That is the Bottleneck
“Soredake ga Neck”, ovvero “Sto perdendo la testa”.
Siamo in un konbini, uno dei tipici negozi nipponici aperti ventiquattr’ore su ventiquattro, e assistiamo alle vicende umane che lo caratterizzano. Protagonista della vicenda è Mutou, un impiegato assunto però col nome sbagliato, avendolo il datore di lavoro scambiato per un altro e non potendo il poveretto (per problemi suoi che non starò a ‘spoilerare’) chiarire l’equivoco.
Mutou è un individuo misterioso, per alcuni versi, quelli più evidenti, assai inquietante. Nessuno l’ha visto in volto e chi c’è riuscito è fuggito urlando. No, non tutti... E gli espedienti per nascondere il suo volto sono molti: un gattone goloso di riso, un cartello, una fuga veloce dietro lo scaffale, fino ad un’improbabile maschera. Taciturno ma gran lavoratore, Mutou prepara onigiri favolosi, che piacciono proprio a tutti, meno che mai alla persona a cui vorrebbe offrirli. Divertente è la scena in cui cerca di camuffare gli onigiri in forma di pane, per far sì che quella persona li prenda.
Essendo “Soredake ga Neck” un anime breve, non si può che restare stupiti dalla semplicità e dalla linearità della trama, capace però di felici approfondimenti, sia sulla natura gentile di Mutou e sul suo passato, che sulle difficoltà esistenziali ma non così insormontabili (ci pensa Mutou!) dei suoi colleghi.
Restano di quest’anime due messaggi, il primo legato alla riflessione che Mutou fa quando cerca di spiegarsi il perché nessuno si sia accorto della sua menomazione. Lui pensa di essersi trovato in un’epoca in cui per parlarsi non serve guardarsi negli occhi o in faccia, e intanto vede i colleghi, uno che parla, senza guardare, alla collega che fissa il suo cellulare là vicino. È o non è un quadro un po’ desolante della realtà in cui viviamo?
L’altra riflessione si lega al tema della gentilezza. La figura di Mutou è indicativa. Lui non parla, agisce, regalando gesti di comprensione e supporto (vedi la mascherina col sorriso e i diversi onigiri che offre ai dolenti), tanto che poi, scoperta la sua mancanza importante, viene accettato e supportato. A volte sono più le azioni delle parole a parlare del buon cuore di una persona.
Il finale ha uno scioglimento sereno e tenero, particolare, e si può comprendere bene, anche se alla base c’è una situazione assai originale e improbabile.
I personaggi hanno una buona resa. Restano lì un po’ pennellati, ma il loro studio psicologico è accettabile per un anime così breve.
L’anime si presenta ironico, divertente, con una punta di tragico che non fa male e un tocco di profondità che non ti aspetti.
I disegni sono il punto dolente: troppo piatti, troppo abbozzati, stessa cosa per l’ambientazione, ma per un anime così breve non possono essere criticati duramente.
Siamo in un konbini, uno dei tipici negozi nipponici aperti ventiquattr’ore su ventiquattro, e assistiamo alle vicende umane che lo caratterizzano. Protagonista della vicenda è Mutou, un impiegato assunto però col nome sbagliato, avendolo il datore di lavoro scambiato per un altro e non potendo il poveretto (per problemi suoi che non starò a ‘spoilerare’) chiarire l’equivoco.
Mutou è un individuo misterioso, per alcuni versi, quelli più evidenti, assai inquietante. Nessuno l’ha visto in volto e chi c’è riuscito è fuggito urlando. No, non tutti... E gli espedienti per nascondere il suo volto sono molti: un gattone goloso di riso, un cartello, una fuga veloce dietro lo scaffale, fino ad un’improbabile maschera. Taciturno ma gran lavoratore, Mutou prepara onigiri favolosi, che piacciono proprio a tutti, meno che mai alla persona a cui vorrebbe offrirli. Divertente è la scena in cui cerca di camuffare gli onigiri in forma di pane, per far sì che quella persona li prenda.
Essendo “Soredake ga Neck” un anime breve, non si può che restare stupiti dalla semplicità e dalla linearità della trama, capace però di felici approfondimenti, sia sulla natura gentile di Mutou e sul suo passato, che sulle difficoltà esistenziali ma non così insormontabili (ci pensa Mutou!) dei suoi colleghi.
Restano di quest’anime due messaggi, il primo legato alla riflessione che Mutou fa quando cerca di spiegarsi il perché nessuno si sia accorto della sua menomazione. Lui pensa di essersi trovato in un’epoca in cui per parlarsi non serve guardarsi negli occhi o in faccia, e intanto vede i colleghi, uno che parla, senza guardare, alla collega che fissa il suo cellulare là vicino. È o non è un quadro un po’ desolante della realtà in cui viviamo?
L’altra riflessione si lega al tema della gentilezza. La figura di Mutou è indicativa. Lui non parla, agisce, regalando gesti di comprensione e supporto (vedi la mascherina col sorriso e i diversi onigiri che offre ai dolenti), tanto che poi, scoperta la sua mancanza importante, viene accettato e supportato. A volte sono più le azioni delle parole a parlare del buon cuore di una persona.
Il finale ha uno scioglimento sereno e tenero, particolare, e si può comprendere bene, anche se alla base c’è una situazione assai originale e improbabile.
I personaggi hanno una buona resa. Restano lì un po’ pennellati, ma il loro studio psicologico è accettabile per un anime così breve.
L’anime si presenta ironico, divertente, con una punta di tragico che non fa male e un tocco di profondità che non ti aspetti.
I disegni sono il punto dolente: troppo piatti, troppo abbozzati, stessa cosa per l’ambientazione, ma per un anime così breve non possono essere criticati duramente.