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Questo corto musicale, di cinque minuti circa, si apre con una figura in primo piano, seduta a un tavolino, intenta a bere un caffè. Dai tratti, questa persona, sembra una donna, ma potrebbe benissimo essere anche un giovane uomo, tuttavia questo non è un elemento così importante. La cosa interessante è che il gesto di alzare la tazzina, bere il caffè, e riporre la tazzina sul suo piattino, si ripete molte volte, all'inizio senza alcuna variazione, intervallato solo da piccoli cambiamenti di immagine e sonorità, poi, invece, progressivamente, si osserva una curiosa evoluzione.
Il tratto del disegno, inizialmente molto approssimativo, è semplicissimo, minimale, in bianco e nero. Sembra fatto a matita.
La musica di sottofondo è composta da strumenti classici ed elettronici, un mix di classicità e contemporaneità.
Dove non c'è un tratto definito della scena, parimenti c'è un accompagnamento musicale indefinito, mai conclusivo. Durante l'ascolto, a poco a poco, si osserva la comparsa di note dissonanti, non naturali, corrispondenti ad estroflessioni e deformazioni delle immagini. Via via che l'animazione si arricchisce, così come si arricchiscono i dettagli, vanno ad aumentare gli strumenti, e la trama musicale s'infittisce sempre più, pur tuttavia non essendo mai conclusiva. Quindi aumenta il ritmo, diventando quasi forsennato, accompagnando la comparsa di immagini, ora non più decolorate, che tra di loro sembrano non avere propriamente un legame logico. Mani, oggetti conici, occhi, volti deformi, uomini in fuga, casette, e ovviamente tazzine di caffè, contribuiscono, assieme agli strumenti (che quasi sembrano infine strillare), a darci un senso di inquietudine, disturbante, di caos.
Non c'è nessun elemento, musicale o visivo, che ci comunichi una conclusione sensata, equilibrata. È tutto sospeso. L'unico suono, e immagine naturale, a darci infine tregua, e una parvenza di "fine", è il suono del tocco della tazzina che si appoggia sul piattino nell'ultimissimo fotogramma. Quel suono conclusivo, a noi famigliare, proprio perché tale, ci dà finalmente sollievo.
Cosa avrà voluto comunicarci Yutaro kubo, l'autore di questo cortometraggio, con questa particolare sequenza di immagini e sonorità? Forse, un giorno, mentre osservava qualcuno bere un caffè, seduto a un tavolino, avrà pensato a cosa potesse mai passare per la testa a quella persona, mentre si trastullava nel semplice gesto di prendersi una tazzina di caffè. O forse, ha cercato di riprodurre in immagini e suoni i suoi stessi pensieri e fantasie, quando è lui stesso in un momento di relax come questo. Che l'artista sia solito a generare pensieri contorti, voi dite? Non necessariamente, io penso. I pensieri danzano da soli per tutti, se li si lasciano a briglie sciolte, non credete?
Se dovessi rappresentare l'impatto visivo e sonoro di questo corto, facendo ausilio delle sole parole, della punteggiatura e sintassi di queste, riassumerei il tutto in questo modo:
Lei beve un caffè. Lei beve un caffè. Lei beve un caffè. Lei beve un caffè, lei beve un caffè, lei beve un caffè. Pensa. Lei beve un caffè lei beve un caffè lei beve un caffè. Leibeveuncaffè leibeveuncaffè leibeveuncaffè (o forse è un lui?).
Ha bevuto un caffè.
Il tratto del disegno, inizialmente molto approssimativo, è semplicissimo, minimale, in bianco e nero. Sembra fatto a matita.
La musica di sottofondo è composta da strumenti classici ed elettronici, un mix di classicità e contemporaneità.
Dove non c'è un tratto definito della scena, parimenti c'è un accompagnamento musicale indefinito, mai conclusivo. Durante l'ascolto, a poco a poco, si osserva la comparsa di note dissonanti, non naturali, corrispondenti ad estroflessioni e deformazioni delle immagini. Via via che l'animazione si arricchisce, così come si arricchiscono i dettagli, vanno ad aumentare gli strumenti, e la trama musicale s'infittisce sempre più, pur tuttavia non essendo mai conclusiva. Quindi aumenta il ritmo, diventando quasi forsennato, accompagnando la comparsa di immagini, ora non più decolorate, che tra di loro sembrano non avere propriamente un legame logico. Mani, oggetti conici, occhi, volti deformi, uomini in fuga, casette, e ovviamente tazzine di caffè, contribuiscono, assieme agli strumenti (che quasi sembrano infine strillare), a darci un senso di inquietudine, disturbante, di caos.
Non c'è nessun elemento, musicale o visivo, che ci comunichi una conclusione sensata, equilibrata. È tutto sospeso. L'unico suono, e immagine naturale, a darci infine tregua, e una parvenza di "fine", è il suono del tocco della tazzina che si appoggia sul piattino nell'ultimissimo fotogramma. Quel suono conclusivo, a noi famigliare, proprio perché tale, ci dà finalmente sollievo.
