Irezumi è il termine con cui in giapponese si indica la tecnica di tatuaggio tipica del Sol Levante. Una tecnica che rischia di sparire a causa di un retaggio culturale che lega la pratica del tattoo alla criminilità organizzata ma anche ad una legislazione fumosa che potrebbe contribuire ad una fuga dei principali artisti in questo campo verso l'Occidente. Ma c'è chi si batte per mantenere viva questa tradizione, per nobilitarla e per poterla esercitare alla luce del sole.
 

Il tatuaggio giapponese, come dicevamo, è eseguito attraverso una tecnica e con uno spirito molto diversi rispetto a quelli occidentali. Innanzitutto l'Irezumi ama gli ampi spazi. Un tatuaggio piccolo in stile giapponese non è una buona cosa e per dare il meglio di sé ha bisogno di grandi porzioni di pelle. La tecnica è molto particolare e molto dolorosa.
All'inizio ci fu la pratica di marchiare i criminali con strisce nere sulle braccia e ciò non rese certo popolare questa pratica fra le persone comuni. Poi con il passare dei secoli arrivò l'usanza per i pompieri di Edo (l'antica Tokyo) di tatuare l'intero corpo: i temi rappresentati erano di solito simboli di acqua (come la carpa o il dragone) come buon auspicio contro i pericoli del lavoro. Durante il periodo Meiji l'Irezumi venne di nuovo osteggiato: il governo infatti voleva proteggere l'immagine della nazione agli occhi degli stranieri, quindi il tatuaggio tornò ad essere un simbolo dell'appartenenza al crimine organizzato e tale è rimasto fino ai giorni nostri.
 

Nell'immaginario collettivo nipponico una persona tatuata apparterrà sicuramente alla yakuza e quindi le verrà negato l'accesso alle onsen, alle piscine o nelle palestre (dove essendo nudi o quasi, non si possono nascondere i disegni sotto ai vestiti). Ma non solo: essere tatuati significa anche essere discriminati sul luogo di lavoro (nel 2012 il sindaco di Osaka licenziò i dipendenti che avevano dichiarato di avere tatuaggi sul corpo) o vedersi negata la possibilità di aprire un conto in banca (per farlo occorre autocertificare di non appartenere ad un'organizzazione criminale ed è inutile dire che non vi crederanno mai se avrete tatuaggi visibili).
Chi se la passa peggio però sono i tatuatori: non devono solo difendersi dall'accusa di essere delinquenti (nella maggior parte dei casi sono infatti essi stessi tatuati) ma devono anche affrontare le conseguenze legali perché non sono autorizzati a svolgere la loro professione.
 

Infatti legalmente parlando, per poter aprire uno studio di tattoo, occorrerebbe aver conseguito una laurea in medicina. Esiste infatti una legge che che vieta a chiunque non sia un medico autorizzato di eseguire "pratiche mediche". La sua violazione può comportare 3 anni di carcere o una multa fino a 1 milione di yen.
Un comunicato del Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare nel 2001 ha stabilito che il tatuaggio, insieme con la depilazione laser e i peeling chimici, è una pratica medica perché coinvolge un ago che fora la pelle. Ma per diventare medico occorre affrontare un percorso di studi lungo e difficile che poco a che fare con il lavoro del tatuatore, molto più vicino a quello di un artista che di un dottore.
 

Quindi la stragrande maggioranza dei tatuatori esercita nell'illegalità e questo provoca numerosi problemi, primo fra tutti l'igiene: in Giappone non esistono leggi che regolamentino le norme di igiene. Benché il Sol Levante sia un paese in cui la pulizia è tenuta in grande considerazione, si possono comunque verificare situazioni pericolose, come il propagarsi di malattie legate alla contaminazione con sangue infetto ad esempio.
Il fatto che il governo giapponese non voglia occuparsi della questione e riconoscere l'irezumi come una vera e propria forma d'arte dandogli dignità e svincolando dall'immaginario criminale, obbliga i tatuatori a vivere nella clandestinità, affidandosi al passa parola per svolgere la loro professione. Si cera quindi una sorta di zona grigia: le autorità sanno benissimo chi fa cosa ma difficilmente interviene per compiere controlli ed arresti, seguendo la regola del "non chiedere, non dire". Ma ogni tanto occorre far vedere che la legge va rispettata, per dare il buon esempio e mantenere l'immagine pubblica di buona amministrazione.
 

È il caso di Taiki Masuda, tatuatore di Osaka, che dopo aver subìto una perquisizione nel 2015 che gli è costata una multa di 300.000 yen (più di 2.000 euro), ha deciso di sfidare lo status quo e ha fatto causa alle autorità. Il processo è così iniziato nell'aprile di quest'anno e per aumentare le sue possibilità di vittoria Taiki Masuda ha fondato assieme a Kiyoshi Shimizu una ONG chiamata "Save Tattooing in Japan" con cui sperava di ottenere il sostegno necessario e soprattutto di far conoscere l'assurda situazione in cui vivono i tatuatori nipponici.
 


Purtroppo Masuda ha perso la causa (sebbene la sua multa sia stata dimezzata) e questo potrebbe portare gravi conseguenze per tutto il mondo dei tatuatori. Molti potrebbero decidere di operare di nascosto (con nessun controllo sanitario) e altri di trasferirsi all'estero per continuare a lavorare dove le loro opere sono decisamente più apprezzate.
L'ironia è che oggi il Giappone può vantare alcuni degli artisti del tatuaggio più apprezzati al mondo. Per esempio, Horiyoshi III è considerato un vero maestro. Ha un museo dedicato al suo lavoro a Yokohama e nel 2012 la Somerset House a Londra gli ha dedicato una mostra. Il tatuatore Horimitsu a Tokyo ha 42.000 seguaci su Instagram e pare che fra i suoi clienti ci sia anche il cantante pop americano John Mayer.
 

Nonostante il riconoscimento internazionale di molti artisti giapponesi di questo settore, al momento non esiste un quadro giuridico specifico, nè un sistema di licenze per gli artisti del tatuaggio.
I clienti devono fidarsi ciecamente degli operatori, sperando che stiano sterilizzando correttamente la loro apparecchiatura. Sarebbe perciò tempo che venga varato un sistema chiaro di autorizzazioni che permetta di salvare dall'estinzione quest'arte.

Fonti consultate:
Japanization
Cnn