Scarpette Rosse e i Sette Nani
C'era una volta un regno incantato,
era straordinario, allegro e fatato...
mille e più storie hanno questo per principio
e questo film, sappiate, le rispetta con ossequio.
C'è una principessa, sette nani e una strega,
sembra quasi un remake di non si sa bene cosa,
ma andiamo per gradi in questo commento,
da cosa nasce cosa, e diamo tempo al tempo.
Ricorda "Shrek" e non molto da lontano
l'animazione 3D e l'intreccio un po' strano
con una trama che da ogni lato ricorda
un Disney diverso, una favola contorta.
Di principesse, nei cartoni, ce ne sono tante:
Ariel, Jasmine... e non conto più le altre,
anche questa, diciamo, fa il suo figurone,
ma cacchio, ora come ora, non ricordo il nome.
I nani sono elfi, ma sai che differenza...
Beh, in effetti c'è, alla base, una maldicenza,
i nostri sono eroi trasformati in gnomi
sono in sette e tre di loro son guaglioni.
Il principe, manco a dirlo, sarà uno di loro,
la strega, la matrigna, il re non ve lo svelo.
La costruzione tipica e un dialogo incalzante
fanno di questo un film rassicurante.
Troviamo anche stavolta una morale universale,
non giudicare un libro, o sarà il libro a giudicare...
no, aspe', era diversa questa massima furbina,
non giudicare un libro dalla copertina.
Che se uno ci pensa ne esistono a iosa
di detti e frasi fatte sull'aspetto e sulla posa.
Ma, pensandoci un momento, non è così attuale?
I social, le icone, la questione razziale.
Non mi dilungo ancora sul suo significato,
se guardi il film, sarà bello che chiarito,
ma non ti aspettare una storia clamorosa,
è un film per bambini, non Kubrick, un'altra cosa.
Ma il motivo vero che mi spinge a consigliarti
un film come questo in mezzo a tanti scarti
è uno specchio che parla come Pino Daniele,
battute nonsense, e un finale come il miele.
Non sapevo cosa dire su di un film per bambini,
recensiti da adulti, perdono un po' i loro fini.
li guardiamo ormai con occhi troppo giudiziosi,
non come quando eravamo dei marmocchi dispettosi.
Spero ti sia piaciuta questa lunga filastrocca,
la troverai sicuro tra le rece della setta.
Non è perfetta ed è scritta un po' veloce,
ma grazie del passaggio. Adios, buenas noches.
era straordinario, allegro e fatato...
mille e più storie hanno questo per principio
e questo film, sappiate, le rispetta con ossequio.
C'è una principessa, sette nani e una strega,
sembra quasi un remake di non si sa bene cosa,
ma andiamo per gradi in questo commento,
da cosa nasce cosa, e diamo tempo al tempo.
Ricorda "Shrek" e non molto da lontano
l'animazione 3D e l'intreccio un po' strano
con una trama che da ogni lato ricorda
un Disney diverso, una favola contorta.
Di principesse, nei cartoni, ce ne sono tante:
Ariel, Jasmine... e non conto più le altre,
anche questa, diciamo, fa il suo figurone,
ma cacchio, ora come ora, non ricordo il nome.
I nani sono elfi, ma sai che differenza...
Beh, in effetti c'è, alla base, una maldicenza,
i nostri sono eroi trasformati in gnomi
sono in sette e tre di loro son guaglioni.
Il principe, manco a dirlo, sarà uno di loro,
la strega, la matrigna, il re non ve lo svelo.
La costruzione tipica e un dialogo incalzante
fanno di questo un film rassicurante.
Troviamo anche stavolta una morale universale,
non giudicare un libro, o sarà il libro a giudicare...
no, aspe', era diversa questa massima furbina,
non giudicare un libro dalla copertina.
Che se uno ci pensa ne esistono a iosa
di detti e frasi fatte sull'aspetto e sulla posa.
Ma, pensandoci un momento, non è così attuale?
I social, le icone, la questione razziale.
Non mi dilungo ancora sul suo significato,
se guardi il film, sarà bello che chiarito,
ma non ti aspettare una storia clamorosa,
è un film per bambini, non Kubrick, un'altra cosa.
Ma il motivo vero che mi spinge a consigliarti
un film come questo in mezzo a tanti scarti
è uno specchio che parla come Pino Daniele,
battute nonsense, e un finale come il miele.
Non sapevo cosa dire su di un film per bambini,
recensiti da adulti, perdono un po' i loro fini.
li guardiamo ormai con occhi troppo giudiziosi,
non come quando eravamo dei marmocchi dispettosi.
Spero ti sia piaciuta questa lunga filastrocca,
la troverai sicuro tra le rece della setta.
Non è perfetta ed è scritta un po' veloce,
ma grazie del passaggio. Adios, buenas noches.
Tanto tempo fa, in un regno lontano lontano, sette baldi giovani, dagli incredibili poteri, salvavano quotidianamente il mondo. Grandi celebrazioni seguivano l’eroiche gesta. Persi nel loro ego, un giorno commisero il più marchiano degli errori: giudicaron strega colei che era principessa. La ragazza, oltraggiata, lanciò loro una maledizione: sarebbero diventati nani, coi poteri ‘nerfati’, almeno finché lo sguardo di qualcuno si fosse posato sui loro culetti verdi. Solo una speranza li teneva uniti: qualora la donna più bella del reame li avesse baciati, essi sarebbero tornati gli idol di sempre. Armati di buone intenzioni, cominciarono a viaggiare per il regno, alla ricerca di una generosa pulzella disposta a spezzar il losco sortilegio...
...Come no, aspettate e sperate...
Dopo una bella stiracchiata, una tirata di sciacquone, sulle note di un’iconica canzone anni '90, mi accingo a tornare nella mia palud... ehm, volevo dire, stanzetta, col fine ultimo di dar luce a codesta recensione.
“Scarpette rosse e i sette nani” è un film d’animazione del 2019, diretto dal debuttante Song-ho Hong. Come si può intuire dal titolo, è evidente l’ispirazione alle fiabe di “Biancaneve e i sette nani” e “Scarpette rosse”. Cosa dovrei aspettarmi da una simile fusione? Beh, in tal senso, il giovane regista gioca subito a carte scoperte: mi aspetta una fiaba spensierata, con un bel po’ di commedia, un pizzico di parodia (almeno nelle intenzioni), impreziosita, perché no, da una pungente denuncia sociale. Insomma... habemus “Shrek”! E io non posso che esserne contento. Poco importa che sia un prodotto 100% originale: un lavoro ben eseguito, seppur su piste già battute (e che gran piste! Oserei dire...), può sempre fare la sua dannata figura. Peccato però che “Scarpette rosse e i sette nani” sia riuscito solo per una decina minuti a mantener la retta via, soffrendo, con il proseguire della pellicola, di crescenti difetti che lo hanno condotto sempre più fuoripista. Fortunatamente gli sciatori (aka i due protagonisti), e quella simpatica bandierina a fine percorso, capeggiante a caratteri cubitali “Morale della storia”, hanno salvato la pellicola dal dirupo.
Or dunque, dove ero rimasto? Abbiamo i sette troll (o sette nani, in un certo senso), dov’è la nostra Biancaneve? È alla ricerca di suo padre, scomparso misteriosamente a causa della matrigna, l’ennesima Patty Pravo che proprio non ce la fa ad accettare l’inevitabile incedere delle rughe. E dunque, persa nei suoi deliri mistici, la nostra non più tanto bella strega passa le sue giornate tra uno specchio di Scampia e tre ‘pucciosi’ orsacchiotti di legno. Ogni giorno, dopo essersi fatta rigorosamente adulare dai suoi improbabili sudditi, prega all’ombra di un candido melo, in attesa che dia un frutto... due scarpette rosse. Questi magici artefatti sono in grado di ringiovanire colei che le indossa (o anche colui? Non è che sia molto chiaro), conferendogli una bellezza accecante, quanto dolorosa (vuoi metter passare tutta la vita coi tacchi? Poveri piedi!). Biancaneve, allontanata in misura precauzionale dalla matrigna scoppiata, torna al palazzo, intenzionata a fare luce sul destino del padre. Qui trova il suo diario (clinico), descrivente nel dettaglio i passaggi che l’hanno condotto all’esaurimento nervoso. Fatto sta che viene ‘sgamata’, ma prima di fuggire decide di indossare le preziose scarpette, togliendo alla nostra Patty l’ultima alternativa alla costosa chirurgia plastica. Furiosa di dover metter mano al portafoglio, la strega mette una taglia sulla paffuta Biancaneve la quale, sotto l’effetto magico delle scarpe, si è tramutata in una waifu da capogiro. Sotto il nome di Scarpette Rosse, la giovane si imbatte per puro caso nei little Shrek i quali, ammaliati, decidono di aiutarla nella sua ricerca, con la speranza di esser poi baciati e liberati dalla maledizione. Ma la strega non resta ferma a guardare. Presso la corte di Favolisolandia, il principe Average (e, mi raccomando, pronunciatelo bene!) sta mobilitando servitù e affini alla ricerca di una qualsivoglia creatura ovaio-dotata, nella speranza di portarsela come dama al ballo di compleanno. Con la promessa di cederle la waifu per la festa, la nostra Patty cavalca l’ormone del principe ‘simp’, spingendolo così a mobilitare l’intero esercito. La ricerca del padre, per la nostra Biancaneve, diventa alquanto problematica...
La trama, nella sinossi, è vivace e divertente. Non che brilli per originalità, ma riesce a introdurre a dovere sia l’ambientazione quanto gli improbabili protagonisti. La prima mezz’ora di film è sicuramente la parte migliore, e riesce in più di un’occasione a strappare sorrisi, parodizzando con stile le fiabe da cui trae ispirazione. E i paragoni (positivi) con altri cartoni simili, “Shrek” su tutti, si consumano. La trama, però, che si presenta come una macchina ben congegnata, graziosa nell'aspetto, finisce per rivelarsi senza motore. La storia, infatti, non si sviluppa. O, meglio, si sviluppa, ma attraverso forzature abbastanza ridicole. Non voglio fare spoiler, ma che senso ha costruire due terzi di storia sui tentativi, maldestri, di cattura della bella waifu quando poi la stessa strega, quando scende in campo, ci mette due nanosecondi a trovarla e tre a rapirla con una folata di vento scuro? Qual è il senso di nascondersi dai villain quando poi opti per trovare tuo padre con il sistema più stupido possibile, ergo fare volantinaggio selvaggio nei cieli di tutta Favolisolandia? Un po’ pro-sgamo, mi sto forse sbagliando? Per carità, la scena tra le nuvole è sicuramente suggestiva, presa singolarmente, ma inserita nel contesto di trama è assolutamente senza senso, e buona parte dell’ultima ora di film è costruita su simili scelte. Volendo, la trama di questo cartone animato poteva essere ridotta a tre quarti d’ora, e sarebbe risultata persino più efficace. Inoltre, ci sono troppi cambi di scena, così repentini da far perdere il focus della storia principale, lasciando alienato lo spettatore.
Passando ai personaggi, mi vien da dire solo una cosa: croce e delizia. Sicuramente Biancaneve e Merlino, il leader dei sette nani, sono quelli che tirano avanti la carretta. Biancaneve è interessante, una ragazza matura e consapevole del proprio corpo, fiaccata solo dall’ingiusto pregiudizio legato alla sua forma peso. Più immaturo è sicuramente Merlino, baldo giovane pieno di sé. Sulle note del “Sei stato merlinizzato!”, che suona tanto di “Sha-bam” o “Sha-Fico” (i fan di “Total Drama” capiranno), il nostro idol cerca solo ammirazione e onori. Entrambi giocano un ruolo chiave nella storia, seppur con sviluppi diametralmente opposti. Se la prima, nel corso della storia, funge da “mentore” per lo spocchioso mago, il secondo subisce una progressiva trasformazione, consapevole sempre più che l’amore, quello vero, può vincere sì il male, ma soprattutto il pregiudizio. Un messaggio semplice, ma efficace. Non posso, però, elogiare in egual misura i personaggi secondari. I sei nani rimanenti, con forse la sola eccezione del poderoso Arthur, sono delle macchiette, ciascuno con la propria peculiarità (abbiamo il narcisista-modaiolo, il cuoco-goloso, i tre inventori svitati), ma non giocano quasi nessun ruolo all’interno nella storia, né nello sviluppo quanto nella maturazione dei protagonisti. Anche i villain non sono un granché. La regina cattiva è l’ennesima, trita e ritrita, cattivona delle fiabe, il principe Average, a parte ‘simpeggiare’, si fa prima ridicolizzare dai buoni e poi dalla stessa strega, diventando superfluo dopo poche scene, forse il più incisivo, tirando le somme, è proprio lo specchio, che con le sue battute in napoletano strappa sempre un sorriso.
