del nostro tempo, sbilanciandosi troppo da questa parte per chi preferirebbe concentrarsi sulla storia e le vicende dei personaggi. La moto corre in nostro aiuto per velocizzare gli spostamenti, anche se la conformazione del terreno, in larga parte accidentato e irregolare, non la rende così comoda come si potrebbe inizialmente pensare, raramente la corsa dura più di qualche secondo, vuoi perché devi scendere per scalare quella roccia, per sparare a qualcosa, o perché vai a sbattere contro un mostro facendo scattare il combattimento.
In determinate aree della mappa possiamo poi costruire un rifugio, che deve essere provvisto quantomeno degli strumenti più essenziali: baule per gli oggetti, banco di lavoro, letto, altare alchemico, tutto il resto, è puro piacere sandbox, al netto di piccoli obiettivi di costruzione che il gioco mette a disposizione per sbloccare nuove ricette. In un'epoca in cui apparentemente tutto trova il suo senso solo se condiviso online, sembra una perdita di tempo stare lì a mettere la sedia B piuttosto che la sedia A, per farla abbinare meglio con il divano C e il colore del tappeto, ma è esattamente quello che è successo, minuti interi a posizionare in maniera certosina quell’impalcatura, quel mobile, quella colonna, quell’inutile fontana in giardino. Una spada nella roccia all’entrata? Perché no. Il tutto per costruire qualcosa che, nel mio caso, nessuno vedrà mai, ma fortunatamente oggi esiste YouTube e varrà la pena attendere il 21 marzo anche solo per vedere quali rifugi tireranno fuori i giocatori più creativi. Il processo di sintesi, punto fermo della serie, segue la formula della semplificazione attuata con Atelier Ryza, ma fortunatamente con qualche personalizzazione in più grazie all’innesto dei core, selezionabili all’inizio del processo, con i quali possiamo decidere quale caratteristica dell’oggetto andare a potenziare, se gli effetti aggiuntivi, maggiormente indicato per gli oggetti consumabili, o la qualità dello stesso, ad esempio. La scelta automatizzata degli ingredienti andrà a selezionare i migliori in base ad un filtro, velocizzando il processo delle sintesi più semplici, ma per le creazioni più complesse i veterani della serie andranno a selezionare gli ingredienti con maggior zelo per un risultato più personalizzato, specie quando entrano nell’equazione anche gli slot Trait. In questi frangenti Yumia non perde mai l’occasione di farci ammirare la sua neanche poi tanto dichiarata passione per la danza, le prime volte stai lì ad ammirarla, alla ventesima la cosa si fa lunga e fortunatamente scopri che esiste il tasto per saltare le animazioni, vederla fare delle piroette anche per creare della semplice farina neanche stesse evocando un Bahamut, fa sorridere in un certo senso.
In battaglia Atelier Yuma propone un’evoluzione del sistema in tempo reale visto in Atelier Ryza e nel recente Fairy Tail 2, composto da attacchi speciali e di mischia eseguibili con i tasti principali e il rapido utilizzo di oggetti offensivi tramite i medesimi, una volta effettuato l’apposito “switch” (R1) nell’interfaccia comandi, per un totale di quattro a personaggio. Sia le abilità uniche dei personaggi che gli oggetti hanno un proprio cooldown, ovvero che una volta usati necessitano di un periodo di ricarica, ciò sprona non solo l’utilizzo in successione di diversi attacchi, ma all’occorrenza anche l’interscambio tra i vari personaggi, ancora meglio se immediatamente dopo una schivata, in questo caso il compagno entrante andrà ad effettuare un attacco aggiuntivo. Seppur limitata è infatti presente una mobilità in battaglia, il personaggio utilizzato si muove grosso modo a cerchio intorno al nemico o al gruppetto di nemici (ma sempre di fatto un'unica entità), così da poter schivare i suoi colpi, la cui gittata è sempre ben segnalata sul terreno, ma può anche allontanarsi qualora il pericolo dovesse farsi maggiore; in base alla distanza, cambia anche la tipologia dei suoi attacchi speciali. Dopo vari esperimenti più o meno riusciti, dunque, Gust è riuscita a mettere in piedi un sistema di combattimento davvero interessante, sicuramente più semplice da imparare che da spiegare, essendo tutto abbastanza intuitivo facendolo sembrare a tratti quasi un rhythm game, e se all’inizio sterminare mostri ci sembrerà fin troppo facile, con i personaggi che livellano ad una velocità impressionante, con il proseguire del gioco e l’arrivo nelle regioni più remote ci renderemo conto della necessità di creare oggetti ed armamenti sempre più potenti, fare mashing sui tasti schivando ogni tanto non basterà più ed è qui che il sistema mostra il suo potenziale, legandosi in maniera soddisfacente con il sistema di sintesi. Se vi è un difetto, questo lo si trova nella scarsa varietà di tecniche personali dei personaggi, i quali, rispetto al passato, fanno fatica a distinguersi in un ruolo specifico che non sia banalmente quello di avanguardie e retrovie, difetto che rende alla lunga i combattimenti monotoni da vedere, più che da giocare, da questo punto di vista vi sono ampi margini di miglioramento.
Tecnicamente Atelier Yuma è il capitolo più ambizioso della serie e non potrebbe essere altrimenti, l’idea accarezzata fin dai tempi di Firis di un Atelier totalmente aperto trova finalmente consacrazione e senza grossi intoppi, al netto di qualche sbavatura tecnica dovuta all’inesperienza e al fatto che i limiti esplorativi sul terreno non sono sempre chiarissimi; Yumia ha una mobilità sorprendente e a volte si ha la sensazione di arrivare nei punti più assurdi, forse sarebbe stato più elegante conferirle la possibilità di arrampicarsi con qualcosa tipo dei guanti speciali, invece di vederla saltare come un grillo anche sulle rocce più ripide. Piccolezze in ogni caso, dal lato della direzione artistica siamo dinnanzi ad uno dei migliori della serie, con luoghi ricchi di fascino e modelli dei personaggi espressivi al punto giusto. Buona anche la colonna sonora, condivisibile infine la scelta di prendere una doppiatrice poco più che agli inizi, come Wakana Kuramochi, per il ruolo di Yumia, che si è dimostrata bravissima, a cui sono state affiancate figure decisamente di spicco come Mikako Komatsu, Jun Fukuyama, Takehito “Dio Brando” Koyasu e Takaya “Kazuma Kiryu” Kuroda rispettivamente su Nina, Rutger e due dei villain principali.
Gioco testato su PS5, disponibile dal 21 marzo anche per PS4, Xbox, Switch e PC.
Pro
- Il cambio di toni della narrazione è convincente
- Un mondo in rovina tutto da scoprire
- Sistema di combattimento frenetico e dilettevole
Contro
- Ampi margini di miglioramento nell'esplorazione e nella varietà in battaglia
Questo mese con Suikoden 1/2 e Xenoblade Chronicles x in uscita sono apposto
Puoi farti una casa solo di barili.
In Yuma la componente slice of life viene lasciata molto da parte, forse proprio per questo, non ne ho sentito la mancanza, c'è proprio un mood diverso. In futuro, quando la protagonista sarà più serena, chissà.
Seconda cosa è l'open world. Sì ok, Firis lo era, ma aveva sempre il fattore tempo che era limitato e dovevi terminare determinate quest entro un tempo limite e dare l'esame entro l'anno (con tutti i prerequisiti). Il tempo era congruo, ma non potevi prendertela comoda, qui sei più libero di muoverti come vuoi (livelli permettendo)?
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