L'Immortale
È dai primi teaser che mi punge vaghezza di vedere come il bravo Hiroshi Hamasaki sia riuscito a gestire e a comprimere trenta densi volumetti in "soli" ventiquattro episodi. Un manga con uno stile di disegno già di per sé complicatuccio da portare in cartone animato. Uno dei successi più imperituri della sterminata scuderia Kodansha. Non avendolo mai letto, sarò un arbitro imparziale, un osservatore scettico e incredulo, anche perché mi sa tanto che gli sceneggiatori avranno dovuto, giocoforza, bypassare qualcosa. Una serie monca e trasformata in shounen già esiste, a questo punto spererei che i produttori abbiano fatto tesoro di quel clamoroso tonfo (anche se non è poi così malvagia come la si dipinge). Chissà se riusciranno a far riaccendere le luci della ribalta su "Mugen no Junin", meglio conosciuto come "Blade Of The Immortal", e a tener le redini per tutta la durata. Sembrerebbe di sì. L'hype era alto. Almeno questo dobbiamo riconoscerglielo.
I colori tenebrosi e il sangue tinta carminio ci riportano indietro nel tempo, quando la scena era dominata dal caposcuola del genere cupo e realistico, Yoshiaki Kawajiri, che ci delizia con lo storyboard del quinto episodio (a mio modesto parere uno dei migliori). A Makoto Fukami invece il compito di sobbarcarsi tutto il lavoro di supervisione generale degli script e di tenere sulla graticola lo spettatore fino all'ultimo fotogramma. I dialoghi sono veloci e comprensibili, non conditi con vocaboli caduti in disuso, nipponismi vari o valangate di termini aulici dell'era Tenmei. L'unica parte in cui si percepisce un piccolo momento d'impasse è quando entra in scena Burando Ayame.
I key animator hanno potuto pazziare con truculente sfide a colpi di katane e kusarigama (lett. "catena-falce"). Ci si impiega un po' a metabolizzare queste sequenze gore, magari non il massimo della spettacolarità ma registicamente impeccabili. Mica bruscolini, come racconta qualche radical chic che se non vede i nomi di Iso, Ohira e Inoue declassa l'opera a priori. Ciò che mi ha più affascinato è la gamma di tonalità, incredibilmente vicina alla realtà: il faggio ha il suo classico colore grigiastro chiaro, le felci arboree hanno le caratteristiche foglie giallo-verdi, senza dimenticare dipoi i tenui colori delle camelie e delle azalee.
Il direttore artistico Takashi Kudou ha a disposizione il mare, il cielo, le stelle, le montagne, e può giocarvici a suo piacimento. Paesaggi idilliaci vengono mostrati con frequenza durante i cosiddetti fegatelli, e con l'aiutino di effetti speciali digitali generati al computer si susseguono riflessi di luna, nubi frastagliate, la trasparenza delle acque, o ancora i riverberi dei raggi solari. Consiglio di sfruttare appieno la vostra visione periferica per assaporare meglio i dettagli che sono presenti; come i fasci di luce che spuntano tra le canne di bambù e i profumatissimi Lillà delle indie (peccato non si possa usufruire della tecnologia 4DX nel salotto di casa, in modo da farsi coccolare dagli odori della flora nipponica).
Devo ammettere che l'utilizzo del filtro lomografico si è rivelato una scelta di buon gusto, specialmente nelle scene in notturna con l'alone argentato della luna a illuminare la scena. Tuttavia, qualche tratteggio in più nelle ombreggiature non avrebbe guastato. Trovo riuscitissima anche la scelta di realizzare la sigla d'apertura con il tratto G-Pen associato alla modalità rumore termico (effetto sabbia). Il risultato è finale è sorprendente. Non è un imparaticcio, bensì rispetta tutti i mantra del perfetto anime a sfondo storico. Benedico i giovani artisti di Liden Film che ci fanno capire cos'è la beltà, e si reggono, tra motion capture e grafica vettoriale, come uno degli avamposti dell'animazione tradizionale.
