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alex di gemini

Episodi visti: 5/5 --- Voto 8,5
Un mondo devastato, ove l’umanità si è ridotta a pochi milioni e le città sono come enormi cimiteri. Il protagonista è un avventuriero che le esplora, alla ricerca di oggetti vendibili, e per caso finisce in un planetario, ove incontra un’affascinante ragazzina robot.
Meglio non aggiungere altro sulla trama.

A volte ritornano. O, per meglio dire, a volte risplendono. Quest’opera sembra moderna, ma, in realtà, rispetta tutti i canoni della fantascienza pre-asimoviana, ove vi erano solo due tipi di storie di robot, quella del sanguinario ammazza-uomini e quella del robot patetico che si rivela più buono degli umani, e per questo fa una brutta fine. Poi venne Asimov, con i suoi robot di tipo diverso, così simili agli umani, ma con quel non so che di misterioso. Indubbiamente la dolce robottina è sia attuale, perché moe, ma anche asimoviana al cento per cento. Il racconto sempre antico e sempre nuovo delle costellazioni è davvero affascinante e magistrale, e si armonizza con il tema moderno della guerra di distruzione di massa e delle sue conseguenze. Non si può descrivere a parole il fascino e la semplicità di questa storia, il suo essere in un’epoca precisa del futuro, ma anche in ogni epoca della storia per i suoi temi particolari. E non si può non pensare ad Asimov e alla sua fantascienza, al suo modo di scrivere storie in un futuro remoto, partendo da elementi della vita quotidiana, come potrebbe essere la visita al planetario.

La regia e la grafica sono ottime, per dar vita a un piccolo, imperdibile gioiello, che mostra quanto sia essenziale mantenere il proprio legame con quella seconda metà del paesaggio che è il cielo.

Voto: 8,5


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Eversor

Episodi visti: 5/5 --- Voto 6,5
“Planetarian” è una serie di sole cinque puntate, uscita nella stagione estiva 2016. Un anime che, a mio avviso, avrebbe potuto anche rendere qualcosa di più, se solo avesse avuto il tempo di articolarsi meglio. Una storia con ambientazione futuristica, che unisce in sé il gusto per il drammatico e il piacere di una buona commedia fantascientifica. Eppure, in tutto ciò, manca qualcosa. Che sia un vero e proprio inizio o una fine completa, non saprei dirlo, ma questa serie ha dimostrato carenze intrinseche insuperabili. Ed è un peccato.

Cinque puntate veramente cariche raccontano le vicende di Kuzuya, un ragazzo girovago, il quale decide di avventurarsi per una città deserta in cerca di cibo. Niente ci viene descritto in maniera precisa, ma siamo noi ad accorgerci subito che la situazione non quadra. Il mondo non è come ce lo aspettavamo, ma appare più lugubre e vuoto.
In tutto ciò, Kuzuya avrà la sfortuna (o fortuna) di incontrare Yumemi Hoshino, un robot di forma umanoide. E’ una “ragazza” semplice, incaricata di presidiare un grande telescopio. Il suo compito, oltre a quello di proteggere il planetario, consiste nel sovrintendere lo spettacolo e raccontare al pubblico le meraviglie delle stelle. Ma è da anni che non arriva più nessuno...
All’inizio il giovane pare scontroso nei confronti di Yumemi. Vuole andar subito via, cercare cibo e pensare alla propria salvezza. Che ne può sapere un robot del mondo esterno? Eppure, per qualche strana ragione, non l’abbandona subito. I due si conoscono in quei pochi giorni di convivenza e stringeranno un legame fortissimo. Peccato che non tutto finisce con un “happy ending”.

Per quanto riguarda i personaggi, non si può che concentrare la nostra attenzione sugli unici due protagonisti esistenti: Yumemi e Kuzuya. In qualche flashback compariranno anche altri personaggi, ma, a essere onesti, avranno ben poca rilevanza. E allora oscuriamo tutto il panorama circostante e chiudiamoci anche noi in questo planetario abbandonato.
Non esiste una vera e propria storia, se non la conoscenza reciproca dei due protagonisti. In un lasso di tempo ristretto, impareranno a convivere e comprendersi in maniera più approfondita. Ci si dimentica di tutto: dalle preoccupazioni esterne alle differenze di genere (robot-umano). Eppure aleggerà sempre un’atmosfera di cupa tristezza.
La pioggia funge da sipario, un modo per separare i due ragazzi dalla distruzione circostante, ma, allo stesso tempo, è una triste nenia che non abbandonerà mai le nostre orecchie. Il mondo piange, e i protagonisti con lui.