Le animazioni sono buone, a volte. Diciamo che il budget è stato saggiamente dosato. Ci sono diverse scene di combattimento ben animate, il volo di Biancaneve e Merlino sui cieli di Favolisolandia è sicuramente notevole. Ma è altrettanto vero che c’è una certa staticità, con il riciclo di una manciata di ambientazioni per tre quarti di film, e in certi frame si può persino osservare una certa povertà di dettagli. Il comparto audio è abbastanza scarno, appena sufficiente, con poche canzoni che tengono in piedi la baracca, e diversi (noiosi) silenzi.
Sicuramente la morale del film è la nota di maggiore merito. La critica verso il body shaming, una forma di discriminazione che va a deridere una persona per il suo aspetto fisico, è ben evidente, così come lo è, seppur più velata, quella verso la società odierna dei social, dove l’apparire soverchia in toto l’essere. E trovo ancora più positivo che tal pulpito provenga dalla Sud Corea, Paese dove la maschera sociale è vera e propria convenzione, con tutti i pro e i (molti) contro del caso. Proprio a fronte di un’ottima idea, trovo sprecato che la storia, per quanto riguarda la main villain, si sia conclusa in maniera così cliché. Per Patty Pravo, il lato più oscuro del concetto di "apparenza", avrei apprezzato un destino migliore, magari di redenzione. Il finale mi ha lasciato sicuramente l’amaro in bocca.
Ultima ma doverosa nota devo farla sul doppiaggio. Ora, con un improvviso cambio d’approccio, mi farò, per qualche rigo, moderatamente polemico. Sono consapevole che certi personaggi, per quanto inadatti a doppiare, facciano view. E tutti sanno benissimo come il mondo, l’economia su tutti, girino sui soldi e sulla popolarità. Sono favorevole a inserire, con criterio, un calciatore/cantante/chicchessia in un progetto di doppiaggio. Ma devono esserci dei provini. Deve esserci quantomeno l’onestà di accettare nel cast gente che abbia fatto un minimo corso di dizione. Perché dove non arriva il talento, lo studio può quantomeno metterci una pezza. Senza sembrare troppo rude: il doppiaggio di questo film non solo è imperfetto, ma è, in diversi passaggi, fuori luogo, inadeguato, ignorante. Ho visto migliori doppiaggi amatoriali sul Tubo.
Concludendo, “Scarpette rosse e i sette nani” è un film mediocre, pieno di difetti. Ha però un senso, e magari visto da uno spettatore molto giovane può lasciargli pure una bella morale. Sconsiglio la visione, invece, ai più grandi, a meno che non siate proprio amanti del genere. Numerose incongruenze, una trama scarna, personaggi macchietta e poca originalità sono motivi sufficienti per girare alla larga da questa pellicola. Sicuramente questo film rientra nella categoria del “solo per un target giovane”. Salvo la morale, moderna e precisa, e alcuni passaggi comici, che fanno ben sperare per il giovane regista. Dopotutto questa è la sua prima fatica. Sono curioso di rivederlo all’opera, magari sempre alle prese con un nuovo film d’animazione. Quindi il 5,5, voto per me più giusto, diviene un 6 di fiducia. Del resto, come insegna questo cartone, giudicare qualcuno dalla copertina è errato, mi sto forse sbagliando?
...Come no, aspettate e sperate...
Dopo una bella stiracchiata, una tirata di sciacquone, sulle note di un’iconica canzone anni '90, mi accingo a tornare nella mia palud... ehm, volevo dire, stanzetta, col fine ultimo di dar luce a codesta recensione.
“Scarpette rosse e i sette nani” è un film d’animazione del 2019, diretto dal debuttante Song-ho Hong. Come si può intuire dal titolo, è evidente l’ispirazione alle fiabe di “Biancaneve e i sette nani” e “Scarpette rosse”. Cosa dovrei aspettarmi da una simile fusione? Beh, in tal senso, il giovane regista gioca subito a carte scoperte: mi aspetta una fiaba spensierata, con un bel po’ di commedia, un pizzico di parodia (almeno nelle intenzioni), impreziosita, perché no, da una pungente denuncia sociale. Insomma... habemus “Shrek”! E io non posso che esserne contento. Poco importa che sia un prodotto 100% originale: un lavoro ben eseguito, seppur su piste già battute (e che gran piste! Oserei dire...), può sempre fare la sua dannata figura. Peccato però che “Scarpette rosse e i sette nani” sia riuscito solo per una decina minuti a mantener la retta via, soffrendo, con il proseguire della pellicola, di crescenti difetti che lo hanno condotto sempre più fuoripista. Fortunatamente gli sciatori (aka i due protagonisti), e quella simpatica bandierina a fine percorso, capeggiante a caratteri cubitali “Morale della storia”, hanno salvato la pellicola dal dirupo.
Or dunque, dove ero rimasto? Abbiamo i sette troll (o sette nani, in un certo senso), dov’è la nostra Biancaneve? È alla ricerca di suo padre, scomparso misteriosamente a causa della matrigna, l’ennesima Patty Pravo che proprio non ce la fa ad accettare l’inevitabile incedere delle rughe. E dunque, persa nei suoi deliri mistici, la nostra non più tanto bella strega passa le sue giornate tra uno specchio di Scampia e tre ‘pucciosi’ orsacchiotti di legno. Ogni giorno, dopo essersi fatta rigorosamente adulare dai suoi improbabili sudditi, prega all’ombra di un candido melo, in attesa che dia un frutto... due scarpette rosse. Questi magici artefatti sono in grado di ringiovanire colei che le indossa (o anche colui? Non è che sia molto chiaro), conferendogli una bellezza accecante, quanto dolorosa (vuoi metter passare tutta la vita coi tacchi? Poveri piedi!). Biancaneve, allontanata in misura precauzionale dalla matrigna scoppiata, torna al palazzo, intenzionata a fare luce sul destino del padre. Qui trova il suo diario (clinico), descrivente nel dettaglio i passaggi che l’hanno condotto all’esaurimento nervoso. Fatto sta che viene ‘sgamata’, ma prima di fuggire decide di indossare le preziose scarpette, togliendo alla nostra Patty l’ultima alternativa alla costosa chirurgia plastica. Furiosa di dover metter mano al portafoglio, la strega mette una taglia sulla paffuta Biancaneve la quale, sotto l’effetto magico delle scarpe, si è tramutata in una waifu da capogiro. Sotto il nome di Scarpette Rosse, la giovane si imbatte per puro caso nei little Shrek i quali, ammaliati, decidono di aiutarla nella sua ricerca, con la speranza di esser poi baciati e liberati dalla maledizione. Ma la strega non resta ferma a guardare. Presso la corte di Favolisolandia, il principe Average (e, mi raccomando, pronunciatelo bene!) sta mobilitando servitù e affini alla ricerca di una qualsivoglia creatura ovaio-dotata, nella speranza di portarsela come dama al ballo di compleanno. Con la promessa di cederle la waifu per la festa, la nostra Patty cavalca l’ormone del principe ‘simp’, spingendolo così a mobilitare l’intero esercito. La ricerca del padre, per la nostra Biancaneve, diventa alquanto problematica...
La trama, nella sinossi, è vivace e divertente. Non che brilli per originalità, ma riesce a introdurre a dovere sia l’ambientazione quanto gli improbabili protagonisti. La prima mezz’ora di film è sicuramente la parte migliore, e riesce in più di un’occasione a strappare sorrisi, parodizzando con stile le fiabe da cui trae ispirazione. E i paragoni (positivi) con altri cartoni simili, “Shrek” su tutti, si consumano. La trama, però, che si presenta come una macchina ben congegnata, graziosa nell'aspetto, finisce per rivelarsi senza motore. La storia, infatti, non si sviluppa. O, meglio, si sviluppa, ma attraverso forzature abbastanza ridicole. Non voglio fare spoiler, ma che senso ha costruire due terzi di storia sui tentativi, maldestri, di cattura della bella waifu quando poi la stessa strega, quando scende in campo, ci mette due nanosecondi a trovarla e tre a rapirla con una folata di vento scuro? Qual è il senso di nascondersi dai villain quando poi opti per trovare tuo padre con il sistema più stupido possibile, ergo fare volantinaggio selvaggio nei cieli di tutta Favolisolandia? Un po’ pro-sgamo, mi sto forse sbagliando? Per carità, la scena tra le nuvole è sicuramente suggestiva, presa singolarmente, ma inserita nel contesto di trama è assolutamente senza senso, e buona parte dell’ultima ora di film è costruita su simili scelte. Volendo, la trama di questo cartone animato poteva essere ridotta a tre quarti d’ora, e sarebbe risultata persino più efficace. Inoltre, ci sono troppi cambi di scena, così repentini da far perdere il focus della storia principale, lasciando alienato lo spettatore.
Passando ai personaggi, mi vien da dire solo una cosa: croce e delizia. Sicuramente Biancaneve e Merlino, il leader dei sette nani, sono quelli che tirano avanti la carretta. Biancaneve è interessante, una ragazza matura e consapevole del proprio corpo, fiaccata solo dall’ingiusto pregiudizio legato alla sua forma peso. Più immaturo è sicuramente Merlino, baldo giovane pieno di sé. Sulle note del “Sei stato merlinizzato!”, che suona tanto di “Sha-bam” o “Sha-Fico” (i fan di “Total Drama” capiranno), il nostro idol cerca solo ammirazione e onori. Entrambi giocano un ruolo chiave nella storia, seppur con sviluppi diametralmente opposti. Se la prima, nel corso della storia, funge da “mentore” per lo spocchioso mago, il secondo subisce una progressiva trasformazione, consapevole sempre più che l’amore, quello vero, può vincere sì il male, ma soprattutto il pregiudizio. Un messaggio semplice, ma efficace. Non posso, però, elogiare in egual misura i personaggi secondari. I sei nani rimanenti, con forse la sola eccezione del poderoso Arthur, sono delle macchiette, ciascuno con la propria peculiarità (abbiamo il narcisista-modaiolo, il cuoco-goloso, i tre inventori svitati), ma non giocano quasi nessun ruolo all’interno nella storia, né nello sviluppo quanto nella maturazione dei protagonisti. Anche i villain non sono un granché. La regina cattiva è l’ennesima, trita e ritrita, cattivona delle fiabe, il principe Average, a parte ‘simpeggiare’, si fa prima ridicolizzare dai buoni e poi dalla stessa strega, diventando superfluo dopo poche scene, forse il più incisivo, tirando le somme, è proprio lo specchio, che con le sue battute in napoletano strappa sempre un sorriso.
Le animazioni sono buone, a volte. Diciamo che il budget è stato saggiamente dosato. Ci sono diverse scene di combattimento ben animate, il volo di Biancaneve e Merlino sui cieli di Favolisolandia è sicuramente notevole. Ma è altrettanto vero che c’è una certa staticità, con il riciclo di una manciata di ambientazioni per tre quarti di film, e in certi frame si può persino osservare una certa povertà di dettagli. Il comparto audio è abbastanza scarno, appena sufficiente, con poche canzoni che tengono in piedi la baracca, e diversi (noiosi) silenzi.
Sicuramente la morale del film è la nota di maggiore merito. La critica verso il body shaming, una forma di discriminazione che va a deridere una persona per il suo aspetto fisico, è ben evidente, così come lo è, seppur più velata, quella verso la società odierna dei social, dove l’apparire soverchia in toto l’essere. E trovo ancora più positivo che tal pulpito provenga dalla Sud Corea, Paese dove la maschera sociale è vera e propria convenzione, con tutti i pro e i (molti) contro del caso. Proprio a fronte di un’ottima idea, trovo sprecato che la storia, per quanto riguarda la main villain, si sia conclusa in maniera così cliché. Per Patty Pravo, il lato più oscuro del concetto di "apparenza", avrei apprezzato un destino migliore, magari di redenzione. Il finale mi ha lasciato sicuramente l’amaro in bocca.
Ultima ma doverosa nota devo farla sul doppiaggio. Ora, con un improvviso cambio d’approccio, mi farò, per qualche rigo, moderatamente polemico. Sono consapevole che certi personaggi, per quanto inadatti a doppiare, facciano view. E tutti sanno benissimo come il mondo, l’economia su tutti, girino sui soldi e sulla popolarità. Sono favorevole a inserire, con criterio, un calciatore/cantante/chicchessia in un progetto di doppiaggio. Ma devono esserci dei provini. Deve esserci quantomeno l’onestà di accettare nel cast gente che abbia fatto un minimo corso di dizione. Perché dove non arriva il talento, lo studio può quantomeno metterci una pezza. Senza sembrare troppo rude: il doppiaggio di questo film non solo è imperfetto, ma è, in diversi passaggi, fuori luogo, inadeguato, ignorante. Ho visto migliori doppiaggi amatoriali sul Tubo.
