Il fumetto vende tantissimo, sia l'anime televisivo che il film animato prequel (presto in Italia) sono diventati delle hit. Il successo di Jujutsu Kaisen è innegabile, motivo per cui sempre più persone si sono chiesti sui social se l'autore, Gege Akutami, fosse un uomo o una donna. Persino il mangaka Ken Akamatsu, autore di Love Hina e Negima, ha recentemente scritto su Twitter "Gli ultimi bestseller di Jump sembrano essere opera di donne, non sarà così anche per Jujutsu Kaisen e Demon Slayer?".
In realtà abbiamo avuto il piacere di sentire la voce di Akutami in una celebre intervista dell'anno scorso (del quale attualmente è disponibile solo un brevissimo spezzone, il resto è stato cancellato da YouTube), quindi non dovrebbero esserci più dubbi sul fatto che possa essere o meno uomo o donna, sempre che vi vogliate fidare che fosse la sua vera voce, ovvio.
E' comprensibile che Gege Akutami non abbia mai voluto rivelare pubblicamente il suo volto per proteggere la sua privacy, ma è anche comprensibile il sentimento dei lettori, interessati a sapere chi realizza le opere che tanto amano. Pare che una grossa fetta di lettori di Jujutsu Kaisen sia convinta, nonostante tutto, del fatto che Gege Akutami sia una donna.
Sono effettivamente molti i casi di mangaka donne che utilizzano uno pseudonimo maschile, unisex o che non faccia capire il sesso: Fumiya Sato, disegnatrice di Kindaichi; Hiromu Arakawa, autrice di Fullmetal Alchemist; Tsukasa Ooshima, autrice di Shoot, per dirne alcuni. Anche Koyoharu Gotouge, mangaka di Demon Slayer, non ha mai rivelato il proprio sesso e sono in molti a pensare che sia una donna.
I lettori di riviste shounen sono molto attenti a questo genere di questioni, e in passato molti manga shounen scritti da donne sono stati evitati dai lettori proprio perché scritti da donne, perciò anche le autrici e i membri della redazione ci hanno fatto caso e si sono regolati di conseguenza. Ad esempio, Natsuko Heiuchi, l'autrice di shounen calcistici anni novanta come Offside e J Dream, usava lo pseudonimo maschile Masato Heiuchi perché, come scritto nel suo spazio commenti del decimo volume di Offside "Probabilmente, nessuno leggerebbe un manga sportivo scritto da una donna". Fumiya Sato, disegnatrice di Kindaichi, invece, ha usato uno pseudonimo maschile su idea dell'editor.
La tendenza secondo cui gli shounen scritti da donne non vendano è scomparsa al giorno d'oggi, tuttavia i lettori spesso si interrogano sui social chiedendosi se certi mangaka non siano donne, e le autrici spesso danno ancora peso a questo tipo di commenti. Non se ne parla poi chissà quanto, ma le mangaka che scrivono su riviste maschili sono più di quanto si pensi.
Anche in passato, vi erano mangaka dal nome ambiguo, come Momoko Sakura (Chibi Maruko-chan) o Yoshito Usui (Crayon Shin-chan), e ci sono molti autori che non vogliono mostrarsi in pubblico e fanno ritirare i premi alle cerimonie dai loro editor, o altri che si nascondono dietro maschere (come la Paru Itagaki di Beastars).
Sono anche inaspettatamente numerosi i casi di donne che hanno scelto la professione di mangaka perché sono madri single, e svolgere un lavoro che si può fare da casa come quello dell'autore di fumetti fa loro molto comodo. Molte autrici donne preferirebbero che i lettori si concentrassero sull'opera invece che pensare al sesso dell'autore.
Secondo Takenori Ichihara, ex redattore capo di Shounen Sunday, anche se il target primario della rivista sono gli adolescenti maschi di quattordici anni, attualmente il numero di lettori (ma anche di redattori) che discriminano le autrici donne sta diminuendo. Tuttavia, pare che una delle principali ragioni per cui le autrici donne non vogliono essere identificate come tali sia il fatto che uno shounen scritto da una donna viene sempre presentato, pur senza malizia, come un'opera sensibile e raffinata, cosa che non succede con gli shounen scritti da maschi.
