Marco dagli Appennini alle Ande
Dopo il successo internazionale di “Heidi” si consolidò un vero e proprio sotto-genere, un movimento denominato meisaku, che vedeva autori giapponesi ispirarsi a romanzi della letteratura occidentale per le loro serie animate. Dalla stessa formazione di “Heidi” e in particolare dal trittico Takahata (regia e sceneggiatura), Miyazaki (layout) e Kotabe (chara) nel 1976 nacque “Marco - Dagli Appennini alle Ande”, opera ispirata a un racconto presente nel romanzo pedagogico “Cuore” di Edmondo De Amicis.
“Marco - Dagli Appennini alle Ande” è la storia di Marco Rossi, un ragazzino genovese di nove anni che viaggerà fino in Argentina alla ricerca della madre costretta a emigrare dall’Italia per lavoro. Nel suo lungo e travagliato viaggio, passando per navi, treni e mezzi di fortuna, il bimbo attraverserà Marsiglia, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Bahia Blanca, fino a giungere a Cordoba e infine a Tucumán, incontrando sul suo tragitto una miriade di personaggi, tutti degnamente caratterizzati e con una credibile demarcazione psicologica (alcuni veramente di spessore). Come il burattinaio Pepe, un alcolizzato cialtrone dal cuore tenero, e le sue tre figlie (Violetta, la secondogenita, nutre del tenero per il protagonista), con cui Marco, grazie anche alla sua estroversa scimmietta Peppino, allestirà per le strade acclamati spettacoli di marionette. Nei carruggi di Genova il ragazzino si tempra iniziando a lavorare, facendo conoscere il suo vigore e la sua determinazione a tutta la città, talvolta come postino altre volte spolverando bottiglie per un bottegaio, non disdegnando nulla che possa aiutarlo a racimolare il denaro utile per il biglietto della nave in grado di avvicinarlo alla mamma.
E con la determinazione e perseveranza tipiche di chi ha un obiettivo da conseguire, al seguito di non poche fatiche, Marco riesce finalmente a imbarcarsi sulla “Folgore”, nave diretta inizialmente a Marsiglia; dopo mille peripezie il bambino si lascia alle spalle gli Appennini italici insieme alle incomprensioni con il padre e il fratello maggiore Tonio, contrari alla sua partenza, in attesa di approdare nelle brulle e calde Ande argentine.
Il ritmo è compassato, e potrebbe scoraggiare gli amanti della nuova scuola giapponese abituati a ben altri standard, tuttavia, nonostante qualche episodio leggermente sottotono e le cinquantadue puntate non proprio coadiuvate dagli avvicendamenti centellinati e dilatati, la storia prosegue coerente dall’inizio alla fine, coinvolgendo lo spettatore, grazie anche a un ottimo cast di comprimari sempre sul pezzo.
In grande spolvero Takahata, nel fiore dei suoi anni, la cui impeccabile regia richiama molto da vicino il cinema neorealista del Vittorio De Sica di “Ladri di biciclette”, conduzione illuminata dagli splendidi fondali dell’allora gregario Miyazaki, che si recò in perlustrazione a Genova per studiarne la demologia e morfologia: la città è riprodotta in modo cosi esemplare, da sembrare viva. Tale realismo purtroppo non si riscontra in tutti gli aspetti della produzione: il fatto che Marco non abbia problemi di comunicazione con gli stranieri e che nella serie è come se ci fosse un’unica lingua universale lascia perplessi, visto e considerato anche lo smodato numero di luoghi visitati dal bambino e quindi le diverse etnie incontrate, togliendo qualcosa in termini di pura immedesimazione.
Non manca la denuncia sociale, gli autori non temono censura e toccano temi quali migrazione, bullismo, violenza sugli animali e sfruttamento minorile, mostrandoci spesso scenari di povertà ed esseri umani in situazioni di estrema precarietà, nonché la critica a determinate classi sociali come dottori, poliziotti o controllori. Particolarmente toccante la scena in cui un ferroviere tramortisce con violente manganellate Pablo, l’amico a cui Marco ha salvato la sorella e che prova a far di tutto per sdebitarsi, fino addirittura a rischiare la vita per garantire un posto abusivo al nostro protagonista sul treno che lo condurrebbe dalla madre; perché Marco è un bambino che merita tale riconoscenza, un piccolo eroe capace di donare i soldi messi da parte con tanto sudore, che gli avrebbero permesso di acquistare il biglietto del treno per Cordoba, a un dottore in grado di operare la sorellina di un amico appena conosciuto (“La mamma mi capirebbe”). Un bambino capace di strisciare al suolo stremato durante una bufera di neve con una scarpa rotta e un’unghia staccata, pur di avvicinarsi alla madre di qualche metro. Indubbiamente, un profilo tanto maturo sarebbe più credibile nelle vesti di un individuo adulto, ma questo è un compromesso accettabile, se il bimbo diventa il mezzo educativo attraverso il quale il maestro Takahata decide di comunicare con i più piccoli. Non dimentichiamoci che i meisaku nascono come opere principalmente formative. Il viaggio di Marco, ragazzino la cui tenuta etica è un esempio per tutti, ancor prima che un’avventura, è il percorso di maturazione di un bambino alla sua partenza per il Sudamerica divenuto un ometto al suo ritorno a Genova.