Ogni episodio è un caleidoscopio di sangue viscoso che zampilla e un turbinio di arti mozzati, di bellezza indescrivibile ma anche di orrore ineffabile. Lo stridio continuo di spade e pugnali si interrompe su di un placido shishi odoshi basculante. Si passa senza avvisare dal primo piano di uno splendido esemplare di vanessa dalle ali maculate a una testa di un samurai che rotola. Farfalle gestite in CGI che sembrano dei piccoli droni robotizzati e teleguidati, più che leggiadre creature che volteggiano di fiore in fiore. Scelta esecrabile, poiché a mano libera i disegni prendono vita. Oltretutto questa cosa non è avventizia, dal momento che viene reiterata più e più volte nel corso della serie. Piccole note stonate che ad alcuni non daranno noia, ma a me rovinano la visione. Tolgono tutta la poesia nel giro di un flick. Inoltre, sovente i personaggi se ne stanno immobili e l'unica parte animata risulta essere la bocca. Poco decoroso per un progetto di tale levatura, nonostante il sacrificio, l'impegno e la dedizione che vi hanno riservato gli addetti ai fondali.
Apprezzato il taglio cinematografico, assente in "Dororo", quest'ultimo accuratamente depoliticizzato con un finale assai addolcito. Auguriamoci che questo web-anime non abbia risentito delle millemila restrizioni in vigore oggi. Mostro bipartisan, quello del becero convenzionalismo assolutista, creato dalle multinazionali dello streaming in combutta con i presunti intellettuali di sinistra e i facinorosi beghini di destra, che rischia di intaccare pure l'opera più nota di Samura. A mio malgrado ho notato un emblematico decremento di nudità, nonostante l'esplicito avviso iniziale a caratteri cubitali. Parliamoci chiaro, trenta o quarant'anni fa avrebbe potuto essere trasmesso tranquillamente nel tardo pomeriggio ("Kamui" era violento e scorretto in egual misura). Oggi ci sono avvertenze di ogni tipo, bollini rossi prima dopo e durante, parental control e una pletora di altre cavolate. Anche i giapponesi ormai non sono più immuni da questa piaga.
A tratti un po' ostico da seguire causa la mancanza di spiegazioni tra un episodio e l'altro, per questo - e per via delle lacune grafiche succitate - lo colloco appena mezzo gradino sotto al remake di "Dororo". Molto buono ma non eccellente. Non è un capolavoro che sposterà l'equilibrio astrale. Comunque, rispetto alla "stiracchiata" miniserie del 2008, il titolo di Amazon è un lodevole passo avanti, e siccome non c'è il due senza il tre possiamo ancora sperare in una trasposizione che dia maggiore respiro ai momenti salienti. Magari con la stessa carica erotica dei disegni fatti a pennino. Magari senza lepidotteri poligonali. Magari con una conclusione meno precipitosa e irriflessiva. Allora sarà la volta buona che si beccherà un 10 tondo tondo. La possibilità c'è. Il sorriso beffardo dell'autarchico Manji è duro a morire, anzi oserei dire "quasi immortale".
I colori tenebrosi e il sangue tinta carminio ci riportano indietro nel tempo, quando la scena era dominata dal caposcuola del genere cupo e realistico, Yoshiaki Kawajiri, che ci delizia con lo storyboard del quinto episodio (a mio modesto parere uno dei migliori). A Makoto Fukami invece il compito di sobbarcarsi tutto il lavoro di supervisione generale degli script e di tenere sulla graticola lo spettatore fino all'ultimo fotogramma. I dialoghi sono veloci e comprensibili, non conditi con vocaboli caduti in disuso, nipponismi vari o valangate di termini aulici dell'era Tenmei. L'unica parte in cui si percepisce un piccolo momento d'impasse è quando entra in scena Burando Ayame.
