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selene90

Episodi visti: 1/1 --- Voto 7,5
Anno 1979. Realizzato dalla Toei Animation, “Taro the Dragon Boy” si presenta come un film che potrebbe tranquillamente riallacciarsi al filone della fiaba.

Taro è un ragazzo povero, ma egoista e viziato, che passa il tempo a divertirsi e bighellonare, mentre a sua nonna spettano i lavori più pesanti per mantenerlo. Un giorno un tengu (un uomo uccello) gli offre una bevanda miracolosa, che gli conferirà una forza straordinaria. E ben presto Taro si renderà conto che la sua forza sarà utile solo quando messa al servizio altrui. Contemporaneamente, scoprirà che la madre è ancora viva e che, causa una maledizione, è stata trasformata in un drago. Desideroso di salvarla, Taro parte per un’avventura che gli farà rivalutare completamente il proprio io.

Quella del viaggio come metafora per la maturazione dell’io non è l’idea più originale del mondo, e, se a questo si aggiunge che il finale contiene la classica morale da favola, si può avere già ben chiaro il quadro generale di come sarà la pellicola.
Principalmente i pregi dell’opera sono il riuscito obiettivo di mostrare la progressiva maturazione di Taro, anche attraverso dialoghi un po’ ingenui e sempliciotti che metteranno a nudo la sua persona, le animazioni fluide e il riuscire a dipingere perfettamente l’ambientazione feudale.

Se questo ancora non basta a convincere a vedere il film, basti pensare a due dettagli: il design somiglia a quello di “Conan il ragazzo del futuro”; il film doveva essere diretto da Takahata, che purtroppo rinunciò per altri impegni, e passò di suo il lavoro al collega Kirio Urayama.


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God87

Episodi visti: 1/1 --- Voto 8
Nonostante sia povero, il piccolo orfano Taro, nato in un villaggio montano nella provincia del Shinshu, è viziato, pigro, fannullone e cresciuto nella bambagia, coccolato dalla nonna che si spezza la schiena per farlo mangiare mentre lui passa il tempo a giocare con i suoi amici animali. La sua esistenza cambierà dall'oggi al domani dopo l'incontro con un tengu: l'uomo-uccello gli offre infatti da bere un bicchiere di saké miracoloso, che gli fa ottenere la forza di cento uomini. Taro apprenderà che potrà usare il suo potere solo al servizio degli altri, quando realizzerà azioni non più per il bene di sé stesso ma solo per quello altrui. Il ragazzo avrà modo di maturare poco dopo, quando apprenderà che sua madre è ancora viva: dopo averlo partorito si era trasformata, per effetto di una misteriosa maledizione, in un drago, volando via e abbandonandolo. Desideroso di scoprire il perché, il ragazzo se ne va dal villaggio con l'intenzione di ritrovarla. Ha inizio la sua avventura.

Film di lodevole incanto, "Taro the Dragon Boy" è l'ultimo lungometraggio davvero memorabile realizzato da Toei Animation prima che il suo glorioso nome diventasse sinonimo di poco originali trasposizioni televisive medio/low budget di manga di successo. Un vero e proprio canto del cigno che mette la parola Fine a un'epoca d'oro, quella dove lo studio dettava legge nella creazione di lungometraggi di grandissima qualità artistica, ma che ora, persi i suoi più valenti uomini (Miyazaki, Takahata, Otsuka) e preso atto della nascita di nuove realtà talentuose come gli studi Tokyo Movie Shinsha, Mad House, Sunrise etc., è destinata a cedere il passo, senza però rinunciare a dettare un'ultima volta legge nel '79 con un grande film che rappresenta, metaforicamente, la sua eredità, il prestigioso commiato. Basato sull'omonimo romanzo di Miyoko Matsutani, a sua volta ispirato a una delle numerose, tipiche leggende del folklore nipponico, Taro sceglie coraggiosamente un background antico quale il Giappone feudale (in contrapposizione con il modaiolo scenario sci-fi di quegli anni, sdoganato da "Corazzata Spaziale Yamato" e dagli anime robotici) per raccontare una favola per bambini apprezzabilissima anche da un pubblico adulto. Una bella fiaba completa di morale (la ragione per cui la madre dell'eroe si è trasformata nella gigantesca creatura volante) e vari messaggi educativi, che prevedibilmente usa lo spunto di partenza per raccontare la crescita e la maturazione del protagonista.

