Un marzo da leoni 2
Seconda stagione pazzesca: la carica emotiva è nettamente maggiore rispetto alla precedente, grazie anche all'approfondimento di alcuni personaggi e allo sviluppo dello stesso protagonista. Solo uno fra tutti i soggetti proposti non mi ha colpito, tutti gli altri invece mi hanno lasciato qualcosa. Che fosse simpatia, ammirazione, rabbia... li ho apprezzati praticamente tutti.
Oltre ai nuovi sviluppi, c'è un cambio netto nella struttura della trama stessa: mentre la prima stagione è incentrata al 90% sullo shogi e sulle emozioni dei giocatori, la seconda esplora temi molto più terra terra (soprattutto parlando di un pubblico occidentale), in cui è nettamente più facile riconoscersi. Anche se la natura della storia non viene snaturata del tutto: infatti, è ancora possibile godersi alcuni scontri epici sulle ottantuno caselle, con diverse scene anche piuttosto evocative e a tratti agrodolci (solo chi ha visto può capire... cough cough... “episodio 18”... cough cough).
Questo show è scritto così bene che, nonostante il finale sia tutto sommato piuttosto aperto, rimane molto soddisfacente. Davvero molto. E solitamente sono piuttosto difficile su questo lato, quindi...
I colori tenui che dominano la maggior parte dei fotogrammi si abbinano sorprendentemente bene allo stile di animazione dello studio Shaft, che ritengo essere una delle punte di diamante del mondo dell'animazione nipponica.
Non mi hanno colpito particolarmente le musiche di apertura e chiusura, ma la colonna sonora di accompagnamento e l'ottima prova dei voice actor per me alzano ulteriormente l'asticella a questa storia.
È davvero un prodotto di qualità, capace di stuzzicare il cuore e la mente in modi diversi: gioia, dolore, rabbia, sollievo, confusione, frustrazione, soddisfazione; una lista bella lunga di emozioni che mi sono state regalate da questo titolo.
Slice-of-life leggermente "impegnato", ma comunque divertente. Consigliatissimo.
Oltre ai nuovi sviluppi, c'è un cambio netto nella struttura della trama stessa: mentre la prima stagione è incentrata al 90% sullo shogi e sulle emozioni dei giocatori, la seconda esplora temi molto più terra terra (soprattutto parlando di un pubblico occidentale), in cui è nettamente più facile riconoscersi. Anche se la natura della storia non viene snaturata del tutto: infatti, è ancora possibile godersi alcuni scontri epici sulle ottantuno caselle, con diverse scene anche piuttosto evocative e a tratti agrodolci (solo chi ha visto può capire... cough cough... “episodio 18”... cough cough).
Questo show è scritto così bene che, nonostante il finale sia tutto sommato piuttosto aperto, rimane molto soddisfacente. Davvero molto. E solitamente sono piuttosto difficile su questo lato, quindi...
I colori tenui che dominano la maggior parte dei fotogrammi si abbinano sorprendentemente bene allo stile di animazione dello studio Shaft, che ritengo essere una delle punte di diamante del mondo dell'animazione nipponica.
Non mi hanno colpito particolarmente le musiche di apertura e chiusura, ma la colonna sonora di accompagnamento e l'ottima prova dei voice actor per me alzano ulteriormente l'asticella a questa storia.
È davvero un prodotto di qualità, capace di stuzzicare il cuore e la mente in modi diversi: gioia, dolore, rabbia, sollievo, confusione, frustrazione, soddisfazione; una lista bella lunga di emozioni che mi sono state regalate da questo titolo.
Slice-of-life leggermente "impegnato", ma comunque divertente. Consigliatissimo.
Attenzione: la recensione contiene spoiller
Dunque, dove eravamo rimasti?
Ah, sì! Il viaggio intrapreso da Rei verso il barlume di luce e speranza; un viaggio che non avrebbe più dovuto compiere da solo, così come era sempre stato, ma in amichevole compagnia.
Per chi non la conoscesse e per aiutarmi a imbastire il mio discorso, ricapitoliamo la trama.
Kiriyama Rei è un adolescente diventato professionista di shogi già alle medie e per questo considerato da tutti come il futuro Meijin. Rei è un ragazzo dal passato difficile; dopo aver perso i genitori e la sorellina in seguito a un incidente stradale in cui lui non fu coinvolto, venne adottato dalla famiglia di Masachika Koda, ex amico e rivale del padre. L’adattamento in un nuovo contesto fu ovviamente difficile, ma grazie allo shogi Rei riuscì a dare al nuovo padre grandi soddisfazioni, provocando però il disprezzo da parte dei due fratellastri, Kyoko la sorella più grande e Ayumu suo coetaneo. Questa situazione portò inevitabilmente a numerosi scontri all’interno del focolare domestico, in particolar modo tra Kyoko e il padre; scontri di cui Rei si sentiva la causa principale. Per questo motivo, una volta entrato nel mondo dello shogi professionistico, che garantisce una certa sicurezza economica, il ragazzo decise di andare a vivere da solo nel Rione Giugno. Qui fa la conoscenza delle sorelle Kawamoto del Rione Marzo, che rappresentano l’ultima ancora di salvezza che il destino ha in serbo per lui. Ed è così che Rei inizia finalmente ad uscire dal proprio guscio e a mettere da parte l’ego (io), per fare spazio al nos (noi). Da questo decisivo cambiamento parte la seconda stagione di “3-Gatsu no Lion”.
Si abbandonano, almeno all’inizio, i toni bui e tetri della prima stagione, per fare spazio a una solarità nuova, quasi inusuale e che, di fatto, è destinata a durare poco e a ritornare solo alla fine. Rei e il suo percorso di crescita restano il perno centrale dell’opera, ma questa volta si lascia maggior spazio agli altri personaggi, che non sono più delle comparse che ruotano intorno al protagonista, ma i protagonisti stessi delle “sventure” e delle crescite a cui assistiamo nel corso delle puntate. Ecco che la serie viene colpita da una ventata di aria fresca, ponendo l’obiettivo sugli altri personaggi della storia, che verranno, chi più e chi meno, approfonditi con estrema puntualità.
Se devo pensare a colei, che più di tutti ha subito una crescita esponenziale e un approfondimento degno di nota, penso a Hina, la seconda delle tre sorelle Kawamoto. Dal quasi anonimato della prima stagione, si passa alla centralità della seconda, in cui si fa artefice di un percorso di crescita che va in netta sintonia con quello intrapreso da Rei. La sua vicenda è quella che ci traghetta dalla felicità dei primi episodi, alla tristezza di quelli immediatamente successivi. Hina non ci appare più come una ragazza spensierata e con il sorriso sempre stampato in volto, perché a scuola è diventata vittima di bullismo. Per difendere la sua amica, Chiho, diventata bersaglio di atti di bullismo da parte di un gruppo di ragazze della sua stessa classe, Hina non può restare a guardare e si erge a difesa e sostegno della ragazza. Questo, purtroppo, non può però evitare che Chiho lasci la scuola e che sia lei la nuova vittima preferita di questi atti di bullismo. Ed è proprio nel momento in cui Hina torna a casa con le lacrime agli occhi e senza una scarpa, che Rei capisce di dover fare qualcosa per lei, la stessa ragazza che lo aveva aiutato ad uscire dalla sua solitudine. Seppur molto tristi, gli episodi non possono, ad un certo punto, che instillare nello spettatore anche una dose di felicità, perché il percorso intrapreso da Hina e Rei è meraviglioso e li porterà a un’amicizia che nessuno dei due aveva conosciuto prima e che sembra addirittura voler evolversi in altro. Un percorso denso di emozioni e ricco di scene di uno spessore unico, dalle lacrime e frustrazione di Hina quando si confessa a Rei sul ponte, fino alla sorpresa che lui le fa durante la gita scolastica. Tutti momenti unici e indimenticabili, fotogrammi di una crescita che però sembra essere soltanto agli inizi.