I key animator hanno potuto pazziare con truculente sfide a colpi di katane e kusarigama (lett. "catena-falce"). Ci si impiega un po' a metabolizzare queste sequenze gore, magari non il massimo della spettacolarità ma registicamente impeccabili. Mica bruscolini, come racconta qualche radical chic che se non vede i nomi di Iso, Ohira e Inoue declassa l'opera a priori. Ciò che mi ha più affascinato è la gamma di tonalità, incredibilmente vicina alla realtà: il faggio ha il suo classico colore grigiastro chiaro, le felci arboree hanno le caratteristiche foglie giallo-verdi, senza dimenticare dipoi i tenui colori delle camelie e delle azalee.
Il direttore artistico Takashi Kudou ha a disposizione il mare, il cielo, le stelle, le montagne, e può giocarvici a suo piacimento. Paesaggi idilliaci vengono mostrati con frequenza durante i cosiddetti fegatelli, e con l'aiutino di effetti speciali digitali generati al computer si susseguono riflessi di luna, nubi frastagliate, la trasparenza delle acque, o ancora i riverberi dei raggi solari. Consiglio di sfruttare appieno la vostra visione periferica per assaporare meglio i dettagli che sono presenti; come i fasci di luce che spuntano tra le canne di bambù e i profumatissimi Lillà delle indie (peccato non si possa usufruire della tecnologia 4DX nel salotto di casa, in modo da farsi coccolare dagli odori della flora nipponica).
Devo ammettere che l'utilizzo del filtro lomografico si è rivelato una scelta di buon gusto, specialmente nelle scene in notturna con l'alone argentato della luna a illuminare la scena. Tuttavia, qualche tratteggio in più nelle ombreggiature non avrebbe guastato. Trovo riuscitissima anche la scelta di realizzare la sigla d'apertura con il tratto G-Pen associato alla modalità rumore termico (effetto sabbia). Il risultato è finale è sorprendente. Non è un imparaticcio, bensì rispetta tutti i mantra del perfetto anime a sfondo storico. Benedico i giovani artisti di Liden Film che ci fanno capire cos'è la beltà, e si reggono, tra motion capture e grafica vettoriale, come uno degli avamposti dell'animazione tradizionale.
Ogni episodio è un caleidoscopio di sangue viscoso che zampilla e un turbinio di arti mozzati, di bellezza indescrivibile ma anche di orrore ineffabile. Lo stridio continuo di spade e pugnali si interrompe su di un placido shishi odoshi basculante. Si passa senza avvisare dal primo piano di uno splendido esemplare di vanessa dalle ali maculate a una testa di un samurai che rotola. Farfalle gestite in CGI che sembrano dei piccoli droni robotizzati e teleguidati, più che leggiadre creature che volteggiano di fiore in fiore. Scelta esecrabile, poiché a mano libera i disegni prendono vita. Oltretutto questa cosa non è avventizia, dal momento che viene reiterata più e più volte nel corso della serie. Piccole note stonate che ad alcuni non daranno noia, ma a me rovinano la visione. Tolgono tutta la poesia nel giro di un flick. Inoltre, sovente i personaggi se ne stanno immobili e l'unica parte animata risulta essere la bocca. Poco decoroso per un progetto di tale levatura, nonostante il sacrificio, l'impegno e la dedizione che vi hanno riservato gli addetti ai fondali.
Apprezzato il taglio cinematografico, assente in "Dororo", quest'ultimo accuratamente depoliticizzato con un finale assai addolcito. Auguriamoci che questo web-anime non abbia risentito delle millemila restrizioni in vigore oggi. Mostro bipartisan, quello del becero convenzionalismo assolutista, creato dalle multinazionali dello streaming in combutta con i presunti intellettuali di sinistra e i facinorosi beghini di destra, che rischia di intaccare pure l'opera più nota di Samura. A mio malgrado ho notato un emblematico decremento di nudità, nonostante l'esplicito avviso iniziale a caratteri cubitali. Parliamoci chiaro, trenta o quarant'anni fa avrebbe potuto essere trasmesso tranquillamente nel tardo pomeriggio ("Kamui" era violento e scorretto in egual misura). Oggi ci sono avvertenze di ogni tipo, bollini rossi prima dopo e durante, parental control e una pletora di altre cavolate. Anche i giapponesi ormai non sono più immuni da questa piaga.
