Sakura Quest
È una serie che, se uscisse ora nel 2024, potrebbe reggere senza problemi la concorrenza di quasi tutto quello che c'è in giro.
La trama non è complessa, non ha intrecci ingarbugliati, ma è alquanto lineare. Yoshino, per un errore, si ritrova a dover risollevare le sorti di una cittadina di campagna tramite iniziative turistiche; ad affiancarla, altre quattro ragazze, una web designer scappata da Tokyo, una ex attrice tornata al paese, la dipendente dell'ufficio turistico innamorata della sua cittadina e una ragazza con problemi a livello interpersonale.
Un gruppo allo stesso tempo bene e male assortito, che dovrà anche mediare fra il loro a dir poco sciroccato capo e la serissima e intransigente rappresentante dei commercianti cittadini.
C'è chi lo definirebbe uno slice of life, ma a mio parere non lo è. Non mostra una quotidiana vita di persone, ma quello di una città, e di come le persone cerchino di cambiare quella quotidianità.
La serie è mediamente divertente, ma non mancano situazioni tese, commoventi e tristi.
Ci sono alcuni piccoli elementi, tutto sommato marginali, che ho apprezzato moltissimo. Il primo fra tutti è l'età delle ragazze, tutte più che ventenni. Cosa rara non avere a che fare con studenti e adolescenti in un anime!
Non c'è nessuna storia d'amore manco di striscio. O meglio, ci sono, ma sono ininfluenti per la storia, o talmente marginali che, anche se non ci fossero, non cambierebbe una virgola. Però non stonano e rendono più "denso" e tridimensionale il tutto.
I personaggi sono ben delineati e caratterizzati, non solo la protagonista e la sua cerchia, ma anche una schiera di personaggi minori. Giusto le comparse sono a livello di cartonato.
E arrivo alla cosa che più ho apprezzato.
Cos'è una storia? È l'evoluzione, la crescita, il cambiamento del protagonista, cambiamento che avviene affrontando delle sfide, fallendo e vincendo, finché il personaggio non dovrà mutare il suo modo di vedere il mondo e affrontarlo per poter arrivare alla vittoria. È quello che nella sceneggiatura (e non solo) si chiama arco di trasformazione. E qui assistiamo non al solo arco della protagonista, ma anche a quello dei personaggi secondari. Solo le comparse rimangono uguali a sé stesse durante tutta la storia, ma ben otto personaggi evolvono, maturano e cambiano, rendendoci partecipi dei loro problemi, dei loro difetti e facendoci tifare per loro quando affrontano i loro difetti per poter migliorare.
Tutto perfetto? No, alcuni personaggi sono stati scritti, per me, decisamente male: l'assurdo Sandal, l'inventore Doku (che, di fatto, se anche non ci fosse nella storia, cambierebbe poco) e la madre di Erika. Questi tre, pur non essendo comparse, sono poco più che carta velina come spessore, considerando il minutaggio a loro dedicato.
Ho apprezzato il design dei personaggi (in particolare ho apprezzato Maki) e il comparto tecnico.
Consigliato a chi vuole qualcosa di più di azione, effetti speciali e waifu.
La trama non è complessa, non ha intrecci ingarbugliati, ma è alquanto lineare. Yoshino, per un errore, si ritrova a dover risollevare le sorti di una cittadina di campagna tramite iniziative turistiche; ad affiancarla, altre quattro ragazze, una web designer scappata da Tokyo, una ex attrice tornata al paese, la dipendente dell'ufficio turistico innamorata della sua cittadina e una ragazza con problemi a livello interpersonale.
Un gruppo allo stesso tempo bene e male assortito, che dovrà anche mediare fra il loro a dir poco sciroccato capo e la serissima e intransigente rappresentante dei commercianti cittadini.
C'è chi lo definirebbe uno slice of life, ma a mio parere non lo è. Non mostra una quotidiana vita di persone, ma quello di una città, e di come le persone cerchino di cambiare quella quotidianità.