La grafica è molto bella e i colori possiedono una forza incredibile. Negli sfondi si riscontra un grande effetto scenografico e, per tutte le puntate, si cercherà sempre di stupire lo spettatore da questo punto di vista. D’altra parte, era il minimo concentrarsi su questo aspetto in una serie così corta.
Carino il doppiaggio e le musiche, che aumentano la qualità di tutto il comparto tecnico.

E allora di cosa ci si può lamentare? A conti fatti è una vicenda carina, che racconta la storia di due protagonisti e riesce anche a renderla al meglio. Tuttavia manca ciò che l’avrebbe resa un capolavoro, ovvero tutto lo sfondo circostante. Come già ricordato, il planetario svolge il ruolo di contenitore. Tutto si svolge lì dentro (o quasi) e tutto rimarrà racchiuso in questo grande scatolone. E il resto? Si fanno accenni a una guerra, si mostrano piccoli flashback di un passato splendente, ci si arrabbia per un qualche nome misterioso... Ma ovviamente non può che cadere nel dimenticatoio, quando l’intera vicenda “termina” dopo soli cinque episodi. Ci si lancia in un’avventura e, subito dopo, si scopre che il viaggio è già concluso.
Potremmo considerarla come un piccolo episodio in una storia molto più grande, ma il rammarico non può che rimanere.
E’ già stato annunciato un film, e quindi si potrà vedere qualcosa di più. Eppure, considerando solamente la suddetta opera, non si può che rimanere con l’amaro in bocca e l’ardente desiderio di voler scoprire qualcosa di più.

Voto finale: 6 e mezzo


 1
Nirvash00

Episodi visti: 5/5 --- Voto 8,5
"Planetarian: Chiisana Hoshi no Yume" ("Planetarian: il sogno di un piccolo pianeta") è una serie ONA di cinque episodi tratta dalla omonima opera della Key, uscita nel lontano 2004. La lunghezza così breve è dovuta alla brevità del lavoro originale, una kinetic novel di tre/quattro ore di lunghezza.

Trama: la serie si ambienta in un mondo post apocalittico, a seguito di una guerra nucleare e batteriologica; a causa di questo una pioggia incessante flagella gran parte del pianeta e l'umanità è allo sbando. In un mondo del genere, un luogo sembra rimasto come congelato nel tempo e una persona (robot) è lì pronta a ricordarci cosa c'era e cosa non è più, ma che potrebbe tornare, perché le stelle non si vedono, ma ci sono. Se a una prima (e superficiale) impressione la trama di un "rottamaio" che trova un robot, Yumeni, ancora funzionante e sceglie di rimanere lì a vedere una proiezione di un planetario può sembrare poca cosa, questo anime racchiude messaggi e piccoli passaggi che si scoprono piano piano senza fare rumore. Non è una trama piena di combattimenti, con storie di amore travolgenti o cliffhanger a ripetizione (anche perché in cinque episodi vorrei vedere cosa potrebbe entrare), ma una storia semplice che fa capire come è la normalità delle piccole cose ad essersi completamente persa nel mondo in questione. Il fatto che vedere le stelle possa essere un privilegio riservato al nostro protagonista ne è una delle forme più chiare. La serie, non volendo comunque 'spoilerare', è di genere drammatico e la Key ha abituato i suoi fan a una gestione ben precisa e caratteristica di questo tema; in questo caso però "Planetarian" è un eccezione tra le altre opere Key, visto che anche la commozione finale è frutto di qualcosa di estremamente semplice e naturale, senza drammoni particolari, poteri speciali in gioco o mondi paralleli. Allo stesso modo, ho trovato il momento della proiezione davvero bello, per come riesce a evidenziare cosa l'umanità possa fare nel bene, in contrasto con cosa ha fatto invece fuori dal planetario, nel male.
In generale quindi è proprio la semplicità e la genuinità di questa trama il suo punto di forza, perché esagerare a voler strizzare temi e sottotrame in molti anime è ciò che li porta spesso alla sconclusionatezza.