A tratti un po' ostico da seguire causa la mancanza di spiegazioni tra un episodio e l'altro, per questo - e per via delle lacune grafiche succitate - lo colloco appena mezzo gradino sotto al remake di "Dororo". Molto buono ma non eccellente. Non è un capolavoro che sposterà l'equilibrio astrale. Comunque, rispetto alla "stiracchiata" miniserie del 2008, il titolo di Amazon è un lodevole passo avanti, e siccome non c'è il due senza il tre possiamo ancora sperare in una trasposizione che dia maggiore respiro ai momenti salienti. Magari con la stessa carica erotica dei disegni fatti a pennino. Magari senza lepidotteri poligonali. Magari con una conclusione meno precipitosa e irriflessiva. Allora sarà la volta buona che si beccherà un 10 tondo tondo. La possibilità c'è. Il sorriso beffardo dell'autarchico Manji è duro a morire, anzi oserei dire "quasi immortale".
Premetto di aver letto il manga molto tempo fa, terminandolo; non vorrei dire una castroneria, ma mi pare che le ultime parti le seguii in pari col Giappone. Il confronto con l'adattamento non è quindi così immediato, ma resta il fatto che quest'anime, pur non potendo dire sia fatto male in nessun aspetto, mi ha annoiato, tanto che non riuscivo a terminare le puntate, e quindi ho deciso di interromperlo.
La storia è ben fatta, ma il ritmo è molto lento, ma allo stesso tempo veloce. Mi spiego meglio: hanno tagliato un sacco di cose, e quindi la trama generale prosegue velocemente, ma ne hanno tagliate così tante, che non c'è materiale per le puntate singole, che quindi, pur portando avanti la trama, sono piene di momenti noiosi e in generale hanno un pessimo ritmo.
Quindi lo consiglio solo a chi è appassionato di Giappone feudale o comunque di storie cappa e spada (con un tocco non pesante di elementi irrealistici nel protagonista) nipponiche.
Se dovessi trovare un vero pregio, risiederebbe nella componente grafica veramente meravigliosa (grafica non delle animazioni, che sono al più mediocri).
La storia è ben fatta, ma il ritmo è molto lento, ma allo stesso tempo veloce. Mi spiego meglio: hanno tagliato un sacco di cose, e quindi la trama generale prosegue velocemente, ma ne hanno tagliate così tante, che non c'è materiale per le puntate singole, che quindi, pur portando avanti la trama, sono piene di momenti noiosi e in generale hanno un pessimo ritmo.
Quindi lo consiglio solo a chi è appassionato di Giappone feudale o comunque di storie cappa e spada (con un tocco non pesante di elementi irrealistici nel protagonista) nipponiche.
Se dovessi trovare un vero pregio, risiederebbe nella componente grafica veramente meravigliosa (grafica non delle animazioni, che sono al più mediocri).
«L’Immortale» è una produzione Liden Films che traspone l’omonimo manga, serializzato fra il 1993 e il 2012, di Hiroaki Samura. La corposa opera di trenta volumi è stata condensata in ventiquattro episodi, impresa evidentemente non semplice e che ha costretto il team a operare delle scelte, privilegiando alcuni elementi e sacrificandone altri. Per me questa trasposizione è stata il primo approccio con quest’opera e, ammetto, mi è piaciuta enormemente, forse anche al di là dei suoi oggettivi pregi.