Purtroppo la serie in Italia non ebbe un grandissimo riscontro, ottenebrata da altre produzioni che andarono in onda più o meno nello stesso periodo, come “Heidi” o “Anna dai capelli rossi”, le cui protagoniste femminili attiravano maggiormente anche le bambine.
Suona come un paradosso, visto che l’opera è ambientata per gran parte della sua durata proprio nel Bel Paese, ma in quel periodo preferivamo di gran lunga i robot.
Tecnicamente siamo su ottimi livelli, la resa visiva è quella di “Heidi” e, anche se oggi può risultare datata, all’epoca aveva quasi del miracoloso. L’utilizzo di pochi fotogrammi e una produzione decisamente low-budget rispetto a colossi come Disney non inficiano più di tanto la qualità delle animazioni, che seppur poco fluide e non proprio al passo coi tempi odierni riescono ancora a valorizzare i momenti più toccanti.
“Marco, dagli Appennini alle Ande” è un classico del meisaku, uno dei primissimi, poi innumerevoli fiori, nati dal sodalizio tra Takahata e Miyazaki, fiore dai cui petali poteva già scorgersi l’alba di un verdeggiante avvenire.
Voto: 8
“Marco - Dagli Appennini alle Ande” è la storia di Marco Rossi, un ragazzino genovese di nove anni che viaggerà fino in Argentina alla ricerca della madre costretta a emigrare dall’Italia per lavoro. Nel suo lungo e travagliato viaggio, passando per navi, treni e mezzi di fortuna, il bimbo attraverserà Marsiglia, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Bahia Blanca, fino a giungere a Cordoba e infine a Tucumán, incontrando sul suo tragitto una miriade di personaggi, tutti degnamente caratterizzati e con una credibile demarcazione psicologica (alcuni veramente di spessore). Come il burattinaio Pepe, un alcolizzato cialtrone dal cuore tenero, e le sue tre figlie (Violetta, la secondogenita, nutre del tenero per il protagonista), con cui Marco, grazie anche alla sua estroversa scimmietta Peppino, allestirà per le strade acclamati spettacoli di marionette. Nei carruggi di Genova il ragazzino si tempra iniziando a lavorare, facendo conoscere il suo vigore e la sua determinazione a tutta la città, talvolta come postino altre volte spolverando bottiglie per un bottegaio, non disdegnando nulla che possa aiutarlo a racimolare il denaro utile per il biglietto della nave in grado di avvicinarlo alla mamma.
E con la determinazione e perseveranza tipiche di chi ha un obiettivo da conseguire, al seguito di non poche fatiche, Marco riesce finalmente a imbarcarsi sulla “Folgore”, nave diretta inizialmente a Marsiglia; dopo mille peripezie il bambino si lascia alle spalle gli Appennini italici insieme alle incomprensioni con il padre e il fratello maggiore Tonio, contrari alla sua partenza, in attesa di approdare nelle brulle e calde Ande argentine.
Il ritmo è compassato, e potrebbe scoraggiare gli amanti della nuova scuola giapponese abituati a ben altri standard, tuttavia, nonostante qualche episodio leggermente sottotono e le cinquantadue puntate non proprio coadiuvate dagli avvicendamenti centellinati e dilatati, la storia prosegue coerente dall’inizio alla fine, coinvolgendo lo spettatore, grazie anche a un ottimo cast di comprimari sempre sul pezzo.
In grande spolvero Takahata, nel fiore dei suoi anni, la cui impeccabile regia richiama molto da vicino il cinema neorealista del Vittorio De Sica di “Ladri di biciclette”, conduzione illuminata dagli splendidi fondali dell’allora gregario Miyazaki, che si recò in perlustrazione a Genova per studiarne la demologia e morfologia: la città è riprodotta in modo cosi esemplare, da sembrare viva. Tale realismo purtroppo non si riscontra in tutti gli aspetti della produzione: il fatto che Marco non abbia problemi di comunicazione con gli stranieri e che nella serie è come se ci fosse un’unica lingua universale lascia perplessi, visto e considerato anche lo smodato numero di luoghi visitati dal bambino e quindi le diverse etnie incontrate, togliendo qualcosa in termini di pura immedesimazione.