La serie è mediamente divertente, ma non mancano situazioni tese, commoventi e tristi.
Ci sono alcuni piccoli elementi, tutto sommato marginali, che ho apprezzato moltissimo. Il primo fra tutti è l'età delle ragazze, tutte più che ventenni. Cosa rara non avere a che fare con studenti e adolescenti in un anime!
Non c'è nessuna storia d'amore manco di striscio. O meglio, ci sono, ma sono ininfluenti per la storia, o talmente marginali che, anche se non ci fossero, non cambierebbe una virgola. Però non stonano e rendono più "denso" e tridimensionale il tutto.
I personaggi sono ben delineati e caratterizzati, non solo la protagonista e la sua cerchia, ma anche una schiera di personaggi minori. Giusto le comparse sono a livello di cartonato.
E arrivo alla cosa che più ho apprezzato.
Cos'è una storia? È l'evoluzione, la crescita, il cambiamento del protagonista, cambiamento che avviene affrontando delle sfide, fallendo e vincendo, finché il personaggio non dovrà mutare il suo modo di vedere il mondo e affrontarlo per poter arrivare alla vittoria. È quello che nella sceneggiatura (e non solo) si chiama arco di trasformazione. E qui assistiamo non al solo arco della protagonista, ma anche a quello dei personaggi secondari. Solo le comparse rimangono uguali a sé stesse durante tutta la storia, ma ben otto personaggi evolvono, maturano e cambiano, rendendoci partecipi dei loro problemi, dei loro difetti e facendoci tifare per loro quando affrontano i loro difetti per poter migliorare.
Tutto perfetto? No, alcuni personaggi sono stati scritti, per me, decisamente male: l'assurdo Sandal, l'inventore Doku (che, di fatto, se anche non ci fosse nella storia, cambierebbe poco) e la madre di Erika. Questi tre, pur non essendo comparse, sono poco più che carta velina come spessore, considerando il minutaggio a loro dedicato.
Ho apprezzato il design dei personaggi (in particolare ho apprezzato Maki) e il comparto tecnico.
Consigliato a chi vuole qualcosa di più di azione, effetti speciali e waifu.
Sembra proprio che da un po' di tempo a questa parte debba andare sempre a recensire delle opere che ho tirato per le lunghe per diversi motivi... Tipicamente questo non va mai molto a favore dell'opera da recensire, perché diversamente essa sarebbe stata consumata in un tempo più consono. Comunque sia, ora tocca a "Sakura Quest", una delle più recenti fatiche dello studio P.A Works.
La storia parte dalla giovane Yoshino Koharu, una ragazza sulla ventina che, come tante e tanti altri, dopo l'università non trova un lavoro in cui poter applicare quanto duramente imparato nel proprio percorso di studi, e che dunque si barcamena fra questa o quell'altra attività temporanea. Coinvolta quindi da un'agenzia a cui si era associata, finisce per essere spedita nella cittadina di Manoyama, per assumere il ruolo di "regina". Arrivata lì, Yoshino scopre non solo di essere vincolata da un contratto di un anno, ma che i villici locali neanche cercavano lei...
Nonostante questo, per cercare di dare una svolta alla sua vita, decide di mettersi all'opera alla testa della pro-loco, per cercare di risollevare la cittadina ormai in declino. Nella sua "quest" la aiuteranno altre quattro ragazze: la campagnola Shiori, la semi-otaku Ririko, l'ex attrice Maki e la web designer dall'ampio lato B Sanae.
Permessa iniziale, devo dire, decisamente interessante quella di "Sakura Quest", il cui primo episodio prende spunto da alcuni temi tra i più attuali di questo periodo storico, quali sono la precarizzazione del lavoro, specie se giovanile, lo spopolamento delle campagne (problema evidentemente sentito in Giappone) e in generale il progresso che avanza, lasciandosi indietro molti senza guardare in faccia nessuno.