Concludendo, “Scarpette rosse e i sette nani” è un film mediocre, pieno di difetti. Ha però un senso, e magari visto da uno spettatore molto giovane può lasciargli pure una bella morale. Sconsiglio la visione, invece, ai più grandi, a meno che non siate proprio amanti del genere. Numerose incongruenze, una trama scarna, personaggi macchietta e poca originalità sono motivi sufficienti per girare alla larga da questa pellicola. Sicuramente questo film rientra nella categoria del “solo per un target giovane”. Salvo la morale, moderna e precisa, e alcuni passaggi comici, che fanno ben sperare per il giovane regista. Dopotutto questa è la sua prima fatica. Sono curioso di rivederlo all’opera, magari sempre alle prese con un nuovo film d’animazione. Quindi il 5,5, voto per me più giusto, diviene un 6 di fiducia. Del resto, come insegna questo cartone, giudicare qualcuno dalla copertina è errato, mi sto forse sbagliando?
“Mele, i più sospetti fra i frutti”.
Concetto radicato nell’immaginario collettivo sin da Eva in quel del giardino dell’Eden, elemento adattato per le più disparate storie, fiabe o parabole: Biancaneve (...) appunto, in primis, un parallelo biblico dai risvolti insospettabili eppur non così complessi.
“Scarpette rosse e i sette nani” è sostanzialmente un mix di citazioni indossate a mo’ di vestito da ultimo ballo, non troppo convincente, tuttavia facile da comprendere. In una terra dove non scopriamo nulla di nuovo, incontriamo una miscela di fiabe già raccontate, una sorta di pergamena su cui è vergata la mappa di questo mondo né troppo atipico né troppo curioso, abbastanza classico, banale e perciò forse dal retrogusto di un fantastico fanciullesco che non dispiace, dove facciamo la conoscenza di sette impavidi eroi intenti a combattere una variegata pletora di forze maligne alla stregua di draghi, terribili mostri e stregoni assortiti. Il gruppo di sette giovani baldanzosi finirà però per mettere i bastoni fra le ruote a una strega che li maledirà tramutandoli in sette sgorbietti verdi, nanetti più simili a fastidiosi goblin di matrice fantasy che classici nani delle fiabe di fine Ottocento, e che, almeno nella teoria, potranno tornare al loro glorioso aspetto soltanto se baciati da una bellissima principessa (assurdamente classico, ma, credetemi, estremamente funzionale ai fini di uno svolgimento non proprio ordinario).
Il lungometraggio segue una falsariga fra il comico e la commedia animata tipica di questo decennio, irriverente e canzonatoria, dal timbro decisamente pre-adolescenziale ricamante battute e doppi sensi che possono essere colti prevalentemente da chi possiede una certa età o un minimo di cultura pop e d’animazione di fine millennio scorso. Nonostante sia un prodotto coreano, il tutto viene infiocchettato con una grafica cartoonesca che strizza l’occhio all’animazione occidentale made-in-Pixar, purtroppo però incapace di sprigionare un appeal artistico che lasci il segno.
L’incipit del racconto ricorda un incrocio fra “Rapunzel” e (ovviamente) “Biancaneve e i sette nani”, con una fastidiosa deflagrazione dei dialoghi causata da un doppiaggio italiano che lascia a desiderare (sempre che non lo vogliate gustare in madrelingua sottotitolata); dopo pochi minuti diventa chiaro che è proprio a “Biancaneve e i sette nani” che “Scarpette rosse e i sette nani” vuole rifarsi, ove, dopo l’introduzione dei sette miserabili ex-eroi, ci si concentra su di un’altra strega andata in moglie al re del regno, la cui unica figlia è appunto Neve, la protagonista. Questa seconda strega è il più classico stereotipo in cerca dell’eterna giovinezza e della bellezza assoluta, in questo caso donata da un paio di scarpette rosse fiammanti.
Come da copione, le cose non andranno affatto secondo i desideri della strega e Neve riuscirà a impadronirsi delle scarpe, fuggendo in modo sia magico che rocambolesco. Ci si addentra così nel cuore della vicenda, la storia di una Biancaneve alla ricerca del padre, differente nell’aspetto da come ci è stata sempre raccontata, che conoscerà e sarà aiutata proprio da quei sette ex-eroi sotto mentite spoglie di nanetti verdognoli.
In poche parole: tutto molto simile a ciò che già conosciamo, e, al tempo stesso, coraggiosamente differente, anche se, a dirla tutta, gli autori avrebbero potuto (e forse dovuto) osare di più.
“Le fiabe non sono come le raccontano”, è questo il tema portante che permea la vicenda: inaspettatamente attuale, contemporaneo, soprattutto per quanto riguarda la vuota, insulsa, eccessiva venerazione del tanto agognato aspetto esteriore, poiché Neve è una ragazza molto carina, ma - attenzione! - piuttosto in carne - come diremmo oggi (?) con questo desiderio di etichettare ogni dannata cosa? “Curvy”? - e non l’ideale di bellezza slanciata e sinuosa che i banner pubblicitari tentano di propinarci scalpellando fra le fessure del gusto personale che in ognuno di noi termina di esser limpidamente tale sin dalla tenera età. Quelle scarpette rosse permettono a chi le indossi di diventare davvero “bella” (davvero?), oltre ad essere l’agognato feticcio della strega cattiva, tanto “cattiva” da ricordare quelle anziane signore che non accettano le rughe della propria età e ricorrono ad ogni espediente chirurgico per ingannare l’età, sperando di apparire dieci, vent’anni più giovani (e non che ci sia qualcosa di male nel volersi cambiare per star bene con sé stessi, ma è davvero quello il motivo, o lo facciamo per far sì che la società ci accetti e ci giudichi positivamente?).
Sono ottimi spunti che il lungometraggio tratta con sufficiente profondità, senza però mai piantare qualche colpo ben assestato che avrebbe reso il tutto molto più eclatante e “potente” dal punto di vista mediatico.
La comicità del prodotto, parallelamente, si dimostra semplice e accessibile anche (e soprattutto) ai bambini, capace di strappare più di un sincero sorriso, nonostante il tema portante sia molto serio: riuscire ad amarsi per ciò che siamo esteriormente e, soprattutto, per come ci mostriamo agli occhi degli altri - la società, la benedetta, maledetta società, per l’appunto.
Nell’era del consumismo imperante, dove l’aspetto ha un impatto infinitamente più grande e immediato dell’indole interiore, dove contiamo i “like” sui social network come simulacri di approvazione alle nostre ingannevoli foto, e dove figurare nel modo più attraente per molti si trasforma in una malata necessità, milioni di persone si ritrovano a fare i conti con una perfezione che non può e non potrà mai esistere, ma che i canoni sociali esigono al primo posto nella classifica dei futili bisogni giornalieri. È triste riconoscere come l’aspetto esteriore ci condizioni ogni giorno in tantissime tipologie di relazioni interpersonali, e sebbene “Scarpette rosse e i sette nani” abbia un gran margine di denuncia su questo difficile argomento, la sua la dice in modo piuttosto leggero, sufficiente, ma poco incisivo.
In definitiva, la morale di “Scarpette rosse e i sette nani” è tanto banale quanto attuale: non possiamo giudicare qualcuno esclusivamente da come appare, sarà sempre un grosso errore. Se l’abito non fa il monaco, perché dovrebbero farlo scarpe firmate, glutei torniti e pettorali scolpiti? La lezione è sempre uguale. E, proprio per non giudicare dalle apparenze, a visione conclusa, questo lungometraggio che finisce per rammentare uno strano mix fra “Shrek” e “La bella e la bestia”, finisce per non stupirci ma nemmeno deluderci, sebbene, fra una colonna sonora pre-adolescenziale, delle animazioni buone ma non eclatanti e una trama davvero banale (anche se divertente), il messaggio forte e solido che esso emana sia un argomento di quotidiana rilevanza che molta gente fatica a comprendere e percepire con la giusta importanza.
Menzione speciale a Pablo Picassorco, vicino di casa di Neve e (ovviamente?) artista, da cui la ragazza ha imparato l’arte del disegno. Un nome catartico e ispiratore in un mare di personaggi banali e mediocri, talvolta buffi e divertenti, sì, ma che probabilmente non rimarranno nel nostro immaginario a lungo.
Senz’ombra di dubbio un prodotto adatto a un pubblico giovanissimo, il genere di pubblico capace di districarsi fra i vari Instragam, Facebook, Tik Tok e similari, in cerca del prossimo like.
Concetto radicato nell’immaginario collettivo sin da Eva in quel del giardino dell’Eden, elemento adattato per le più disparate storie, fiabe o parabole: Biancaneve (...) appunto, in primis, un parallelo biblico dai risvolti insospettabili eppur non così complessi.
“Scarpette rosse e i sette nani” è sostanzialmente un mix di citazioni indossate a mo’ di vestito da ultimo ballo, non troppo convincente, tuttavia facile da comprendere. In una terra dove non scopriamo nulla di nuovo, incontriamo una miscela di fiabe già raccontate, una sorta di pergamena su cui è vergata la mappa di questo mondo né troppo atipico né troppo curioso, abbastanza classico, banale e perciò forse dal retrogusto di un fantastico fanciullesco che non dispiace, dove facciamo la conoscenza di sette impavidi eroi intenti a combattere una variegata pletora di forze maligne alla stregua di draghi, terribili mostri e stregoni assortiti. Il gruppo di sette giovani baldanzosi finirà però per mettere i bastoni fra le ruote a una strega che li maledirà tramutandoli in sette sgorbietti verdi, nanetti più simili a fastidiosi goblin di matrice fantasy che classici nani delle fiabe di fine Ottocento, e che, almeno nella teoria, potranno tornare al loro glorioso aspetto soltanto se baciati da una bellissima principessa (assurdamente classico, ma, credetemi, estremamente funzionale ai fini di uno svolgimento non proprio ordinario).
Il lungometraggio segue una falsariga fra il comico e la commedia animata tipica di questo decennio, irriverente e canzonatoria, dal timbro decisamente pre-adolescenziale ricamante battute e doppi sensi che possono essere colti prevalentemente da chi possiede una certa età o un minimo di cultura pop e d’animazione di fine millennio scorso. Nonostante sia un prodotto coreano, il tutto viene infiocchettato con una grafica cartoonesca che strizza l’occhio all’animazione occidentale made-in-Pixar, purtroppo però incapace di sprigionare un appeal artistico che lasci il segno.
L’incipit del racconto ricorda un incrocio fra “Rapunzel” e (ovviamente) “Biancaneve e i sette nani”, con una fastidiosa deflagrazione dei dialoghi causata da un doppiaggio italiano che lascia a desiderare (sempre che non lo vogliate gustare in madrelingua sottotitolata); dopo pochi minuti diventa chiaro che è proprio a “Biancaneve e i sette nani” che “Scarpette rosse e i sette nani” vuole rifarsi, ove, dopo l’introduzione dei sette miserabili ex-eroi, ci si concentra su di un’altra strega andata in moglie al re del regno, la cui unica figlia è appunto Neve, la protagonista. Questa seconda strega è il più classico stereotipo in cerca dell’eterna giovinezza e della bellezza assoluta, in questo caso donata da un paio di scarpette rosse fiammanti.
Come da copione, le cose non andranno affatto secondo i desideri della strega e Neve riuscirà a impadronirsi delle scarpe, fuggendo in modo sia magico che rocambolesco. Ci si addentra così nel cuore della vicenda, la storia di una Biancaneve alla ricerca del padre, differente nell’aspetto da come ci è stata sempre raccontata, che conoscerà e sarà aiutata proprio da quei sette ex-eroi sotto mentite spoglie di nanetti verdognoli.
In poche parole: tutto molto simile a ciò che già conosciamo, e, al tempo stesso, coraggiosamente differente, anche se, a dirla tutta, gli autori avrebbero potuto (e forse dovuto) osare di più.