Inizialmente un pigrone rifocillato dalla nonnina, sempre in giro a divertirsi disinteressandosi delle misere condizioni in cui versa il suo villaggio (e del duro lavoro a cui sono costretti i suoi compaesani per sopravvivere), Taro, nelle sue peregrinazioni, sperimenterà sulla propria pelle la realtà della vita: si guadagnerà di che vivere lavorando nei fertili campi di un paesello più ricco del suo, piangerà mangiando un "lussuoso" odango che la sua gente non potrebbe mai permettersi, imparerà la bellezza di aiutare disinteressatamente qualcuno in difficoltà per ricevere in cambio semplice gratitudine. Utilizzerà la sua forza erculea a fin di bene, diventando il salvatore di comunità più povere, aiutando una bambina rapita da un malvagio oni (demone), e riconciliandosi con la madre dopo aver appreso la sua triste storia. Una bella avventura insomma, che soddisfa le ambizioni di una riuscitissima storia di formazione. I toni del film sono ovviamente infantili, ma non per questo disprezzabili da un pubblico adulto: nonostante i dialoghi un po' ingenui, il carisma di Taro, i buffi disegni, i bei messaggi e il poderoso impatto visivo della pellicola sono elementi decisamente in grado di fare la differenza e affascinare il pubblico over-12.

Animazioni fluide e curatissime, maniacali nei dettagli, infondono vita a personaggi che, nonostante il design bambinesco, trovano una eccezionale mimica facciale che esprime con grande spontaneità i loro sentimenti. Taro, in particolare, con la simpatia, energia e volontà che lo contraddistinguono (e che ricordano il Conan miyazakiano dell'anno prima), diventa adorabile quando canta frequentemente la canzone portante del film, con quell'irresistibile, solenne ritornello flautistico "Ore wa, ore wa Tatsu no Ko Tatsu no Ko Taro" destinato ad attestarsi indelebilmente come una delle canzoni più belle mai sentite in un film d'animazione. In particolar modo, tuttavia, sono i fondali a rappresentare il noto, poderoso elemento della produzione: splendidi quadri basati sullo stile pittorico sumi-e, color ossidiana e dalle forme astratte a vaporose che rendono alla perfezione la dimensione mitologica di una vicenda dove sono di scena tengu, oni, draghi e altra fauna fantastica e raffigurazioni grafiche del folklore giapponese. Dall'inizio alla fine lo spettatore si gode, affascinato, una splendida componente visiva che si fa ricordare e che rappresenta per buona parte il pregio maggiore della pellicola.

Sull'altro lato della medaglia pesano indifferenti caratterizzazioni dei comprimari, alcuni personaggi il cui senso nella trama è oscuro e dialoghi, come già detto, ingenui: elementi che potrebbero essere particolarmente invisi dagli adulti insensibili al carisma visivo e concettuale della pellicola e più critici sul livello di scrittura della storia. Taro rimane comunque un film che, per il sense of wonder evocato e la sua importanza nella storia di Toei Animation, è degno, nonostante la bassissima notorietà, di venire accostato alle opere Ghibli, anche se, indubbiamente, rispetto a loro necessita di maggior contestualizzazione.


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Robocop XIII

Episodi visti: 1/1 --- Voto 10
Questo lungometraggio annata '79 è indubbiamente un capolavoro. Una favola d'altri tempi. Tatsunoko Taro, figlio di un drago, abita in un villaggio di montagna che per via dell'ambiente non può coltivare riso, e quindi cerca di sopravvivere col miglio. Taro vive insieme alla nonna, è un pigrone e nullafacente, e passa le giornate in montagna a parlare con i suoi amici animali. La sua vita procederà fino a quando due avvenimenti non gliela cambieranno: la rivelazione che sua madre è ancora viva e lo sta aspettando e un Tengu che gli donerà un potere particolare. Taro potrà infatti vantare la forza di cento uomini, ma solo se questa forza viene sfruttata per aiutare gli altri.

Il film è un dipinto animato, i fondali sono stupendi e anche la cura per i dettagli (esempio banale, ma Taro che gira a piedi scalzi per le montagne ha la pianta del piede sporca). Le musiche sono un piacere per le orecchie, flauti e tamburi scandiranno le scene del film fino alla sua conclusione.
La cultura giapponese c'è tutta: il riso, il sumo, il baseball, il folklore giapponese (Oni, Tengu, draghi), gli strumenti tradizionali e molto altro ancora.

Una produzione molto vecchia e praticamente sconosciuta ai più ma che bagna facilmente il naso a grande parte delle produzioni moderne. L'unico metro di paragone potrebbe essere una qualsivoglia opera targata Ghibli, e difatti tra i nomi di questo film troviamo un Isao Takahata agli esordi.
Il film è una favola, quindi è presente una morale, che è si banale, ma offre molti spunti di riflessione anche per un pubblico adulto. Indubbiamente un film da guardare, e ringrazio il tenshi fansub per avercelo portato in italia a distanza di 31 anni.