Esempio e scenario di quella che pare una battaglia contro i mulini a vento è la cittadina di Manoyama (che forse è la vera protagonista dell'anime), un tempo centro turistico piuttosto gagliardo e ora attraente come una periferia di nuova costruzione. Risollevarla sarà la quest affidata alle cinque eroine.
In questo senso parrebbe che "Sakura Quest" sia quasi come una storia di tipo sportivo, dove un novello messia arriva in un posto tutto nuovo e deve tirare su la squadra di turno in difficoltà... Qui sono due le possibili tipologie a cui si può fare riferimento: o si vira sul drammatico, e allora il "campione" è uno dal passato difficile in cerca di riscatto ed è alle prese con una compagine di esseri umani messi ancora peggio di lui, oppure andiamo sul lato comico, e quindi egli è solo un tipo strano che per qualche motivo ha smesso e si trova in mezzo a un bel gruppo di divertenti stramboidi.
"Sakura Quest", purtroppo, non è nessuno dei due. Ci sono eroi normali, posti in una città tutto sommato normale, alle prese con persone normali e con problemi anch'essi normali. Hai voglia che la nostra Yoshino se ne vada in giro per tutta la durata della serie a dire che non vuole una vita e un lavoro che diventino "normali".
Magari si potrebbe anche premiare questo tentativo di elogio, o di semplice narrazione della normalità, eppure, alla fine, se la situazione generale è sempre normale, non dico che tutto diventi banale e noioso, ma di sicuro non diventa stimolante.
Non molto aiuto viene dalle cinque eroine che si prodigano per la cittadina di Manoyama, ma non molto per lo spettatore. A parte Yoshino, che è più o meno una sorta di emblema della miseria dell'uomo digital-moderno, abbiamo: Shiori, una svampita campagnola dalle non molte risorse intellettuali ma dalle discrete risorse fisiche potenziali, misteriosamente castrate da tuniconi alla taliban e da gigantesche acconciature 'cipolloniche'; Maki, campagnola di bell'aspetto, tuttofare ed ex di qualsiasi professione si possa pensare (probabilmente anche ex allenatrice di Palermo e Inter); Ririko, povera introversa del gruppo con anche una triste storia di infanzia alle spalle, che suscita empatia per un paio di episodi e fa qualche battuta ogni tanto (non necessariamente divertente); Sanae, web designer "culona" che si è trasferita a Manoyama, scegliendola come località dopo aver tirato a occhi chiusi una freccetta su una cartina. Un cast principale non certo fuori dal comune, che lascia ben presagire come sia il resto dei villici compaesani... Hai voglia a far scorrazzare per la città un gonzo come quel Sandal che dice soltanto frasi sconnesse, inquinando anche le anticipazioni degli episodi.
Insomma, poco dopo l'inizio, ben si capisce che la quest di cui parla la serie è semplicemente il barcamenarsi e tirare avanti per smuovere una città che forse neanche vuole farlo. Paradossale che la mini-saga più interessante sia quella dei vecchi che imparano a usare internet e che poi creano contenuti più interessanti della cosiddetta esperta Sanae (con anche quasi "rosicata" di quest'ultima).
Più che una cittadina di campagna vera e propria, ammesso che da qualche parte esista (magari lo è davvero), Manoyama è più uno stato mistico, limbo esistenziale della condizione umana in bilico tra lo spirito di conservazione e di sopravvivenza (anche solo del semplice voler stare in pace), stasi di santagostiniana memoria in cui non c'è più un passato ormai andato via e non c'è mai un futuro, poiché alla fine sarà quel che sarà e via... Manoyama non esiste. È solo un riflesso della flebile fiamma alimentata dallo spirito indebolito degli abitanti. E non è neanche colpa di nessuno alla fine... C'est la vie, ahimè...
Metafisiche riflessioni a parte, la città è resa nei disegni con un buon dettaglio, ma quasi mai si può dire di stare a vedere un bellissimo paesaggio o un bellissimo scenario. Del resto neanche la Kyoto Animation potrebbe fare miracoli, se volesse rendere animato il primo scorcio fuori città in cui mettesse piede. Il miglior sfoggio della grafica ce l'abbiamo nelle sigle, che sono davvero belline, ma solo le prime. Quelle della seconda parte della serie non tanto invece, anzi la seconda opening la definirei anche bruttina, specie musicalmente parlando.