Personaggi: sono sostanzialmente solo due, se si esclude la presenza di poche persone nei flashback. Se inizialmente il nostro "rottamaio" è una persona temprata alla durezza dal mondo in cui vive e di conseguenza scorbutico, piano piano inizia ad affezionarsi a Yumeni, e forse anche a ciò che lei può rappresentare per lui: una speranza, in qualcosa di diverso dal mondo triste e grigio, coperto costantemente dalla coltre di pioggia, che invece lo aspetta. Yumeni d'altro canto è un "residuato di normalità", un pezzo del passato salvatosi miracolosamente grazie a una debole fornitura di energia al planetario. Il suo comportamento per fortuna è propriamente quello di un robot, si nota cioè molto bene come il suo modo di ragionare sia meccanico, benché ben rifinito. Questo perché molto spesso tendono invece ad abbondare personaggi robot che però sembrano in tutto e per tutto umani, soprattutto nel modo di ragionare. La tendenza delle regia a zoomare sugli occhi meccanici di Yumeni serve a ulteriormente enfatizzare la questione. Sinceramente ho trovato il comportamento e le azioni di Yumeni divertenti e per nulla fastidiose, velate inoltre da una certa tristezza per come sia sostanzialmente rimasta da sola per trent'anni senza perdere nulla del suo ottimismo e vitalità, insiti nel suo programma. E anche nei momenti in cui alcuni dubbi la assalgono, insieme magari alla tristezza di essere davvero stata abbandonata e che nessuno verrà mai più al planetario, continua a pensare che ci sia solo un bug nel suo sistema, perché in fondo è impossibile che gli umani possano aver dimenticato o non avere più alcun interesse nelle stelle. Il rapporto Yumeni/rottamaio è semplice, senza niente di amoroso o strano tra di loro, semplicemente una persona senza speranza trova qualcuno che riesce con poco a fornirgliela, e per un breve tempo lo porta in un mondo di calore in cui non c'è niente di grigio, ma semmai tutto luccica. Anche il fatto che il rottamaio, umano, non ha un nome, mentre Yumeni, un robot, ne dispone, dà l'idea dei periodi diversi in cui essi hanno vissuto.

Grafica: sinceramente non vedo proprio di cosa ci si possa lamentare, considerando anche che il progetto non godeva certo di finanziamenti mostruosi. La grafica è pulita e le animazioni sono fluide. Anche i robot in CG sono ben realizzati e non appaiono fuori posto nel mondo in questione. Qualcosa in più si poteva fare per il character desing di Yumeni rispetto alla visual novel, mentre è fatto davvero bene quello del rottamaio. Il picco massimo per la grafica si ha nel momento della proiezione del terzo episodio, dove davvero non si nota affatto che questo è, alla fine, un piccolo progetto, tanto le sequenze sono ben realizzate. La David Production ha davvero fatto un buon lavoro.

Sonoro: la OST dell'opera originale è uno dei motivi per cui essa è così apprezzata e l'anime ne attinge a piene mani. "Gentle Jena" è riproposta in più occasioni, anche in una versione aggiornata per l'occasione, e la sua bellezza e forza è rimasta intatta dal 2004 ad oggi. Molto bella anche la sigla finale dell'ultimo episodio, anche quello pezzo storico. Carina ma non memorabile la ending finale dei primi quattro episodi; peccato oltretutto il mancato utilizzo di "Perfect human" in occasione della parte centrale dell'ultimo episodio, dove sarebbe stata molto azzeccata.

In definitiva, è un anime che ha risposto in pieno alle mie speranze per la trasposizione di quella bellissima visual novel. E' sicuramente consigliatissimo ai fan dei lavori della Key ma anche a tutti quelli che cercano un'opera semplice e genuina, diversa in parte dalle altre opera della suddetta casa giapponese, che sappia commuovere senza mai esagerare o voler stupire forzatamente.


 5
Meganoide

Episodi visti: 5/5 --- Voto 4
Limitato nelle idee, limitato nei mezzi, limitato nella realizzazione.

C'è davvero poco di salvabile in un'opera come “Planetarian”. Se la stagione estiva dagli amanti di casa Key verrà ricordata per l'abbondanza (ben due serie: questo corto “Planetarian” e l'opera di lunghezza standard “Rewrite”), di certo non ci saranno plausi alla qualità generale.
E il motivo è semplicissimo: quest'opera è chiaramente insufficiente. Anzi: quest'opera è deliberatamente insufficiente.