La centralità che assume Hina in questa seconda stagione va di pari passo con l’approfondimento di altri personaggi, da quelli già conosciuti alle new entry, a cui sono dedicate poche puntate o un intero arco narrativo. Penso allora a Nikaidou Harunobu, di cui viene approfondito il passato difficile, segnato da una malattia a noi sconosciuta e che lo costringe a una vita di sacrifici, ma che non sembra intenzionato a smettere di perseguire il proprio sogno, raggiungere la vetta dello shogi professionistico insieme all’amico d’infanzia, Rei. Penso al Meijin Souya, un personaggio mistico che sembra come coperto da un velo, che in questa seconda stagione cade del tutto, ed ecco, quindi, che apprendiamo del suo problema all’udito e dell’inevitabile difficoltà nell’intraprendere relazioni sociali. Infine, penso a Sakutaro Yanagihara, membro anziano dell’associazione di shogi, a cui viene dedicato uno degli archi che, personalmente, ho più apprezzato dell’intera opera. Uno shogista di quasi settant’anni, che vorrebbe smettere perché inizia a sentire gli acciacchi della vecchiaia, ma capisce che, senza lo shogi e il fardello che gli amici ex-shogisti gli hanno affidato, la sua vita sarebbe vuota.
Tutto questo, ovviamente, si accompagna al percorso di crescita che Rei aveva già intrapreso nella prima stagione e che, a conclusione della seconda, sembra giungere a un nuovo approdo. Il ragazzo capisce il vero valore dell’amicizia grazie alla frequentazione del club dei chimici-shogisti e alla vicinanza con Hina, che diventa un punto fermo nella sua vita. Riesce finalmente a superare il passato, tanto da andare a trovare la madre adottiva e riconciliarsi con il padre, giungendo a una serenità e pace interiore, che mai aveva provato prima. È così, che riesce ad intraprendere il cammino verso la B-2 con un atteggiamento completamente diverso e che porta ai primi risultati. Anche lo shogi non perde la sua centralità. Sono tante le partite su cui la regia punta il suo sguardo, come quella tra Shimada e Yanagihara valida per il titolo di Kishou e quella tra Rei e il Meijin, che per il ragazzo vale come vera e propria esperienza formativa. Di nuovo, la bravura sta nel non stancare mai, riuscendo nell’intento di far piacere uno sport lento e complesso come lo shogi anche a un povero occidentale come me.
Alla trama sublime, che, come in molti hanno fatto, confermo essere migliore di quella della prima stagione, che ritenevo insuperabile, si aggiungono, ancora una volta, un comparto tecnico e sonoro impeccabili. Stupisce la precisione con cui Nobuhiro Sugiyama, character designer della serie, sia riuscito nuovamente nell’intento di restare fedele al tratto singolare di Chica Umino. Le animazioni dello studio Shaft non perdono il loro impatto, dando valore anche ai movimenti e gesti più semplici compiuti dai personaggi, che non perdono mai la loro dinamicità. Restano stupendi i fondali, alcuni ripresi spudoratamente dalla prima stagione, come il ponte rosso e quello che separa i due Rioni. Infine, spicca nuovamente per bellezza e accuratezza il comparto sonoro; dalle musiche di Toshiki Kameyama che riescono ad adattarsi perfettamente ad ogni momento dell’opera, da quelli più tristi a quelli più allegri, fino alle opening e le ending, dal significato profondo e sonorità impeccabile, che contribuiscono a fare di questa opera una piccola perla.
Dunque, dove eravamo rimasti?
Ah, sì! Il viaggio intrapreso da Rei verso il barlume di luce e speranza; un viaggio che non avrebbe più dovuto compiere da solo, così come era sempre stato, ma in amichevole compagnia.
Per chi non la conoscesse e per aiutarmi a imbastire il mio discorso, ricapitoliamo la trama.
Kiriyama Rei è un adolescente diventato professionista di shogi già alle medie e per questo considerato da tutti come il futuro Meijin. Rei è un ragazzo dal passato difficile; dopo aver perso i genitori e la sorellina in seguito a un incidente stradale in cui lui non fu coinvolto, venne adottato dalla famiglia di Masachika Koda, ex amico e rivale del padre. L’adattamento in un nuovo contesto fu ovviamente difficile, ma grazie allo shogi Rei riuscì a dare al nuovo padre grandi soddisfazioni, provocando però il disprezzo da parte dei due fratellastri, Kyoko la sorella più grande e Ayumu suo coetaneo. Questa situazione portò inevitabilmente a numerosi scontri all’interno del focolare domestico, in particolar modo tra Kyoko e il padre; scontri di cui Rei si sentiva la causa principale. Per questo motivo, una volta entrato nel mondo dello shogi professionistico, che garantisce una certa sicurezza economica, il ragazzo decise di andare a vivere da solo nel Rione Giugno. Qui fa la conoscenza delle sorelle Kawamoto del Rione Marzo, che rappresentano l’ultima ancora di salvezza che il destino ha in serbo per lui. Ed è così che Rei inizia finalmente ad uscire dal proprio guscio e a mettere da parte l’ego (io), per fare spazio al nos (noi). Da questo decisivo cambiamento parte la seconda stagione di “3-Gatsu no Lion”.
Si abbandonano, almeno all’inizio, i toni bui e tetri della prima stagione, per fare spazio a una solarità nuova, quasi inusuale e che, di fatto, è destinata a durare poco e a ritornare solo alla fine. Rei e il suo percorso di crescita restano il perno centrale dell’opera, ma questa volta si lascia maggior spazio agli altri personaggi, che non sono più delle comparse che ruotano intorno al protagonista, ma i protagonisti stessi delle “sventure” e delle crescite a cui assistiamo nel corso delle puntate. Ecco che la serie viene colpita da una ventata di aria fresca, ponendo l’obiettivo sugli altri personaggi della storia, che verranno, chi più e chi meno, approfonditi con estrema puntualità.