Insomma, però, com'era quest'anime? Parte senz'altro bene, poi si assesta su una linea di galleggiamento in bilico tra il discreto e il mediocre. Perlomeno può dare qualche spunto di riflessione, per cui non sarei tanto severo nel giudizio; certamente non lo considerate, se volete una storia briosa, brillante e movimentata.
Ci insegna comunque almeno un paio di morali: chi sta in città vuole andarsene in campagna e chi sta in campagna si dispera per andarsene in città. Quindi "ognuno stia a casa sua" e "impara l'arte e mettila da parte".
La storia parte dalla giovane Yoshino Koharu, una ragazza sulla ventina che, come tante e tanti altri, dopo l'università non trova un lavoro in cui poter applicare quanto duramente imparato nel proprio percorso di studi, e che dunque si barcamena fra questa o quell'altra attività temporanea. Coinvolta quindi da un'agenzia a cui si era associata, finisce per essere spedita nella cittadina di Manoyama, per assumere il ruolo di "regina". Arrivata lì, Yoshino scopre non solo di essere vincolata da un contratto di un anno, ma che i villici locali neanche cercavano lei...
Nonostante questo, per cercare di dare una svolta alla sua vita, decide di mettersi all'opera alla testa della pro-loco, per cercare di risollevare la cittadina ormai in declino. Nella sua "quest" la aiuteranno altre quattro ragazze: la campagnola Shiori, la semi-otaku Ririko, l'ex attrice Maki e la web designer dall'ampio lato B Sanae.
Permessa iniziale, devo dire, decisamente interessante quella di "Sakura Quest", il cui primo episodio prende spunto da alcuni temi tra i più attuali di questo periodo storico, quali sono la precarizzazione del lavoro, specie se giovanile, lo spopolamento delle campagne (problema evidentemente sentito in Giappone) e in generale il progresso che avanza, lasciandosi indietro molti senza guardare in faccia nessuno.
Esempio e scenario di quella che pare una battaglia contro i mulini a vento è la cittadina di Manoyama (che forse è la vera protagonista dell'anime), un tempo centro turistico piuttosto gagliardo e ora attraente come una periferia di nuova costruzione. Risollevarla sarà la quest affidata alle cinque eroine.
In questo senso parrebbe che "Sakura Quest" sia quasi come una storia di tipo sportivo, dove un novello messia arriva in un posto tutto nuovo e deve tirare su la squadra di turno in difficoltà... Qui sono due le possibili tipologie a cui si può fare riferimento: o si vira sul drammatico, e allora il "campione" è uno dal passato difficile in cerca di riscatto ed è alle prese con una compagine di esseri umani messi ancora peggio di lui, oppure andiamo sul lato comico, e quindi egli è solo un tipo strano che per qualche motivo ha smesso e si trova in mezzo a un bel gruppo di divertenti stramboidi.
"Sakura Quest", purtroppo, non è nessuno dei due. Ci sono eroi normali, posti in una città tutto sommato normale, alle prese con persone normali e con problemi anch'essi normali. Hai voglia che la nostra Yoshino se ne vada in giro per tutta la durata della serie a dire che non vuole una vita e un lavoro che diventino "normali".
Magari si potrebbe anche premiare questo tentativo di elogio, o di semplice narrazione della normalità, eppure, alla fine, se la situazione generale è sempre normale, non dico che tutto diventi banale e noioso, ma di sicuro non diventa stimolante.