“Le fiabe non sono come le raccontano”, è questo il tema portante che permea la vicenda: inaspettatamente attuale, contemporaneo, soprattutto per quanto riguarda la vuota, insulsa, eccessiva venerazione del tanto agognato aspetto esteriore, poiché Neve è una ragazza molto carina, ma - attenzione! - piuttosto in carne - come diremmo oggi (?) con questo desiderio di etichettare ogni dannata cosa? “Curvy”? - e non l’ideale di bellezza slanciata e sinuosa che i banner pubblicitari tentano di propinarci scalpellando fra le fessure del gusto personale che in ognuno di noi termina di esser limpidamente tale sin dalla tenera età. Quelle scarpette rosse permettono a chi le indossi di diventare davvero “bella” (davvero?), oltre ad essere l’agognato feticcio della strega cattiva, tanto “cattiva” da ricordare quelle anziane signore che non accettano le rughe della propria età e ricorrono ad ogni espediente chirurgico per ingannare l’età, sperando di apparire dieci, vent’anni più giovani (e non che ci sia qualcosa di male nel volersi cambiare per star bene con sé stessi, ma è davvero quello il motivo, o lo facciamo per far sì che la società ci accetti e ci giudichi positivamente?).
Sono ottimi spunti che il lungometraggio tratta con sufficiente profondità, senza però mai piantare qualche colpo ben assestato che avrebbe reso il tutto molto più eclatante e “potente” dal punto di vista mediatico.
La comicità del prodotto, parallelamente, si dimostra semplice e accessibile anche (e soprattutto) ai bambini, capace di strappare più di un sincero sorriso, nonostante il tema portante sia molto serio: riuscire ad amarsi per ciò che siamo esteriormente e, soprattutto, per come ci mostriamo agli occhi degli altri - la società, la benedetta, maledetta società, per l’appunto.
Nell’era del consumismo imperante, dove l’aspetto ha un impatto infinitamente più grande e immediato dell’indole interiore, dove contiamo i “like” sui social network come simulacri di approvazione alle nostre ingannevoli foto, e dove figurare nel modo più attraente per molti si trasforma in una malata necessità, milioni di persone si ritrovano a fare i conti con una perfezione che non può e non potrà mai esistere, ma che i canoni sociali esigono al primo posto nella classifica dei futili bisogni giornalieri. È triste riconoscere come l’aspetto esteriore ci condizioni ogni giorno in tantissime tipologie di relazioni interpersonali, e sebbene “Scarpette rosse e i sette nani” abbia un gran margine di denuncia su questo difficile argomento, la sua la dice in modo piuttosto leggero, sufficiente, ma poco incisivo.
In definitiva, la morale di “Scarpette rosse e i sette nani” è tanto banale quanto attuale: non possiamo giudicare qualcuno esclusivamente da come appare, sarà sempre un grosso errore. Se l’abito non fa il monaco, perché dovrebbero farlo scarpe firmate, glutei torniti e pettorali scolpiti? La lezione è sempre uguale. E, proprio per non giudicare dalle apparenze, a visione conclusa, questo lungometraggio che finisce per rammentare uno strano mix fra “Shrek” e “La bella e la bestia”, finisce per non stupirci ma nemmeno deluderci, sebbene, fra una colonna sonora pre-adolescenziale, delle animazioni buone ma non eclatanti e una trama davvero banale (anche se divertente), il messaggio forte e solido che esso emana sia un argomento di quotidiana rilevanza che molta gente fatica a comprendere e percepire con la giusta importanza.
Menzione speciale a Pablo Picassorco, vicino di casa di Neve e (ovviamente?) artista, da cui la ragazza ha imparato l’arte del disegno. Un nome catartico e ispiratore in un mare di personaggi banali e mediocri, talvolta buffi e divertenti, sì, ma che probabilmente non rimarranno nel nostro immaginario a lungo.
Senz’ombra di dubbio un prodotto adatto a un pubblico giovanissimo, il genere di pubblico capace di districarsi fra i vari Instragam, Facebook, Tik Tok e similari, in cerca del prossimo like.
C’era una volta una principessa, una matrigna, Merlino, Artù, Excalibur, i sette nani verdi (il blu era già occupato) e un Balrog... tranquilli, non sto dando di matto unendo diversi racconti, questi sono i personaggi di “Scarpette rosse e i sette nani”.
Ti ho incuriosito? Bene, sono contento di esserci riuscito, sono stato proprio bravo, se non ti dispiace, per me possiamo chiuderla qui, ho altro da fare e tu un film da guardare, forse. Ciao.
Come? Non ho capito. Ah, vuoi saperne di più... capisco... ma hai visto che ci sono anche le altre recensioni? Sono più belle e dettagliate, perché continuare a leggere la mia?
Mmh, non ti ho convinto e adesso vuoi sapere cosa ne penso, va bene, ma poi non lamentarti se ti faccio passare la voglia di guardare il film. Uomo salvato, mezzo avvisato... no, aspe’...
Tagliamo corto, “Scarpette rosse e i sette nani” è un film d’animazione in CGI di fattura sudcoreana ed è innegabile che si ponga come mash-up di alcune delle più celebri fiabe Disney. “Biancaneve e i sette nani” e “La bella e la bestia” sono state le opere di riferimento, ma sono anche citate “Rapunzel”, “La sirenetta” e “La bella addormentata”. Non mancano nemmeno richiami ad altre opere famose, come una certa Leila di una galassia lontana lontana e un certo mago grigio che decide chi far passare.
Seppure ci siano tante e frequenti citazioni, la storia risulta convincente e ben strutturata quanto basta per portare la visione a termine, senza tanti sbadigli.
La trama è classica, una matrigna narcisa, senza convincenti motivazioni, priva del suo regno la principessa pura e ignara che ci vive; in soccorso le verrà il principe (in questo caso sette verdi nani) e tutto si concluderà con un “vissero felici e contenti”. Quel che però mi interessa analizzare non è tanto la storia, ma il messaggio che veicola, o meglio, che vorrebbe veicolare.
La bellezza, quella vera, non è estetica, non si misura in taglie di pantaloni, ma è la bontà d’animo, la cosiddetta bellezza interiore ad essere la più bella del reame.
Molto bello a parole, ma a mio parere la messa in scena delude, appare fraintendibile soprattutto per l’utenza di riferimento per il film, parliamo di ragazzini di dieci-dodici anni.
Grazie a delle scarpette magiche, la protagonista cicciottella diventa una bella e magra ragazza e chiunque incroci il suo sguardo cade letteralmente ai suoi piedi. A passare è l’erroneo messaggio di “Se sei bello e magro, la vita è più facile”, che, calato in una società in cui il “Mi piace” oggettivo (esteta) ha più valore del “Mi piace” soggettivo, grava ulteriormente sul ragazzino in piena pubertà a cui potrebbero sorgere ulteriori domande o problemi.
Esagero, non so, ma leggere che il film è stato accusato di body shaming (per chi non lo sa, si intende proprio l’atto di discriminare una persona per il proprio fisico) mi fa pensare che il messaggio voluto dalla produzione non arrivi nel modo da loro immaginato. Un esempio immediato lo troviamo nella scelta della locandina: perché mostrare solo la versione bella e magra della ragazza? Dov’è la versione in carne?
Superato lo scoglio trama/messaggio, il film avrebbe comunque altri problemi nella gestione dei personaggi. A parte Scarpette Rosse, Merlino e, nella prima mezz’ora Artù, il resto dei personaggi si potrebbero tranquillamente definire mere comparse.
Peccato, perché una delle aree migliori del film è proprio il character design: fresco, tondeggiante, colorato e ben caratterizzato, in maniera del tutto simile a quanto Disney ci ha abituato nell’ultimo decennio. Eh sì, oltre ai richiami sulla trama, lo studio sudcoreano ha preso in prestito dalla gigantesca scuola Disney anche qualche dritta tecnica su animazioni e modelli. Il risultato è convincente, la parte tecnologica della serie, pur non venendo da una major americana, non sfigura, ma è un bel showreel (bigliettino da visita) per animatori e illustratori. Se qualcuno lavorasse per una major, non mi sorprenderebbe.
Molto interessanti i titoli di coda, accompagnati da degli ottimi e ispirati disegni animati alla vecchia maniera, colorati con uno squisito gusto artistico.
Se il comparto tecnico è la cosa migliore del film, quello sonoro è il peggiore. Anche qui si è cercato di imitare Disney, enfatizzando le scene più emotive con una canzone cantata dai personaggi, ma il risultato è decisamente deludente, direi a tratti cacofonico.
Velo pietoso per il doppiaggio italiano che, invece di affidare i personaggi principali a doppiatori professionisti (dato che abbiamo la miglior scuola di doppiaggio al mondo) e magari solo qualche particina a personaggi noti dello spettacolo, ha deciso di affidare il 90% dei dialoghi a persone incapaci di trasmettere emozioni con la voce, per non parlare delle forti e inutili caricature regionali di alcuni personaggi.
Tirando le somme, il film risulta piacevole, non mi ha annoiato come immaginavo, ma anzi ha saputo farmi sorridere in più di un’occasione. Tuttavia, le buone doti tecniche vengono affossate da una stiracchiata sufficienza della trama, ma soprattutto da una grave insufficienza del comparto sonoro. Lo consiglio? No, a meno che abbiate visto tutta la libreria Disney, Pixar e metterei anche Dreamworks.
Beh... la mia te l’ho detta e penso di essere stato pure abbastanza dettagliato, ora tocca a te decidere se guardarlo e magari scriverci qualcosa, sono curioso di leggere cosa ne pensi.
(Non è vero!)
Ti ho incuriosito? Bene, sono contento di esserci riuscito, sono stato proprio bravo, se non ti dispiace, per me possiamo chiuderla qui, ho altro da fare e tu un film da guardare, forse. Ciao.
Come? Non ho capito. Ah, vuoi saperne di più... capisco... ma hai visto che ci sono anche le altre recensioni? Sono più belle e dettagliate, perché continuare a leggere la mia?
Mmh, non ti ho convinto e adesso vuoi sapere cosa ne penso, va bene, ma poi non lamentarti se ti faccio passare la voglia di guardare il film. Uomo salvato, mezzo avvisato... no, aspe’...
Tagliamo corto, “Scarpette rosse e i sette nani” è un film d’animazione in CGI di fattura sudcoreana ed è innegabile che si ponga come mash-up di alcune delle più celebri fiabe Disney. “Biancaneve e i sette nani” e “La bella e la bestia” sono state le opere di riferimento, ma sono anche citate “Rapunzel”, “La sirenetta” e “La bella addormentata”. Non mancano nemmeno richiami ad altre opere famose, come una certa Leila di una galassia lontana lontana e un certo mago grigio che decide chi far passare.
Seppure ci siano tante e frequenti citazioni, la storia risulta convincente e ben strutturata quanto basta per portare la visione a termine, senza tanti sbadigli.
La trama è classica, una matrigna narcisa, senza convincenti motivazioni, priva del suo regno la principessa pura e ignara che ci vive; in soccorso le verrà il principe (in questo caso sette verdi nani) e tutto si concluderà con un “vissero felici e contenti”. Quel che però mi interessa analizzare non è tanto la storia, ma il messaggio che veicola, o meglio, che vorrebbe veicolare.
La bellezza, quella vera, non è estetica, non si misura in taglie di pantaloni, ma è la bontà d’animo, la cosiddetta bellezza interiore ad essere la più bella del reame.
Molto bello a parole, ma a mio parere la messa in scena delude, appare fraintendibile soprattutto per l’utenza di riferimento per il film, parliamo di ragazzini di dieci-dodici anni.
Grazie a delle scarpette magiche, la protagonista cicciottella diventa una bella e magra ragazza e chiunque incroci il suo sguardo cade letteralmente ai suoi piedi. A passare è l’erroneo messaggio di “Se sei bello e magro, la vita è più facile”, che, calato in una società in cui il “Mi piace” oggettivo (esteta) ha più valore del “Mi piace” soggettivo, grava ulteriormente sul ragazzino in piena pubertà a cui potrebbero sorgere ulteriori domande o problemi.
Esagero, non so, ma leggere che il film è stato accusato di body shaming (per chi non lo sa, si intende proprio l’atto di discriminare una persona per il proprio fisico) mi fa pensare che il messaggio voluto dalla produzione non arrivi nel modo da loro immaginato. Un esempio immediato lo troviamo nella scelta della locandina: perché mostrare solo la versione bella e magra della ragazza? Dov’è la versione in carne?
Superato lo scoglio trama/messaggio, il film avrebbe comunque altri problemi nella gestione dei personaggi. A parte Scarpette Rosse, Merlino e, nella prima mezz’ora Artù, il resto dei personaggi si potrebbero tranquillamente definire mere comparse.