Se devo pensare a colei, che più di tutti ha subito una crescita esponenziale e un approfondimento degno di nota, penso a Hina, la seconda delle tre sorelle Kawamoto. Dal quasi anonimato della prima stagione, si passa alla centralità della seconda, in cui si fa artefice di un percorso di crescita che va in netta sintonia con quello intrapreso da Rei. La sua vicenda è quella che ci traghetta dalla felicità dei primi episodi, alla tristezza di quelli immediatamente successivi. Hina non ci appare più come una ragazza spensierata e con il sorriso sempre stampato in volto, perché a scuola è diventata vittima di bullismo. Per difendere la sua amica, Chiho, diventata bersaglio di atti di bullismo da parte di un gruppo di ragazze della sua stessa classe, Hina non può restare a guardare e si erge a difesa e sostegno della ragazza. Questo, purtroppo, non può però evitare che Chiho lasci la scuola e che sia lei la nuova vittima preferita di questi atti di bullismo. Ed è proprio nel momento in cui Hina torna a casa con le lacrime agli occhi e senza una scarpa, che Rei capisce di dover fare qualcosa per lei, la stessa ragazza che lo aveva aiutato ad uscire dalla sua solitudine. Seppur molto tristi, gli episodi non possono, ad un certo punto, che instillare nello spettatore anche una dose di felicità, perché il percorso intrapreso da Hina e Rei è meraviglioso e li porterà a un’amicizia che nessuno dei due aveva conosciuto prima e che sembra addirittura voler evolversi in altro. Un percorso denso di emozioni e ricco di scene di uno spessore unico, dalle lacrime e frustrazione di Hina quando si confessa a Rei sul ponte, fino alla sorpresa che lui le fa durante la gita scolastica. Tutti momenti unici e indimenticabili, fotogrammi di una crescita che però sembra essere soltanto agli inizi.
La centralità che assume Hina in questa seconda stagione va di pari passo con l’approfondimento di altri personaggi, da quelli già conosciuti alle new entry, a cui sono dedicate poche puntate o un intero arco narrativo. Penso allora a Nikaidou Harunobu, di cui viene approfondito il passato difficile, segnato da una malattia a noi sconosciuta e che lo costringe a una vita di sacrifici, ma che non sembra intenzionato a smettere di perseguire il proprio sogno, raggiungere la vetta dello shogi professionistico insieme all’amico d’infanzia, Rei. Penso al Meijin Souya, un personaggio mistico che sembra come coperto da un velo, che in questa seconda stagione cade del tutto, ed ecco, quindi, che apprendiamo del suo problema all’udito e dell’inevitabile difficoltà nell’intraprendere relazioni sociali. Infine, penso a Sakutaro Yanagihara, membro anziano dell’associazione di shogi, a cui viene dedicato uno degli archi che, personalmente, ho più apprezzato dell’intera opera. Uno shogista di quasi settant’anni, che vorrebbe smettere perché inizia a sentire gli acciacchi della vecchiaia, ma capisce che, senza lo shogi e il fardello che gli amici ex-shogisti gli hanno affidato, la sua vita sarebbe vuota.
Tutto questo, ovviamente, si accompagna al percorso di crescita che Rei aveva già intrapreso nella prima stagione e che, a conclusione della seconda, sembra giungere a un nuovo approdo. Il ragazzo capisce il vero valore dell’amicizia grazie alla frequentazione del club dei chimici-shogisti e alla vicinanza con Hina, che diventa un punto fermo nella sua vita. Riesce finalmente a superare il passato, tanto da andare a trovare la madre adottiva e riconciliarsi con il padre, giungendo a una serenità e pace interiore, che mai aveva provato prima. È così, che riesce ad intraprendere il cammino verso la B-2 con un atteggiamento completamente diverso e che porta ai primi risultati. Anche lo shogi non perde la sua centralità. Sono tante le partite su cui la regia punta il suo sguardo, come quella tra Shimada e Yanagihara valida per il titolo di Kishou e quella tra Rei e il Meijin, che per il ragazzo vale come vera e propria esperienza formativa. Di nuovo, la bravura sta nel non stancare mai, riuscendo nell’intento di far piacere uno sport lento e complesso come lo shogi anche a un povero occidentale come me.
Alla trama sublime, che, come in molti hanno fatto, confermo essere migliore di quella della prima stagione, che ritenevo insuperabile, si aggiungono, ancora una volta, un comparto tecnico e sonoro impeccabili. Stupisce la precisione con cui Nobuhiro Sugiyama, character designer della serie, sia riuscito nuovamente nell’intento di restare fedele al tratto singolare di Chica Umino. Le animazioni dello studio Shaft non perdono il loro impatto, dando valore anche ai movimenti e gesti più semplici compiuti dai personaggi, che non perdono mai la loro dinamicità. Restano stupendi i fondali, alcuni ripresi spudoratamente dalla prima stagione, come il ponte rosso e quello che separa i due Rioni. Infine, spicca nuovamente per bellezza e accuratezza il comparto sonoro; dalle musiche di Toshiki Kameyama che riescono ad adattarsi perfettamente ad ogni momento dell’opera, da quelli più tristi a quelli più allegri, fino alle opening e le ending, dal significato profondo e sonorità impeccabile, che contribuiscono a fare di questa opera una piccola perla.
Se qualcuno mi chiedesse di descrivere con una parola "Un marzo da leoni" prima o seconda serie, la mia risposta sarebbe: "Emozionante".
Stavo cercando un tranquillo anime senza troppe pretese, quando ho incontrato questo piccolo capolavoro: all'inizio sinceramente non mi attirò più di tanto, sia i disegni sia il modo con il quale lo shogi veniva trattato non mi piacevano, trovavo i primi piuttosto strani, mentre per il secondo non capivo assolutamente niente di cose stesse accadendo durante le partite - la comprensione di mosse incredibili avveniva soltanto per il solito sospirare e vociare da anime, rendendo gli scontri piuttosto noiosi. Tuttavia, più andavo avanti, più i disegni cominciavano a piacermi, mentre per lo shogi, cominciando a focalizzarmi sulle emozioni dei giocatori, ho iniziato a godermi le partite, e in men che non si dica ero preso nella vita di questo straordinario giocatore adolescente di nome Rei. Purtroppo, a causa della natura complicata del gioco, non si riesce a capire cosa succede, e questo non cambia, al massimo lo si può vagamente intuire, ma una comprensione completa è impossibile per un occidentale. Questo in molti lo reputano un difetto, io sono d'accordo in parte, ricordiamoci che questo anime è fatto da Giapponesi per Giapponesi, non per esportarlo in giro per il mondo, quindi una base dettata dal fatto di vivere dove il gioco è stato creato penso lo renderebbe piuttosto comprensibile.
Per chi volesse fare paragoni con "Chihayafuru", altro anime che tratta di un gioco strettamente legato alla cultura giapponese, dicendo come lì si capisce subito cosa succede, vorrei ricordare che il karuta è infinitamente più semplice.