Non molto aiuto viene dalle cinque eroine che si prodigano per la cittadina di Manoyama, ma non molto per lo spettatore. A parte Yoshino, che è più o meno una sorta di emblema della miseria dell'uomo digital-moderno, abbiamo: Shiori, una svampita campagnola dalle non molte risorse intellettuali ma dalle discrete risorse fisiche potenziali, misteriosamente castrate da tuniconi alla taliban e da gigantesche acconciature 'cipolloniche'; Maki, campagnola di bell'aspetto, tuttofare ed ex di qualsiasi professione si possa pensare (probabilmente anche ex allenatrice di Palermo e Inter); Ririko, povera introversa del gruppo con anche una triste storia di infanzia alle spalle, che suscita empatia per un paio di episodi e fa qualche battuta ogni tanto (non necessariamente divertente); Sanae, web designer "culona" che si è trasferita a Manoyama, scegliendola come località dopo aver tirato a occhi chiusi una freccetta su una cartina. Un cast principale non certo fuori dal comune, che lascia ben presagire come sia il resto dei villici compaesani... Hai voglia a far scorrazzare per la città un gonzo come quel Sandal che dice soltanto frasi sconnesse, inquinando anche le anticipazioni degli episodi.
Insomma, poco dopo l'inizio, ben si capisce che la quest di cui parla la serie è semplicemente il barcamenarsi e tirare avanti per smuovere una città che forse neanche vuole farlo. Paradossale che la mini-saga più interessante sia quella dei vecchi che imparano a usare internet e che poi creano contenuti più interessanti della cosiddetta esperta Sanae (con anche quasi "rosicata" di quest'ultima).
Più che una cittadina di campagna vera e propria, ammesso che da qualche parte esista (magari lo è davvero), Manoyama è più uno stato mistico, limbo esistenziale della condizione umana in bilico tra lo spirito di conservazione e di sopravvivenza (anche solo del semplice voler stare in pace), stasi di santagostiniana memoria in cui non c'è più un passato ormai andato via e non c'è mai un futuro, poiché alla fine sarà quel che sarà e via... Manoyama non esiste. È solo un riflesso della flebile fiamma alimentata dallo spirito indebolito degli abitanti. E non è neanche colpa di nessuno alla fine... C'est la vie, ahimè...
Metafisiche riflessioni a parte, la città è resa nei disegni con un buon dettaglio, ma quasi mai si può dire di stare a vedere un bellissimo paesaggio o un bellissimo scenario. Del resto neanche la Kyoto Animation potrebbe fare miracoli, se volesse rendere animato il primo scorcio fuori città in cui mettesse piede. Il miglior sfoggio della grafica ce l'abbiamo nelle sigle, che sono davvero belline, ma solo le prime. Quelle della seconda parte della serie non tanto invece, anzi la seconda opening la definirei anche bruttina, specie musicalmente parlando.
Insomma, però, com'era quest'anime? Parte senz'altro bene, poi si assesta su una linea di galleggiamento in bilico tra il discreto e il mediocre. Perlomeno può dare qualche spunto di riflessione, per cui non sarei tanto severo nel giudizio; certamente non lo considerate, se volete una storia briosa, brillante e movimentata.
Ci insegna comunque almeno un paio di morali: chi sta in città vuole andarsene in campagna e chi sta in campagna si dispera per andarsene in città. Quindi "ognuno stia a casa sua" e "impara l'arte e mettila da parte".
"Questo è l’ideale che viene tramandato a Manoyama: non respingere le altre culture, fai di loro una parte di te stesso, cambia con esse, e vivi, per tramandarle una volta ancora"
"Sakura Quest" è un anime di venticinque episodi andato in onda dall’aprile al settembre del 2017.
Yoshino Koharu, una ragazza di provincia trasferitasi a Tokyo per frequentare l’università, pur partecipando a molti colloqui, non riesce a trovare un lavoro. Più che mai decisa a non tornare a casa nella piccola cittadina dove è cresciuta, accetta quello che si prospetta essere un piccolo ingaggio nel remoto villaggio rurale di Manoyama, dove spera di rimanere il meno possibile, e poter tornare nella grande metropoli al più presto. Ma attenzione a non leggere bene i contratti, prima di firmarli!