Peccato, perché una delle aree migliori del film è proprio il character design: fresco, tondeggiante, colorato e ben caratterizzato, in maniera del tutto simile a quanto Disney ci ha abituato nell’ultimo decennio. Eh sì, oltre ai richiami sulla trama, lo studio sudcoreano ha preso in prestito dalla gigantesca scuola Disney anche qualche dritta tecnica su animazioni e modelli. Il risultato è convincente, la parte tecnologica della serie, pur non venendo da una major americana, non sfigura, ma è un bel showreel (bigliettino da visita) per animatori e illustratori. Se qualcuno lavorasse per una major, non mi sorprenderebbe.
Molto interessanti i titoli di coda, accompagnati da degli ottimi e ispirati disegni animati alla vecchia maniera, colorati con uno squisito gusto artistico.
Se il comparto tecnico è la cosa migliore del film, quello sonoro è il peggiore. Anche qui si è cercato di imitare Disney, enfatizzando le scene più emotive con una canzone cantata dai personaggi, ma il risultato è decisamente deludente, direi a tratti cacofonico.
Velo pietoso per il doppiaggio italiano che, invece di affidare i personaggi principali a doppiatori professionisti (dato che abbiamo la miglior scuola di doppiaggio al mondo) e magari solo qualche particina a personaggi noti dello spettacolo, ha deciso di affidare il 90% dei dialoghi a persone incapaci di trasmettere emozioni con la voce, per non parlare delle forti e inutili caricature regionali di alcuni personaggi.
Tirando le somme, il film risulta piacevole, non mi ha annoiato come immaginavo, ma anzi ha saputo farmi sorridere in più di un’occasione. Tuttavia, le buone doti tecniche vengono affossate da una stiracchiata sufficienza della trama, ma soprattutto da una grave insufficienza del comparto sonoro. Lo consiglio? No, a meno che abbiate visto tutta la libreria Disney, Pixar e metterei anche Dreamworks.
Beh... la mia te l’ho detta e penso di essere stato pure abbastanza dettagliato, ora tocca a te decidere se guardarlo e magari scriverci qualcosa, sono curioso di leggere cosa ne pensi.
(Non è vero!)
Quanto è importante al giorno d'oggi apparire belli e perfetti?
In una società come la nostra, dove la fa da padrone Internet, con tutte le sue belle piattaforme social fatte di "like", "selfie" e "sharing", direi che la risposta più appropriata a questa domanda sia: l'importante è apparire. Poi, se si appare al meglio... Tanto meglio!
Ma è davvero la cosa più importante (a scapito di altre) essere e mostrarsi sempre al top? Questa è l'altra domanda che ci si dovrebbe porre subito dopo.
"Scarpette rosse e i sette nani", film del 2019, prodotto dalla Corea del Sud, è un gran pentolone dove dentro ci hanno buttato elementi di fiabe come "Biancaneve e i sette nani", "Cenerentola", "La bella addormentata nel bosco", e i più moderni "Shreck" e "La bella e la bestia", con uno scopo ben preciso: criticare gli standard di bellezza fisica, e rivalutare l'importanza della bellezza interiore.
Ma diamo qualche breve cenno alla trama.
Sette eroici e bellissimi principi, dopo aver sconfitto un drago e salvato la Principessa delle Fate, vengono maledetti proprio da quest'ultima per averla creduta una strega, in quanto brutta... come una strega! La maledizione trasforma gli incantevoli principi in nani paffutelli dalla pelle verde, e solo se (almeno) uno di loro riceverà un bacio dalla donna più bella del mondo, l'incantesimo potrà essere spezzato. Caso vuole, che la donna più bella del mondo, alias Biancaneve/Scarpette Rosse, diventa tale solo se indossa un paio di bellissime scarpe rosse, appunto, e magiche (siamo di fronte a quel fenomeno che comunemente chiamiamo... "il potere di una scarpa su di una donna"). Tolte quelle, torna ad essere una comune ragazza, bassina e cicciottella.
Dunque, nulla di nuovo sotto il sole, ma, personalmente, trovo sempre piacevole seguire una storia con un contenuto positivo come questo.
Forse il film in questione è rivolto più ad un pubblico di età scolare, ma penso che non sarebbe così male se il messaggio che vi è contenuto arrivasse anche ad un pubblico adulto. E ce ne sarebbe bisogno, io credo. Difatti, i bimbi imitano noi adulti, e difficilmente, per loro iniziativa, danno importanza a cose e concetti di un certo tipo, se non siamo noi genitori, famigliari ed educatori a dargliene. Quindi, niente di meglio che guardarsi questo cartone animato in famiglia, sperando che i buoni intenti del lungometraggio vengano apprezzati in primis dagli adulti, per poi essere condivisi con i più piccoli.
Perciò, anche se l'idea di base non è originale, lo ritengo un buon film, e sarebbe potuto spiccare maggiormente se avesse avuto un doppiaggio e un comparto sonoro migliore. Direi, invece, che, sotto questo aspetto, è stato abbastanza deludente. Forse la scelta di assegnare le voci a cantanti "famosi" (?) non è stata davvero azzeccata, perché, nella parte di doppiatori, non se la sono cavata proprio bene... E nemmeno le canzoni che accompagnano il film brillano particolarmente, infatti... non ne ricordo nessuna. L'unica nota originale e simpatica ce la regala lo specchio, con qualche buffa esclamazione dialettale che ti fa scappare un sorriso.
Tuttavia, il comparto grafico fa la sua bella figura. Il design dei personaggi è piuttosto gradevole, direi che son bellini pure i nanetti, nonostante siano verdi, bassi e paffuti.
Detto ciò, cosa aspettate a buttarvi in questa favola moderna fatta di scarpe, piedi, collant, e a conoscere i brutti sette nani e la bellissima principessa? Intanto inizio col presentarveli... Sono ALUCARD80, Dawnraptor, Joe il Padrino, Mirokusama, Mr. Wednesday, Pippo311lp, Vale., Miriam22... Ops... Pardon! Questa è un'altra storia... e molto lunga (to be continued).
In una società come la nostra, dove la fa da padrone Internet, con tutte le sue belle piattaforme social fatte di "like", "selfie" e "sharing", direi che la risposta più appropriata a questa domanda sia: l'importante è apparire. Poi, se si appare al meglio... Tanto meglio!
Ma è davvero la cosa più importante (a scapito di altre) essere e mostrarsi sempre al top? Questa è l'altra domanda che ci si dovrebbe porre subito dopo.
"Scarpette rosse e i sette nani", film del 2019, prodotto dalla Corea del Sud, è un gran pentolone dove dentro ci hanno buttato elementi di fiabe come "Biancaneve e i sette nani", "Cenerentola", "La bella addormentata nel bosco", e i più moderni "Shreck" e "La bella e la bestia", con uno scopo ben preciso: criticare gli standard di bellezza fisica, e rivalutare l'importanza della bellezza interiore.
Ma diamo qualche breve cenno alla trama.
Sette eroici e bellissimi principi, dopo aver sconfitto un drago e salvato la Principessa delle Fate, vengono maledetti proprio da quest'ultima per averla creduta una strega, in quanto brutta... come una strega! La maledizione trasforma gli incantevoli principi in nani paffutelli dalla pelle verde, e solo se (almeno) uno di loro riceverà un bacio dalla donna più bella del mondo, l'incantesimo potrà essere spezzato. Caso vuole, che la donna più bella del mondo, alias Biancaneve/Scarpette Rosse, diventa tale solo se indossa un paio di bellissime scarpe rosse, appunto, e magiche (siamo di fronte a quel fenomeno che comunemente chiamiamo... "il potere di una scarpa su di una donna"). Tolte quelle, torna ad essere una comune ragazza, bassina e cicciottella.
Dunque, nulla di nuovo sotto il sole, ma, personalmente, trovo sempre piacevole seguire una storia con un contenuto positivo come questo.
Forse il film in questione è rivolto più ad un pubblico di età scolare, ma penso che non sarebbe così male se il messaggio che vi è contenuto arrivasse anche ad un pubblico adulto. E ce ne sarebbe bisogno, io credo. Difatti, i bimbi imitano noi adulti, e difficilmente, per loro iniziativa, danno importanza a cose e concetti di un certo tipo, se non siamo noi genitori, famigliari ed educatori a dargliene. Quindi, niente di meglio che guardarsi questo cartone animato in famiglia, sperando che i buoni intenti del lungometraggio vengano apprezzati in primis dagli adulti, per poi essere condivisi con i più piccoli.
Perciò, anche se l'idea di base non è originale, lo ritengo un buon film, e sarebbe potuto spiccare maggiormente se avesse avuto un doppiaggio e un comparto sonoro migliore. Direi, invece, che, sotto questo aspetto, è stato abbastanza deludente. Forse la scelta di assegnare le voci a cantanti "famosi" (?) non è stata davvero azzeccata, perché, nella parte di doppiatori, non se la sono cavata proprio bene... E nemmeno le canzoni che accompagnano il film brillano particolarmente, infatti... non ne ricordo nessuna. L'unica nota originale e simpatica ce la regala lo specchio, con qualche buffa esclamazione dialettale che ti fa scappare un sorriso.
Tuttavia, il comparto grafico fa la sua bella figura. Il design dei personaggi è piuttosto gradevole, direi che son bellini pure i nanetti, nonostante siano verdi, bassi e paffuti.
Detto ciò, cosa aspettate a buttarvi in questa favola moderna fatta di scarpe, piedi, collant, e a conoscere i brutti sette nani e la bellissima principessa? Intanto inizio col presentarveli... Sono ALUCARD80, Dawnraptor, Joe il Padrino, Mirokusama, Mr. Wednesday, Pippo311lp, Vale., Miriam22... Ops... Pardon! Questa è un'altra storia... e molto lunga (to be continued).
La prima cosa che ho pensato nel momento in cui ho terminato la visione di “Scarpette rosse e i sette nani” è che questo film fosse carino ma sostanzialmente ‘inutile’, per quanta utilità si possa trovare in un’opera di mero intrattenimento. E il problema infatti non è nell’aspetto ludico del suo contenuto, col quale tiene tutto sommato botta, ma nel messaggio e nei risvolti comico-ironici che sapevano ampiamente di già visto da qualunque parte li si guardi.
“Scarpette rosse e i sette nani” difatti si presenta nella confezione come una fiaba delle più classiche tra quelle viste nell’animazione ormai da quasi un secolo; Biancaneve, la nostra protagonista, è la principessa di un regno dell’isola di Favolosilandia, alla ricerca disperata del padre scomparso; nel mezzo della sua ricerca si imbatte casualmente nell’albero magico coltivato dalla sua matrigna, un albero che produce scarpette rosse che, se indossate, possono donare bellezza ed eterna giovinezza a chi le porta. Sorpresa dalla matrigna, è costretta a fuggire fino a ripararsi nella casa dei Favolosi Sette, un gruppo di sette guerrieri magici anche loro alle prese con una maledizione che ne modifica le sembianze; infatti, per aver scambiato la principessa della fate per una strega, a causa del suo aspetto poco avvenente, questi ultimi sono stati condannati a mostrarsi sempre come piccoli troll verdi nel momento in cui qualcuno li guarda, questo almeno fin quando non riceveranno un bacio dalla donna più bella del mondo che possa liberarli dalla maledizione. Il nuovo bellissimo aspetto di Biancaneve, che per restare in incognito si farà chiamare Scarpette Rosse, attira di conseguenza il gruppo dei sette, e in particolare del loro capo Merlino, desideroso di conquistare questa principessa misteriosa che possa sciogliere l’incantesimo in cui lui e i suoi compagni sono intrappolati. I reciproci interessi portano a collaborare la ragazza e i sette guerrieri, mettendo in moto gli ingranaggi della storia che li porteranno anche a scontrarsi con quella matrigna diventata ormai nemico comune di entrambi.