Tornando alle avventure del nostro protagonista, si potrà vedere come gli sfondi molto cupi e frequenti della prima stagione diminuiscono e iniziano a comparirne di più colorati, grazie alla sempre più frequente interazione con la famiglia delle tre sorelle (Akari, Hinata, Momo); non sono però da sottovalutare i personaggi secondari, come il professore e il migliore amico Nikaido, che faranno da personaggi comici all'interno del anime, e pure loro creano spunti sia di riflessione che di appoggio per Rei, spingendolo a migliorarsi. Tornando alle sorelle, nell'episodio 4 ha inizio l'arco narrativo incentrato su Hina, per me il migliore della serie sia per l'argomento trattato (il bullismo) sia per le emozione trasmesse, che riesce a esprimere perfettamente i sentimenti di tutti i personaggi, la tristezza, la paura, l'ansia, l'impotenza, anche grazie a un comparto tecnico molto buono. Sopratutto il doppiaggio rende questo arco una vera perla, la faccia di Hina nel mezzo dell'episodio 4 mi è rimasta ancora impressa dopo un mese dalla sua visione, inoltre offre una risoluzione piuttosto reale e per niente "buonista": il bullo/a infatti non è lasciato nel dimenticatoio, ma lo vedremo più volte mentre sconta la sua punizione, facendoci capire anche il perché delle sue azioni e quanto l'adolescenza sia la fase più complicata della vita.
Una menzione va fatta alla sorellastra di Rei, ovvero Kyoko, mina vagante nella vita del nostro protagonista, un po' sprecata, che ha ottimi incipit, ma ad un certo punto scompare e non la rivediamo più, ed è un vero peccato: essendo un ottimo personaggio, avrei voluto sapere come si evolve il rapporto tra loro due.
Stavo cercando un tranquillo anime senza troppe pretese, quando ho incontrato questo piccolo capolavoro: all'inizio sinceramente non mi attirò più di tanto, sia i disegni sia il modo con il quale lo shogi veniva trattato non mi piacevano, trovavo i primi piuttosto strani, mentre per il secondo non capivo assolutamente niente di cose stesse accadendo durante le partite - la comprensione di mosse incredibili avveniva soltanto per il solito sospirare e vociare da anime, rendendo gli scontri piuttosto noiosi. Tuttavia, più andavo avanti, più i disegni cominciavano a piacermi, mentre per lo shogi, cominciando a focalizzarmi sulle emozioni dei giocatori, ho iniziato a godermi le partite, e in men che non si dica ero preso nella vita di questo straordinario giocatore adolescente di nome Rei. Purtroppo, a causa della natura complicata del gioco, non si riesce a capire cosa succede, e questo non cambia, al massimo lo si può vagamente intuire, ma una comprensione completa è impossibile per un occidentale. Questo in molti lo reputano un difetto, io sono d'accordo in parte, ricordiamoci che questo anime è fatto da Giapponesi per Giapponesi, non per esportarlo in giro per il mondo, quindi una base dettata dal fatto di vivere dove il gioco è stato creato penso lo renderebbe piuttosto comprensibile.
Per chi volesse fare paragoni con "Chihayafuru", altro anime che tratta di un gioco strettamente legato alla cultura giapponese, dicendo come lì si capisce subito cosa succede, vorrei ricordare che il karuta è infinitamente più semplice.
Tornando alle avventure del nostro protagonista, si potrà vedere come gli sfondi molto cupi e frequenti della prima stagione diminuiscono e iniziano a comparirne di più colorati, grazie alla sempre più frequente interazione con la famiglia delle tre sorelle (Akari, Hinata, Momo); non sono però da sottovalutare i personaggi secondari, come il professore e il migliore amico Nikaido, che faranno da personaggi comici all'interno del anime, e pure loro creano spunti sia di riflessione che di appoggio per Rei, spingendolo a migliorarsi. Tornando alle sorelle, nell'episodio 4 ha inizio l'arco narrativo incentrato su Hina, per me il migliore della serie sia per l'argomento trattato (il bullismo) sia per le emozione trasmesse, che riesce a esprimere perfettamente i sentimenti di tutti i personaggi, la tristezza, la paura, l'ansia, l'impotenza, anche grazie a un comparto tecnico molto buono. Sopratutto il doppiaggio rende questo arco una vera perla, la faccia di Hina nel mezzo dell'episodio 4 mi è rimasta ancora impressa dopo un mese dalla sua visione, inoltre offre una risoluzione piuttosto reale e per niente "buonista": il bullo/a infatti non è lasciato nel dimenticatoio, ma lo vedremo più volte mentre sconta la sua punizione, facendoci capire anche il perché delle sue azioni e quanto l'adolescenza sia la fase più complicata della vita.
Una menzione va fatta alla sorellastra di Rei, ovvero Kyoko, mina vagante nella vita del nostro protagonista, un po' sprecata, che ha ottimi incipit, ma ad un certo punto scompare e non la rivediamo più, ed è un vero peccato: essendo un ottimo personaggio, avrei voluto sapere come si evolve il rapporto tra loro due.
La seconda serie è il fedele proseguimento della prima: pregi e difetti si ritrovano nella stessa misura. Non troverete nulla di diverso, e se possibile forse c'è stato un peggioramento. Qui infatti compaiono più volte scene di descrizione culinaria che avrebbero potuto stare benissimo in "Food Wars!", e ancora mi chiedo cosa c'entrino con il mondo dello shogi su cui quest'opera dovrebbe essere focalizzata. Per non parlare delle cinque puntate (avete letto bene) interamente dedicate al problema del mobbing scolastico cui viene sottoposta una delle sorelle amiche del protagonista... problema che tra l'altro si risolve senza neanche il suo intervento determinante! Tuttavia l'anime in una certa misura intriga, tanto è vero che non l'ho 'droppato', pur avendolo trovato a tratti veramente soporifero.
Sono finalmente riuscita a recuperare la seconda stagione di “Sangatsu no Lion”, che continuavo a procrastinare da mesi. Per quanto avessi già letto pareri entusiasti su un seguito ancora più riuscito dell’antecedente serie, prima di oggi faticavo a credere che la storia di Rei potesse essere resa in maniera ancora più superba. Faccio una breve premessa come sfogo personale: non lo faccio molto spesso, ma ho voluto leggere, di episodio in episodio, i commenti che i fan facevano, e... per quanto quasi tutti fossero rapiti dalle (dis)avventure del malinconico protagonista, ci sono state le ovvie lamentele sulla lentezza della serie e sul come molti problemi venissero risolti con troppo “buonismo”.
Detto ciò, la trama riprende esattamente da dove si era interrotta la prima serie. Rei ci viene presentato in uno scenario più sereno; basta la sua camminata iniziale del primo episodio, per darci un senso di benessere, decisamente in contrasto con quella che era la sua personalità nella prima stagione. Serenità che viene spezzata dalle nuove ricadute per il giovane ragazzo e per i personaggi che gli sono più vicini.
In particolare, l’attenzione decolla dal quarto episodio, quando inizia un lungo arco dedicato principalmente a Hina (il che non toglie minimamente spazio agli altri personaggi, ma anzi fa da trampolino di lancio per permettere a tutti i personaggi di porsi domande su sé stessi e sul ruolo che hanno sulle vite altrui), e ai problemi di bullismo a cui viene sottoposta.