Cosa avrà voluto comunicarci Yutaro kubo, l'autore di questo cortometraggio, con questa particolare sequenza di immagini e sonorità? Forse, un giorno, mentre osservava qualcuno bere un caffè, seduto a un tavolino, avrà pensato a cosa potesse mai passare per la testa a quella persona, mentre si trastullava nel semplice gesto di prendersi una tazzina di caffè. O forse, ha cercato di riprodurre in immagini e suoni i suoi stessi pensieri e fantasie, quando è lui stesso in un momento di relax come questo. Che l'artista sia solito a generare pensieri contorti, voi dite? Non necessariamente, io penso. I pensieri danzano da soli per tutti, se li si lasciano a briglie sciolte, non credete?
Se dovessi rappresentare l'impatto visivo e sonoro di questo corto, facendo ausilio delle sole parole, della punteggiatura e sintassi di queste, riassumerei il tutto in questo modo:
Lei beve un caffè. Lei beve un caffè. Lei beve un caffè. Lei beve un caffè, lei beve un caffè, lei beve un caffè. Pensa. Lei beve un caffè lei beve un caffè lei beve un caffè. Leibeveuncaffè leibeveuncaffè leibeveuncaffè (o forse è un lui?).
Ha bevuto un caffè.
Una persona seduta a un tavolo, con la testa mollemente - svogliatamente? In meditazione? Sonnacchiosamente? - appoggiata sul braccio destro, prende con la mano sinistra una tazza semipiena di tè o caffè, beve con calma un sorso, e la riposa. Il tutto, in otto secondi. E negli altri cinque minuti? La continua ripetizione di questo gesto, inizialmente in maniera identica ma, ben presto, con variazioni.
Inizialmente saranno variazioni piccole: la persona che beve, di sesso incerto - potrebbe essere un giovane come una donna coi capelli corti - è tratteggiata sommariamente a matita su uno sfondo avorio e le animazioni sono piuttosto “sporche”. I contorni vengono come pasticciati dalla matita mentre il soggetto si muove con un sottofondo sonoro molto tranquillo, quasi inesistente.
Ma, ben presto, la musica comincia a incalzare e la tazza si deforma, ogni volta sempre di più, per poi generare sagome fantastiche, anche colorate. Forme sempre più audaci appaiono e si agitano ad ogni ciclo, mentre la musica muta e si fa sempre più insistente e stridente.
Si ha l’impressione che la mente del/della protagonista vaghi, bevendo quel sorso di liquido. O forse che, al di fuori di quel gesto ripetuto, esista un mondo fantasmagorico, magari nella testa di chi beve. E ci si domanda se si tratti di un gesto ripetuto ogni giorno, e ogni giorno in modo leggermente diverso, o se non si tratti invece di una unica azione in molteplici universi paralleli.
Non è una visione facile, nel senso che seguire le animazioni mette a dura prova gli occhi dello spettatore. O, almeno, i miei. È anche un video decisamente particolare, ben lontano dalla comune concezione di anime o di cartone animato.
La musica di Miki Sakurai l’ho trovata molto aderente, anzi, esplicativa della parte visiva.
Resta il difficile compito di riassumere il tutto in chiave numerica. È un dato di fatto che, quando l’opera è breve, che sia di difficile comprensione o visione diventa secondario: in fondo, pochi minuti si investono volentieri e con buona disposizione. È anche la durata ideale per proporre qualcosa di non convenzionale. Mi è piaciuto, senza farmi gridare al miracolo. Tutto considerato, 7,5 mi sembra corretto.
Inizialmente saranno variazioni piccole: la persona che beve, di sesso incerto - potrebbe essere un giovane come una donna coi capelli corti - è tratteggiata sommariamente a matita su uno sfondo avorio e le animazioni sono piuttosto “sporche”. I contorni vengono come pasticciati dalla matita mentre il soggetto si muove con un sottofondo sonoro molto tranquillo, quasi inesistente.
Ma, ben presto, la musica comincia a incalzare e la tazza si deforma, ogni volta sempre di più, per poi generare sagome fantastiche, anche colorate. Forme sempre più audaci appaiono e si agitano ad ogni ciclo, mentre la musica muta e si fa sempre più insistente e stridente.
Si ha l’impressione che la mente del/della protagonista vaghi, bevendo quel sorso di liquido. O forse che, al di fuori di quel gesto ripetuto, esista un mondo fantasmagorico, magari nella testa di chi beve. E ci si domanda se si tratti di un gesto ripetuto ogni giorno, e ogni giorno in modo leggermente diverso, o se non si tratti invece di una unica azione in molteplici universi paralleli.
Non è una visione facile, nel senso che seguire le animazioni mette a dura prova gli occhi dello spettatore. O, almeno, i miei. È anche un video decisamente particolare, ben lontano dalla comune concezione di anime o di cartone animato.
La musica di Miki Sakurai l’ho trovata molto aderente, anzi, esplicativa della parte visiva.
Resta il difficile compito di riassumere il tutto in chiave numerica. È un dato di fatto che, quando l’opera è breve, che sia di difficile comprensione o visione diventa secondario: in fondo, pochi minuti si investono volentieri e con buona disposizione. È anche la durata ideale per proporre qualcosa di non convenzionale. Mi è piaciuto, senza farmi gridare al miracolo. Tutto considerato, 7,5 mi sembra corretto.