Ciò che abbiamo davanti è un anime di ambientazione post-apocalittica: Kazuya, un riciclatore che visita le rovine di una città per cercare qualcosa di utile, si imbatte nel robot Yumemi durante l'esplorazione. La “ragazza”, riattivatasi con l'ultimo picco di energia arrivato in città, non era altro che il cicerone adibito all'intrattenimento degli ospiti durante il funzionamento del planetario cittadino, e che tenta in tutti i modi di riprendere la sua programmazione in mezzo alla devastazione. È attorno a queste due diversissime personalità che l'opera ruota, o meglio che cerca di ruotare, ma già questo rappresenta il primo scoglio contro cui ci si scontra: giocare con un cast estremamente parco presenta dei limiti diametralmente opposti a quelli di chi utilizza cast ampissimo, cionondimeno i rischi sono del medesimo livello.
Ci si aspetterebbe, infatti, che i due personaggi vengano caratterizzati estremamente bene, ma purtroppo qui ci si imbatte nel primo difetto: all'infuori di qualche flashback (anche ridondante), l'approfondimento è quasi nullo. E anche la psicologia non è da meno: da un lato vi è Yumemi, un robot con dei limiti intrinseci nella comprensione della situazione complessa in cui si trova (e che stordirà chiunque a suon di “gentile cliente”), e al suo fianco troviamo Kazuya, individuo dalla personalità piuttosto piatta che si lascia trascinare dalla storia senza fiatare.
Purtroppo nessuno dei due funziona al meglio, e il risultato finale di tale comparto sfocia in una robottina petulante (quando sarebbe dovuta essere la colonna portante dell'opera) e in un individuo oltremodo passivo e ininfluente.

Ma il difetto più grosso è nella sceneggiatura. Se l'idea in sé poteva funzionare (personaggi permettendo), la sua realizzazione ha un che di disastroso. Per prima cosa lo scenario post-apocalittico è palesemente sotto-sfruttato: lo stato in cui il mondo si ritrova verrà liquidato in poche parole e, paradossalmente, genera quasi la sensazione che sia stato messo lì solo per far incontrare i due. Ovviamente non è così, ma la troppa leggerezza con cui è utilizzato potrebbe farlo pensare.
Ma forse la criticità più grave è nel come viene sviluppato il loro rapporto: Yumemi è, in potenza, una sorta di “simulacro culturale”, un oggetto senziente che testimonia i fasti della civiltà al massimo splendore. E tutto questo viene sfruttato con degli accadimenti triviali e dei siparietti che rendono gran parte dell'opera oltremodo pesante e di difficile visione (e la piuttosto anonima regia non è di nessun aiuto). Purtroppo, la mancanza di avvenimenti importanti, all'infuori delle ultime battute, è una costante dell'anime, che rischia seriamente di far addormentare chiunque non sia un fan sfegatato dei soliti topoi Key.
E, a proposito di tali topoi, non posso certo esimermi dallo spendere qualche parola sul finale: vedendo il quinto e ultimo episodio, è difficile non pensare che i quattro precedenti non siano stati tirati per le orecchie al fine di imbastire quest'ultimo momento, che non è altro che il solito e stucchevole dramma abbastanza inverosimile. Ma, oltre a questo, si aggiunge anche la sua pessima struttura narrativa, che lo rende un misto di staticità e verbosità, unito alla classica deriva drammatica appena citata. A chi piace il dramma alla buona quest'epilogo potrebbe andare bene, ma a tutti gli altri non potranno non pesare tutte le problematiche derivate dalla procrastinazione di qualcosa che, molto probabilmente, era già intuibile prima della fine.

Come già accennato, l'opera in questione è caratterizzata da soli cinque episodi, ed è stata realizzata con un comparto tecnico che non brilla particolarmente. Vi è da dire però che non è nemmeno pessimo, se consideriamo che questa è una produzione web (peccato per la sigla finale, la cui musica è abbastanza scialba e la coreografia fuori luogo). Se ci si chiede se cinque episodi sono sufficienti per quest'opera, la risposta può essere duplice: nel caso di sfruttamento completo degli elementi introdotti e di costruzione sapiente, forse cinque puntate avrebbero potuto rappresentare un limite per difetto.
Ma, alla luce di ciò che abbiamo in quest'anime, probabilmente sarebbero bastate un paio di puntate.

“Planetarian” ha un soggetto mal sfruttato; una realizzazione dei personaggi e una regia caratterizzati da eccessiva sufficienza; e una sceneggiatura incapace di reggere le parti iniziali e quella centrale, rivelandosi un lungo e traballante ponte per il finale.

Non so se il film sequel, previsto per il 2016, migliorerà il brand, ma per ora il tutto è decisamente insufficiente.


 6
giacgiac

Episodi visti: 5/5 --- Voto 4,5
In ogni buon racconto, lungo o breve che sia, c'è sempre un nocciolo, un punto essenziale. Il lettore può non cercarlo consapevolmente, ma se non c'è ne sentirà la mancanza. Nei racconti lunghi e complessi, il nocciolo può essere occultato sotto strati di accessori: intrecci complicati, sottotrame, descrizioni, dissertazioni. Ma nel racconto breve tutto viene eliminato tranne il nocciolo, che si presenta al lettore senza orpelli, e come un ago soffiato da una cerbottana resterà conficcato in lui a lungo.