Proprio sull’elemento “bullismo” ho letto i commenti più negativi, che sostenevano esserci troppo buonismo nella risoluzione dei problemi... cosa su cui onestamente non concordo neanche lontanamente. Per quanto i dialoghi possano essere resi più poetici, non c’è nulla - nei dieci episodi dedicati al tema - che lasci spazio a falsi moralismi. Hina assiste impotente alla fuga della sua migliore amica; assiste al bullismo a cui è soggetta; piange e si sfoga, si sente inutile e vuota. Così come Rei si sente impotente nel non sapere come aiutarla, o Akari si sente schiacciata dalla sua responsabilità di sorella maggiore, fino ad arrivare persino a una professoressa che non si schiera dalla parte della vittima, e finisce per diventarla a sua volta.
La risoluzione del problema potrà essere rosea e felice, ma viene raggiunta con la dovuta calma e i dovuti sforzi da parte di tutti, per questo ho apprezzato enormemente tutti i personaggi coinvolti e le scelte che sono state compiute da ognuno.
A completare il quadro, ci si mette un ottimo lavoro tecnico, a cominciare dalle animazioni riconoscibilissime dello studio Shaft.
Detto ciò, la trama riprende esattamente da dove si era interrotta la prima serie. Rei ci viene presentato in uno scenario più sereno; basta la sua camminata iniziale del primo episodio, per darci un senso di benessere, decisamente in contrasto con quella che era la sua personalità nella prima stagione. Serenità che viene spezzata dalle nuove ricadute per il giovane ragazzo e per i personaggi che gli sono più vicini.
In particolare, l’attenzione decolla dal quarto episodio, quando inizia un lungo arco dedicato principalmente a Hina (il che non toglie minimamente spazio agli altri personaggi, ma anzi fa da trampolino di lancio per permettere a tutti i personaggi di porsi domande su sé stessi e sul ruolo che hanno sulle vite altrui), e ai problemi di bullismo a cui viene sottoposta.
Proprio sull’elemento “bullismo” ho letto i commenti più negativi, che sostenevano esserci troppo buonismo nella risoluzione dei problemi... cosa su cui onestamente non concordo neanche lontanamente. Per quanto i dialoghi possano essere resi più poetici, non c’è nulla - nei dieci episodi dedicati al tema - che lasci spazio a falsi moralismi. Hina assiste impotente alla fuga della sua migliore amica; assiste al bullismo a cui è soggetta; piange e si sfoga, si sente inutile e vuota. Così come Rei si sente impotente nel non sapere come aiutarla, o Akari si sente schiacciata dalla sua responsabilità di sorella maggiore, fino ad arrivare persino a una professoressa che non si schiera dalla parte della vittima, e finisce per diventarla a sua volta.
La risoluzione del problema potrà essere rosea e felice, ma viene raggiunta con la dovuta calma e i dovuti sforzi da parte di tutti, per questo ho apprezzato enormemente tutti i personaggi coinvolti e le scelte che sono state compiute da ognuno.
A completare il quadro, ci si mette un ottimo lavoro tecnico, a cominciare dalle animazioni riconoscibilissime dello studio Shaft.
Dove eravamo rimasti?
Non ho la presunzione di pensare che chi legga questa recensione possa ricordarsi come avevo chiuso quella dedicata alla prima stagione di "Sangatsu no Lion", chiaro. Se faccio un richiamo a quanto scrissi esattamente un anno fa, infatti, è solo perché in quel caso preannunciavo, conoscendo già la trama del manga, un enorme aumento di interesse, qualità e importanza che la storia avrebbe avuto in questa seconda stagione dedicata alla magnifica opera di Chika Umino, e posso dire, fortunatamente, di essere stato buon (e facile) profeta, in quanto la visione di questi ulteriori ventidue episodi, che hanno arricchito il computo totale dei quali è composta la serie, è stata un’esperienza talmente bella che fatico a definirla. Potrei dire straordinaria, potrei dire eccezionale, potrei dire superlativa, ma mi sembrerebbe sempre troppo poco, e il modo migliore per dimostrarlo, forse, è parlarne di nuovo alla fine, quindi rieccomi pronto ad esaltare come prima, e più di prima, le splendide emozioni e sensazioni autentiche che quest’opera è in grado di regalare.
La trama di fondo, va da sé, non è diversa da quanto visto nella prima stagione: “Sangatsu no Lion” è la storia di Rei Kiriyama, della sua crescita fatta di dolorose cadute e ancora più dolorose risalite attraverso un sentiero che si snoda in due arterie principali, ora parallele, ora incrocianti, nelle quali trovano posto lo shogi da una parte, essendo lui un giocatore professionista già dalla scuola media, e le sorelle Kawamoto (Akari, Hinata e Momo) dall’altra, la famiglia che Rei ha incontrato sul suo percorso e che è stata per lui ancora di salvezza, approdo felice e fonte d’ispirazione nella ricerca di un futuro migliore.
Questo è lo scenario che ci ha presentato la prima stagione di “Sangatsu no Lion”, almeno nella sua fase iniziale, perché in realtà, sul finale, ci è già stato mostrato un Rei molto diverso dal ragazzo cupo e malinconico che apriva la serie, ed è da questa nuova versione che, ovviamente, prende avvio la seconda stagione: Rei è oggi un liceale più aperto e disponibile, ha una cerchia di amici a scuola ristretta, ma che frequenta con regolarità, ha accettato il suo ruolo professionale riuscendo a vivere lo shogi ora come un’attività importante della sua vita, ma non l’unico modo per sopravvivere che rappresentava da bambino, e continua la felice frequentazione di casa Kawamoto, dove è sempre ospite richiesto e ben gradito allo stesso modo di un qualsiasi familiare.
Questa conoscenza del protagonista permette alla serie di concentrarsi in questa seconda stagione oltre che su di lui, che resta ovviamente perno centrale della vicenda, anche su altri personaggi. Vecchie e nuove personalità dell’associazione di shogi che Rei frequenta faranno infatti la loro comparsa durante la serie o affronteranno prove difficili che ci permetteranno di conoscerli in maniera più approfondita: penso ad Harunobu Nikaido, che abbandonerà qui definitivamente la sua figura di macchietta comica-amico del protagonista, penso a Sakutaro Yanagihara, membro anziano dell’associazione e amico fraterno del presidente, che sarà protagonista di episodi memorabili carichi di rimandi alla vita in ogni sua fase e agli obiettivi da perseguire durante la stessa, penso a Toji Soya, l’invincibile meijin tanto forte quanto apatico che perderà la sua maschera di perfezione e ci verrà mostrato in tutte le sue grandi debolezze. Ma soprattutto, se devo pensare a un personaggio che si ritaglierà uno spazio fondamentale in questa parte di storia, penso alla seconda delle sorelle Kawamoto, la meravigliosa Hinata. Lei infatti sarà protagonista della storia più lunga, dura ed emozionante della stagione, quando si ritroverà vittima di episodi di bullismo subito da compagne di classe, vittima tra l’altro perché aveva osato difendere la ragazza originariamente presa come obiettivo di queste violenze, che, proprio in seguito a tutto ciò, sarà costretta ad abbandonare la scuola. Ritrovatasi sola e disperata per la prima volta dopo anni di tranquilla e felice vita scolastica, Hina, come ricordo essere chiamata da amici e familiari, riuscirà a reagire senza perdersi mai d’animo grazie al sostegno di Rei, della sua famiglia e degli amici che le resteranno fedeli, diventando allo stesso tempo una fonte d’ispirazione per gli altri grazie alla sua onestà e al suo enorme coraggio, che le ha permesso di ergersi sola contro il branco unicamente per difendere la sua amica. Nessuna parola penso riuscirà mai a rendere giustizia alla bellezza che trasmettono questi episodi, ogni secondo vissuto attraverso la lotta di questa “piccola eroina”, così la definisce Rei, è un momento prezioso da preservare, ammirare, condividere.