Quella che doveva essere una toccata e fuga, si trasforma in un impiego di un anno come "Regina", un’ambasciatrice del paese, con il compito di promuovere il turismo locale. Non tutti i mali vengono per nuocere, però, Yoshino infatti non sarà sola in questa difficilissima impresa, ma verrà affiancata da quattro ragazze davvero particolari: Sanae, originaria di Tokyo, dove lavorava come programmatrice di software, ha deciso di lasciare il lavoro a causa del troppo stress e si è trasferita a Manoyama sei mesi prima di Yoshino; Maki, originaria di Manoyama, ha una storia molto simile a quella di Yoshino, anche lei si era trasferita a Tokyo, abbandonando gli studi per diventare un’attrice, ma, pur avendo talento, la sua carriera non è decollata ed è stata costretta a tornare a casa; Shiori, impiegata presso l’Ufficio del Turismo, è nata e cresciuta a Manoyama, senza mai pensare nemmeno una volta di lasciare il paesino; Ririko, amica d’infanzia di Shiori, anche lei non ha mai lasciato Manoyama, ed è appassionata di UFO e del folklore locale.
L’anime è un tipico slice of life, che racconta le vicende delle quattro ragazze che organizzano diversi eventi per dare nuova vitalità alla cittadina rurale, alcuni di grande successo, altri che falliscono miseramente.
A mio parere, due sono gli aspetti particolarmente degni di nota.
I temi affrontati: l’abbandono da parte dei giovani dei piccoli centri rurali e la disoccupazione nelle grandi e sovrappopolate città sono, come si evince dalla trama, proprio le premesse di questa storia. Nel cercare di promuovere le varie iniziative volte a fare di Manoyama un centro più moderno e meta di turismo, le ragazze si trovano a fare i conti con le forti tradizioni del paese, o per meglio dire con una solida identità culturale che non è ancora pronta a scomparire. L’obiettivo diviene, dunque, non cercare di cambiare la città, ma rivitalizzarla: ecco allora che una scuola abbandonata, invece di essere demolita, diviene un centro ricreativo, o un gruppo di anziani che vive isolato sulle montagne si riavvicina alla comunità tramite l’uso di Internet e social media.
Il cambiamento è inesorabile, ma è importante non dimenticare la volontà delle persone, conservare lo spirito della comunità e preservare usanze che altrimenti andrebbero completamente dimenticate. Questa è la lezione che Manoyama vuole insegnare alla protagonista.
La coralità della serie: di alto livello è, infatti, l’attenzione verso la psicologia dei personaggi, non solo principali ma anche secondari. Le ragazze, fin dall'inizio presentate con personalità molto forti e ben diverse fra loro, crescono durante questo anno insieme, ampliando le proprie prospettive e, così facendo, crescendo come persone, anche influenzate dagli indimenticabili personaggi della piccola cittadina, come: la cartomante che gestisce il pub locale, la cui figlia vuole fuggire dal paesino di provincia e trasferirsi in una grande città; Kadota, il capo dell’Ufficio del Turismo, burbero ma devoto alla città e al suo miglioramento; Chitose la nonna di Ririko, fedele difensore delle tradizioni locali; Sandal-san, con la testa fra le nuvole ma che dispensa la saggezza di chi vive con il cuore leggero.
La serie si conclude, poi, con un gran bel finale, che ti lascia soddisfatto e felice di aver guardato una serie così matura, divertente e coinvolgente, ma anche con un po’ di malinconia nell'abbandonare dei personaggi che ormai ti sembra di conoscere davvero bene.
Riassumendolo in una frase o meno: "Non tutta l’ispirazione viene dal di fuori; la si può trovare in sé stessi, ovunque ci si trovi" (cit. "Sakura Quest")
"Sakura Quest" è un anime di venticinque episodi andato in onda dall’aprile al settembre del 2017.