Non manca la denuncia sociale, gli autori non temono censura e toccano temi quali migrazione, bullismo, violenza sugli animali e sfruttamento minorile, mostrandoci spesso scenari di povertà ed esseri umani in situazioni di estrema precarietà, nonché la critica a determinate classi sociali come dottori, poliziotti o controllori. Particolarmente toccante la scena in cui un ferroviere tramortisce con violente manganellate Pablo, l’amico a cui Marco ha salvato la sorella e che prova a far di tutto per sdebitarsi, fino addirittura a rischiare la vita per garantire un posto abusivo al nostro protagonista sul treno che lo condurrebbe dalla madre; perché Marco è un bambino che merita tale riconoscenza, un piccolo eroe capace di donare i soldi messi da parte con tanto sudore, che gli avrebbero permesso di acquistare il biglietto del treno per Cordoba, a un dottore in grado di operare la sorellina di un amico appena conosciuto (“La mamma mi capirebbe”). Un bambino capace di strisciare al suolo stremato durante una bufera di neve con una scarpa rotta e un’unghia staccata, pur di avvicinarsi alla madre di qualche metro. Indubbiamente, un profilo tanto maturo sarebbe più credibile nelle vesti di un individuo adulto, ma questo è un compromesso accettabile, se il bimbo diventa il mezzo educativo attraverso il quale il maestro Takahata decide di comunicare con i più piccoli. Non dimentichiamoci che i meisaku nascono come opere principalmente formative. Il viaggio di Marco, ragazzino la cui tenuta etica è un esempio per tutti, ancor prima che un’avventura, è il percorso di maturazione di un bambino alla sua partenza per il Sudamerica divenuto un ometto al suo ritorno a Genova.
Purtroppo la serie in Italia non ebbe un grandissimo riscontro, ottenebrata da altre produzioni che andarono in onda più o meno nello stesso periodo, come “Heidi” o “Anna dai capelli rossi”, le cui protagoniste femminili attiravano maggiormente anche le bambine.
Suona come un paradosso, visto che l’opera è ambientata per gran parte della sua durata proprio nel Bel Paese, ma in quel periodo preferivamo di gran lunga i robot.
Tecnicamente siamo su ottimi livelli, la resa visiva è quella di “Heidi” e, anche se oggi può risultare datata, all’epoca aveva quasi del miracoloso. L’utilizzo di pochi fotogrammi e una produzione decisamente low-budget rispetto a colossi come Disney non inficiano più di tanto la qualità delle animazioni, che seppur poco fluide e non proprio al passo coi tempi odierni riescono ancora a valorizzare i momenti più toccanti.
“Marco, dagli Appennini alle Ande” è un classico del meisaku, uno dei primissimi, poi innumerevoli fiori, nati dal sodalizio tra Takahata e Miyazaki, fiore dai cui petali poteva già scorgersi l’alba di un verdeggiante avvenire.
Voto: 8
Marco è un meisaku classicissimo, che segue i successi di "Heidi" (1974) e "Il fedele Patrasche" (1975). Prodotto dalla Nippon Animation nel 1976 è realizzato da una triade di autori di altissimo livello: Takahata alla regia, Kotabe alla sceneggiatura e al character design, e Miyazaki agli scenari. Si tratta degli stessi autori di Heidi e la somiglianza tra Heidi e Marco a livello di character design è evidente. È anche evidente la somiglianza tra il chara di Violetta (la figlia del burattinaio Pepe, grande amica di Marco) e molti personaggi femminili delle opere di Miyazaki, a partire dalla Miss Monsley di Conan il ragazzo del futuro. Già solo per il character design e per le associazioni positive che comporta, Marco si prende un punto di merito.
A questo vanno aggiunti altri punti per gli stupendi scenari in cui Miyazaki supera sé stesso, date le possibilità tecniche degli anni in cui la serie viene realizzata. Quasi ogni scenario sembra un quadro dipinto: in particolare sono indimenticabili i tramonti sullo sfondo della sterminata pampa argentina. Non per questo si possono trascurare le meravigliose scene con Marco che corre attraverso i vicoli di Genova (Miyazaki si documentò di persona visitando la città) e le vedute aeree dei tetti di Genova.
La regia è pure di livello eccellente, tanto che una serie così lunga (52 episodi) invece di stancare con il tempo, visto anche il ritmo piuttosto lento, diventa sempre più avvincente. Anzi, con il passare delle puntate diventa impossibile staccarsi dallo schermo e, specialmente nelle puntate finali, si sente veramente la fatica di Marco impegnato a percorrere gli ultimi durissimi chilometri che lo separano dalla madre, senza una scarpa, con un piede ferito, senza cibo e in mezzo a una tormenta di neve nella pampa sconfinata.
Tutti i personaggi sono ben studiati e ben caratterizzati, anche quelli che s'intravedono per una sola puntata. A differenza dalle serie moderne edulcorate, a Marco capita di tutto: a volte incontra brave persone che lo aiutano, a volte incontra profittatori che lo imbrogliano o lo derubano, altre volte incontra tipacci dal pugno duro e dal coltello facile, oppure gauchos taciturni dal cuore d'oro, ma anche odiose megere e dolcissime suore: insomma, tutto un vastissimo campionario d'umanità.
Assegno una nota di merito anche per la sigla italiana - opera di Vince Tempera - che è una di quelle che si fanno ricordare nei decenni. Io ci vedo una qualche somiglianza con la sigla di Anna dai capelli rossi, sempre a opera dello stesso Tempera. Del resto il maestro Tempera ha firmato più o meno tutte le sigle degli anime trasmessi dalla Rai in quegli anni, a partire da Atlas Ufo Robot. Concludo con una nota personale. Ho visto Marco solo di recente. Da bambino ne ho fuggito la visione, perché ero in un'età in cui il genere meisaku mi era venuto in odio, motivo per cui mi rifiutai di guardarlo. Lo lasciavo guardare a mia madre e a mio fratello piccolo, io ormai ero "grande" e guardavo i robottoni, non certo i meisaku, robetta da bambini e da femminucce! Inutile dire che con gli anni ho cambiato idea.