Così Isaac Asimov apre una raccolta di racconti fantascientifici scritta a più mani, riconoscendo nella capacità di mettere a nudo il succo della storia la prerogativa di qualsiasi racconto breve. Deve esserci un messaggio, un qualcosa che passi e venga trasmesso inequivocabilmente al lettore. E che sia forte, forte a tal punto da rimanere ben impresso nelle poche pagine a disposizione di chi scrive.
È vero, qui non si parla di Asimov, ma di un’opera di animazione, tuttavia, tra stelle, fantascienza e lunghezza limitata, per me il collegamento è stato quasi automatico. E invero non è nemmeno così peregrino, come incipit, perché riesce a inquadrare perfettamente il motivo per cui “Planetarian” fallisce nel proprio essere storia breve.

Ha senso partire dall’ambientazione, un più che abusato scenario post apocalittico in cui l’umanità, a seguito di un conflitto nucleare, è costretta in comunità piccole e sparpagliate, mentre i precedenti agglomerati urbani sono stati abbandonati e murati, per evitare che qualcuno vi acceda. La particolarità della serie, invece, è quella di avere due soli personaggi, facendo presupporre un’ottimizzazione degli spazi e dei tempi per la caratterizzazione degli stessi a fronte di un minutaggio limitato in partenza. Una soluzione niente male, quella dei creatori della visual novel, tuttavia mal gestita e sviluppata, almeno per quanto riguarda l’adattamento. Il protagonista maschile è Kuzuya, un cacciatore di rottami che esplora le città abbandonate in cerca di beni di consumo, vendendo i quali si ricava da vivere; l’incontro con la protagonista è casuale, avviene sulla terrazza di un fatiscente centro commerciale mentre egli cerca di sfuggire a dei robot armati che ricordano molto tachikoma et similia da “Ghost in the Shell”. La protagonista, robot anch’essa, fa parte dello staff di un planetario nel quale, prima della guerra, presiedeva le proiezioni, raccontando le storie e i miti dietro i nomi e le forme delle costellazioni. Il protagonista, inizialmente freddo nei confronti di lei, viene “ubriacato” dalla dolcezza e dall’ingenuità della tenera intelligenza artificiale, lasciandosi coinvolgere in una proiezione speciale per lui soltanto.
Episodio dopo episodio, tuttavia, sempre maggiore è lo spazio dedicato ai ripetitivi e inconcludenti siparietti tra i due e alle più che giuste paturnie di Kuzuya, dovute essenzialmente all’intollerabilità dell’atteggiamento di Yumemi. L’espediente narrativo ci può stare, non dico il contrario, ma è abbastanza deludente constatare che dietro di esso non ci sia altro, se non l’irritante vocina della ragazza, il cui “Gentile cliente” riesce a indisporre anche più di uno sciame di zanzare in una notte insonne di estate inoltrata.
Non mancano, ciliegina sulla torta, tutti i topoi a cui la Key ha abituato negli anni, i drammoni alle spalle - lui consapevole, lei no, motivo di ulteriore compassione da parte dello spettatore - e gli slanci patetici dei personaggi che abiurano ogni logica per seguire degli improbabili e incontenibili sentimenti. E poi ci sono loro: i piantini, le lacrime, la tragedia e il pathos, capaci di commuovere persino un robot che non è programmato per piangere, un po’ come se la vostra lampada scoppiasse in lacrime mentre state guardando il finale di “Titanic”. Ecco, il fanservice in pieno stile Key è servito, la storia strappalacrime e le “lacrime strappastorie” - e, badate bene, non è solo una citazione - sono il coronamento di una serie che poteva dire qualcosa e invece si limita a essere orpello di un messaggio non pervenuto - e di cui, come suggerisce Asimov, la mancanza si sente - sfiorando tasti come la guerra, il fascino delle stelle e il naturale desiderio escapista dell’uomo, senza tuttavia premerne fino in fondo almeno uno.

Il comparto tecnico è nella media e si limita al compitino, servendo animazioni non eccessivamente rifinite e un character design alquanto anonimo, mentre la regia non riesce a distrarre lo spettatore dalla piattezza disarmante e dalla monotonia della sceneggiatura; non aiutano nemmeno il doppiaggio, come già anticipato in precedenza, vista la scelta discutibile della voce della protagonista, né la colonna sonora, dimenticabile, mai veramente incisiva - unica vera delusione, in quanto punto di forza, invece, di altre opere di casa Key. “Planetarian”, in definitiva, è un anime nato monco - forse per colpa della base, sicuramente per colpa degli adattatori - che piacerà certamente ai fan della Key, ma che di per sé rimane scarso.