Questa storia, e tutte le altre che si sovrapporranno a quella di Rei, che continua la sua maturazione personale e professionale, garantisce alla serie un salto di qualità e un miglioramento rispetto alla prima stagione che io oso giudicare quasi definitivo, perché tutti i difetti presenti nella prima sono stati livellati o eliminati, alcuni anche per forza di cose, chiaro; la conoscenza e il cambiamento di Rei infatti hanno evitato la sensazione di pesantezza e lungaggine che si respirava negli episodi iniziali, e anche lo shogi è una disciplina che viene raccontata solo attraverso il vissuto personale del personaggio impegnato al momento, non mediante lunghe spiegazioni tecniche che possono appassionare chi ha già una conoscenza basilare dell’argomento, ma che finivano per tediare chi dello shogi poco capiva e, in fondo, neanche immaginava di doverlo comprendere.
Nel raggiungimento di questo risultato contribuisce poi certamente anche l’aspetto tecnico, che era e resta di livello altissimo. ‘Squadra che vince non si cambia’ recita un celebre detto calcistico, e lo Studio Shaft l’ha seguito a menadito, confermando il team della prima stagione che tanto bene aveva fatto, cosicché anche questa può fregiarsi dell’impeccabile regia di Akiyuki Shinbō, del character design di Nobuhiro Sugiyama, tanto rispettoso quanto migliorativo del tratto originale di Chika Umino, e delle melodie adatte ad ogni occasione di Yukari Hashimoto. Il lavoro perfetto fatto coi disegni e le animazioni di questa seconda stagione è ulteriormente esaltato dall’importanza e dalla delicatezza della storia che raccontano: quello che era percepibile, palpabile, già nel manga infatti ha trovato un’evoluzione in questa serie animata incredibile; probabilmente non ho le competenze per far capire ogni accorgimento tecnico utilizzato dallo studio, ma fatto sta che la visione di ogni episodio è stata un’esperienza indescrivibile, con l’occhio letteralmente rapito da disegni originali, effetti grafici imprevedibili, colori di gradazione sempre diversa a seconda del momento e un contorno di inquadrature, primi piani, stacchi sui personaggi encomiabile. Questo lavoro trova ancora maggior risalto quando è usato per ‘riempire’ quei vuoti lasciati per forza di cose dal manga, e cito un esempio per rendere l’idea: il quarto episodio (che sarebbe il ventiseiesimo totale, contando anche la prima stagione) si conclude con una cena familiare in casa Kawamoto per consolare Hina reduce dai suoi problemi scolastici, e nel manga tutto questo è rappresentato in una pagina con le didascalie atte a chiarificare il momento, una soluzione sicuramente efficace per quel media; l’anime poteva adottare una soluzione simile, aggiungendo i dialoghi a qualche fermo immagine, invece mostra una lunga sequenza muta, animata con dovizia in ogni secondo, con la sola musica ad accompagnare, che vede i personaggi impegnati in piccole attività quotidiane quali cucinare o preparare la tavola per la cena, una scena tanto semplice quanto efficace che riassume tutta la poesia che questa serie è in grado di trasmettere.
Il sigillo a questa confezione impeccabile lo pone infine il comparto sonoro, nelle veci delle musiche della già citata Hashimoto, certo, motivi sempre azzeccati ad ogni circostanza, sia felice che infausta, che la storia propone, ma, soprattutto, nella figura del doppiaggio giapponese, che non mi azzardo a definire il fiore all’occhiello della serie solo per timore di fare un torto alla splendida parte grafica che ho descritto poc'anzi. Il cast dei doppiatori, difatti, tutti confermati rispetto alla stagione precedente, ha realizzato una performance lodevole sulla scia dell’anno precedente, continuando a caratterizzare ogni personaggio alla perfezione, ma, se nella prima stagione citai il doppiatore di Rei, Kengo Kawanishi, come esempio per tutti, in questa occasione non posso non citare una splendida Kana Hanazawa che ha dato voce, vita e anima a Hina, un lavoro davvero incredibile, considerando i tanti stati emotivi diversi che la ragazza attraversa nel suo percorso.
E’ quasi inutile ribadirlo, forse, visto che penso di non aver detto mezza cosa negativa finora (perché non ne sentivo davvero l’esigenza!), ma anche le opening e le ending di questa seconda stagione di “Sangatsu no Lion” sono, semplicemente, bellissime. Le due opening sono “Flag wo Tatero” della cantante YUKI e “Haru ga Kite Bokura” del gruppo degli Unison Square Garden, canzoni pop semplici e orecchiabili accompagnate da due video abbastanza simili caratterizzati da animazioni fluide, scene genuine e serene ma, soprattutto, un arcobaleno di colori in movimento tanto belli da chiedersi quasi se, rispetto al video della primissima opening molto ermetico e cupo, stessimo guardando la stessa serie; le due ending invece sono “Kafune” dei Brian the Sun e “I am standing” della giovanissima Ruann, pezzi dal ritmo più compassato, il secondo con tendenze hip-hop quasi, con due video dallo stile simile che presentano animazioni mutevoli, rapide, con disegni astratti e indefiniti che forniscono alla serie l’ennesima rappresentazione artistica di altissimo livello.
Mi piacerebbe chiudere questa recensione decisamente positiva nello stesso modo, ma mi tocca purtroppo segnalare anche come questa seconda stagione di “Sangatsu no Lion” sia stata bistratta da tutti i distributori italiani: se la prima infatti aveva potuto godere della trasmissione in simulcast in Italia grazie a Dynit sulla piattaforma VVVVID, questa seconda è stata ignorata, e resta perciò ufficialmente inedita nel nostro Paese. Non voglio entrare nelle logiche commerciali che hanno portato a questa decisione, anche perché è sempre facile fare i conti coi soldi degli altri, ma un punto di vista critico non posso non esprimerlo, in quanto ritengo assolutamente una vergogna che ogni piattaforma di trasmissione italiana abbia tralasciato, per due stagioni su quattro, il migliore, o sicuramente uno dei migliori, anime a disposizione, artisticamente parlando, sulla piazza, soprattutto pensando a quante serie insulse o neanche lontanamente paragonabili a “Sangatsu no Lion” abbiano ricevuto invece miglior sorte!