Voto complessivo: 8,5, ma lo arrotondo a 9 perché è un anime sempre in crescita.
A questo vanno aggiunti altri punti per gli stupendi scenari in cui Miyazaki supera sé stesso, date le possibilità tecniche degli anni in cui la serie viene realizzata. Quasi ogni scenario sembra un quadro dipinto: in particolare sono indimenticabili i tramonti sullo sfondo della sterminata pampa argentina. Non per questo si possono trascurare le meravigliose scene con Marco che corre attraverso i vicoli di Genova (Miyazaki si documentò di persona visitando la città) e le vedute aeree dei tetti di Genova.
La regia è pure di livello eccellente, tanto che una serie così lunga (52 episodi) invece di stancare con il tempo, visto anche il ritmo piuttosto lento, diventa sempre più avvincente. Anzi, con il passare delle puntate diventa impossibile staccarsi dallo schermo e, specialmente nelle puntate finali, si sente veramente la fatica di Marco impegnato a percorrere gli ultimi durissimi chilometri che lo separano dalla madre, senza una scarpa, con un piede ferito, senza cibo e in mezzo a una tormenta di neve nella pampa sconfinata.
Tutti i personaggi sono ben studiati e ben caratterizzati, anche quelli che s'intravedono per una sola puntata. A differenza dalle serie moderne edulcorate, a Marco capita di tutto: a volte incontra brave persone che lo aiutano, a volte incontra profittatori che lo imbrogliano o lo derubano, altre volte incontra tipacci dal pugno duro e dal coltello facile, oppure gauchos taciturni dal cuore d'oro, ma anche odiose megere e dolcissime suore: insomma, tutto un vastissimo campionario d'umanità.
Assegno una nota di merito anche per la sigla italiana - opera di Vince Tempera - che è una di quelle che si fanno ricordare nei decenni. Io ci vedo una qualche somiglianza con la sigla di Anna dai capelli rossi, sempre a opera dello stesso Tempera. Del resto il maestro Tempera ha firmato più o meno tutte le sigle degli anime trasmessi dalla Rai in quegli anni, a partire da Atlas Ufo Robot. Concludo con una nota personale. Ho visto Marco solo di recente. Da bambino ne ho fuggito la visione, perché ero in un'età in cui il genere meisaku mi era venuto in odio, motivo per cui mi rifiutai di guardarlo. Lo lasciavo guardare a mia madre e a mio fratello piccolo, io ormai ero "grande" e guardavo i robottoni, non certo i meisaku, robetta da bambini e da femminucce! Inutile dire che con gli anni ho cambiato idea.
Voto complessivo: 8,5, ma lo arrotondo a 9 perché è un anime sempre in crescita.
Quando vidi per la prima volta Marco dagli Appennini alle Ande ero troppo piccola per ricordarlo, ma sono fortunatamente riuscita a rivederlo su Italia 1 nella replica conclusasi da poco. Non per niente in quest'anime hanno lavorato Miyazaki e Takahata, lo trovo stupendo.
La storia, ispirata a uno dei racconti del libro Cuore, è bellissima e commovente, anche se in certi punti almeno io sono rimasta un tantino perplessa. Il padre di Marco è ammirevole per l'iniziativa della clinica, ma mi è venuto da chiedermi se sia davvero giusto imporre per la sua generosità un sacrificio anche a tutta la sua famiglia, soprattutto alla moglie, costretta dalle circostanze ad avventurarsi da sola in un paese tanto lontano.
E poi c'è il dettaglio della lingua: praticamente Marco parla con tutti ovunque vada. Ma lasciamo stare, questa è un'ingenuità che si verifica in vari anime. Sempre a proposito di lingua, c'è un altro particolare, curioso, ma non necessariamente negativo: quando Tonio, fratello di Marco, canta accompagnandosi alla chitarra la canzone resta in giapponese, anche se mi pare che più avanti altre canzoni siano tradotte, ma non ne sono certa.
I personaggi sono a mio avviso molto ben caratterizzati, e anche quelli che appaiono per 1-2 puntate riescono a rimanere impressi. Anche in questo caso, come in tutti i meisaku, si resta colpiti dal realismo della storia, che viene narrata così com'è, senza eccessivi buonismi, e stranamente, nonostante il passaggio a Mediaset, senza eccessive censure: resta per esempio la scena in cui un amico di Marco, per aiutarlo a salire di nascosto su un treno merci, viene malamente pestato da uno dei controllori.
L'animazione è datata e non perfetta, ma io la preferisco a quelle più perfette di serie più recenti, che magari lo sono grazie al contributo della computer grafica.
Trovo ottimo anche il doppiaggio.