La serie, diretta da Hiroshi Hamasaki («Texhnolyze»; «Steins;Gate»), rinuncia a una solida coerenza narrativa (pur lasciando intuire che l’opera cartacea la possieda) e, con poche eccezioni, si presenta di fatto come un’antologia: sono delle “scene scelte” quelle sottoposte all'attenzione dello spettatore; ognuna significativa, ognuna in grado di tratteggiare i traumi che subiscono i diversi personaggi. Perché il mondo in cui è ambientata la storia della giovane Rin, della sua ricerca di vendetta, affiancata dalla guardia del corpo, il ronin immortale Manji, è quel terribile Giappone feudale in cui la vita umana non ha alcun valore e in cui la condizione delle donne è miserrima. Il tema si presta a una corposa profusione di scene piene di sangue e di violenza, un compiacimento nel mostrare smembramenti e nel tratteggiare stupri è innegabile, ed è un fattore da valutare prima di iniziarne la visione.
Il primo degli elementi che mi ha fatto innamorare della serie è la presenza pervasiva di focus su minuti particolari del paesaggio naturale, sulla vegetazione (ritratta con la cura che consente di identificare la specie al primo sguardo) o sugli insetti (dei gerridi sul pelo dell’acqua, le libellule in volo, le cicale nel calore estivo, una farfalla che si abbevera nel sangue versato): è la Natura indifferente di Leopardi, concetto reso con grandissima efficacia, struggente.
Il secondo elemento è la ricerca della soddisfazione visiva: c’è una grande cura per rendere il tutto una gioia per gli occhi. A partire dal character design di Shingo Ogiso che riesce a portare sullo schermo la bellezza, sporca e malinconica, del tratto di Samura; per proseguire con l’attenzione alla palette cromatica che, se da un lato ha un’unità in tutta la serie, dall’altro muta nei singoli episodi per sottolineare alcuni momenti (come l’episodio 20 giocato su tre soli colori: nero, bianco, rosso). Senza entrare nei dettagli, ma l’episodio finale ha immagini così evocative e potenti che può sostenere la narrazione facendo a meno dei dialoghi per una metà del tempo. Anche la OST, azzeccatissima, contribuisce all’immersione in questo mondo fulgido e atroce.
Il terzo atout sono i personaggi femminili: se i tanti personaggi principali («L’Immortale» è anche una storia corale) sono ritratti tutti con efficacia, ben evidenziando la difficoltà di incasellarli in categorie quali “male” e “bene” (ad esclusione di pochi personaggi del tutto negativi, come Shira), quelli femminili si fanno notare ancora di più perché hanno una forza inusuale in questo tipo di storia. È difficile non amare queste ragazze e queste donne: Rin, Makie, Hyakurin, Doa, la figlia di Habaki, ma anche quelle che compaiono fugacemente; ognuna con la propria indole, cupa o allegra, cinica o amorevole, sono immerse in un mondo violento, senza prospettive accettabili dall'odierno punto di vista, ma non sono mai meschine, mai dome, tutte dotate di grande forza.
Due i principali difetti: la sceneggiatura di Makoto Fukami (che ha curato gli ultimi prodotti, non così felici di «Psycho Pass») è comunque inefficace e può infastidire. E poi le animazioni: per quanto il prodotto sia graficamente d’impatto, le animazioni non sono di livello: è bellissimo, ma più “nonostante” le animazioni che “grazie” ad esse. Due difetti importanti, eppure io mi sentirei di consigliare la visione di quest’opera che affianca momenti di realismo e momenti espressionisti.
La serie, diretta da Hiroshi Hamasaki («Texhnolyze»; «Steins;Gate»), rinuncia a una solida coerenza narrativa (pur lasciando intuire che l’opera cartacea la possieda) e, con poche eccezioni, si presenta di fatto come un’antologia: sono delle “scene scelte” quelle sottoposte all'attenzione dello spettatore; ognuna significativa, ognuna in grado di tratteggiare i traumi che subiscono i diversi personaggi. Perché il mondo in cui è ambientata la storia della giovane Rin, della sua ricerca di vendetta, affiancata dalla guardia del corpo, il ronin immortale Manji, è quel terribile Giappone feudale in cui la vita umana non ha alcun valore e in cui la condizione delle donne è miserrima. Il tema si presta a una corposa profusione di scene piene di sangue e di violenza, un compiacimento nel mostrare smembramenti e nel tratteggiare stupri è innegabile, ed è un fattore da valutare prima di iniziarne la visione.