Fonte consultata:
Nifty News
A domande stupide bisognerebbe rispondere in maniera intelligente, ad esempio indicando esempi di scrittici famose che hanno scritto libri apprezzati da un pubblico eterogeneo con protagonisti maschili. Ce ne sono a bizzeffe! Non voglio sminuire le difficoltà ed umiliazioni che le donne possono ancora purtroppo incontrare, ma bisogna ricordarsi che non viviamo più (per fortuna) in un'epoca in cui le donne venivano relegate nel gineceo, ed è necessario ricordarlo anche a chi solleva obiezioni ornai sorpassate. C'è una miriade di scrittici che ha dimostrato di essere in grado di scrivere per qualunque pubblico e su qualsiasi argomento, dall'horror ai manuali di informatica, dai libri di ricette fino all'astrofisica. Chi mette in dubbio ciò dev'essere rimasto ai tempi di "Piccole Donne" (un romanzo niente male comunque) credo, e non fa onore ad un settore che dovrebbe essere l'emblema della cultura di una società, mentre invece continua a reiterare stereotipi di genere da lungo tempo confutati.
Per questo per me è un passo indietro ogni qual volta un'autrice è costretta (o decide di sua spontanea volontà) ad usare pseudonimi per avere una maggiore speranza di successo.
Se la storia è bella e ti piace che te ne frega del genere della persona?
Ha senso, secondo la nostra ottica.
Bisogna però ragionare sul Giappone, sulla sua cultura, la sua storia editoriale, la sua difficile realtà riguardo l'emancipazione femminile.
Fino a un decennio fa, c'era la convinzione da parte degli editori che le donne non fossero in grado di fare serie shonen manga, che non aveva l'abilità manuale e intellettiva per sostenere i ritmi e le tecniche applicate a quei fumetti. Ho letto di convinzioni assurde, come quella che le donne fossero del tutto incapaci di utilizzare i retini.
Davanti a un editor che probabilmente si preoccupa più del nome dell'autore che del contenuto, con la convinzione "se i lettori leggeranno un nome femminile, potrebbero non leggere il manga", il cambio nome è una scelta scontata.
Non per niente per decenni le riviste shojo sono state scenario di rivoluzioni e sperimentazioni, le autrici che volevano creare shonen manga li hanno fatti fregandosene e mostrando il loro talento dentro le riviste shojo. E così hanno attaccato anche una delle problematiche che alimenta il sessismo nel mondo manga: le categorie editoriali. Ce n'è davvero ma davvero bisogno?
Oggi le cose stanno cambiando, ma le autrici che ad oggi hanno tra i 40 e i 60 anni (o più) hanno dovuto affrontare una certa serie di pregiudizi, di ostacoli, di blocchi; non sorprende che molte abbiano preferito utilizzare un nome maschile per togliere il problema alla base. La loro battaglia l'hanno comunque combattuta e anche se non tutte si sono presentate come "Rumiko Takahashi", hanno fatto del loro meglio per farsi valere e poi rivelare la loro identità.
La storia della privacy è una cavolata: un nome d'arte risolve tutto, ma perché al maschile?
Non mi sento di giudicare le autrici di oggi che ancora si nascondono, specialmente se alle loro prime produzioni, è normale che agiscano sotto il consiglio degli editor.
Poi ci sono eccezioni di chi transgender e chi non-binary, ma credo che siano poche le eccezioni di questo tipo.
Per tanto, è IMPORTANTISSIMO che le donne non si nascondano, si rivelino.
E' un segnale positivo anche da parte degli editori, per dimostrare concretamente che qualcosa sta cambiando. E se non cambia dal mondo editoriale (dell'arte, della comunicazione), non può cambiare altrove.
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