Tolta questa amara considerazione, però, che in fondo nulla ha a che vedere con la qualità dell'anime stesso, sono felice di poter ribadire le tante virtù che ha questa serie e che questa seconda stagione ha messo in mostra come meglio non avrebbe potuto: non è solo un adattamento fedelissimo del manga originale, non è solo uno spokon alternativo e intrigante, non è solo uno slice of life emozionante e coinvolgente, è soprattutto una storia di vita, sia già vissuta che da vivere ancora, che tanto può trasmettere e tanto può insegnare, è un regalo da fare a sé stessi con la consapevolezza di assistere a qualcosa di speciale che può fregiarsi del titolo, mai meno abusato in questo caso, di capolavoro, un capolavoro di gioia, amarezza, passione e tenacia che tutti dovrebbero, e meriterebbero di provare, almeno una volta, nella vita.
Non ho la presunzione di pensare che chi legga questa recensione possa ricordarsi come avevo chiuso quella dedicata alla prima stagione di "Sangatsu no Lion", chiaro. Se faccio un richiamo a quanto scrissi esattamente un anno fa, infatti, è solo perché in quel caso preannunciavo, conoscendo già la trama del manga, un enorme aumento di interesse, qualità e importanza che la storia avrebbe avuto in questa seconda stagione dedicata alla magnifica opera di Chika Umino, e posso dire, fortunatamente, di essere stato buon (e facile) profeta, in quanto la visione di questi ulteriori ventidue episodi, che hanno arricchito il computo totale dei quali è composta la serie, è stata un’esperienza talmente bella che fatico a definirla. Potrei dire straordinaria, potrei dire eccezionale, potrei dire superlativa, ma mi sembrerebbe sempre troppo poco, e il modo migliore per dimostrarlo, forse, è parlarne di nuovo alla fine, quindi rieccomi pronto ad esaltare come prima, e più di prima, le splendide emozioni e sensazioni autentiche che quest’opera è in grado di regalare.
La trama di fondo, va da sé, non è diversa da quanto visto nella prima stagione: “Sangatsu no Lion” è la storia di Rei Kiriyama, della sua crescita fatta di dolorose cadute e ancora più dolorose risalite attraverso un sentiero che si snoda in due arterie principali, ora parallele, ora incrocianti, nelle quali trovano posto lo shogi da una parte, essendo lui un giocatore professionista già dalla scuola media, e le sorelle Kawamoto (Akari, Hinata e Momo) dall’altra, la famiglia che Rei ha incontrato sul suo percorso e che è stata per lui ancora di salvezza, approdo felice e fonte d’ispirazione nella ricerca di un futuro migliore.
Questo è lo scenario che ci ha presentato la prima stagione di “Sangatsu no Lion”, almeno nella sua fase iniziale, perché in realtà, sul finale, ci è già stato mostrato un Rei molto diverso dal ragazzo cupo e malinconico che apriva la serie, ed è da questa nuova versione che, ovviamente, prende avvio la seconda stagione: Rei è oggi un liceale più aperto e disponibile, ha una cerchia di amici a scuola ristretta, ma che frequenta con regolarità, ha accettato il suo ruolo professionale riuscendo a vivere lo shogi ora come un’attività importante della sua vita, ma non l’unico modo per sopravvivere che rappresentava da bambino, e continua la felice frequentazione di casa Kawamoto, dove è sempre ospite richiesto e ben gradito allo stesso modo di un qualsiasi familiare.
Questa conoscenza del protagonista permette alla serie di concentrarsi in questa seconda stagione oltre che su di lui, che resta ovviamente perno centrale della vicenda, anche su altri personaggi. Vecchie e nuove personalità dell’associazione di shogi che Rei frequenta faranno infatti la loro comparsa durante la serie o affronteranno prove difficili che ci permetteranno di conoscerli in maniera più approfondita: penso ad Harunobu Nikaido, che abbandonerà qui definitivamente la sua figura di macchietta comica-amico del protagonista, penso a Sakutaro Yanagihara, membro anziano dell’associazione e amico fraterno del presidente, che sarà protagonista di episodi memorabili carichi di rimandi alla vita in ogni sua fase e agli obiettivi da perseguire durante la stessa, penso a Toji Soya, l’invincibile meijin tanto forte quanto apatico che perderà la sua maschera di perfezione e ci verrà mostrato in tutte le sue grandi debolezze. Ma soprattutto, se devo pensare a un personaggio che si ritaglierà uno spazio fondamentale in questa parte di storia, penso alla seconda delle sorelle Kawamoto, la meravigliosa Hinata. Lei infatti sarà protagonista della storia più lunga, dura ed emozionante della stagione, quando si ritroverà vittima di episodi di bullismo subito da compagne di classe, vittima tra l’altro perché aveva osato difendere la ragazza originariamente presa come obiettivo di queste violenze, che, proprio in seguito a tutto ciò, sarà costretta ad abbandonare la scuola. Ritrovatasi sola e disperata per la prima volta dopo anni di tranquilla e felice vita scolastica, Hina, come ricordo essere chiamata da amici e familiari, riuscirà a reagire senza perdersi mai d’animo grazie al sostegno di Rei, della sua famiglia e degli amici che le resteranno fedeli, diventando allo stesso tempo una fonte d’ispirazione per gli altri grazie alla sua onestà e al suo enorme coraggio, che le ha permesso di ergersi sola contro il branco unicamente per difendere la sua amica. Nessuna parola penso riuscirà mai a rendere giustizia alla bellezza che trasmettono questi episodi, ogni secondo vissuto attraverso la lotta di questa “piccola eroina”, così la definisce Rei, è un momento prezioso da preservare, ammirare, condividere.
Questa storia, e tutte le altre che si sovrapporranno a quella di Rei, che continua la sua maturazione personale e professionale, garantisce alla serie un salto di qualità e un miglioramento rispetto alla prima stagione che io oso giudicare quasi definitivo, perché tutti i difetti presenti nella prima sono stati livellati o eliminati, alcuni anche per forza di cose, chiaro; la conoscenza e il cambiamento di Rei infatti hanno evitato la sensazione di pesantezza e lungaggine che si respirava negli episodi iniziali, e anche lo shogi è una disciplina che viene raccontata solo attraverso il vissuto personale del personaggio impegnato al momento, non mediante lunghe spiegazioni tecniche che possono appassionare chi ha già una conoscenza basilare dell’argomento, ma che finivano per tediare chi dello shogi poco capiva e, in fondo, neanche immaginava di doverlo comprendere.