Il primo degli elementi che mi ha fatto innamorare della serie è la presenza pervasiva di focus su minuti particolari del paesaggio naturale, sulla vegetazione (ritratta con la cura che consente di identificare la specie al primo sguardo) o sugli insetti (dei gerridi sul pelo dell’acqua, le libellule in volo, le cicale nel calore estivo, una farfalla che si abbevera nel sangue versato): è la Natura indifferente di Leopardi, concetto reso con grandissima efficacia, struggente.
Il secondo elemento è la ricerca della soddisfazione visiva: c’è una grande cura per rendere il tutto una gioia per gli occhi. A partire dal character design di Shingo Ogiso che riesce a portare sullo schermo la bellezza, sporca e malinconica, del tratto di Samura; per proseguire con l’attenzione alla palette cromatica che, se da un lato ha un’unità in tutta la serie, dall’altro muta nei singoli episodi per sottolineare alcuni momenti (come l’episodio 20 giocato su tre soli colori: nero, bianco, rosso). Senza entrare nei dettagli, ma l’episodio finale ha immagini così evocative e potenti che può sostenere la narrazione facendo a meno dei dialoghi per una metà del tempo. Anche la OST, azzeccatissima, contribuisce all’immersione in questo mondo fulgido e atroce.
Il terzo atout sono i personaggi femminili: se i tanti personaggi principali («L’Immortale» è anche una storia corale) sono ritratti tutti con efficacia, ben evidenziando la difficoltà di incasellarli in categorie quali “male” e “bene” (ad esclusione di pochi personaggi del tutto negativi, come Shira), quelli femminili si fanno notare ancora di più perché hanno una forza inusuale in questo tipo di storia. È difficile non amare queste ragazze e queste donne: Rin, Makie, Hyakurin, Doa, la figlia di Habaki, ma anche quelle che compaiono fugacemente; ognuna con la propria indole, cupa o allegra, cinica o amorevole, sono immerse in un mondo violento, senza prospettive accettabili dall'odierno punto di vista, ma non sono mai meschine, mai dome, tutte dotate di grande forza.
Due i principali difetti: la sceneggiatura di Makoto Fukami (che ha curato gli ultimi prodotti, non così felici di «Psycho Pass») è comunque inefficace e può infastidire. E poi le animazioni: per quanto il prodotto sia graficamente d’impatto, le animazioni non sono di livello: è bellissimo, ma più “nonostante” le animazioni che “grazie” ad esse. Due difetti importanti, eppure io mi sentirei di consigliare la visione di quest’opera che affianca momenti di realismo e momenti espressionisti.
"Blade of the Immortal" è un anime del genere "Fontane di Sangue e Pessime Sceneggiature".
Trasposto da un manga che non è qui in giudizio poiché non letto, l'anime si presenta come un coacervo di stupri e arti mozzati e appunto fontane di sangue che spruzzano a svariate atmosfere, come è tradizione in molti show giapponesi legati al Medioevo. L'anime si può idealmente dividere in due archi, quello dell'Itto-Ryu, il potente dojo realmente esistente contro cui Rin cerca vendetta, e quello del Mugai-Ryu, altro dojo, stile rivale dell'Itto-Ryu anche esso realmente esistente.
Nel primo arco è la noia a farla da padrona, con episodi che si ripetono sempre simili, in cui Manji e Rin incontrano un nemico, possibilmente affiliato allo Itto-Ryu: Rin, pur essendo un kenshi incapace, cercherà inutilmente di uccidere l'obiettivo, ma sarà Manji ad affrontare davvero il nemico, anche se, essendo immortale, non cercherà molto di evitare i colpi nemici, facendosi smembrare con noncuranza; ripresosi e ri-cicatrizzatosi fra la sorpresa del kenshi nemico, darà il colpo di grazia a questi, a meno che questo non sia un personaggio principale della fazione Itto-Ryu, e in quel caso l'incontro finirà in un modo o nell'altro a tarallucci e vino.