Inutile ribadire a questo punto quanto questa storia si presenti come un grande miscuglio delle favole animate più note, probabilmente è ciò che esce da un frullato dei più apprezzati classici Disney dell’epoca d’oro della casa di Topolino. Non che questo sia un male, sia chiaro, dubito che il film volesse imporsi come elemento di novità, e in fondo queste somiglianze ora chiare ora più sfumate alimentano anche la vena ironica della pellicola, quest’ultima chiaramente ispirata da quello “Shrek” che già ad inizio millennio aveva preso in giro i simboli e gli stilemi narrativi delle fiabe disneyane, e anche in questo caso “Scarpette rosse e i sette nani” si dimostra una copia che ha saputo prendere spunto dall’originale, pur tuttavia non riuscendo ad essere ugualmente caustica o divertente. Cosa resta, quindi, se togliamo a questo film la sua aura fiabesca e la sua controparte comica? Di sicuro il bellissimo messaggio di fondo che promuove l’accettazione del prossimo al di là del suo aspetto fisico e il non fermarsi mai alle apparenze, quando bisogna giudicare una persona. Wow. Bello è bello, per carità, ed è sempre valido oggigiorno, però diciamo che, se tutto questo non vi ha ricordato almeno il 50% della produzione animata occidentale, americana soprattutto, allora vi invidio, perché siete persone che hanno ancora la possibilità di gustarsi per la prima volta capolavori immortali che valgono ben più la pena di questo onesto film per famiglie, e se vogliamo pure della recensione che state leggendo. Le piccole differenze che “Scarpette rosse e i sette nani” può introdurre da questo punto di vista alla fine sono per la sua produzione, visto che questo è un film sudcoreano, nonostante la chiara impronta occidentale alle spalle, e per la scelta di presentare una protagonista grassa e molto poco in forma a fare da simbolo di comprensione e accettazione, una scelta in tempo di ‘body positivity’ ovviamente comprensibile, e anche abbastanza sicura, visto che ultimamente film diretti a un pubblico giovane rischiano sempre di attirarsi critiche e attacchi non richiesti e, il più delle volte, anche inutili. Nonostante però abbia compreso il messaggio di fondo promosso dal lungometraggio e possa ascrivermi anch’io alla categoria dei ‘diversamente magri’ rappresentati dalla nostra protagonista, non posso fare a meno di sottolineare, con un pizzico di ipocrisia, come la cosa che mi abbia colpito di più di tutto il film sia stato l’aspetto bellissimo nella sua semplicità di Biancaneve nella versione ‘migliorata’ dalle scarpette rosse; probabilmente peccherò di superficialità, ma ho sempre trovato esagerata, e profondamente ipocrita, l’ossessione di voler demonizzare la bellezza in ogni sua forma, che per me resta comunque una virtù che può capitare in maniera fortuita, certo, ma che bisogna anche essere in grado di coltivare, senza darle comunque un’importanza eccessiva che la faccia passare da valore aggiunto a fondamentale, cosa che assolutamente non è.
Questi complimenti alla protagonista sono anche il pretesto per lodare il buon lavoro fatto sul comparto grafico del film, una pellicola completamente in 3D CGI che non tiene testa ai leader mondiali in questo tipo di produzioni, ma fa tranquillamente la sua buona figura, soprattutto nel frizzante character design dei personaggi che risultano tutti gradevoli almeno alla vista. Promossa anche la regia del sudcoreano Sung-ho Hong anche per la presenza di movimentate, e convincenti, scene d’azione, così come la colonna di Geoff Zanelli che, almeno nella parte strumentale, fa il suo dovere, accompagnando sia le scene più concitate che quelle più riflessive. Abbastanza dimenticabili, per non dire evitabili, invece le tre canzoni proposte durante il film, nonostante la scelta di adattarle in italiano come si è solito fare nelle produzioni Disney. E sempre per restare in ambito nazionale, va segnalata purtroppo la scelta fatta nella versione italiana di affidare le voci dei protagonisti principali ai cosiddetti ‘talent’ esterni piuttosto che a dei doppiatori professionisti. Così Biancaneve è toccata alla “cantante” Baby K, mentre il duo comico Pio e Amedeo ha doppiato Merlino e Arthur, i due personaggi principali tra i sette guerrieri, con risultati francamente discutibili e deludenti, una scelta fatta per logiche commerciali ma che purtroppo non ha pagato, visto che il film è passato molto in sordina dalle nostre parti; a onor del vero è andata un po’ meglio con l’altro personaggio doppiato da Amedeo, lo specchio magico, a cui un caricaturale accento napoletano ha dato la giusta verve nelle scene in cui compariva, a riprova questo che non è per forza un male affidare qualche ruolo a personaggi famosi che facciano da calamita per il grande pubblico, basta confinarli in tempi e nei contesti più adatti alle loro capacità.
Mettendo un attimo da parte il mio giudizio tranchant dell’inizio, è lecito chiedersi, a questo punto, se il lavoro fatto con questo film si possa definire promosso; a parer mio sì, anche se non riesco a riservare ad esso più di una risicata sufficienza: pur senza brillare davvero in nessun aspetto (da quello narrativo a quello tecnico), “Scarpette rosse e i sette nani” è un film simpatico con una confezione gradevole che può fare facilmente presa su un pubblico di giovanissimi ed è tranquillamente consigliabile a famiglie desiderose di passare una serata tranquilla in compagnia, a patto che venga dopo aver visto prima larghissima parte del catalogo di, almeno, Disney, Pixar e Dreamworks.
“Scarpette rosse e i sette nani” difatti si presenta nella confezione come una fiaba delle più classiche tra quelle viste nell’animazione ormai da quasi un secolo; Biancaneve, la nostra protagonista, è la principessa di un regno dell’isola di Favolosilandia, alla ricerca disperata del padre scomparso; nel mezzo della sua ricerca si imbatte casualmente nell’albero magico coltivato dalla sua matrigna, un albero che produce scarpette rosse che, se indossate, possono donare bellezza ed eterna giovinezza a chi le porta. Sorpresa dalla matrigna, è costretta a fuggire fino a ripararsi nella casa dei Favolosi Sette, un gruppo di sette guerrieri magici anche loro alle prese con una maledizione che ne modifica le sembianze; infatti, per aver scambiato la principessa della fate per una strega, a causa del suo aspetto poco avvenente, questi ultimi sono stati condannati a mostrarsi sempre come piccoli troll verdi nel momento in cui qualcuno li guarda, questo almeno fin quando non riceveranno un bacio dalla donna più bella del mondo che possa liberarli dalla maledizione. Il nuovo bellissimo aspetto di Biancaneve, che per restare in incognito si farà chiamare Scarpette Rosse, attira di conseguenza il gruppo dei sette, e in particolare del loro capo Merlino, desideroso di conquistare questa principessa misteriosa che possa sciogliere l’incantesimo in cui lui e i suoi compagni sono intrappolati. I reciproci interessi portano a collaborare la ragazza e i sette guerrieri, mettendo in moto gli ingranaggi della storia che li porteranno anche a scontrarsi con quella matrigna diventata ormai nemico comune di entrambi.
Inutile ribadire a questo punto quanto questa storia si presenti come un grande miscuglio delle favole animate più note, probabilmente è ciò che esce da un frullato dei più apprezzati classici Disney dell’epoca d’oro della casa di Topolino. Non che questo sia un male, sia chiaro, dubito che il film volesse imporsi come elemento di novità, e in fondo queste somiglianze ora chiare ora più sfumate alimentano anche la vena ironica della pellicola, quest’ultima chiaramente ispirata da quello “Shrek” che già ad inizio millennio aveva preso in giro i simboli e gli stilemi narrativi delle fiabe disneyane, e anche in questo caso “Scarpette rosse e i sette nani” si dimostra una copia che ha saputo prendere spunto dall’originale, pur tuttavia non riuscendo ad essere ugualmente caustica o divertente. Cosa resta, quindi, se togliamo a questo film la sua aura fiabesca e la sua controparte comica? Di sicuro il bellissimo messaggio di fondo che promuove l’accettazione del prossimo al di là del suo aspetto fisico e il non fermarsi mai alle apparenze, quando bisogna giudicare una persona. Wow. Bello è bello, per carità, ed è sempre valido oggigiorno, però diciamo che, se tutto questo non vi ha ricordato almeno il 50% della produzione animata occidentale, americana soprattutto, allora vi invidio, perché siete persone che hanno ancora la possibilità di gustarsi per la prima volta capolavori immortali che valgono ben più la pena di questo onesto film per famiglie, e se vogliamo pure della recensione che state leggendo. Le piccole differenze che “Scarpette rosse e i sette nani” può introdurre da questo punto di vista alla fine sono per la sua produzione, visto che questo è un film sudcoreano, nonostante la chiara impronta occidentale alle spalle, e per la scelta di presentare una protagonista grassa e molto poco in forma a fare da simbolo di comprensione e accettazione, una scelta in tempo di ‘body positivity’ ovviamente comprensibile, e anche abbastanza sicura, visto che ultimamente film diretti a un pubblico giovane rischiano sempre di attirarsi critiche e attacchi non richiesti e, il più delle volte, anche inutili. Nonostante però abbia compreso il messaggio di fondo promosso dal lungometraggio e possa ascrivermi anch’io alla categoria dei ‘diversamente magri’ rappresentati dalla nostra protagonista, non posso fare a meno di sottolineare, con un pizzico di ipocrisia, come la cosa che mi abbia colpito di più di tutto il film sia stato l’aspetto bellissimo nella sua semplicità di Biancaneve nella versione ‘migliorata’ dalle scarpette rosse; probabilmente peccherò di superficialità, ma ho sempre trovato esagerata, e profondamente ipocrita, l’ossessione di voler demonizzare la bellezza in ogni sua forma, che per me resta comunque una virtù che può capitare in maniera fortuita, certo, ma che bisogna anche essere in grado di coltivare, senza darle comunque un’importanza eccessiva che la faccia passare da valore aggiunto a fondamentale, cosa che assolutamente non è.
Questi complimenti alla protagonista sono anche il pretesto per lodare il buon lavoro fatto sul comparto grafico del film, una pellicola completamente in 3D CGI che non tiene testa ai leader mondiali in questo tipo di produzioni, ma fa tranquillamente la sua buona figura, soprattutto nel frizzante character design dei personaggi che risultano tutti gradevoli almeno alla vista. Promossa anche la regia del sudcoreano Sung-ho Hong anche per la presenza di movimentate, e convincenti, scene d’azione, così come la colonna di Geoff Zanelli che, almeno nella parte strumentale, fa il suo dovere, accompagnando sia le scene più concitate che quelle più riflessive. Abbastanza dimenticabili, per non dire evitabili, invece le tre canzoni proposte durante il film, nonostante la scelta di adattarle in italiano come si è solito fare nelle produzioni Disney. E sempre per restare in ambito nazionale, va segnalata purtroppo la scelta fatta nella versione italiana di affidare le voci dei protagonisti principali ai cosiddetti ‘talent’ esterni piuttosto che a dei doppiatori professionisti. Così Biancaneve è toccata alla “cantante” Baby K, mentre il duo comico Pio e Amedeo ha doppiato Merlino e Arthur, i due personaggi principali tra i sette guerrieri, con risultati francamente discutibili e deludenti, una scelta fatta per logiche commerciali ma che purtroppo non ha pagato, visto che il film è passato molto in sordina dalle nostre parti; a onor del vero è andata un po’ meglio con l’altro personaggio doppiato da Amedeo, lo specchio magico, a cui un caricaturale accento napoletano ha dato la giusta verve nelle scene in cui compariva, a riprova questo che non è per forza un male affidare qualche ruolo a personaggi famosi che facciano da calamita per il grande pubblico, basta confinarli in tempi e nei contesti più adatti alle loro capacità.
Mettendo un attimo da parte il mio giudizio tranchant dell’inizio, è lecito chiedersi, a questo punto, se il lavoro fatto con questo film si possa definire promosso; a parer mio sì, anche se non riesco a riservare ad esso più di una risicata sufficienza: pur senza brillare davvero in nessun aspetto (da quello narrativo a quello tecnico), “Scarpette rosse e i sette nani” è un film simpatico con una confezione gradevole che può fare facilmente presa su un pubblico di giovanissimi ed è tranquillamente consigliabile a famiglie desiderose di passare una serata tranquilla in compagnia, a patto che venga dopo aver visto prima larghissima parte del catalogo di, almeno, Disney, Pixar e Dreamworks.
Ecco gli uomini! Se la prendono con la scarpa quando la colpa è del piede! E Samuel Beckett lo sapeva bene. La caccia ossessiva a un paio di scarpe magiche è l’apparente filo conduttore di questo film. Non esiste bella scarpa che non diventi ciabatta... Così la regina, una strega ex bellissima ormai avanti negli anni, e che li dimostra tutti, vorrebbe fare le scarpe alla figlia del re suo marito, che è scomparso da diverso tempo. E il sospetto ci punge che la mogliettina voglia, come dire, ballare nelle scarpe del morto.
Detta così, dice poco. E allora, proviamo in un altro modo. In questo mondo fantasy ci sono sette bei principi spacconi ma molto potenti, che sono usi riparare i torti. Eppure, visti così, sono proprio delle scarpe. Da bravi ragazzi dediti al culto dell’apparenza e all’adorazione del bello, hanno avuto la brillante idea di pestare le scarpe a una fata la quale, per togliersi dalle scarpe i sassolini, ha ben pensato di trasformarli in sette brutti nani verdi. Insomma, hanno trovato la forma della loro scarpa! E potranno riottenere il loro antico aspetto solo se li bacerà la donna più bella del mondo, così impareranno a non avere il giudizio sotto la suola delle scarpe.