Purtroppo non ho avuto modo di ascoltare la colonna sonora giapponese, quella italiana non è niente di che, ma come nel caso di Heidi è straordinario che Mediaset abbia preservato la vecchia, bellissima sigla. E purtroppo per motivi di lavoro non ho potuto rivedere l'ultimissima puntata, anche se già dalla penultima si poteva benissimo immaginare che sarebbe stata splendida. Spero di potere rimediare.
Do come voto complessivo 10.
La storia, ispirata a uno dei racconti del libro Cuore, è bellissima e commovente, anche se in certi punti almeno io sono rimasta un tantino perplessa. Il padre di Marco è ammirevole per l'iniziativa della clinica, ma mi è venuto da chiedermi se sia davvero giusto imporre per la sua generosità un sacrificio anche a tutta la sua famiglia, soprattutto alla moglie, costretta dalle circostanze ad avventurarsi da sola in un paese tanto lontano.
E poi c'è il dettaglio della lingua: praticamente Marco parla con tutti ovunque vada. Ma lasciamo stare, questa è un'ingenuità che si verifica in vari anime. Sempre a proposito di lingua, c'è un altro particolare, curioso, ma non necessariamente negativo: quando Tonio, fratello di Marco, canta accompagnandosi alla chitarra la canzone resta in giapponese, anche se mi pare che più avanti altre canzoni siano tradotte, ma non ne sono certa.
I personaggi sono a mio avviso molto ben caratterizzati, e anche quelli che appaiono per 1-2 puntate riescono a rimanere impressi. Anche in questo caso, come in tutti i meisaku, si resta colpiti dal realismo della storia, che viene narrata così com'è, senza eccessivi buonismi, e stranamente, nonostante il passaggio a Mediaset, senza eccessive censure: resta per esempio la scena in cui un amico di Marco, per aiutarlo a salire di nascosto su un treno merci, viene malamente pestato da uno dei controllori.
L'animazione è datata e non perfetta, ma io la preferisco a quelle più perfette di serie più recenti, che magari lo sono grazie al contributo della computer grafica.
Trovo ottimo anche il doppiaggio.
Purtroppo non ho avuto modo di ascoltare la colonna sonora giapponese, quella italiana non è niente di che, ma come nel caso di Heidi è straordinario che Mediaset abbia preservato la vecchia, bellissima sigla. E purtroppo per motivi di lavoro non ho potuto rivedere l'ultimissima puntata, anche se già dalla penultima si poteva benissimo immaginare che sarebbe stata splendida. Spero di potere rimediare.
Do come voto complessivo 10.
Si vede che questo cartone nasce dalle mani di Miyazaki, in effetti è considerato, e lo considero, uno dei migliori meisaku in circolazione. In Italia, Marco dagli Appennini alle Ande ha goduto solo di 2 passaggi televisivi, uno nei primi anni ottanta grazie alle Rai e quasi trent'anni dopo via Mediaset. Molto carina la sigla allora cantata da i Ragazzi di Marco e scritta da Vince Tempera. Mediaset ne ha ora riproposta una versione pulita con un nuovo montaggio di immagini, a parere mio, sciocco perché da essi si desume già il finale, anzi, la sigla iniziale ci fa vedere la sequenza finale dell'ultima puntata. Insomma, evitate la sigla versione mediaset per non rovinarvi la sorpresa.
La storia tratta del piccolo Marco Rossi, che parte da Genova per andare in Argentina a recuperare la madre scomparsa. Il bello è che un bambino di 10 anni sia in grado, da solo, di prendere navi e treni ed attraversare un intero continente. Ma Marco è cocciuto e questo suo amore per la madre lo porta a riuscire laddove altri non ce l'avrebbero fatta.
L'anime propone anche uno spaccato dell'Italia di inizio '900 con le sue centinaia di migliaia di emigranti che partivano con speranza per l'America e l'Argentina e di come ci si aiutava reciprocamente nella povertà. Dagli appennini alle Ande è un racconto che fa parte del libro Cuore di Edmondo de Amicis. Probabilmente sarà riproposto in TV nel 2011 per celebrare in un qualche modo i 150 anni dell'Unità d'Italia. Da non perdere.
La storia tratta del piccolo Marco Rossi, che parte da Genova per andare in Argentina a recuperare la madre scomparsa. Il bello è che un bambino di 10 anni sia in grado, da solo, di prendere navi e treni ed attraversare un intero continente. Ma Marco è cocciuto e questo suo amore per la madre lo porta a riuscire laddove altri non ce l'avrebbero fatta.
L'anime propone anche uno spaccato dell'Italia di inizio '900 con le sue centinaia di migliaia di emigranti che partivano con speranza per l'America e l'Argentina e di come ci si aiutava reciprocamente nella povertà. Dagli appennini alle Ande è un racconto che fa parte del libro Cuore di Edmondo de Amicis. Probabilmente sarà riproposto in TV nel 2011 per celebrare in un qualche modo i 150 anni dell'Unità d'Italia. Da non perdere.
Essendoci la mano di Miyazaki è chiaro che non poteva che essere un anime bellissimo. Il voto dieci è interamente meritato.
