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9.5/10
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Come sarebbe la vita in un villaggio dove gli abitanti sono ninja? E' quello che Masashi Kishimoto ci mostra nel suo manga "Naruto". Il protagonista, che dà il nome al manga, è un ragazzo appena uscito dalla scuola di ninja (un titolo di studio è sempre necessario) e che intraprende le prime missioni in giro per il mondo. Perché essere ninja è un mestiere duro e bisogna fare la gavetta.

Naruto ci insegnerà, nei settecento capitolo della serie, il suo punto di vista sull'amicizia. Quella vera. Quella che può scaturire quando due anime sono vicine davvero, anche quando combattono su due fronti diversi di una guerra.

Il primo grande punto di forza del manga è la sceneggiatura: i personaggi (amici e nemici) sono numerosi e ben caratterizzati. Specialmente i "cattivi" che non sono mai "cattivi a prescindere" ma hanno sempre delle ottime ragioni per fare quello che fanno. Ma l'equilibrio della narrazione garantisce che il lettore non si affezioni a loro e che le simpatie si concentrino sui "buoni".

La storia è organica e coerente: se un personaggio che compare nel primo numero ha una cicatrice, a metà della (lunga) serie potremmo scoprire come se l'è guadagnata, rimanendo anche sorpresi di come le conseguenze abbiano ripercussioni dirette sulla trama. Ogni volta che il lettore viene sorpreso da un colpo di scena, insomma, ci si rende conto che c'erano indizi seminati lungo tutto il cammino.

Si ha l'impressione che Kishimoto abbia scritto la storia dettagliatamente e nella sua interezza prima di impugnare la matita e disegnare la prima tavola. Resta altrimenti difficile capire come gli avvenimenti abbiano radici concrete e intrecciate con gli eventi che succedono nei volumi molto precedenti. Per questo motivo le vicende non appaiono mai forzate o poco plausibili, ma sembrano naturali.

E in un manga di ninja non possono mancare i combattimenti che ne costituiscono l'ossatura portante. Anzitutto l'autore sfugge al cliché del "compare il nemico; l'eroe viene sconfitto; l'eroe si allena; l'eroe sconfigge il nemico". Tolta la banalità del "ciclo dell'eroe" Kishimoto inquadra inoltre i combattimenti come scontri d'astuzia fatti di stratagemmi e contromosse che non fanno rimpiangere le esplosioni barocche, già abusate nelle serie come Dragon Ball e che hanno smesso di stupire.

Gli scontri per giunta non sono solo fisici, ma sono una vera e propria resa dei conti fra le ragioni del "cattivo" e le ragioni del "buono". L'antagonista non viene solo sconfitto sul piano fisico, ma viene messo in discussione il suo punto di vista, ma senza lasciarsi andare a buonismi. Il bianco e il nero del mondo di Naruto diventa infatti sempre più sfumato di grigio. Anche in questo caso lo scontro non è banale e offre un ulteriore piano di confronto.

Il disegno di Kishimoto è preciso e puntiglioso ed è un continuo osare con prospettive diverse dal solito. Con il passare dei volumi e degli anni, il tratto si fa ancora più preciso e "aperto" con tante parti bianche che alleggeriscono le tavole pur mantenendole dettagliate. Le tavole, anche nei momenti più concitati, rimangono pulite e comprensibili.

In definitiva "Naruto" sfugge agli schemi dei manga del suo genere e riesce a essere piacevolmente unico meritandosi il successo che ha guadagnato.

Per chi avesse dei dubbi, consiglio di leggere i primi volumi del manga fino allo scontro con Zabuza. Questa prima parte racchiude in sé lo spirito di tutti i settecento capitoli e svolge, a mio avviso, il ruolo di "episodio pilota" per l'intera serie.