Ecco quindi entrare in scena Biancaneve, una principessa vivace e bellissima, che indossa un magnifico paio di scarpette rosse. Niente di cui scrivere a casa, mi direte, è normale che Biancaneve sia una principessa bellissima, giusto? Tutte le principesse sono belle, fa parte del format. E invece no. Perché la nostra principessa non è affatto splendida e affascinante, anzi. Sicuramente le piace fare la scarpetta, perché è cicciottella e goffa, e la cosa di certo non la rallegra. Insomma, si sente una scarpa, fino a quando non acquisisce un paio di scarpette rosse che, magicamente, la trasformano nello stereotipo della principessa. Piedi piccoli in grandi scarpe non fanno lungo viaggio, ma sarà vero il contrario? Forse. I sette principi nanetti (verdi) faranno a gara per ottenere il di lei bacio che li riporterà al loro primitivo splendore. Nel frattempo, la regina cercherà in tutti i modi di fregarle le scarpe per recuperare bellezza e giovinezza. Sciocca! Non lo sa che scarpe e cappello, nemmeno di tuo fratello? Non tutti i piedi stanno bene in una scarpa! Ma dai, è una fiaba e quindi, nonostante questi rovesciamenti di canone, non può che andare a finire bene: è ovvio che, per quanto Biancaneve rischi di morire con le scarpe ai piedi, sarà la regina cattiva a finire per rimetterci anche la suola delle scarpe. Perché, in fondo, per quanto politicamente scorretto, “Scarpette rosse e i sette nani” è un film buonista.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Come può sentirsi una ragazza che, abituata ad essere goffa e trascurata, indegna di lustrare le scarpe a chiunque, diventa improvvisamente oggetto del desiderio di tutti solo per il suo aspetto? Come può sentirsi una ragazza che si innamora di un ragazzo non propriamente bellissimo, sentendosi comunque ripetere da costui che questo non è il suo vero aspetto, che in realtà è uno ‘strafigo’ da paura... proprio come lei? Quella stessa ragazza che non osa togliersi le scarpe perché - lei sì - non ha una bellezza canonica? Che sente di vivere un inganno? Che teme di fare una scarpa e una ciabatta, con lei nella parte della ciabatta? Sopra le scarpe nuove, prima o poi ci piove...
La presa di coscienza della cosiddetta bellezza interiore è un lavoro lungo e duro, sia per Biancaneve che per i protagonisti maschili i quali, invero, non paiono apprezzarla molto, se non verso la fine. Giusto in tempo per il finale. Nel frattempo, il film ci trascina in abbondanti citazioni parodistiche di varie fiabe, a partire dalla ovvia “Scarpette rosse” fino a “Shreck”, passando per “La spada nella roccia”, “Biancaneve”, “La bella e la bestia”, e così via. Il personaggio che mi è piaciuto di più? Il principe Average. Poverino, commisero la superbia della sua mediocrità.
È un film che parrebbe avere il chiaro e scoperto intento di farci riflettere sull’importanza di ciò che c’è dentro rispetto a ciò che c’è fuori. Un film contro gli stereotipi che associano il buono al bello e il cattivo al brutto, contro i razzismi, visto che si parla spesso di colore e i nanetti sono verdi. Che non si fa scrupoli a dire corbellerie del tipo: “È chiaro che è una principessa, altrimenti non potrebbe essere così bella” oppure “Una ragazza così carina non poteva essere una criminale”. Eppure, a visione ultimata, ci si chiede se il bersaglio sia stato centrato, o se per caso la freccia non sia rimasta in uno dei cerchi più esterni.
Forse per apprezzarlo veramente bisogna avere qualche annetto di meno. È evidente che il target di riferimento sia molto più basso dell’età adulta. Confesso di essermi scoperta in diversi punti a pensare ad altro, incapace di trattenere l’attenzione sul film. La prima parte è sicuramente più brillante e avvincente, complice anche l’effetto novità, ma poi perde pian piano mordente, diventando noioso. Gran parte del problema sta anche nel terribile doppiaggio italiano: i personaggi principali sono stati affidati a persone non del mestiere, e si sente. Si sente dolorosamente per tutto il film, ed è un gran peccato. Le OST sono appena adeguate, non indimenticabili ma, insomma, nemmeno terribili. Per contro, nulla di male si può dire sui disegni e sulle animazioni, e d’altronde si tratta di un’opera ad alto budget: tutto sommato una CGI ben fatta, apprezzabile, che non disturba l’occhio, al contrario di tante altre.
In definitiva, personalmente penso che si tratti di un titolo discreto, più per il messaggio che per altro, destinato principalmente ai giovanissimi, e che ha l’indubbio merito di indurre a pensare, ma troppo altalenante per intrattenere costantemente un pubblico adulto. A scene impegnative e profonde se ne alternano altre caciarone e infantili, che mi hanno generato più di un moto di fastidio. In pratica, quando il film “scende”, te ne accorgi, perché la tua età improvvisamente “sale”. A tratti ci caschi dentro con tutte le scarpe, ma poi te ne tiri fuori... Contrariamente alla normalità, sono i momenti peggiori.
Detta così, dice poco. E allora, proviamo in un altro modo. In questo mondo fantasy ci sono sette bei principi spacconi ma molto potenti, che sono usi riparare i torti. Eppure, visti così, sono proprio delle scarpe. Da bravi ragazzi dediti al culto dell’apparenza e all’adorazione del bello, hanno avuto la brillante idea di pestare le scarpe a una fata la quale, per togliersi dalle scarpe i sassolini, ha ben pensato di trasformarli in sette brutti nani verdi. Insomma, hanno trovato la forma della loro scarpa! E potranno riottenere il loro antico aspetto solo se li bacerà la donna più bella del mondo, così impareranno a non avere il giudizio sotto la suola delle scarpe.
Ecco quindi entrare in scena Biancaneve, una principessa vivace e bellissima, che indossa un magnifico paio di scarpette rosse. Niente di cui scrivere a casa, mi direte, è normale che Biancaneve sia una principessa bellissima, giusto? Tutte le principesse sono belle, fa parte del format. E invece no. Perché la nostra principessa non è affatto splendida e affascinante, anzi. Sicuramente le piace fare la scarpetta, perché è cicciottella e goffa, e la cosa di certo non la rallegra. Insomma, si sente una scarpa, fino a quando non acquisisce un paio di scarpette rosse che, magicamente, la trasformano nello stereotipo della principessa. Piedi piccoli in grandi scarpe non fanno lungo viaggio, ma sarà vero il contrario? Forse. I sette principi nanetti (verdi) faranno a gara per ottenere il di lei bacio che li riporterà al loro primitivo splendore. Nel frattempo, la regina cercherà in tutti i modi di fregarle le scarpe per recuperare bellezza e giovinezza. Sciocca! Non lo sa che scarpe e cappello, nemmeno di tuo fratello? Non tutti i piedi stanno bene in una scarpa! Ma dai, è una fiaba e quindi, nonostante questi rovesciamenti di canone, non può che andare a finire bene: è ovvio che, per quanto Biancaneve rischi di morire con le scarpe ai piedi, sarà la regina cattiva a finire per rimetterci anche la suola delle scarpe. Perché, in fondo, per quanto politicamente scorretto, “Scarpette rosse e i sette nani” è un film buonista.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Come può sentirsi una ragazza che, abituata ad essere goffa e trascurata, indegna di lustrare le scarpe a chiunque, diventa improvvisamente oggetto del desiderio di tutti solo per il suo aspetto? Come può sentirsi una ragazza che si innamora di un ragazzo non propriamente bellissimo, sentendosi comunque ripetere da costui che questo non è il suo vero aspetto, che in realtà è uno ‘strafigo’ da paura... proprio come lei? Quella stessa ragazza che non osa togliersi le scarpe perché - lei sì - non ha una bellezza canonica? Che sente di vivere un inganno? Che teme di fare una scarpa e una ciabatta, con lei nella parte della ciabatta? Sopra le scarpe nuove, prima o poi ci piove...
La presa di coscienza della cosiddetta bellezza interiore è un lavoro lungo e duro, sia per Biancaneve che per i protagonisti maschili i quali, invero, non paiono apprezzarla molto, se non verso la fine. Giusto in tempo per il finale. Nel frattempo, il film ci trascina in abbondanti citazioni parodistiche di varie fiabe, a partire dalla ovvia “Scarpette rosse” fino a “Shreck”, passando per “La spada nella roccia”, “Biancaneve”, “La bella e la bestia”, e così via. Il personaggio che mi è piaciuto di più? Il principe Average. Poverino, commisero la superbia della sua mediocrità.
È un film che parrebbe avere il chiaro e scoperto intento di farci riflettere sull’importanza di ciò che c’è dentro rispetto a ciò che c’è fuori. Un film contro gli stereotipi che associano il buono al bello e il cattivo al brutto, contro i razzismi, visto che si parla spesso di colore e i nanetti sono verdi. Che non si fa scrupoli a dire corbellerie del tipo: “È chiaro che è una principessa, altrimenti non potrebbe essere così bella” oppure “Una ragazza così carina non poteva essere una criminale”. Eppure, a visione ultimata, ci si chiede se il bersaglio sia stato centrato, o se per caso la freccia non sia rimasta in uno dei cerchi più esterni.
Forse per apprezzarlo veramente bisogna avere qualche annetto di meno. È evidente che il target di riferimento sia molto più basso dell’età adulta. Confesso di essermi scoperta in diversi punti a pensare ad altro, incapace di trattenere l’attenzione sul film. La prima parte è sicuramente più brillante e avvincente, complice anche l’effetto novità, ma poi perde pian piano mordente, diventando noioso. Gran parte del problema sta anche nel terribile doppiaggio italiano: i personaggi principali sono stati affidati a persone non del mestiere, e si sente. Si sente dolorosamente per tutto il film, ed è un gran peccato. Le OST sono appena adeguate, non indimenticabili ma, insomma, nemmeno terribili. Per contro, nulla di male si può dire sui disegni e sulle animazioni, e d’altronde si tratta di un’opera ad alto budget: tutto sommato una CGI ben fatta, apprezzabile, che non disturba l’occhio, al contrario di tante altre.
In definitiva, personalmente penso che si tratti di un titolo discreto, più per il messaggio che per altro, destinato principalmente ai giovanissimi, e che ha l’indubbio merito di indurre a pensare, ma troppo altalenante per intrattenere costantemente un pubblico adulto. A scene impegnative e profonde se ne alternano altre caciarone e infantili, che mi hanno generato più di un moto di fastidio. In pratica, quando il film “scende”, te ne accorgi, perché la tua età improvvisamente “sale”. A tratti ci caschi dentro con tutte le scarpe, ma poi te ne tiri fuori... Contrariamente alla normalità, sono i momenti peggiori.
Il body shaming rappresenta un tabù ancora da sfatare, un tema molto complesso che va inquadrato all'interno di una società basata sulle apparenze e di tendenza espressamente narcisista. E quale modo migliore per affrontare l'argomento se non attraverso un crossover di alcune delle fiabe più famose e conosciute al mondo? In effetti, tralasciando il lapalissiano riferimento a "Biancaneve e i sette nani", vengono citate indirettamente anche altre due fiabe: "Scarpette rosse" e "La bella e la bestia", in particolare la seconda, per il concept iniziale e conclusivo della narrazione.
La protagonista, Biancaneve, viene concettualizzata nell'aspetto esteriore, in maniera completamente diversa rispetto all'idea originale dei Fratelli Grimm o alla più tardiva versione della Disney, nelle quali viene descritta come una bellissima principessa, la più bella di tutto il reame. Corpulenta, insicura e goffa, sono queste le tre principali caratteristiche che denotano e definiscono la Biancaneve ideata dal regista coreano Sung-ho Hong, la quale riesce ad acquisire una bellezza fuori dal comune solo attraverso l'utilizzo di un paio di magiche scarpette rosse. Un destino molto simile tocca ai Favolosi Sette, ovvero sette avvenenti principi dai poteri straordinari i quali, per analogia del contrappasso, vengono trasformati in sette mostruosi nani e condannati a rimanere in tale condizione finché non riceveranno il bacio della donna più bella del mondo. La maledizione inflitta ai principi è dovuta sia all'assenza di maturità che ad una chiara superficialità da parte loro nel giudicare esclusivamente dall'aspetto esteriore, in quanto, nell'immaginario comune, è lecito aspettarsi che difficilmente una principessa possa essere contemplabile come brutta, oppure una figura bella e armonica essere associata a canoni negativi.