Veniamo alla trama. Marco dagli Appennini alle Ande è un "meisaku" che traspone in maniera precisa il racconto di De Amicis. Una famiglia genovese del secolo scorso ha il problema, allora diffuso, di riuscire a mantenersi. La madre della famiglia decide di migrare in America per guadagnare abbastanza poiché il padre (a mio avviso un inetto) non riesce a lasciare la sua attuale occupazione. Il piccolo Marco, un bambino pieno di doti, non riesce a stare lontano dalla sua mamma e intraprende l'avventuroso viaggio per raggiungerla. Compagni di viaggio saranno una famiglia di artisti di strada e tanti altri personaggi.
Come di consueto, non aggiungo altro sulla trama, perché non voglio rovinarvi il gusto. Vi assicuro però che è un romanzo per tutta la famiglia, davvero ben costruito sia nella regia, che nella storia, che nella sceneggiatura. Gli autori hanno onorato l'Italia e Genova con questo bellissimo lavoro. Io sono avaro nei voti e se ho dato 10 è perché lo vale proprio. Non lasciatevi ingannare: non è per bambini, è per tutta la famiglia!
Veniamo alla trama. Marco dagli Appennini alle Ande è un "meisaku" che traspone in maniera precisa il racconto di De Amicis. Una famiglia genovese del secolo scorso ha il problema, allora diffuso, di riuscire a mantenersi. La madre della famiglia decide di migrare in America per guadagnare abbastanza poiché il padre (a mio avviso un inetto) non riesce a lasciare la sua attuale occupazione. Il piccolo Marco, un bambino pieno di doti, non riesce a stare lontano dalla sua mamma e intraprende l'avventuroso viaggio per raggiungerla. Compagni di viaggio saranno una famiglia di artisti di strada e tanti altri personaggi.
Come di consueto, non aggiungo altro sulla trama, perché non voglio rovinarvi il gusto. Vi assicuro però che è un romanzo per tutta la famiglia, davvero ben costruito sia nella regia, che nella storia, che nella sceneggiatura. Gli autori hanno onorato l'Italia e Genova con questo bellissimo lavoro. Io sono avaro nei voti e se ho dato 10 è perché lo vale proprio. Non lasciatevi ingannare: non è per bambini, è per tutta la famiglia!
Questa è una serie che, come tante altre, ci insegna tanti valori importanti come quello della famiglia, del coraggio e della speranza. In essa, la miseria prende il sopravvento e accompagna il piccolo protagonista per tutta la durata del suo viaggio. Di fronte a tanta disperazione però, ad un certo punto, si mettono in luce la speranza, la forza d'animo e la solidarietà di persone che aprono il loro cuore alla generosità. La cosa bella della serie, a parer mio, è la particolarità di far interpretare sentimenti a persone che non parlano il linguaggio umano, come ad esempio il mare che proprio all'inizio della serie, separa madre e figlio, diventando poi portatore di speranza per far sì che Marco, con il suo coraggio e la sua forza, dopo mille peripezie e angherie, riesca a superare qualsiasi difficoltà. Bellissimo!
Un'altra opera dove si respira la piena presenza del maestro Miyazaki, da cui si possono notare i chara dei personaggi, molto simili a quelli di Heidi.
Un diretto approfondimento del già citato anime "cuore" di Edmondo De Amicis, tenendo presente che questo è uno dei racconti mensili più intensi che fanno parte di questo libro e di cui conosciamo tutti la storia.
Un cartone che ha vissuto di pochi passaggi sullo schermo considerata la grande concorrenza che in quel periodo di messa in onda aveva con altri grandi cartoni del tempo, ma che comunque è rimasto nella memoria di chi l'ha visto.
La trama vuole spiegarci perfettamente la situazione degli emigranti italiani di quel periodo, costretti ad innumerevoli peripezie e sofferenze per riuscire a raggiungere una meta che poteva rappresentare per loro l'inizio o la fine di un sogno.
Un anime che ancora una volta ci mette di fronte ai richiami forti del sangue, della famiglia, della voglia di non peregrinare più per poter avere un futuro migliore, della gran voglia di realizzare i propri sogni.
Tutto questo è il racconto di questo anime il racconto che mette la fantasia di un cartone con la realtà di qualche decennio fa, che faceva riflettere bene sulle sofferenze che bisogna affrontare per realizzare i propri sogni, a nessuno niente è dovuto, tutto si conquista con sudore e fatica, e voglia unita a grinta nel riuscire nei propri intenti, la fame e la disperazione rende l'uomo più astuto e disponibile che possa mai esserci sulla terra.
Fa capire ai ragazzi di oggi che ogni cosa ha bisogno del suo affanno, con l'ozio e gli agi, ammesso che si è figli di papà, non si ottiene mai nulla, e si è propensi alla disperazione più nera, perchè ci si è rifiutati di rimboccarsi le maniche.
Qui attraverso un bambino, con le sue azioni e i suoi occhi vediamo un modo per affrontare da adulto la realtà, con tutti i pericoli e le responsabilità che comporta, affinché il domani possa essere affrontato con la spensieratezza di un bambino, ma con la tempra di un uomo già navigato.