Nel secondo arco è la confusione a farla da padrona: decine di kenshi delle due scuole saliranno sul palcoscenico, nonché saliranno i membri della divisione Rokki-Dan, e i combattenti spesso saranno così numerosi, da essere per forza di cose mal presentati, e a volte gli spadaccini si teletrasporteranno non si sa come nel punto caldo della battaglia con transizioni alla "Games Of Thrones 7". È in questo punto che l'anime si sbizzarrirà con gli smembramenti più spettacolari ma sempre in modo molto prevedibile: prima che due kenshi si affrontino sarà facilissimo capire esattamente chi dei due vincerà e chi invece finirà smembrato.
In mezzo a queste due scuole si muoveranno Rin e Manji: più spettatori degli eventi che protagonisti, i due sono in grado di essere contemporaneamente in pessimi e buoni rapporti con entrambi i dojo, a seconda delle simpatie e antipatie personali con i praticanti dei due stili, in modo tale che potrebbero benissimo cenare assieme a uno di loro e poi uccidere un suo collega subito dopo cena, senza che questo crei alcuna tensione. Fra gli improbabili simpatizzanti di Manji è degno di nota Taito Magatsu, il cui hobby sembra sia cavalcare su e giù per il Giappone e trovare cose e persone proprio nel punto e nel momento giusto.
Questo breve riassunto mostra solo una parte delle profonde e numerose lacune di sceneggiatura che presenta questo anime; altri comportamenti totalmente insensati, anche considerando il famigerato codice d'onore giapponese, non saranno analizzati, per evitare pesanti spoiler.
Le lacune non sono però distribuite egualmente in tutte le parti dell'anime. Alcuni mini-archi come quello dedicato alla vera nemesi del protagonista e a quella del "dottore" si svolgono in modo lineare e pulito, e sono in definitiva più che gradevoli. Viene quindi il sospetto che gran parte delle lacune derivino dal condensare grandi parti di manga in piccole porzioni di anime, sospetto che però non posso confermare senza aver prima letto il manga.
Una nota positiva va in finale al chara design davvero bello e curato, che però non basta secondo i miei gusti a riequilibrare le grosse mancanze prima elencate. In definitiva, "L'Immortale" è un anime da consigliare solo a chi è in grado di chiudere tutti e due gli occhi sui difetti di sceneggiatura e concentrarsi invece sugli scontri.
Trasposto da un manga che non è qui in giudizio poiché non letto, l'anime si presenta come un coacervo di stupri e arti mozzati e appunto fontane di sangue che spruzzano a svariate atmosfere, come è tradizione in molti show giapponesi legati al Medioevo. L'anime si può idealmente dividere in due archi, quello dell'Itto-Ryu, il potente dojo realmente esistente contro cui Rin cerca vendetta, e quello del Mugai-Ryu, altro dojo, stile rivale dell'Itto-Ryu anche esso realmente esistente.
Nel primo arco è la noia a farla da padrona, con episodi che si ripetono sempre simili, in cui Manji e Rin incontrano un nemico, possibilmente affiliato allo Itto-Ryu: Rin, pur essendo un kenshi incapace, cercherà inutilmente di uccidere l'obiettivo, ma sarà Manji ad affrontare davvero il nemico, anche se, essendo immortale, non cercherà molto di evitare i colpi nemici, facendosi smembrare con noncuranza; ripresosi e ri-cicatrizzatosi fra la sorpresa del kenshi nemico, darà il colpo di grazia a questi, a meno che questo non sia un personaggio principale della fazione Itto-Ryu, e in quel caso l'incontro finirà in un modo o nell'altro a tarallucci e vino.