Per metterla in altri termini, gli individui spesso manifestano degli archetipi erronei e fittizi che non esistono nella realtà: associare il bello al bene, alla positività, e il brutto al male o alla negatività.
L'incarnazione per eccellenza del concetto di vanità è appurabile nel personaggio di Merlino, il quale durante quasi tutto il corso del film non sembra cogliere minimamente il reale significato della maledizione inflitta dalla Principessa delle Fate. Mentre l'interesse graduale manifestato da Biancaneve è sincero e puro, quindi rivolto alla sua versione temporanea, non quella ideale e meravigliosa da principe, l'attrazione di Merlino, invece, è dovuta inequivocabilmente alla sua bellezza esteriore. Tale aspetto viene ancora più sottolineato dal fatto che il principe rassicura Biancaneve che quelle non sono le sue vere sembianze, schernendo e ironizzando molteplici volte sulle stesse. Dunque, verrebbe da chiedersi: per quale motivo la principessa si è innamorata di Merlino? E pensare che, per esaltare le sue caratteristiche psicologiche, tutti gli altri principi sono stati messi sostanzialmente in ombra: Jack, cultore del bello e dei gioielli, Hans, immerso nella cucina, per non parlare del trio Pino, Noki e Kio, i quali sembrano proprio estranei alla narrazione, vivendo nel loro mondo di creatività e invenzione. Per Arthur, invece, il discorso è leggermente diverso, in quanto, insieme a Merlino, è il personaggio a cui viene dato più spazio e opportunità di interagire con Scarpette Rosse. Tuttavia il suo ruolo è quello dell'anti-eroe, a differenza del compagno: infatti, oltre all'egoismo, alla spavalderia e a mostrare i muscoli, il suo contributo è piuttosto marginale, e Biancaneve non se lo fila neanche di striscio. Geniale la sequenza con la spada nella roccia: "Altruista, cortese e veritiero devi essere, se la Spada Excalibur è nel tuo interesse", decisamente la persona ideale per estrarre la spada!
Il lavoro sul comparto grafico è stato davvero fantastico, solo per il character design di Scarpette Rosse varrebbe la pena guardare il film, una delle principesse più belle mai realizzate e disegnate nella storia dell'animazione. Purtroppo è d'obbligo aprire la vergognosa parentesi italiana sia sul doppiaggio che sulle OST: ma per quale motivo assegnare i ruoli dei protagonisti a Baby K, Pio e Amedeo? Ci sono tanti professionisti competenti del settore che studiano anni e anni per avere una parte, invece sono stati selezionati una cantante e due comici... che, tra l'altro, mentre con Baby K e Pio si può apprezzare un minimo di impegno, seppur la prestazione sia lo stesso inadeguata, Amedeo non è proprio all'altezza della situazione: fin dall'inizio è sembrato troppo meccanico e poco calato nella parte, per non parlare poi del fatto che gli sono stati assegnati addirittura due ruoli, non solo Arthur, ma anche quello dello Specchio Magico. Il doppiaggio dei personaggi secondari è nettamente superiore, guarda caso il resto del cast è composto da tutti doppiatori professionisti.
Anche le OST sono belle e orecchiabili, le canzoni "Something so Beautiful", "This Is Me" e "Start of Something Right" appartengono alla compagnia musicale The Math Club, mentre le tracce strumentali sono state composte da Geoff Zanelli. Ovviamente in italiano sono stati tradotti e adattati solo gli spezzoni musicali presenti nel film, non è stata rilasciata alcuna versione ufficiale delle varie canzoni. È possibile trovare su YouTube solo una cover di "Start of Something Right" di Thymeka.
"Red Shoes and the Seven Dwarfs" è un prodotto con l'obiettivo di lanciare un preciso messaggio al suo pubblico: non bisogna soffermarsi sulle mere apparenze, gli individui vanno compresi fino a fondo, prima di esprimere una qualsiasi forma di giudizio. Purtroppo nella società contemporanea si attribuisce eccessiva importanza a elementi come l'aspetto fisico, i lineamenti, l'estetica, così tanta rilevanza da spingere molteplici volte le persone ad attuare dei cambiamenti forzati o ad atti più estremi pur di piacere agli altri. Diventa fondamentale valorizzare sé stessi, in qualsiasi frangente, far emergere il proprio carattere, il carisma, la sicurezza o, per essere ancora più specifici, quella che viene definita la "bellezza interiore", poiché anche quest'ultima potrebbe rappresentare uno strumento valido per conquistare una persona che ai nostri occhi sembra irraggiungibile. In fondo, ogni individuo può identificarsi nella dicotomia Scarpette Rosse/Biancaneve, ma spetta sempre a noi decidere quale delle due versioni essere, senza avere rimpianti o essere giudicati per le proprie decisioni. Sebbene il film d'animazione abbia tale intento, ha ricevuto pesanti accuse di body shaming dalla community, a tal punto da spingere la doppiatrice originale di Biancaneve, Chloe Grace Moretz, a scusarsi per il contenuto del primo trailer del film diffuso in rete. A ciò, va aggiunta un'errata commercializzazione del prodotto che l'ha relegato subito al dimenticatoio: con tutta onestà, sono venuto a conoscenza della sua esistenza praticamente per caso. È davvero un peccato, perché l'idea di fondo dell'autore è interessante, anche le scene comedy, nonostante siano molto, ma molto banali e demenziali, non stonano troppo con tutto il resto. L'unico dubbio resta sul cambiamento di visione da parte di Merlino nell'ultimo quarto di film, che sa molto di forzatura rispetto a quanto visto in precedenza; per questo motivo concludo la recensione con una domanda per il lettore: "Un'evoluzione psicologica simile può davvero avvenire in così poco tempo e richiedere solo una breve riflessione su sé stessi?"
La protagonista, Biancaneve, viene concettualizzata nell'aspetto esteriore, in maniera completamente diversa rispetto all'idea originale dei Fratelli Grimm o alla più tardiva versione della Disney, nelle quali viene descritta come una bellissima principessa, la più bella di tutto il reame. Corpulenta, insicura e goffa, sono queste le tre principali caratteristiche che denotano e definiscono la Biancaneve ideata dal regista coreano Sung-ho Hong, la quale riesce ad acquisire una bellezza fuori dal comune solo attraverso l'utilizzo di un paio di magiche scarpette rosse. Un destino molto simile tocca ai Favolosi Sette, ovvero sette avvenenti principi dai poteri straordinari i quali, per analogia del contrappasso, vengono trasformati in sette mostruosi nani e condannati a rimanere in tale condizione finché non riceveranno il bacio della donna più bella del mondo. La maledizione inflitta ai principi è dovuta sia all'assenza di maturità che ad una chiara superficialità da parte loro nel giudicare esclusivamente dall'aspetto esteriore, in quanto, nell'immaginario comune, è lecito aspettarsi che difficilmente una principessa possa essere contemplabile come brutta, oppure una figura bella e armonica essere associata a canoni negativi.
Per metterla in altri termini, gli individui spesso manifestano degli archetipi erronei e fittizi che non esistono nella realtà: associare il bello al bene, alla positività, e il brutto al male o alla negatività.
L'incarnazione per eccellenza del concetto di vanità è appurabile nel personaggio di Merlino, il quale durante quasi tutto il corso del film non sembra cogliere minimamente il reale significato della maledizione inflitta dalla Principessa delle Fate. Mentre l'interesse graduale manifestato da Biancaneve è sincero e puro, quindi rivolto alla sua versione temporanea, non quella ideale e meravigliosa da principe, l'attrazione di Merlino, invece, è dovuta inequivocabilmente alla sua bellezza esteriore. Tale aspetto viene ancora più sottolineato dal fatto che il principe rassicura Biancaneve che quelle non sono le sue vere sembianze, schernendo e ironizzando molteplici volte sulle stesse. Dunque, verrebbe da chiedersi: per quale motivo la principessa si è innamorata di Merlino? E pensare che, per esaltare le sue caratteristiche psicologiche, tutti gli altri principi sono stati messi sostanzialmente in ombra: Jack, cultore del bello e dei gioielli, Hans, immerso nella cucina, per non parlare del trio Pino, Noki e Kio, i quali sembrano proprio estranei alla narrazione, vivendo nel loro mondo di creatività e invenzione. Per Arthur, invece, il discorso è leggermente diverso, in quanto, insieme a Merlino, è il personaggio a cui viene dato più spazio e opportunità di interagire con Scarpette Rosse. Tuttavia il suo ruolo è quello dell'anti-eroe, a differenza del compagno: infatti, oltre all'egoismo, alla spavalderia e a mostrare i muscoli, il suo contributo è piuttosto marginale, e Biancaneve non se lo fila neanche di striscio. Geniale la sequenza con la spada nella roccia: "Altruista, cortese e veritiero devi essere, se la Spada Excalibur è nel tuo interesse", decisamente la persona ideale per estrarre la spada!
Il lavoro sul comparto grafico è stato davvero fantastico, solo per il character design di Scarpette Rosse varrebbe la pena guardare il film, una delle principesse più belle mai realizzate e disegnate nella storia dell'animazione. Purtroppo è d'obbligo aprire la vergognosa parentesi italiana sia sul doppiaggio che sulle OST: ma per quale motivo assegnare i ruoli dei protagonisti a Baby K, Pio e Amedeo? Ci sono tanti professionisti competenti del settore che studiano anni e anni per avere una parte, invece sono stati selezionati una cantante e due comici... che, tra l'altro, mentre con Baby K e Pio si può apprezzare un minimo di impegno, seppur la prestazione sia lo stesso inadeguata, Amedeo non è proprio all'altezza della situazione: fin dall'inizio è sembrato troppo meccanico e poco calato nella parte, per non parlare poi del fatto che gli sono stati assegnati addirittura due ruoli, non solo Arthur, ma anche quello dello Specchio Magico. Il doppiaggio dei personaggi secondari è nettamente superiore, guarda caso il resto del cast è composto da tutti doppiatori professionisti.
Anche le OST sono belle e orecchiabili, le canzoni "Something so Beautiful", "This Is Me" e "Start of Something Right" appartengono alla compagnia musicale The Math Club, mentre le tracce strumentali sono state composte da Geoff Zanelli. Ovviamente in italiano sono stati tradotti e adattati solo gli spezzoni musicali presenti nel film, non è stata rilasciata alcuna versione ufficiale delle varie canzoni. È possibile trovare su YouTube solo una cover di "Start of Something Right" di Thymeka.
"Red Shoes and the Seven Dwarfs" è un prodotto con l'obiettivo di lanciare un preciso messaggio al suo pubblico: non bisogna soffermarsi sulle mere apparenze, gli individui vanno compresi fino a fondo, prima di esprimere una qualsiasi forma di giudizio. Purtroppo nella società contemporanea si attribuisce eccessiva importanza a elementi come l'aspetto fisico, i lineamenti, l'estetica, così tanta rilevanza da spingere molteplici volte le persone ad attuare dei cambiamenti forzati o ad atti più estremi pur di piacere agli altri. Diventa fondamentale valorizzare sé stessi, in qualsiasi frangente, far emergere il proprio carattere, il carisma, la sicurezza o, per essere ancora più specifici, quella che viene definita la "bellezza interiore", poiché anche quest'ultima potrebbe rappresentare uno strumento valido per conquistare una persona che ai nostri occhi sembra irraggiungibile. In fondo, ogni individuo può identificarsi nella dicotomia Scarpette Rosse/Biancaneve, ma spetta sempre a noi decidere quale delle due versioni essere, senza avere rimpianti o essere giudicati per le proprie decisioni. Sebbene il film d'animazione abbia tale intento, ha ricevuto pesanti accuse di body shaming dalla community, a tal punto da spingere la doppiatrice originale di Biancaneve, Chloe Grace Moretz, a scusarsi per il contenuto del primo trailer del film diffuso in rete. A ciò, va aggiunta un'errata commercializzazione del prodotto che l'ha relegato subito al dimenticatoio: con tutta onestà, sono venuto a conoscenza della sua esistenza praticamente per caso. È davvero un peccato, perché l'idea di fondo dell'autore è interessante, anche le scene comedy, nonostante siano molto, ma molto banali e demenziali, non stonano troppo con tutto il resto. L'unico dubbio resta sul cambiamento di visione da parte di Merlino nell'ultimo quarto di film, che sa molto di forzatura rispetto a quanto visto in precedenza; per questo motivo concludo la recensione con una domanda per il lettore: "Un'evoluzione psicologica simile può davvero avvenire in così poco tempo e richiedere solo una breve riflessione su sé stessi?"