Un'opera che meriterebbe di essere rivista più volte, specie dai ragazzi di adesso, a cui sembra che tutto sia dovuto per chissà quale santo in paradiso.
Un diretto approfondimento del già citato anime "cuore" di Edmondo De Amicis, tenendo presente che questo è uno dei racconti mensili più intensi che fanno parte di questo libro e di cui conosciamo tutti la storia.
Un cartone che ha vissuto di pochi passaggi sullo schermo considerata la grande concorrenza che in quel periodo di messa in onda aveva con altri grandi cartoni del tempo, ma che comunque è rimasto nella memoria di chi l'ha visto.
La trama vuole spiegarci perfettamente la situazione degli emigranti italiani di quel periodo, costretti ad innumerevoli peripezie e sofferenze per riuscire a raggiungere una meta che poteva rappresentare per loro l'inizio o la fine di un sogno.
Un anime che ancora una volta ci mette di fronte ai richiami forti del sangue, della famiglia, della voglia di non peregrinare più per poter avere un futuro migliore, della gran voglia di realizzare i propri sogni.
Tutto questo è il racconto di questo anime il racconto che mette la fantasia di un cartone con la realtà di qualche decennio fa, che faceva riflettere bene sulle sofferenze che bisogna affrontare per realizzare i propri sogni, a nessuno niente è dovuto, tutto si conquista con sudore e fatica, e voglia unita a grinta nel riuscire nei propri intenti, la fame e la disperazione rende l'uomo più astuto e disponibile che possa mai esserci sulla terra.
Fa capire ai ragazzi di oggi che ogni cosa ha bisogno del suo affanno, con l'ozio e gli agi, ammesso che si è figli di papà, non si ottiene mai nulla, e si è propensi alla disperazione più nera, perchè ci si è rifiutati di rimboccarsi le maniche.
Qui attraverso un bambino, con le sue azioni e i suoi occhi vediamo un modo per affrontare da adulto la realtà, con tutti i pericoli e le responsabilità che comporta, affinché il domani possa essere affrontato con la spensieratezza di un bambino, ma con la tempra di un uomo già navigato.
Un'opera che meriterebbe di essere rivista più volte, specie dai ragazzi di adesso, a cui sembra che tutto sia dovuto per chissà quale santo in paradiso.
Quando il trio delle meraviglie si riunisce, ogni volta salta sempre fuori un piccolo gioiellino d’animazione. Di chi sto parlando? Di Takahata in regia, Miyazaki come scenografo e Kotabe al Character Disign. Tre nomi monumentali che, dopo il successo di Heidi si riuniscono per creare una serie bella, fresca, avventurosa e romantica. Purtroppo noi occidentali siamo gente con una capacità di memoria alquanto limitata e ci soddisfa ricordare il nome di Miyazaki, dimenticando un po’ gli altri due. La stessa cosa è successa a Marco, prodotto nel 1976 per la Fuji Television dall’ormai collaudata Nippon Animation, arriva in Italia nel 1980, importato dalla RAI. Passa in sordina, un po’ oscurato dall’allora grande successo di altri anime e rientra nei palinsesti italiani ancora poche volte. Peccato. Già, perché dimenticandoci di questa serie, ci dimentichiamo di uno dei Meisaku più belli e meglio riusciti della storia del genere.
Ispirato da un brano inserito in “Cuore”(1886) romanzo pedagogico per antonomasia scritto da Edmondo De Amicis, nel quale lo scrittore, faceva narrare ad un maestro Torinese un racconto mensile alla sua classe, di cui, “Dagli Appennini alle Ande” è uno di questi.
Marco è un bambino genovese che vive col padre aspettando con ansia le lettere della madre, emigrata in Argentina per lavoro. D’un tratto il rapporto epistolare s’interrompe, facendo sprofondare il ragazzo in uno stato di angoscia che lo spingerà ad imbarcarsi clandestino su una nave diretta in sud America alla ricerca della madre.
Di sicuro pregio la caratterizzazione dei personaggi che, assumono quasi sempre un ruolo marginale nel filo narrativo. Marco è infatti l’unico vero protagonista del racconto, mentre le varie figure che incontrerà nel suo viaggio non saranno mai presenti per più di dieci puntate. Nonostante questo rapido intercalare di ruoli e soggetti gli sceneggiatori sono riusciti a ricreare una psicologia valida e credibile in ognuno di loro, definendo con cura queste innumerevoli attori marginali senza mai offuscare il vero re della scena.
Marco è un bambino buono, coraggioso, che sfida la sorte e le avversità alla disperata ricerca della madre. La chiave di lettura è ampia ed ambigua. Se il De Amicis racchiudeva il suo racconto in un capitoletto del libro, gli sceneggiatori gli dedicano ben 52 episodi, durante i quali, parecchio viene aggiunto alla trama di base. Il filo conduttore resta però solido, non si diluisce nelle puntate e mantiene un ritmo piuttosto incalzante e piacevole.
Il disegno è ottimo, adeguato ai tempi di produzione con una cura particolare per i dettagli.
Insomma una piccola gemma dimenticata, infondo ai cassetti del tempo, che varrebbe proprio la pena di riscoprire. Nove.