Nel secondo arco è la confusione a farla da padrona: decine di kenshi delle due scuole saliranno sul palcoscenico, nonché saliranno i membri della divisione Rokki-Dan, e i combattenti spesso saranno così numerosi, da essere per forza di cose mal presentati, e a volte gli spadaccini si teletrasporteranno non si sa come nel punto caldo della battaglia con transizioni alla "Games Of Thrones 7". È in questo punto che l'anime si sbizzarrirà con gli smembramenti più spettacolari ma sempre in modo molto prevedibile: prima che due kenshi si affrontino sarà facilissimo capire esattamente chi dei due vincerà e chi invece finirà smembrato.
In mezzo a queste due scuole si muoveranno Rin e Manji: più spettatori degli eventi che protagonisti, i due sono in grado di essere contemporaneamente in pessimi e buoni rapporti con entrambi i dojo, a seconda delle simpatie e antipatie personali con i praticanti dei due stili, in modo tale che potrebbero benissimo cenare assieme a uno di loro e poi uccidere un suo collega subito dopo cena, senza che questo crei alcuna tensione. Fra gli improbabili simpatizzanti di Manji è degno di nota Taito Magatsu, il cui hobby sembra sia cavalcare su e giù per il Giappone e trovare cose e persone proprio nel punto e nel momento giusto.
Questo breve riassunto mostra solo una parte delle profonde e numerose lacune di sceneggiatura che presenta questo anime; altri comportamenti totalmente insensati, anche considerando il famigerato codice d'onore giapponese, non saranno analizzati, per evitare pesanti spoiler.
Le lacune non sono però distribuite egualmente in tutte le parti dell'anime. Alcuni mini-archi come quello dedicato alla vera nemesi del protagonista e a quella del "dottore" si svolgono in modo lineare e pulito, e sono in definitiva più che gradevoli. Viene quindi il sospetto che gran parte delle lacune derivino dal condensare grandi parti di manga in piccole porzioni di anime, sospetto che però non posso confermare senza aver prima letto il manga.
Una nota positiva va in finale al chara design davvero bello e curato, che però non basta secondo i miei gusti a riequilibrare le grosse mancanze prima elencate. In definitiva, "L'Immortale" è un anime da consigliare solo a chi è in grado di chiudere tutti e due gli occhi sui difetti di sceneggiatura e concentrarsi invece sugli scontri.
"Mugen no Jūnin", ovvero "Blade of the Immortal", è una storia di vendetta, dove la sedicenne Rin assolda lo spadaccino Manji per uccidere gli assassini dei suoi genitori. Presto la giovane verrà a conoscenza dell'immortalità del signor Manji.
È una storia articolata, una lotta per la vendetta e il potere tra i vari schieramenti messi in gioco, appassionante e avvincente, caratterizzata da molta violenza, nudità, crudeltà, violenza sessuale, e chi più ne ha più ne metta. Un anime certo per pochi, adulti con stomaci forti, ma un'opera che vale certo la pena vedere, avvincente, come già detto, dalla splendida sigla di apertura, fino alla fine.
Tecnicamente è ben realizzato, dalle animazioni, ai disegni, fino alle musiche mi ha convinto appieno, e mi sento di consigliarlo a tutti, a patto però di rispondere ai requisiti di maturità di cui sopra.
È una storia articolata, una lotta per la vendetta e il potere tra i vari schieramenti messi in gioco, appassionante e avvincente, caratterizzata da molta violenza, nudità, crudeltà, violenza sessuale, e chi più ne ha più ne metta. Un anime certo per pochi, adulti con stomaci forti, ma un'opera che vale certo la pena vedere, avvincente, come già detto, dalla splendida sigla di apertura, fino alla fine.
Tecnicamente è ben realizzato, dalle animazioni, ai disegni, fino alle musiche mi ha convinto appieno, e mi sento di consigliarlo a tutti, a patto però di rispondere ai requisiti di maturità di cui sopra.