Nel raggiungimento di questo risultato contribuisce poi certamente anche l’aspetto tecnico, che era e resta di livello altissimo. ‘Squadra che vince non si cambia’ recita un celebre detto calcistico, e lo Studio Shaft l’ha seguito a menadito, confermando il team della prima stagione che tanto bene aveva fatto, cosicché anche questa può fregiarsi dell’impeccabile regia di Akiyuki Shinbō, del character design di Nobuhiro Sugiyama, tanto rispettoso quanto migliorativo del tratto originale di Chika Umino, e delle melodie adatte ad ogni occasione di Yukari Hashimoto. Il lavoro perfetto fatto coi disegni e le animazioni di questa seconda stagione è ulteriormente esaltato dall’importanza e dalla delicatezza della storia che raccontano: quello che era percepibile, palpabile, già nel manga infatti ha trovato un’evoluzione in questa serie animata incredibile; probabilmente non ho le competenze per far capire ogni accorgimento tecnico utilizzato dallo studio, ma fatto sta che la visione di ogni episodio è stata un’esperienza indescrivibile, con l’occhio letteralmente rapito da disegni originali, effetti grafici imprevedibili, colori di gradazione sempre diversa a seconda del momento e un contorno di inquadrature, primi piani, stacchi sui personaggi encomiabile. Questo lavoro trova ancora maggior risalto quando è usato per ‘riempire’ quei vuoti lasciati per forza di cose dal manga, e cito un esempio per rendere l’idea: il quarto episodio (che sarebbe il ventiseiesimo totale, contando anche la prima stagione) si conclude con una cena familiare in casa Kawamoto per consolare Hina reduce dai suoi problemi scolastici, e nel manga tutto questo è rappresentato in una pagina con le didascalie atte a chiarificare il momento, una soluzione sicuramente efficace per quel media; l’anime poteva adottare una soluzione simile, aggiungendo i dialoghi a qualche fermo immagine, invece mostra una lunga sequenza muta, animata con dovizia in ogni secondo, con la sola musica ad accompagnare, che vede i personaggi impegnati in piccole attività quotidiane quali cucinare o preparare la tavola per la cena, una scena tanto semplice quanto efficace che riassume tutta la poesia che questa serie è in grado di trasmettere.
Il sigillo a questa confezione impeccabile lo pone infine il comparto sonoro, nelle veci delle musiche della già citata Hashimoto, certo, motivi sempre azzeccati ad ogni circostanza, sia felice che infausta, che la storia propone, ma, soprattutto, nella figura del doppiaggio giapponese, che non mi azzardo a definire il fiore all’occhiello della serie solo per timore di fare un torto alla splendida parte grafica che ho descritto poc'anzi. Il cast dei doppiatori, difatti, tutti confermati rispetto alla stagione precedente, ha realizzato una performance lodevole sulla scia dell’anno precedente, continuando a caratterizzare ogni personaggio alla perfezione, ma, se nella prima stagione citai il doppiatore di Rei, Kengo Kawanishi, come esempio per tutti, in questa occasione non posso non citare una splendida Kana Hanazawa che ha dato voce, vita e anima a Hina, un lavoro davvero incredibile, considerando i tanti stati emotivi diversi che la ragazza attraversa nel suo percorso.
E’ quasi inutile ribadirlo, forse, visto che penso di non aver detto mezza cosa negativa finora (perché non ne sentivo davvero l’esigenza!), ma anche le opening e le ending di questa seconda stagione di “Sangatsu no Lion” sono, semplicemente, bellissime. Le due opening sono “Flag wo Tatero” della cantante YUKI e “Haru ga Kite Bokura” del gruppo degli Unison Square Garden, canzoni pop semplici e orecchiabili accompagnate da due video abbastanza simili caratterizzati da animazioni fluide, scene genuine e serene ma, soprattutto, un arcobaleno di colori in movimento tanto belli da chiedersi quasi se, rispetto al video della primissima opening molto ermetico e cupo, stessimo guardando la stessa serie; le due ending invece sono “Kafune” dei Brian the Sun e “I am standing” della giovanissima Ruann, pezzi dal ritmo più compassato, il secondo con tendenze hip-hop quasi, con due video dallo stile simile che presentano animazioni mutevoli, rapide, con disegni astratti e indefiniti che forniscono alla serie l’ennesima rappresentazione artistica di altissimo livello.
Mi piacerebbe chiudere questa recensione decisamente positiva nello stesso modo, ma mi tocca purtroppo segnalare anche come questa seconda stagione di “Sangatsu no Lion” sia stata bistratta da tutti i distributori italiani: se la prima infatti aveva potuto godere della trasmissione in simulcast in Italia grazie a Dynit sulla piattaforma VVVVID, questa seconda è stata ignorata, e resta perciò ufficialmente inedita nel nostro Paese. Non voglio entrare nelle logiche commerciali che hanno portato a questa decisione, anche perché è sempre facile fare i conti coi soldi degli altri, ma un punto di vista critico non posso non esprimerlo, in quanto ritengo assolutamente una vergogna che ogni piattaforma di trasmissione italiana abbia tralasciato, per due stagioni su quattro, il migliore, o sicuramente uno dei migliori, anime a disposizione, artisticamente parlando, sulla piazza, soprattutto pensando a quante serie insulse o neanche lontanamente paragonabili a “Sangatsu no Lion” abbiano ricevuto invece miglior sorte!
Tolta questa amara considerazione, però, che in fondo nulla ha a che vedere con la qualità dell'anime stesso, sono felice di poter ribadire le tante virtù che ha questa serie e che questa seconda stagione ha messo in mostra come meglio non avrebbe potuto: non è solo un adattamento fedelissimo del manga originale, non è solo uno spokon alternativo e intrigante, non è solo uno slice of life emozionante e coinvolgente, è soprattutto una storia di vita, sia già vissuta che da vivere ancora, che tanto può trasmettere e tanto può insegnare, è un regalo da fare a sé stessi con la consapevolezza di assistere a qualcosa di speciale che può fregiarsi del titolo, mai meno abusato in questo caso, di capolavoro, un capolavoro di gioia, amarezza, passione e tenacia che tutti dovrebbero, e meriterebbero di provare, almeno una volta, nella vita.
Ogni episodio è una stretta al cuore, si strozza il respiro in gola, le lacrime ti fanno vedere tutto sbiadito e ti ritrovi catapultato in un mondo senza filtri che ti addolciscano la pillola. Quando c'è da stare male, si sta male davvero: momenti duri, freddi, angoscianti, dove ti manca il respiro, ti fanno sentire male dentro e ti senti impotente come il nostro protagonista: Rei. Il suo, e il nostro, unico angolo di salvezza è la piccola e accogliente casa Kawamoto, animata dalle dolcissime e amorevoli sorelle Akari, Hinata e Momo che rendono piacevoli anche le giornate più buie, riscaldandoti il cuore infreddolito dall'amarezza della vita. Anche altri due personaggi si prendono cura del nostro Rei: il suo vivacissimo amico Nikaidou e il premuroso sensei Hayashida. Mentre il suo rapporto con la sorellastra Kyouko è qualcosa di molto complesso.
Amo questa serie e le forti emozioni che mi fa provare. I disegni sono bellissimi, fortemente espressivi ed evocativi. Era da molto tempo che un anime non mi faceva sentire così bene. Lo consiglio veramente col cuore a tutti, perché penso che oltre a vivere una piacevole storia vi farà anche bene all'anima.
Amo questa serie e le forti emozioni che mi fa provare. I disegni sono bellissimi, fortemente espressivi ed evocativi. Era da molto tempo che un anime non mi faceva sentire così bene. Lo consiglio veramente col cuore a tutti, perché penso che oltre a vivere una piacevole storia vi farà anche bene all'anima.