Ispirato da un brano inserito in “Cuore”(1886) romanzo pedagogico per antonomasia scritto da Edmondo De Amicis, nel quale lo scrittore, faceva narrare ad un maestro Torinese un racconto mensile alla sua classe, di cui, “Dagli Appennini alle Ande” è uno di questi.
Marco è un bambino genovese che vive col padre aspettando con ansia le lettere della madre, emigrata in Argentina per lavoro. D’un tratto il rapporto epistolare s’interrompe, facendo sprofondare il ragazzo in uno stato di angoscia che lo spingerà ad imbarcarsi clandestino su una nave diretta in sud America alla ricerca della madre.
Di sicuro pregio la caratterizzazione dei personaggi che, assumono quasi sempre un ruolo marginale nel filo narrativo. Marco è infatti l’unico vero protagonista del racconto, mentre le varie figure che incontrerà nel suo viaggio non saranno mai presenti per più di dieci puntate. Nonostante questo rapido intercalare di ruoli e soggetti gli sceneggiatori sono riusciti a ricreare una psicologia valida e credibile in ognuno di loro, definendo con cura queste innumerevoli attori marginali senza mai offuscare il vero re della scena.
Marco è un bambino buono, coraggioso, che sfida la sorte e le avversità alla disperata ricerca della madre. La chiave di lettura è ampia ed ambigua. Se il De Amicis racchiudeva il suo racconto in un capitoletto del libro, gli sceneggiatori gli dedicano ben 52 episodi, durante i quali, parecchio viene aggiunto alla trama di base. Il filo conduttore resta però solido, non si diluisce nelle puntate e mantiene un ritmo piuttosto incalzante e piacevole.
Il disegno è ottimo, adeguato ai tempi di produzione con una cura particolare per i dettagli.
Insomma una piccola gemma dimenticata, infondo ai cassetti del tempo, che varrebbe proprio la pena di riscoprire. Nove.
Un capolavoro sotto tutti gli aspetti. E' forse la serie più bella che abbia mai visto e parlo sia da spettatrice bambina, che guarda un cartone animato con occhi innocenti, che come animatore e storyboarder, il mio lavoro, che guarda un film d'animazione con occhio critico e spesso spietato. La serie si basa su una storia dalle fondamenta già molto solide e il modo in cui è raccontata è fenomenale. Le pause, l'attenzione ai dettagli, la giusta suspense, le emozioni fortissime. Qualitativamente è nettamente superiore alla media: i background sono molto curati, è stata fatta una ricostruzione molto attenta delle location ed è stata mantenuta una continuità logica dei luoghi davvero sorprendente. Marco corre dalla scuola a casa, poi al mercato e torna indietro e lo spettatore ha l'impressione di conoscere quelle strade, quelle scalinate, quei vicoli come se ci fossero sempre state nella propria infanzia e le avesse "percorse" centinaia di volte. E le animazioni sono realizzate davvero molto bene, la recitazione dei personaggi è molto intensa. Altro che i luoghi comuni sull'animazione giapponese, da quest'opera c'è solo da imparare. Un'animazione molto fluida e piena di disegni può essere poco efficace, l'animazione in Marco è formidabile perché pur utilizzando pochi fotogrammi, probabilmente dovuti a budget limitati, riesce a cogliere quelle espressioni, quei movimenti che danno la vera "illusione della vita" di cui tanto si parla e rendono i personaggi credibili e reali ai nostri occhi e al nostro cuore. Consiglierei questa serie a chiunque.
L'ho visto in Giappone. Ero troppo piccolo per poterlo vedere in italiano (però era bello quando la RAI trasmetteva degli anime validi come questo). Allora, la colonna sonora giapponese fu sostituita e questa fa perdere intensità alla scene. Ad esempio quando la madre di Marco lascia l'Italia per l'Argentina, Marco, cocciuto perché la partenza fu inaspettata, non salutò la mamma, ma al suono della nave Marco "torna in se" e corre (in una scena strappalacrime) verso la nave ormai salpata e presto lontana. In questa scena, nella versione giapponese c'è una musica struggente che aumenta il pathos mentre nell'edizione italiana una musica "qualunque" poco coinvolgente. Se mettiamo pure che il suono della nave sembra quello di un treno... Della serie furono realizzati 2 film: il 1° era il consueto mix di immagini che riassumono la storia e il 2° un remake totalmente ridisegnato. La scena finale è commovente, strappalacrime!!
Consigliato!
Consigliato!
Non ho una memoria nitidissima di questo anime ma ricordo che era senz'altro ben fatto. "Marco" venne prodotto in un momento in cui in Giappone andavano moltissimo gli anime nati dai romanzi europei (la storia originale era uno dei racconti narrati nel più ampio libro "Cuore" di De Amicis. Che dire... probabilmente se all'epoca in Italia fosse stato proposto in un modo più "commerciale" sarebbe diventato celebre quanto Heidi. Ho l'impressione tra l'altro che gran parte dello staff di Heidi fosse lo stesso di "Marco". Insomma, se vi piacevano Heidi, Peline e simili, "Marco" fa davvero al caso vostro!