Yoshino Koharu, una ragazza di provincia trasferitasi a Tokyo per frequentare l’università, pur partecipando a molti colloqui, non riesce a trovare un lavoro. Più che mai decisa a non tornare a casa nella piccola cittadina dove è cresciuta, accetta quello che si prospetta essere un piccolo ingaggio nel remoto villaggio rurale di Manoyama, dove spera di rimanere il meno possibile, e poter tornare nella grande metropoli al più presto. Ma attenzione a non leggere bene i contratti, prima di firmarli!
Quella che doveva essere una toccata e fuga, si trasforma in un impiego di un anno come "Regina", un’ambasciatrice del paese, con il compito di promuovere il turismo locale. Non tutti i mali vengono per nuocere, però, Yoshino infatti non sarà sola in questa difficilissima impresa, ma verrà affiancata da quattro ragazze davvero particolari: Sanae, originaria di Tokyo, dove lavorava come programmatrice di software, ha deciso di lasciare il lavoro a causa del troppo stress e si è trasferita a Manoyama sei mesi prima di Yoshino; Maki, originaria di Manoyama, ha una storia molto simile a quella di Yoshino, anche lei si era trasferita a Tokyo, abbandonando gli studi per diventare un’attrice, ma, pur avendo talento, la sua carriera non è decollata ed è stata costretta a tornare a casa; Shiori, impiegata presso l’Ufficio del Turismo, è nata e cresciuta a Manoyama, senza mai pensare nemmeno una volta di lasciare il paesino; Ririko, amica d’infanzia di Shiori, anche lei non ha mai lasciato Manoyama, ed è appassionata di UFO e del folklore locale.
L’anime è un tipico slice of life, che racconta le vicende delle quattro ragazze che organizzano diversi eventi per dare nuova vitalità alla cittadina rurale, alcuni di grande successo, altri che falliscono miseramente.
A mio parere, due sono gli aspetti particolarmente degni di nota.
I temi affrontati: l’abbandono da parte dei giovani dei piccoli centri rurali e la disoccupazione nelle grandi e sovrappopolate città sono, come si evince dalla trama, proprio le premesse di questa storia. Nel cercare di promuovere le varie iniziative volte a fare di Manoyama un centro più moderno e meta di turismo, le ragazze si trovano a fare i conti con le forti tradizioni del paese, o per meglio dire con una solida identità culturale che non è ancora pronta a scomparire. L’obiettivo diviene, dunque, non cercare di cambiare la città, ma rivitalizzarla: ecco allora che una scuola abbandonata, invece di essere demolita, diviene un centro ricreativo, o un gruppo di anziani che vive isolato sulle montagne si riavvicina alla comunità tramite l’uso di Internet e social media.
Il cambiamento è inesorabile, ma è importante non dimenticare la volontà delle persone, conservare lo spirito della comunità e preservare usanze che altrimenti andrebbero completamente dimenticate. Questa è la lezione che Manoyama vuole insegnare alla protagonista.
La coralità della serie: di alto livello è, infatti, l’attenzione verso la psicologia dei personaggi, non solo principali ma anche secondari. Le ragazze, fin dall'inizio presentate con personalità molto forti e ben diverse fra loro, crescono durante questo anno insieme, ampliando le proprie prospettive e, così facendo, crescendo come persone, anche influenzate dagli indimenticabili personaggi della piccola cittadina, come: la cartomante che gestisce il pub locale, la cui figlia vuole fuggire dal paesino di provincia e trasferirsi in una grande città; Kadota, il capo dell’Ufficio del Turismo, burbero ma devoto alla città e al suo miglioramento; Chitose la nonna di Ririko, fedele difensore delle tradizioni locali; Sandal-san, con la testa fra le nuvole ma che dispensa la saggezza di chi vive con il cuore leggero.
La serie si conclude, poi, con un gran bel finale, che ti lascia soddisfatto e felice di aver guardato una serie così matura, divertente e coinvolgente, ma anche con un po’ di malinconia nell'abbandonare dei personaggi che ormai ti sembra di conoscere davvero bene.
Riassumendolo in una frase o meno: "Non tutta l’ispirazione viene dal di fuori; la si può trovare in sé stessi, ovunque ci si trovi" (cit. "Sakura Quest")